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giovedì 27 settembre 2018

2018 L49: Nadia Morbelli - Hanno ammazzato la Marinin


Giunti, 2012

È la vigilia di Pasqua e Genova è sferzata da una pioggia battente. La redattrice e paleografa Nadia Morbelli, appena rincasata da un noiosissimo viaggio di lavoro, sta per prepararsi un meritato bagno caldo, quando improvvisamente nel palazzo salta la luce. Nadia non presta molta attenzione alla cosa, almeno fino a quando, tre giorni dopo, suona alla sua porta il commissario di polizia, il dottor Prini. Eh sì, perché proprio la sera in cui si stava rilassando nell'acqua bollente, sullo stesso pianerottolo, a pochi passi dal suo appartamento, è stata ammazzata nientemeno che la signora Assunta, la terribile e petulante vicina di casa, per tutti "la Marinin". Curiosa e impertinente per natura, Nadia si incaponisce sull'omicidio e inizia a cercare indizi per conto proprio. E tra un salto alla bocciofila con le amiche, quattro chiacchiere al bar e lunghe conversazioni col commissario che assumono tutta l'aria di un flirt, comincia a individuare qualche pista davvero interessante...

Il libro l'ho comprato per curiosità, dato che volevo leggere un giallo scritto da una donna. 
Mi è parso strano che sia scappato un dettaglio così grosso alla casa editrice, non l'ultima arrivata: l'ultimo capitolo, il 22, è stato inserito in continuazione al precedente, senza staccare la pagina e evidenziare il numero. Piccolo errore da dilettanti che mi fa pensare che avessero fretta di pubblicarlo.

La storia in sé é molto per aria, si imparano a conoscere vari vini locali, il che non è male, ma per il resto non lo consiglio. L'autrice si dilunga molto sulle chiacchiere, sui vestitini e i colori da abbinare, insomma, si può trovare di meglio.

2018 L48: Emmanuel Grand - Terminus Belz



Points, 2015

Il s'appelle Marko Voronine. Il est en danger. La mafia le poursuit.
Il croit trouver refuge sur Belz, une petite île bretonne au large de Lorient coupée de tout sauf du vent. Mais quand le jeune Ukrainien débarque du ferry, l'accueil est plutôt rude. Le métier du grand large en a pris un coup, l'embauche est rare sur les chalutiers et les marins rechignent à céder la place à un étranger.Et puis de curieuses histoires agitent en secret ce port de carte postale que les locaux appellent "l'ile des fous". Les hommes d'ici redoutent par dessus tout les signes de l'Ankou, l'ange de la mort, et pur Marko, les vieilles légendes peuvent se montrer aussi redoutables que les flingues de quelques tueurs roumains.

A essere sincero non mi è piaciuto un granché. La storia sembra partire su un tema (immigrati irregolari) e poi va a finire con vecchie leggende mescolate a una storia che non sta del tutto in piedi.

martedì 18 settembre 2018

2018 L47: Gilles Legardinier - Le premier miracle




Flammarion, 2016

Karen Holt est agent d’un service de renseignement très particulier.
Benjamin Horwood est un universitaire qui ne sait plus trop où il en est.
Elle enquête sur une spectaculaire série de vols d’objets historiques à travers le monde. Lui passe ses vacances en France sur les traces d’un amour perdu.
Lorsque le vénérable historien qui aidait Karen à traquer les voleurs hors norme meurt dans d’étranges circonstances, elle n’a pas d’autre choix que de recruter Ben, quitte à l’obliger. 
Ce qu’ils vont vivre va les bouleverser.
Ce qu’ils vont découvrir va les fasciner. 
Ce qu’ils vont affronter peut facilement les détruire…

Sotto l'ombrellone si legge bene. Consigliato.

martedì 11 settembre 2018

2018 L46: Arrigo Petacco - L'anarchico che venne dall'America


Mondadori, 1969

Monza, 29 luglio 1900: Umberto I, re d'Italia, cade sotto i colpi di un attentatore solitario mentre sta assistendo a un saggio ginnico. L'assassino è un giovane operaio toscano appena tornato dall'America: si chiama Gaetano Bresci, si dichiara anarchico e ripete con ostinazione di aver agito da solo. Dopo un processo durato dodici ore, Bresci viene condannato all'ergastolo come unico responsabile del regicidio. La sentenza non suscita obiezioni. 

