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martedì 29 maggio 2018

La Nuova Repubblica, il deficit di credibilità (e il problema delle percezioni)



Il veto posto da Mattarella al nome più qualificato della compagine governativa proposta da Di Maio e Salvini sta portando l'Italia in una situazione realmente inedita, una specie di Nuova Repubblica di tipo presidenziale senza che nessuno l'abbia mai votata.

L'effetto concreto della decisione di Mattarella ha molto a che vedere con la distanza crescente esistente tra "los de arriba y los de abajo". Dal punto di vista dei mercati, di alcuni ministri tedeschi, del Fondo Monetario e di altri speculatori finanziari, la scelta di bloccare il governo Di Maio-Salvini (ricordiamocelo: l'unico che era uscito, come ipotesi possibile, da quel mostro di legge elettorale voluta da Renzi e controfirmata da Mattarella) aveva un senso compiuto. Confermare che il mainstream economico resta quello disceso dal vecchio Consenso di Wshington, di impronta neoliberale e orientato dalla finanza e dalle banche, queste due ultime colpevoli della crisi nella quale ci dibattiamo da dieci anni.

Per questo grumo di interessi, che conta su un appoggio mediatico impressionante, tutto è lecito pur di mantenere i loro interessi sotto l'ala protettrice di istituzioni fallaci come le attuali. Il margine di manovra lasciato ai governi è minimo e, per esserne ancor più sicuri, hanno fatto inserire il Fiscal Compact nela Costituzione. In questo modo, qualsiasi tentativo di ridemocratizzare la guida dell'economia di un paese, diventa un attacco alla Costituzione.

Le loro ricette non hanno portato nessun risultato per le classi povere italiane, europee e mondiali, tanto che ci dibattiamo con più guerre, più esodi e maggiore povertà (e anche fame nel mondo come confermano gli ultimi dati di pochi mesi fa).

Questo modello economico quindi non fa bene al mondo, ma certamente sì a una minoranza che, anche da noi,detiene le redini del potere. Visto dal basso, tutti quelli che ci hanno messo la faccia in nome della governabilità oggi scontano un deficit elevato di credibilità. Gli italiani non li vogliono più vedere.

Con l'abbandono del vecchio PCI delle tematiche di sinistra per diventare "democratico" e governativo, pian piano si è aperto a sinistra un terreno di conquista che nessun movimento o partitino sinistrorso è riuscito a cogliere. Ultimo il caso di LEU, ma era stato lo stesso con il tentativo di Rifondazione, guidato da "Cachemire" Bertinotti. Le condizioni materiali di vita non sono migliorate, malgrado le tante dichiarazioni governative, ecco per cui i voti si sono spostati. La percezione crescente che i vecchi partiti non si interessassero più a loro è andata crescendo, anche grazie a efficaci campagne mediatiche che hanno diretto le paure crescenti verso obiettivi (sbagliati) ma facili da identificare tipo gli immigrati.

I governativi oramai vivevano come Antonio Albanese nel "Gatto sulla Tangenziale", parlavano dei poveri, degli "altri" ma non li frequentavano più, non li conoscevano più. Hanno sostituito la vita reale con i numeri, dimenticando una vecchia definizione della Statistica che avevao sentito molti anni fa in Cile: La statistica è come una persona in costume da bagno; sembra che mostri tutto e invece nasconde l'essenziale. E così è stato. Leggendo lo stato di salute degli italiani attraverso i numeri hanno perso di vista i cittadini veri, italiani e non. Non sono riusciti a ricreare una credibilità che, al contrario, andavano perdendo ogni giorno di più e non per colpa di Grillo, ma per loro stessa natura. 

Avevano il governo, con politiche di centro-destra, ma avevano perso i cittadini. La percezione attuale è questa. Mattarella gioca per quella squadra, difende quei valori e quelle istituzioni che hanno portato la crisi in casa e non la fanno uscire. Ma le istituzioni possono cambiare, essendo l'espressione della volontà popolare.

Gli italiani hanno votato per un cambio epocale, ma cosa fa Mattarella? Fa il presidente della maggioranza precedente, quella uscita distrutta dalle elezioni, cioè il Mitterand che ha perso contro Chirac e che si accinge a una coabitazione forzosa. Apre uno schema nuovo, in cui il presidente della repubblica diventa un attore politico a tutti gli effetti. Il rischio che questa interpretazione del ruolo presidenziale vada oltre lo spirito della Costituzione esiste e darà molto filo da torcere ai costituzionalisti negli anni a venire. Nell'immediato conta la percezione dei votanti che possono considerare che sia andato oltre il suo ruolo e che quindi non rapresenti più gli interessi generali ma solamente gli interessi di parte, della finanza e delle banche. 

Proporre poi Cottarelli è stata la ciliegina sulla torta. Non mi interessano le dichiarazioni precedenti di Di Maio o chi per lui, (tanto io non li voto, per essere chiari), mi interessa la carriera di Cottarelli, il suo profilo FMI presente nel suo DNA. 

Il Fondo Monetario Internazionale, per chi avesse poca memoria, è l'istituzione che ha portato avanti (in nome di interessi bancario-finanziari) quei programmi di aggiustamento strutturale (PAS) che hanno distrutto gran parte dei sistemi educativi e sanitari africani, e che hanno ridotto quei paesi a brandelli (Catherine Coquery-Vidrovitch, Petite histoire de l'Afrique, 2016). I suoi diktat ideologici sono alla base di chi governa la BCE e la Commissione. In Argentina in questi giorni ci sono migliaia di manifestantiin piazza contro il ritorno del FMI nelloro paese, richiesto dal Presidente neoliberale Maxcrì. L'FMI è stato il resposnabile del default argentino del 2000. Da noi ha avuto pesantissime responsabilità, assieme alla Merkel, nella crisi greca, giusto per capirci.

Proporre un uomo che venga da lì voleva dire metterci la firma sul colpo del secolo. Non importa cosa gli italiani votino, tanto poi devono comandare loro, i banchieri, la finanza e la troika. 

Adesso andremo a nuove elezioni e gli scenari, ovviamente, saranno ancora peggiori. Di questo, sia chiaro, dovremo dire grazie a Renzi (per la legge elettorale) e Mattarella per non aver voluto lasciar governare i due compari. Ieri sulla 7, il filosofo Cacciari ha grosso espresso queste stesse idee: bisognava lasciarli governare e, come abbiamo visto col giro d'Italia, accorciato per la protesta dei ciclisti sulle buche delel strade di Roma, gli italiani avrebbero visto il poco che sanno fare e i loro consensi sarebbero scesi in un baleno. Mattarella ha scelto di non farlo e questo è stato un erorre madornale (Cacciari dixit).

Sembra poco probabile che in poche settimane si possa metter mano alla legge elettorale, anche perchè il premio di maggioranza dovrebbe essere dato o a un partito (cosa che interessa il 5S) o a una coalizione (cosa che interessava il blocco di destra, adesso nemmeno quello è più sicuro). Giocando da solo Salvini sicuramente aumenterà i suoi voti, ma probabilmente non abbastanza per passare i grillini. Quindi Salvini non ha interesse a toccare la legge in favore del premio al primo partito. Non fidandosi di Berlusconi, non è sicuro che sia possibile andare dall'altra parte. E comunque, i voti per cambiare la legge ce l'avrebbero solo se votassero assieme, il che sembra escluso in partenza.

Quindi si voterà con la stessa legge e, stante l'afasia totale del PD, che continuerà la sua giusta discesa agli inferi, i voti se li spartiranno ancora loro. Di conseguenza possiamo ritrovarci ai primi di ottobre, quando bisognerà presentare il DEF alla Commissione, con gli stessi problemi di oggi. Mettiamo che i due compari tornino alla carica con la stessa proposta (e con più voti): cosa farà Mattarella? Varie opzioni.

1. La prima, la meno scontata, è che Mattarella si dimetta. Questo spariglierebbe totalmente le carte ma non glielo lasceranno fare.

2. Stesso governo, stessi nomi e quindi Mattarella obbligato a dire nuovamente di no. A quel punto tutto potrà succedere, in particolare la decisione di mettere in stato d'accusa il presidente. Con una maggioranza più forte, questa potrebbe iniziare il suo cammino mentre l'Italia, con un governo senza maggioranza non potrebbe far approvare nessuna legge. Sarebbe probabilmente il caos vero.

3. Stesso governo ma, per una qualche ragione, cambiano il nome di Savona, e allora Mattarella firma e si parte con i due compari alla guida e con la figuraccia che avranno fatto loro di intestardirsi su quel nome in questi giorni. 


In politica tutto è possibile, per cui anche la terza opzione ha delle chances; ma se dovessi scommettere, direi che la seconda è più probabile.

lunedì 28 maggio 2018

2018 L26: Catherine Coquery-Vidrovitch - Petite histoire de l'Afrique



La Découverte, 2016

L'Afrique subsaharienne est le berceau de l'humanité, et son histoire la plus vieille du monde. Ce petit livre, qui se destine à un public curieux mais non spécialiste, se nourrit d'un demi-siècle de travaux fondamentaux portant sur la question. Non seulement il fait le point sur une histoire au moins aussi variée et passionnante que les autres, mais il s'attache à déconstruire un à un les grands clichés qui continuent de nourrir les imaginaires occidentaux ; ceux qui font de l'Afrique un continent subalterne, à part, irrémédiablement à la traîne. Or l'Afrique, depuis toujours, influe sur le reste du monde ; elle lui a fourni main-d'oeuvre, or et matières premières, qui ont joué un rôle essentiel, aujourd'hui encore méconnu, dans la mondialisation économique. Elle a développé, au fil des siècles, un savoir parfaitement adapté à ses conditions environnementales, savoir qui fut taillé en pièces par l'extrême brutalité de la colonisation, pourtant si brève au regard de l'histoire longue. Mais, si on lui a beaucoup pris, l'Afrique a aussi donné, avec une formidable vitalité. Cet ouvrage n'a pas pour objet de raconter l'histoire africaine dans le détail, mais il en dégage les étapes cruciales, en mettant en avant, pour chacune d'elles, quelques idées fondamentales et souvent neuves. L'objectif de ce livre est aussi, et surtout, d'aider à comprendre le présent et à en dégager des perspectives d'action pour l'avenir.

Un piccolo riassunto sempre utile per capire questo grande continente

Caos italiano: ci mancava solo il Fondo Monetario Internazionale



Partiamo dall'inizio e cioè dalla legge elettorale voluta a tutta forza da Renzi (https://www.ilfattoquotidiano.it/2017/10/25/rosatellum-lobbrobrio-nato-per-premiare-i-fedelissimi-di-renzi/3934047/). Era chiaro a tutti fin da ottobre dell'anno scorso che quella legge avrebbe prodotto, nel migliore dei casi, tre blocchi più o meno equivalenti, tutti schierati su posizioni antagoniste uno all'altro per cui l'ingovernabilità sarebbe stata ovvia. Mattarella ha controfirmato quella legge, sapendo in anticipo quali sarebbero stati gli esiti e cioè il casino delle negoziazioni vere o fasulle iniziate l'indomani del 4 marzo.

Le elezioni sono andate peggio del previsto per Renzi e i resti del PD. Hanno vinto in due, centrodestra e pentastellati, ma senza maggioranza relativa. A partire dal momento che Renzi ha deciso, da segretario dimissionario, che il "suo" partito non doveva partecipare a nessun possibile governo, restava sul tavolo o un tentativo di dialogo fra 5stelle e Lega oppure tornare a elezioni subito con la stessa legge.

I programmi dei due partiti avevano molte divergenze e molte inamicizie personali. Detto questo, le loro tesi erano conosciute fin dalla campagna e ognuno aveva potuto farsi un'idea di quanto realiste fossero. Fatta la tara delle solite promesse elettorali che nessun partito ha mai mantenuto dopo, resta il fatto che la maggioranza degli italiani, piaccia o meno, ha votato per loro. 

A partire dal momento in cui DiMaio e Salvini decidono di sedersi e discutere/negoziare un "contratto", era chiaro a tutti, in primis Mattarella, che questo si faceva fra due forze politicamente antagoniste e che non si fidavano l'una dell'altra. I punti comuni ai due era un certo scetticismo nei confronti di questa Unione Europea e la voglia di rimettere mano ai fondamenti della stessa. Fare politica vuol dire dialogare e negoziare, partendo dalle proprie posizioni, per arrivare poi a qualcosa che sia considerato accettabile. Oggigiorno in Europa moltissimi governi hanno, per ragioni diverse, come punto importante delle loro agende, quello di rivedere la governance europea. Visti la situazione italiana, col debito che aumenta ogni anno, con gli ospedali messi ogni anno peggio, la scuola che non funziona, il lavoro che si precarizza e tutto il resto, non dovrebbe stupire che, oltre a voler cacciar via la casta italiana, una parte del risentimento popolare si diriga verso l'Unione Europea e, dietro di loro, i veri padroni del mercato: banche e istituzioni finanziarie.