Utile a volte rileggere vecchi libri per ricordarci com'era l'Italia....

venerdì 7 settembre 2018

giovedì 6 settembre 2018

I miei documentari: Everybody in the Casa Mare

questo non riuscivo a trovarlo, è stato fatto durante la festa organizzata ad Anguillara in occasione del documentario che avevamo fatto sugli immigrati. Siamo davanti alla Parrocchia della Stazione


2018 L45: Yann Le Poulichet - #Scoop

Point, 2017

Qui sont les meilleurs enquêteurs après les flics ? Les journalistes people ! Baptiste Jourdain maîtrise la planque, la poursuite, la fouille dans les tréfonds du net. Plus le potin est croustillant, plus il doit être documenté. Quand Baptiste découvre son supérieur, chef des infos de Scoop, égorgé dans les toilettes, il est prêt à tout pour élucider le meurtre. D’autant plus que la commissaire est canon !
Yann Le Poulichet est journaliste pour Voici depuis plus de quinze ans. Objet de nombreux fantasmes, l’univers de la presse people qu’il connaît bien, à la fois réjouissant et crapoteux, sert de décor à #Scoop.
« Yann Le Poulichet démonte avec une certaine délectation la façade de la presse people… Avec juste un petit soupçon de voyeurisme. »

Se vi interessa sapere come sia la vita dei giornalisti di queste riviste da quattro soldi, questo è un buon libro. Se avete altro da fare o da leggere, meglio.

lunedì 3 settembre 2018

2018 L44: Jean Giono - Voyage en Italie



Gallimard,1954

De Manosque à Florence, en passant par Milan, Venise, Padoue, Bologne, voici l'Italie de Jean Giono, romancier du bonheur. Le lecteur le suivra dans ses découvertes, avec un plaisir extrême. À chaque pas, le paysage et les êtres apportent leur leçon. Giono sait traduire le message d'une allée de cyprès sur une colline, du froncement de sourcils d'un Milanais, du battement de cils d'une Vénitienne. Il est délicieux de voyager avec un tel guide.

Lasci perplessi questo viaggio in Italia. Va bene che lo scrittore dice averlo fatto per divertirsi e non per raccontare l'Italia, ma viene da chiedersi dove le abbia viste certe cose, tipo le ragazze anemiche di Venezia che vanno in macelleria per bersi un bicchiere di sangue fresco... oppure la localizzazione di Prato della Valle, a Padova, situato all'uscita della città verso Mantova (Gulp!). I giudizi tranciante che fa sulle città e sui cittadini, incrociati magari per meno di due ore, sembrano un antesignano "cazzeggiare" che prendiamo con la benevolenza di aver letto altri libri molto più interessanti. Da notare il carattere scozzese/genovese dello scrittore, sempre a lamentarsi dei prezzi degli alberghi dove decidevano di fermarsi. 

domenica 2 settembre 2018

Non è che per caso abbiamo tutti un fondo razzista?



Titolo provocatorio, lo so. Ma quando mi guardo intorno, e questo da qualche decennio, ho come l’impressione che l’ALTRO non piaccia a nessuno. Non solo agli elettori della Lega per capirci.

Sono anni che cerco di ricordare come i paesi scandinavi, quelli sempre portati come esempio di buona governanza, di socialismo democratico, progressisti etc. etc. sono quegli stessi che, da sempre, negano i diritti del popolo Sami, un popolo che occupava il proprio territorio da tempi ancestrali e che, ancora oggi, viene trattato come gli Indios del Sudamerica. Il razzismo dei norvegesi, svedesi, finlandesi senza contare, ovviamente, i russi, nei confronti di questo popolo migrante, con una lingua e una cultura propria, dovrebbe far riflettere due volte prima di ergerci a difensori di una brezza democratica che, semplicemente, non ci appartiene.