Quando due partiti che vogliono mettere mano al fondamentalismo ideologico neoliberale dell'Unione Europea (formalmente imposto dai tedeschi) e vincono le elezioni, ovviamente che si apre un problema di fondo. Da un lato chi, come i politici della maggioranza precedente (di cui Mattarella è l'espressione) vuole a tutti i costi mantenere quella fede nei suoi fondamentali, e dall'altro quelli che, avendo vinto le elezioni, vogliono fare un governo che metta sul tappeto anche questi temi.

Piaccia o non piaccia, la posizione assunta da Mattarella è percepita da molti italiani come quelladi un rappresetnante politico di una maggioranza che non esiste più nel paese. Le pressioni esistono dal basso, Salvini-Di Maio, così come dall'alto, cioè da quel mondo finanziario e bancario che, ricordiamocelo, è quello che ci ha portato alla crisi attuale. 

Non mi pare quindi uno scandalo che questa "strana" maggioranza abbia chiesto che, in nome del voto del 4 marzo, il governo rappresentasse in toto quell'equilibrio negoziato a lungo fra di loro. Entrare a spagliare quel gioco, anche a nome del sacrosanto principio che il Presidente nomina i ministri, voleva dire mandare per aria tutti gli sforzi fatti per cercare di dare un governo in una situazione creata, di fatto, dalla legge di Renzi. 

Il caso montato sul professor Savona, e la scelta di indicare un uomo del Fondo Monetario per formare un governo "neutro" che verosimilmente non avrà la fiducia del parlamento, è sintomatico di quel conflitto sotto traccia tra gli ordini calati dall'alto da una banda di neoliberali fondamentalisti e il ras-le-bol che monta dal basso. Un ras-le-bol che, come succede in questi casi, non è pendsato, riflettuto o del tutto razionale, ma è di pancia. Detto questo, resta il sentimento che hanno gli italiani in questo momento e, piaccia o meno, con questo si dovrà fare i conti.

Il buon D'Alema, che magari non ne azzecca una, diceva l'altro ieri a Grasso in un fuori onda mostrato dalla 7 ieri sera: se Mattarella rimanda a casa Conte questi faranno l'80% alle prossime elezioni. Ecco, magari non faranno così tanto, dato che Berlusconi non sa da che parte andare, ma è verosimile pensare che tanto i 5 stelle che la Lega aumenteranno i loro voti, rafforzando ancor di più la loro maggioranza parlamentare. Rischiamo quindi di ritrovarci nella stessa situazione (tanto la legge sarà ancora questa) e quindi che si riproponga il dilemma: decidono gli italiani cosa vogliono fare, attraverso i parlamentari che eleggono, oppure decide una casta superiore, illuminata, che pensa, col sostegno dellacricca finanziario-bancaria, cosa sia meglio per gli italiani?


Mattarella parla molto di fiducia. Parola corretta, ma allora avrebbe dovuto ammettere, e con lui gran parte di quelli che ci hanno governato negli ultimi anni e decenni, che sono loro ad avercela fatta perdere. Pensare di darla sempre vinta ai mercati, abbassare sempre il capo di fronte ai diktat di Washington, Bruxelles o New York, non è più una ricetta accettata dalla maggioranza degli italiani.  Indicare poi un alto dirigente del Fondo Monetario come presidente incaricato indica chiaramente da che parte sta Mattarella: non dalla parte degli italiani ma dalla parte dei mercati e delle lobby finanziarie neoliberali. Che poi Scalfari proponga Draghi come futuro leader del rinnovato PD (La Repubblica di domencia scorsa), la dice ancor più lunga sul cammino intrapreso dai borghesi "progressisti" in questo paese. 

domenica 27 maggio 2018

2018 L25: Maria Antonietta Calabrò - Giuseppe Fioroni - Moro Il caso non è chiuso La verità non detta

Lindau, 2018

Tutto quello che la gente sa sul caso Moro si basa su una «verità accettabile».

La ricostruzione dei fatti sulla strage efferata della sua scorta in via Fani, la lunga prigionia dello statista democristiano e la sua sconvolgente morte, è frutto di un compromesso volto a formulare una «verità» sia per gli apparati dello Stato italiano, sia per gli stessi brigatisti.
Tutto questo provocò un processo di rielaborazione, molto tortuoso ed ex post (durato oltre dieci anni, da quel tragico 1978 al 1990), su che cosa era veramente accaduto durante l’«Operazione Fritz», il nome in codice dell’«operazione Moro».

E ancora oggi, a ben guardare, noi non sappiamo tutta la verità sulla morte di Aldo Moro.


Le verità emerse dalla nuova Commissione d’inchiesta Moro 2 sono sconcertanti.
Quattro anni di lavoro, migliaia di documenti desecretati degli archivi dei servizi segreti italiani, centinaia di nuove testimonianze, nuove prove della Polizia scientifica e dei RIS dei Carabinieri hanno rivelato molti nuovi e sorprendenti elementi
Nel quarantennale del rapimento e uccisione di Aldo Moro, un libro che consiglio a tutti di leggere per rendersi conto che siamo ancora lontani da una vera verità su quanto successe in quel periodo.
Candidato alla Top

2018 L24: Peter May - Le Quatrième Sacrifice



Actes Sud, 2008

En l'espace de quatre semaines, quatre corps sont découverts à Pékin. Les trois premières victimes ont été droguées et attachées. Puis une main experte les a décapitées. Autour de leur cou, une mystérieuse pancarte portant un chiffre et un nom. La quatrième a été exécutée de la même façon, mais cette fois il s'agissait d'un diplomate américain.

Or personne ne sait pourquoi Yuan Tao est revenu en Chine après avoir vécu si longtemps aux États-Unis, pourquoi il a accepté un emploi subalterne à l'ambassade américaine, pourquoi il loue un deuxième appartement dans un quartier pauvre de Pékin, ni pourquoi il a trouvé la même mort étrange que trois Chinois apparemment sans liens...

Appassionante. Altro autore di gialli "cinesi" che consiglio vivamente. Merci Loic per il consiglio.
Candidato alla Top

venerdì 18 maggio 2018

A questão fundiária em Angola: tarefa do governo ou compromisso de todos?

A questão fundiária em Angola:
tarefa do governo ou compromisso de todos?(1)

Dr. Paolo Groppo, 
Serviço da Posse de Terra
Direcção do Desenvolvimento Rural da FAO
Responsável pela componente terra do programa FAO Governo da Angola

1. Evolução histórica: o espaço construído pelos actores e o espaço determinado pelo Estado

Antigamente, a representação dominante do espaço era una construção interna, realizada pelos actores em função das suas necessidades. Si os Romanos privilegiavam as noções  de limites (limes) e de superfície, outros actores, como no caso das sociedades pre-coloniais africanas, construíam o espaço em função de uma relação de complementaridade entre tipo de recurso natural e seus niveles de apropriação, entre direitos individuais e colectivos: o seja geralmente  o mesmo espaço podia ser representado em maneira distinta, dependendo da necessidade do actor, de seu nível de controle sobre os recursos naturais e de seu nível de inserção social. Os espaços não eram construídos em função de fragmentar e constituir fronteiras (divisões do espaço)(2). A estas visões, autoreferenciadas, faltava uma capacidade de abstracção que permitira validar estas informações e dar uma continuidade objectiva aos distintos pontos do espaço.

Com a chegada dos navegadores e geógrafos europeus a construção do espaço muda radicalmente devido a transposição da leitura do espaço a partir das estrelas (uma externalidade independente dos referencias terrestres). As consequências desta passagem foram por um lado a importância privilegiada do elemento externo na construção dos novos mapas “modernos” e, consequentemente a menor relevância dos elementos de construção interna (as visões dos actores) e a importância nova que assumia a tecnologia e o conhecimento na construção e representação do espaço: os detentores destas habilidades eram essencialmente representantes do Estado, que passa, de esta forma, a ser o detentor absoluto do direito de representar (e construir) o espaço. 

No caso das colónias portuguesas, a primeira lei estabelecendo de forma categórica a primazia do Estado sobre as terras data da metade do século passado, 1856, onde se opera uma distinção entre as terras baldias e as terras do Estado. As primeiras podem ser vendidas, as segundas não. Nesse período (entre os países coloniais) domina o principio exclusivista: são terras do Estado todas aquelas que não tem sido adquiridas (e representadas nos mapas, com seus limites) como previsto pelas leis do país colonial, ao momento de aprovar a lei.

2. O caminho lento do reconhecimento dos direitos costumeiros: a época colonial

No final do século passado começa se dar de forma mais sistemática uma elaboração de textos próprios aos territórios de ultramar, tanto nas colónias portuguesas como nas outras colónias na África.

E´  assim como nos primeiros anos 1900, ao lado das terras que já tinham entrado definitivamente no regimen de propriedade privada o de domínio publico, começa a aparecer uma terceira categoria, conhecida em português como os terrenos “vagos”. 

No contexto das colónias francesas, as terras “vagas” som aquelas terras dos indígenas (que também aparecem como categoria na lei portuguesa de 1901 para as terras de ultramar). A ideia sendo que estas terras, detidas pelas colectividades indígenas, no podem ser cedidas a particulares sim autorização previa dos oficiais do Estado(3).

Na pratica significa conceder um direito limitado, tanto no plano político como jurídico, as comunidades que aí vivem. Este articulo foi bastante contestado e finalmente na metade dos anos 30 o principio foi modificado, indicando que estas terras deveram ter sido inexploradas o sim ocupação durante pelo menos 10 anos. O que, de facto, deixa uma grande parte das terras, ocupadas, exploradas/geridas pelas comunidades e indivíduos, fora das categorias existentes.

O sentido pratico deste cambio foi de abrir a discussão (central na problemática fundiária angolana de hoje) sobre: (i) que tipo de reconhecimento para os detentores de direitos tradicionais sobre as terras, sejam indivíduos, colectivos o comunidades e (ii) que tipo de relacionamento possa existir entre formas tanto distintas de direito. 

O principio das terras para uso exclusivo das povoações indígenas (o que no significa que sejam terras reconhecida como pertencentes aos indígenas) aparece pela primeira vez nas colónias portuguesas a partir dos anos vinte. Nos anos seguintes não registram-se muitas modificações e somente no 1955, no pleno do período da descolonização e construção dos Estados independentes que aparece, na elaboração jurídica francesa a confirmação dos direitos tradicionais exercidos individualmente o colectivamente sobre as terras não apropriadas em função das regras do código civil o do regimen de imatriculação. Estos princípios no foram muito aplicados, sobre todo porque os novos governos independentes rejeitaram a ideia de limitar de qualquer forma os direitos fundiários dos futuros Estados. A esto aspecto temos que acrescentar as visões ideológicas dominantes na época que consideravam as comunidades “tradicionais” como uma herança do passado que necessitada ser ultrapassada para criar dinâmicas de desenvolvimento.

No caso de Angola, o final dos anos 50 e começo dos 60 representarão um momento de cambio importante, essencialmente devido as criticas das Nações Unidas em matéria de trabalho forçado utilizado nas colónias, e sobre a discriminação racial tal como expressada no Estatuto dos Indígenas. Também é de sinalar que é neste período que começa a luta de liberação nacional, feito que no es estrangeiro aos câmbios legislativos realizados por Portugal no que diz respeito ao tema terra.

E´ neste contexto que em 1961 elimina-se o Estatuto do Indígena e manifesta-se abertamente a preocupação entorno aos conflitos entre os colonos/fazendeiros portugueses e as povoações colonizadas, com a ideia de legitimar a ocupação das terras realizadas pelos colonos/fazendeiros, contando fomentar novas formas de agricultura moderna. A solução jurídica foi buscada dentro da experiência que Portugal tinha na sua própria historia, tipo as sesmarias. Como diz Guerra Moreira, se tratava de um conceito que havia sido largamente preparado pela experiência colonial e que radicada nos conceitos indefinidos tipo as terras baldias, as incultas, as terras não-exploradas, sendo o denominador comum a ideia de uma cosa não completamente apropriada por ninguém, inclusive o Estado, cosa disponível que pêro no era “res nullius”. O autor propõe uma interessante similitude entre este conceito e o poder eminente que os monarcas africanos e demais autoridades tradicionais detinham na época antes da colónia em relação aos terrenos considerados como parte integrante de seu território e sobre os quais incidia um poder de superintendência fundiária no uso comunitário e/o individual de estas terras em função dos hábitos e tradições locais.