Vogliamo poi parlare del colonialismo inglese? Non vado nemmeno tanto lontano, nelle colonie asiatiche o africane, perché poi i miei lettori direbbero: sì ma sono paesi lontani, anche noi italiani ne abbiamo fatte di cotte e di crude in Africa (oibò, è proprio vero). Quindi ricordo solo il caso dell’Irlanda, così da far capire l’odio profondo che gli irlandesi hanno nei confronti degli inglesi. Invito a leggere “Irlanda: una storia di oppressione e di sfruttamento” (http://www.cpafisud.org/images/upload/Irlanda1996.pdf) dove si racconta in dettaglio come “fin dal XV secolo la politica inglese nei confronti della sua prima colonia si fonda sull'annientamento culturale e sullo sfruttamento economico delle risorse”. Come sempre dietro tutto ciò esisteva lo stesso interesse degli scandinavi per le terre e le risorse naturali delle popolazioni locali. Quindi, siccome in Irlanda c’era parecchia gente, la prima cosa che gli inglesi hanno fatto è stato di organizzare “lo spostamento di milioni di persone. Questo spostamento è avvenuto attraverso l'espropriazione delle terre e la creazione di numerosissime leggi che difendevano i privilegi della minoranza protestante (il cattolicesimo è stato fuorilegge per 200 anni)”. A questo va aggiunto quello che un giornale notoriamente di sinistra, l’Avvenire, chiama il “genocidio negato” (https://www.avvenire.it/agora/pagine/fame-a-dublino-il-genocidio-negato): “La Grande Carestia irlandese, la gigantesca catastrofe che colpì l’isola tra il 1845 e il 1852, fu in realtà un atto di genocidio compiuto dagli inglesi per motivi opportunistici.”

Lasciamo stare l’Inghilterra, e guardiamo più vicino a casa nostra: la guerra nell’ex-Jugoslavia e le pulizie etniche che ne sono seguite, in Serbia, Kossovo, Croazia, Bosnia-Herzegovina, solo per dire alcuni dei paesi coinvolti. Negli ultimi due, Croazia e Bosnia, l’idea della purificazione della razza, concetto che, grazie al compianto Cavalli-Sforza, sappiamo essere una pura invenzione culturale senza nessuna base genetica, l’idea delle purificazione dicevo, va avanti, con pericolose accelerazioni in questi ultimi tempi D’altronde la fama degli Ustascia di Ante Pavelic non si è mai persa in quelle terre, e il fascismo violento di quei tempi è pronto a tornare di moda.

Senza tornare a ricordare quello che noi europei abbiamo combinato nei confronti delle popolazioni locali nelle “nostre” colonie, cosa di cui ancora oggi dovremmo vergognarci noi francesi, spagnoli, portoghesi, tedeschi, olandesi, belgi e italiani, trattamenti inumani durati secoli, mica bruscolini come direbbe Totò, guardiamo un po’ altrove. In questi giorni è di moda la Birmania che, in ideale ranking fra i paesi più razzisti, in questi mesi è sicuramente sul podio. Un razzismo ufficialmente con base religiosa, quando in realtà basta scavare un po’ e ritorna fuori l’eterno problema legato alle terre e alle risorse naturali. Invito a leggere l’ottimo articolo di Emanuele Giordana sulla persecuzione dei Rohingya (http://www.iltascabile.com/societa/la-persecuzione-dei-rohingya/). Probabilmente sul posto più alto del podio troveremmo Israele con la nuova legge degna del Sudafrica razzista http://www.altrenotizie.org/esteri/4605-il-razzismo-di-israele.html). Che dietro la politica del premier Netanyahu ci sia un intento di appropriazione dell’acqua e delle terre palestinesi, in modo da farle colonizzare e legalizzare in nome di famiglie ebree, questo è chiaro anche ai sassi. 

Se poi guardiamo gli arabi, non è che stiamo meglio: il nostro “alleato” Arabia Saudita (quello che bombarda autobus e scuole, ammazzando decine e decine di bambini nello Yemen) ha messo in atto una politica di espulsione di massa colpendo milioni di lavoratori “illegali” 

Lo stesso articolo ci manda poi al Kenya, paese africano considerato quasi un modello di democrazia. Non così è visto dai profughi somali, che vengono cacciati via come delle zecche, come ci ricorda bene anche Amnesty International: (https://www.africa-express.info/2017/12/21/amnesty-international-accusa-il-kenya-sta-cacciando-rifugiati-somali-dal-campo-di-dadaab/).