São estos os mesmos  poderes que as autoridades tradicionais angolanas continuaram a exercer de facto durante a época colonial, mesmo quando, “de jure”, este poder estivera formalmente nas mãos do Estado colonial.

3. A posse da terra depois da independência

A saída dos portugueses ao momento da Independência, permitiu aos camponeses, pequenos produtores e comunidades de retomar a terra que havia sido apropriada pelo poder colonial. A aparente abundância de terra, o lento arranque de um processo de desenvolvimento rural, fizeram que no aparecesses maiores conflitos pela terra. Nestas condições, a ausência de uma apropriada legislação agraria não apareceu como algo muito importante na agenda do novo governo nos primeiros anos após a Independência(4). Mesmo a Constituição de 1975, quem define no articulo 11 todos os recursos naturais como propriedade do Estado, não dizia nada especifico sob a terra. De facto, a dicotomia cultural - jurídica introduzida a traves do sistema colonial, se mantinhas intacta ate o final da década dos anos 80.

As transformações económicas empreendidas a final daquela década e no começo dos anos 90, provocaram um cambio importante da situação geral, mesmo quando os dilemas de fundo (que tipo de direito tradicional e que relações entre direitos positivos e direitos tradicionais) no foram tocados. A privatização das companhias estatais criadas depois da independência levaram a uma confusa corrida pela terra, sobre todo nas áreas de maior estabilidade, perto dos centros urbanos e nas províncias menos afectadas pela guerra. Como diz Hodges(5), este fenómeno favoreceu a emergência de um grupo de famílias bem conectadas com a elite político-militar, a costa dos pequenos produtores quem estiveram ocupando e lavrando as terras daquelas fazendas, sem nenhum titulo, desde meado dos anos 80. 

Neste contexto se elabora a nova constituição (1992) que sanciona a passagem a  segunda republica, um Estado de direito, baseado na coexistência entre propriedade publica, privada e cooperativa, preservando os poderes do Estado, tanto na direcção da economia, como na confirmação da propriedade estatal da terra e demais recursos naturais. Pouco antes da aprovação da nova constituição foi aprovada a Lei  21 C-92 (testemunha da crescente importância que o tema começa a assumir) sobre a conceição de titularidade de uso e aproveitamento da terra, que passo a ser impropriamente chamada de "lei de terra".

Esta lei, sus limitações e potencialidades, tem que ser analisada dentro do contexto histórico daquele período. No pais e no governo a maioria dos actores políticos partia da consideração de dispor de uma grande disponibilidade de terra, subtilizada, com um subsolo muito rico. Para um governo de reconciliação nacional que procurava recursos para financiar o desenvolvimento era fundamental manter baixo seu controle estos recursos naturais. Também temos que reconhecer que existia pouca o nula experiência em matéria de elaboração jurídica própria, sim muitas comparações possíveis na sub-região o com outros países similares (por exemplo aqueles da comunidade lusofona) e, finalmente, que neste como em outros países da região, dominava uma visão centralizada da economia, onde a participação dos actores, das comunidades, todavia no era considerada nem pelo governo nem pela comunidade internacional como una  necessidade. 

O resultado foi una lei que obviamente tinha muitas debilidade, a partir da pouca clareza jurídica sobre o tipo de regimen que o Estado exerceria sobre a terra(6). Sendo o Estado o "proprietário originário" da terra (Lei constitucional de 1992) no se aclara si se trata de domínio publico, domínio privado o de domínio eminente. Tampouco se encontra uma solução aos terrenos vagos, cuia terminologia desaparece na nova lei para ser substituída pela do Fundo Nacional de terras.

Não vamos entrar aqui em uma discussão jurídica da lei, cuias limitações tem sido muito bem identificadas por vários autores (Tanner, 1996, Pacheco, 2001). Ademais que a refulgência da violência fiz que, uma vez mais, o assunto da terra, ao igual que muitos outros, passo a perder de prioridade. Como resultado, o regulamento aplicativo da lei, aprovado depois da lei, nunca foi conhecido, como tampouco foi conhecida a própria lei. Situação que se arrasta até hoje.

O outro aspecto que deve ser considerado refere-se a evolução histórica do papel dos lideres tradicionais relativamente a: acesso, uso, gestão, ordenamento e representação do espaço. O processo de de-legitimização que vinha desde a época colonial, continuo depois da independência, consequência de uma visão modernista e centralizadora onde o Estado e as novas técnicas eram os depositários das informações necessárias para “desenvolver” o pais. Esto era já evidente no que diz respeito a construção do espaço, a traves dos mapas “modernos”, pêro também no que se refere ao uso e gestão do espaço, onde as modernas técnicas agronómicas deviam permitir uma qualidade da informação muito melhor comparada com os conhecimentos que as autoridades “tradicionais” tinham sobre estos lugares.

A progressiva imposição de um marco legal, no que se refere a terra,  estrangeiro a historia agraria do continente africano, encontro seu limite na incompleta realização do Estado-Nação, construção institucional importada da experiência do mundo ocidental sim muita possibilidade de reflectir sobre sua necessidade e adaptação nas distintas e diversificadas realidades africanas. Estos novos Estados nunca conseguirão impor a sua instituições de forma completa, particularmente no campo. O resultado destas dos tendências (de-legitimização por um lado e incapacidade de substituição pelo outro lado) foi um aumento da incerteza no referente aos direitos fundiários que, em alguns casos, mascarou-se por outras preocupações mais urgentes (guerra, conflito interno).   

Em Angola, a década do 90 apresenta de forma alias mais evidente esta dicotomia: legalidade (entendida como conjunto de regras emitidas pelo Estado) versus uma legitimidade (entendida como aceitação social de umas regras) em perdida de velocidade. O choque entre estas dois "culturas" empeça a produzir-se a partir do momento quando a guerra baixa de intensidade, e entramos em una situação como a actual: alta violência pêro no guerra aberta. Nessas condições, a apropriação (e particularmente a regularização) dos recursos naturais, nas zonas estratégicas, passa a ser una preocupação mais evidente por parte dos actores com mais poder em função de uma expectativa de paz futura.

Pacheco tem razão quando diz "até unos deis anos atras, os conflitos conhecidos sobre a terra eram raros [e que] hoje a situação é bastante distinta" (Pacheco 2001:10). A razão, desde nosso ponto de vista, tem que ver com a nova situação que apareceu a medida que a intensidade do conflito ia reduzindo. Por um lado, graças as labores de muitas organizações não governamentais, nacionais e internacionais, a compreensão por parte dos actores locais (camponeses, fazendeiros, comunidades) de sus próprios direitos vá progressivamente melhorando. Por outro lado, o problema de atrair capitais externos para financiar o desenvolvimento agrário do país volta a ser uma prioridade para o governo. 

Finalmente, a reduzida capacidade institucional mostra de forma muito evidente que, aumentando o numero de conflitos pela terra no país (essencialmente do tipo: comunidades versus actores externos, em vários casos vinculados a elite dominante), não existe uma capacidade de dar resposta satisfatórias a estas interrogantes o que leva, no corto prazo, a um corto circuito institucional - financeiro que podemos resumir na forma seguinte: 

(i) por um lado os actores dominantes tem assegurado o controle físico de uma parte das terras mas interessantes (nas zonas rurais e periurbanas); sus necessidades passam progressivamente a ser a regularização e legalização destas situações, para poder ter acesso a financiamentos internacionais dirigidos a promover formas de agricultura mais modernas e produtivas que seriam dirigidas, en primis, em direcção dessas mesmas áreas, (por ser as melhores tanto desde o ponto de vista agronómico, como de localização frente aos mercados). (necessidade de abrir o dialogo)

(ii) pelo outro lado, a necessidade de assentar uma quantidade crescente de deslocados, os conflitos que surgem com as comunidades, o pouco conhecimento da lei por parte dos próprios funcionários na capital e nas províncias, a ausência de instituições capazes de garantir os direitos "legais" faz que a medida que se abre a discussão sobre o tema "terra" o nível de incerteza aumenta em lugar de se reduzir (devido a complexidade natural desse tema) o que levanta a interrogante, ao nível político, se seja prudente ir pela frente com este tema.  (oportunidade de fechar o dialogo)

4. A situação actual: inseguridade e conflitos

E´  bastante conhecido por parte de todos os actores interessados, que até pouco tempo atrás, meado de 1999, se pensava que ao nível do governo no havia interesse em reabrir a discussão sobre a questão fundiária. Os feitos tem demostrado o contrario e mesmo que reduzidos, uma serie de acções foram realizadas, envolvendo de forma participativa órgãos do Estado, organizações não governamentais, agencias internacionais e doadores.

Também é conhecido que não só esta aumentando a massa critica de acções sino que estão aparecendo uma serie de outros actores, de outras instituições, que manifestam um interesse evidente a entrar no debate (caso do grupo inter-ministerial lidado pelo Ministério das Obras públicas, preocupado com as terras urbanas).

Finalmente, nesse mesmo período, devido ao ressurgir da violência, se ha registrado um novo aumento dos deslocados internos, o que, uma vez mais, podaria aumentar as variáveis a ser consideradas dentro da equação fundiária.

A primeira conclusão que podemos tirar do que estamos observando neste período refere-se a necessidade de dar um direccionamento claro ao tema, de forma a não perder de vista os objectivos de fundo e quais sejam os actores a ser envolvidos. Ao não tomar um rumo bem definido, o risco que as pequenas e reduzidas acções actuais não conseguem pegar é muito alto, perdendo, de facto, uma boa oportunidade desde o ponto de vista histórico.

A segunda conclusão tem, uma vez definido o rumo da discussão, qual sejam as prioridades em termos de acção e de métodos de trabalho.

Por ultimo, precisamos entender os mecanismos necessários para empreender esta navegação e qual seriam os navegantes que deveriam participar nesta viagem.

4.1. A estrela polar da questão fundiária

Já temos definido anteriormente qual som as tendências históricas entorno deste tema. Delegitimização das autoridades tradicionais, incapacidade de substituição completa por parte das instituições estatais, com uma interrogante que se arrasta desde os anos 50: qual tipo de direito tradicional esta disposto a reconhecer o Estado as povoações indígenas e como fazer coexistir estas distintas formas jurídicas. 

Podaríamos acrescentar que si durante toda uma época, influenciados pelas teorias de Hardin sobre a tragédia dos comunais(7), a posição dominante foi a de reforçar o processo de deligitimizacao das autoridades costumeiras, vários autores(8) nos últimos anos tem reafirmado o papel central das comunidades locais em todas as acções que, globalmente, podaríamos chamar de “land management” (acesso, uso, gestão, ordenamento e representação territorial).

Experiências recentes, no Moçambique, estão confirmando a importância de reconhecer estos actores como parte central da nova definição do Estado. Ademais, estos actores hoje estão dispostos em assumir um papel mais relevante. Hoje não se trata somente de discutir sobre os direitos que o Estado estaria disposto a reconhecer, sino também dos direitos que eles revendicam, para passar a ser sujeitos activos e no passivos da sociedade angolana.

Simplificando um pouco a equação fundiária, podaríamos dizer que se trata de conjugar os problemas de:

 Acesso + regularização + uso/gestão

Cada uma destas variáveis tem uma serie de componentes e de actores com visões distintas pêro, com certeza, para cada um dele, seja actor governamental o não, trata-se de um continuum que não pode ser separado facilmente.

O problema do acesso aos recursos coloca o problema inicial da representação do espaço que os distintos actores tem. Assim que não se trata simplesmente de um acesso a terra, porque existem terras e terras, com outros recursos sobre e sob a terra, e para tempos diversos, com finalidades diversas dependendo do actor e de seu relacionamento a sociedade o grupo. Varias som as modalidades possíveis, via o Estado, o mercado, etc.; a escolha entre eles não são necessariamente alternativas e a solução deve ser, evidentemente, parte de um processo de discussão, aberta, envolvendo os actores interessados, devido a que não existem receitas boas em absoluto(9).

No caso angolano, os mecanismos normalmente utilizados sons: herança; oferta; empréstimo; promessas (na sua maioria orais); arranjos de partilhas; compras; invasão(10). Como os conjuntos familiares usam diferentes tipos de terrenos, é comum que exista uma combinação de mecanismos de acesso as terras em vez de um em particular. Isto é verdadeiro especialmente para aquelas famílias que não são considerados como genuínos “donos da terra”. O acesso as terras é negociada directamente com os donos da terra, e uma vez que a transferencia seja concordada as instituições de gestão da comunidade são informadas. Em principio todas as pessoas que pertencem a comunidade (incluindo os residentes estrangeiros), tem acesso aos terrenos de cultivos, florestas, terras para colheitas e caça.