Vogliamo poi parlare della guerra civile provocata dal presidente in carica della Costa d’Avorio per promuovere la cacciata dei Burkinabé e riprendersi le terre che lavoravano da anno? (https://www.ilfattoquotidiano.it/2014/06/30/costa-davorio-le-origini-di-un-conflitto-nel-diritto-alla-terra/1044578/). Oppure preferiamo andare nel paradiso della Namibia, dove i primi abitanti, i Boscimani (o San) sono visti come dei sottouomini questo per giustificare l’accaparramento delle loro terre e delle risorse sottostanti)? Lo dice Nigrizia, un altro giornale comunista sicuramente: (http://www.nigrizia.it/notizia/i-diritti-dei-boscimani).

Vabbè, basta Africa anche perché difficilmente troveremmo un paese che non sia razzista nei confronti di qualche vicino. Prima di cambiare continente voglio però ricordare il caso dei Pigmei, tipico popolo che oggi consideriamo come transfrontaliero dato che il territorio dove vivono da sempre e che copre intere regioni spartite fra vari paesi (Repubblica Centrafricana (CAR), la Repubblica Democratica del Congo (RDC), il Ruanda, l'Uganda e il Camerun) non gli è mai stato riconosciuto. Chi ci racconta di questo massacro sistematico è addirittura Il Sole24 Ore (http://www.ilsole24ore.com/art/SoleOnLine4/Tempo%20libero%20e%20Cultura/2010/03/Pigmei-tragedia-popolo-foresta.shtml)

Facciamo un salto in America Latina? Troppo facile direte voi, e avete ragione. Per anni avevo considerato l’Uruguay come l’unico paese della regione a non essere contaminato dalla febbre xenofoba/razzista, ma devo constatare che mi sbagliavo: due articoli (https://www.elpais.com.uy/informacion/retornados-inmigrantes-generan-rechazo-uruguayos.html
https://www.elpais.com.uy/informacion/institucion-ddhh-advierte-riesgo-xenofobia-sociedad.html) mi suggeriscono di rivedere i miei sogni. 

Attraversiamo l’oceano pacifico e sbarchiamo in Nuova Zelanda: vado lì perché un’amica mia ci è appena andata a vivere. L’eterno problema dovrebbe essere conosciuto da tutti, casomai rimando a una lettura di questo articolo (https://www.diritto.it/articoli/antropologia/faedda9.html)

Chiudo ricordando un articolo apparso su Panorama alcuni anni fa, che citava uno studio condotto tra il 1981 e il 2008 da un gruppo di studiosi olandesi, dandoci la classifica dei 10 paesi più razzisti (in quel momento) (https://www.panorama.it/news/esteri/razzismo-classifica-ricerca-hong-kong-razzisti-intolleranza-immigrazione/):