Uma serie de arranjos directos e indirectos de posse de terra tem se observado, principalmente determinados por (i) tipo de terreno e (ii) tipo de relação com os donos de terra. Os terrenos residenciais, terreno de cultivo tanto lavras como nacas são consideradas como propriedade privada do conjunto familiar, pelo menos quando o chefe da família é considerado um “dono de terra”. Terras de pasto e as florestas conhecem um regime de posse na base comunal com a comunidade como seu “dono”, e com regras para seu uso. O mesmo acontece para os recursos hídricos como valas, rios e outros.

A questão da regularização(11) também envolve varias dimensões: (i) uma mais estritamente legal - a lei de terra - e que tipo de direitos devem ser reconhecidos, protegidos, para quem e para quanto tempo; (ii) uma dimensão cadastral (que representação física do espaço, quem deve fazer e deter os produtos destas representação, e para que fins); (iii) uma dimensão de registro dos direitos e (iv) uma dimensão judicial (que mecanismos e recursos humanos serão necessários para fazer conhecer, respeitar e implementar o conteúdo das leis anteriores).

Finalmente, a questão do uso/gestão levanta contemporaneamente: (i) o problema dos sistemas produtivos, (ii) a sostenibilidade ecológica e social e (iii) a dimensão institucional.

Como podemos ver, o direccionamento do debate futuro não poderá se limitar a uma preocupação de tipo jurídica com uma nova lei de terra. Ele deverá antes que tudo responder a pergunta antiga: que papel os actores tradicionais serão chamados a jogar no futuro do pais. A partir de este debate será possível empeçar a reflectir sobre como abordar este conjunto de variáveis da questão fundiária.

4.2. As prioridades temáticas

Dois cenários podem ser apresentados: um donde se reconhece o rol indispensável dos actores locais e outro onde o Estado pretende manter um papel único de ordenador do espaço.

No primeiro caso, a fraqueza destes actores comanda um trabalho urgente de fortalecimento delas, paralelamente com o fortalecimento dos actores do Estado encarregados do ordenamento do território e demais componentes da equação fundiária. 

Já foi demostrada a possibilidade de começar a actuar dentro do marco legal existente e assegurar direitos fundiários as comunidades com base na lei de 92(12). Sim embargo, a parte reforçar estas actividades, é  importante começar a realizar estudos sobre as dinâmicas territoriais, as visões, as construções dos espaços por parte das comunidades locais, reconhecendo a grande diversidade de situações existentes no pais. 

Também aparece como chave o ponto do reforço das comunidades, trabalho que deveria ser feito em prioridade por parte daquelas organizações que trabalham perto delas, ONGs particularmente. 

Si o objectivo é de chegar a definir o papel destes actores, e que a resposta seja positiva (primeiro cenário) é básico, ao nível central, elaborar uma plataforma de política fundiária que possa guiar os passos seguintes, desde a revisão da lei, a definição de que tipo de instituição terão que se encarregar de manter as informações (cadastro e registro predial, centralizados o descentralizados, separados o juntos, que papel jogarão as instituições tradicionais no mantimento e actualização das informações...) e o fortalecimento futuro dos órgãos judiciários para prepará-los nas suas funções futuras.

Também existe outro cenário, com o Estado e o governo que quer manter um papel central único no ordenamento do território, desde o ponto de vista jurídico, institucional e produtivo. Parece-me um cenário pouco provável, sim embargo possível. O desempenho histórico ate hoje tem criado bastante preocupações, relativamente tanto a capacidade de fazer funcionar a administração do Estado nas províncias como da incapacidade de entender o papel positivo que as comunidades locais podem exercer, junto com o Estado, no que diz respeito ao ordenamento do território.

4.3. Os mecanismos e os navegantes

Neste nível também é preciso trabalhar com cenários limites muitos distintos: por um lado aquele de tipo participativo, caracterizado pela complementaridade dos órgãos do Estado e da sociedade civil, frente a um outro cenário do Estado actuando como actor único.

Existe um ponto central que é comum aos dos cenários e tem que ver com a fraca articulação institucional existente entre os vários actores do governo, que pretendem mexer com o tema terra. Por isso a criação de um mecanismo de articulação dentro do governo para chegar a complementar os interesses das distintas áreas temática vis-à-vis dos recursos naturais. Sim uma plataforma política por parte do governo, entorno da questão fundiária (ver ponto anterior) a possibilidade de operacionalizar um dialogo com a sociedade civil parece-me bastante complicado.

A partir de aí, as visões podem divergir: no caso do primeiro cenário é fundamental que, perante do esforço de discussão interna por parte dos distintos actores do governo, um trabalho paralelo seja realizado por parte dos demais actores, particularmente aquelas organizações da sociedade civil que pretendem trabalhar junto com as comunidades. Sendo cada dia mais evidente a importância estratégica de assegurar segurança de posse para os distintos actores, as organizações da sociedade civil tem muitas coisas que fazer: terra não é somente uma tarefa do governo, terra é compromisso de todos(13). A elaboração de um marco referencial sobre  a questão fundiária, por parte dos actores locais é somente o primeiro passo. A continuação é necessário começar um trabalho de fortalecimento daquelas organizações para elas poder assumir, no futuro, aquelas tarefas complementarias da acção do Estado. 

A realidade da fraqueza institucional do Estado comanda a assunção de um papel mais responsável por parte daquelas outras organizações, em um espirito de cooperação, que pode ser abertamente critica, pêro de cooperação.

5. Conclusões

A complexidade da questão fundiária, como aparece deste rápido excursus histórico, é assim grande (no caso angolano como na maioria dos países africanos) que claramente não pode ser resolvida por parte de um actor somente, nomeadamente o Estado, sem a participação activa dos demais parceiros, comunidades, fazendeiros, organizações da sociedade civil, Igreja, doadores e comunidade financeira internacional.

Existem problemas que arrastam desde a época colonial que na verdade nunca foram realmente profundados na época da Independência, como é o caso da combinação dos direitos e instituições tradicionais e sua legitimidade frente a o Estado-nação. 

As condições estão dadas, a nosso parecer, para que se aproveita da abertura do governo e de seu pedido a comunidade internacional, para começar a estudar o tema nas suas vertentes temáticas e com mecanismos adequados para que a multiplicidade de temas e de actores, não produza um dialogo confuso e, por ende, pouco produtivo.

Temos analisados rapidamente as dimensões, os temas e os possíveis mecanismos para articular este dialogo, demonstrando, a través da actuação dos últimos dois anos, a factibilidade deste processo. Muitas coisas, sim duvida a maioria, ainda está a ser feita, pêro hoje existe uma possibilidade que, em um espirito de cooperação, critico, entre os actores nomeados precedentemente, permitiria de dar continuidade a um tema, a segurança da posse de terra que tem uma abrangência muito maior, que tem que ver com um processo de democratização das instituições e onde aqueles actores que ate hoje tiverem um espaço limitado para levantar seus direitos, sejam no futuro parte activa deste processo.

Para estas razões é fundamental dar continuidade ao processo, fortalecê-lo em recursos humanos e financeiros, fomentar fora de discussão, como já existem, de forma a que dentro de um ano(14), nos encontramos aqui com a possibilidade de ver este garoto caminhando com suas pernas solidas.

Muito obrigado.

Notas de rodapé: 

1. Palestra apresentada na reunião organizada pela Embaixada da Itália, no dia 20 de Julho de 2001, em Luanda. Trata-se de um borrador, que será finalizado nas próximas semanas. Os interessados poderão solicitar copia da versão final ao escritório da FAO-UCPE, no prédio do MINADER.
2. E. Le Roy, La reforme du droit de la terre dans certains pays d’ Afrique francophone, FAO, 1987 3. E. Le Roy, op. cit.
4. Comunicação pessoal do Dr. Norman, Director do Gabinete Jurídico do MINADER 
5. T. Hodges, Angola From Afro-Stalinism to Petro-Diamond Capitalism. FNI, IAI, James Currey, Indiana University Press, 2001
6. Guerra Moreira, borrador (2000); comunicação do Sr. Vice-governador da Província do Bengo, no seminário organizado pelo projecto GCPS/ANG/005/ITA na cidade de Caxito, Bengo, no dia 20 de Julho de 2001.
7. G. Hardin, The tragedy of the commons, 1969
8. J.-Ph. Platteau, Réforme agraire et ajustement structurel en Afrique subsaharienne : controverses et orientation, FAO, 1993 ;  Le Bris E.- Le Roy E. – Mathieu P. L´appropriation de la terre en Afrique noire. Manuel d´analyse, de décision et de gestion foncières, Karthala, paris, 1991; Bruce J.W. & Migot-Adholla, S.E. Searching for land tenure security in Africa, Kendall/Hunt Publishing Company, 1994 ; Le Roy E. – Karsenty A. e Bertrand A. La sécurisation foncière en Afrique : pour une gestion viable des ressources renouvelables, Karthala, Paris, 1996.
9. a este propósito ver a contribuição de Ph.  Lavigne Delville «Privatiser ou sécuriser »  em : Quelles politiques foncières pour l’Afrique rurale ? sob a direcção de Ph. Lavigne Delville. Karthala, Paris, 1998
10. P. De Wit, relatório de missão, OSRO/906/ITA, FAO-SDAA, Janeiro de 2001
11. Os direitos dos distintos actores sobre as terras, já som regularizado dentro da lei costumeira onde existem mecanismos para solucionar casos de conflito. O que se pretende com a “regularização” é a adequação das instituições costumeiras com as instituições formais do Estado (que passa a ser considerado como instancia superior de legitimidade). Quanto mais as novas instituições estarão longe da realidade, mal conhecidas, difícil de ser entendidas e implementadas, quanto menor será seu respeito e aceitação. No contrario, quanto mais estarão perto da realidade, serão conhecidas e globalmente aceita, quanto maior a possibilidade para servir de instrumentos úteis para o desenvolvimento.
12. A delimitação dos territórios das comunidades é um exercício multidisciplinario que pretende, de forma participativa, identificar os limites reconhecidos e aceitos do conjunto de terras do nível de agregação familiar que constituem a Unidade de gestão. Uma vez identificado o nível da “comunidade” , aquele nível de agregação tem um conjunto de terras para uso directamente produtivo, em parcelas individuais e/o colectivas, outros lotes em gestão, outros em pousio ou como lugares sagrados, o como reserva para as próximas gerações etc.  este conjunto tem limites bastante claros para as autoridades tradicionais: os limites chegam até onde começam as terras de outra “comunidade”. Para evitar futuros conflitos, uma vez identificados, com as autoridades tradicionais, os limites de seu território, é fundamental averiguar junto com os vizinhos, fazendeiros, outras comunidades, Estado, si aqueles limites som aceitos. Em caso positivo podemos proceder a delimitação e georeferençação dos pontos; em caso negativo é preciso resolver o problemas entre os actores que tenham problemas. A identificação do conjunto de terras de uma comunidade (Unidade de gestão), comanda a realização de um diagnóstico sistémico, rápido que permita de (i) identificar o nível de agregação, (ii) identificar as suas instituições de gestão e suas lideranças, (iii) identificar seus direitos de terra e (iv) identificar onde estes direitos existem. Um principio chave deste trabalho é a parceria de trabalho entre técnicos públicos (DPOR, assessores jurídicos, EDA) em conjunto com os intervenientes de base no processo de desenvolvimento (ONGs e outras organizações da sociedade civil). O asseguramento dos direitos de posse de terra através do processo de delimitação e registo das terras das comunidades deve ser benéfico para todas as famílias e não somente para as famílias mais influentes. Finalmente, o trabalho de campo é fundamental para identificar a legitimidade das instituições de gestão dos recursos naturais e de apoio as comunidades, nos olhos da maioria da população. E´ preciso notar como neste tipo de trabalho não é ausente a preocupação levantada por J. Marie (J. Marie  “Peut-on cartographier les droits sur l´espace et sur les ressources?” contribuição aparecida no texto de Ph. Lavigne Delville op.cit. - sobre a possibilidade de cartografar os direitos sob o espaço.
13. Evidentemente excluímos desse grupo aqueles agitadores profissionais, como é o caso do Núcleo da terra do padre Pio na Huila, cuja agenda é essencialmente fomentar desordenes e aumentar as possibilidades de conflitos, até armado, entre os parceiros de uma questão já bastante delicada.

14. Esta palestra da continuidade a uma primeira realizada pelo autor e organizada sempre pela Embaixada da Itália no Setembro do ano 2000, sobre o tema das experiências internacionais em matéria de reforma agraria e segurança de posse de terra. A esperança é que na próxima podamos olhar mais para futuro que para o passado (nota do autor).