1. Hong Kong. All'ex colonia britannica in territorio cinese va la maglia nera del paese più "intollerante" del pianeta. Il 71.8 per cento degli intervistati ha dichiarato che rifiuterebbe di vivere vicino a persone di "una razza differente" da quella della propria famiglia.
2. Bangladesh. Subito dopo l'ex colonia britannica in territorio cinese, i più razzisti sono gli abitanti del Bangladesh. Il 71.7 per cento non vuole avere rapporti con gente di "razze" diverse dalla propria.
3. Giordania. Terzo classificato è il piccolo regno di Giordania, dove i razzisti si attestano al 51.4 per cento. Basti pensare che la Giordania è meta di migliaia di palestinesi che raggiungono il Regno per poter studiare e lavorare, ma - nonostante siano apparentemente integrati nella società - non possono frequentare determinati corsi di laurea (come medicina e fisica), non possono diventare insegnanti e non possono acquistare beni immobili (case e terreni).
4. India. Chiude il gruppo dei fab four dell'intolleranza l'elefante indiano, con il 43.5 per cento di tasso di razzismo. In questo caso, il fattore culturale è determinante e la struttura castale della società, con sanzioni molto dure per chi entra in contatto con individui "impuri", determina una ferrea gerarchia razzista che affonda le sue radici nella notte dei tempi e che per questo motivo è molto difficile da scardinare.5. Egitto. Il paese delle Piramidi è tra i più razzisti del continente africano, assieme alla Nigeria. Il tasso di intervistati che si rifiuta di stare vicino a razze diverse si aggira tra il 30 e il 39.9 per cento. Nonostante l'ampio numero di immigrati dai paesi del sud-est asiatico che in Egitto (come in Nigeria) offrono le proprie capacità professionali per diversi generi di attività, il razzismo dei pronipoti dei faraoni sembra non essersi minimamente attenuato. I razzisti d'Egitto sono in compagnia della medesima percentuale in Arabia Saudita, Iran, Vietnam, Indonesia e Corea del Sud.
6. Algeria e Marocco. Un gradino sotto l'Egitto troviamo altri due Paesi dell'Africa del Nord, in cui il tasso di razzismo si attesta tra il 20 e il 29.9 per cento. La storia di Algeria e Marocco indubbiamente segna le risposte degli intervistati. Il Marocco, in quanto Regno, tende a essere strutturalmente chiuso alle etnie provenienti da altri Paesi e l'Algeria, straziata da lunghi anni di guerra, oggi rappresenta un caleidoscopio identitario, nel quale ogni comunità tende a non mescolarsi pur di preservare la propria esistenza.
7. Francia. A sorpresa Parigi si attesta tra i Paesi europei dove il razzismo si fa maggiormente sentire. Secondo i dati di World Value Survey, il 22.7 per cento dei francesi si augura di non avere un vicino di casa di "razza diversa". La Francia rientra così nel gruppo di quei Paesi con tasso di razzismo tra il 20 e il 29.9 per cento, in compagnia di Turchia, Bulgaria, Mali, Zambia, Thailandia, Filippine e Malesia.
8. Italia. Nel nostro Paese il tasso di razzisti oscilla tra il 10 e il 14.4 per cento. Una percentuale minima, che colloca l'Italia sul fondo della classifica mondiale sul razzismo come Paese sostanzialmente tollerante. In compagnia di Roma troviamo la Finlandia e poi Polonia, Ucraina, Grecia, Repubblica Ceca e Slovacchia. Poco più razzisti del gruppo dell'Italia solo Il Venezuela, la Russia e la Cina, con un tasso di intolleranza tra il 15 e il 19.9 per cento.9. Germania e Giappone. Sono i capifila del gruppo dei penultimi in classifica, in compagnia di Cile, Perù, Messico, Spagna, Belgio, Bielorussia, Croazia, Pakistan e Sudafrica. A Tokyo e Berlino il tasso di risposte razziste si attesta tra il 5 e il 9.9 per cento, nonostante tutte le ricerche condotte precedentemente avessero evidenziato soprattutto in Giappone la tendenza a un razzismo di base, non solo verso l'esterno (Cina e Coree), ma anche verso l'interno, nei confronti dei giapponesi con la pelle più o meno scura.
10. Stati Uniti e Gran Bretagna. Sono i paesi meno razzisti del mondo, assieme a Canada, Brasile, Argentina, Colombia, Guatemala, Svezia, Norvegia, Lettonia, Australia e Nuova Zelanda. Il loro tasso di intolleranza è tra lo 0 e il 4.9 per cento. Cifre definite "fisiologiche" dai ricercatori olandesi, che evidenziano come i Paesi del "nuovo Continente" (le Americhe), eccezion fatta per il Venezuela, tendono a essere largamente tolleranti nei confronti delle etnie diverse e si aggiudicano la palma di luoghi meno razzisti del mondo.

Insomma, sembra proprio che la paura dell’altro, che genera xenofobia e razzismo lo si trovi dappertutto. Questo non vuol dire che, se così fan tutti, allora dobbiamo scoraggiarci e lasciar perdere. Al contrario, se si vuol progredire o “curarsi” da un male, bisogna innanzitutto conoscerlo, studiarlo. Come ho fatto notare nei casi che ho citato all’inizio, spesso e volentieri dietro la maschera razzista, prima ancora della “paura” dell’altro, c’è una volontà politica di accaparrarsi i beni degli altri, spesso (ma forse lo vedo per deformazione professionale) concentrati nel tema terre e risorse naturali. Sono lì, nel potere e nella bramosia di ancor più potere le fonti primigenie di quei problemi.

Abbiamo quindi problematiche diverse e livelli diversi, da capire ma anche da affrontare. Resta il fatto che il cammino verso gli altri è un cammino lungo e difficile, che inizia dentro noi stessi e che va portato avanti tutta la vita e poi continuato nelle generazioni successive. La questione di fondo è di arrivare a riconoscere le diversità, accettarle e costruire su queste. L’essere umano non sarebbe progredito se avesse eliminato gli altri. Tutti gli studi genetici ci confermano che l’homo sapiens che siamo è frutto di meticciati e non di purezza. 

L’educazione quindi è il primo antidoto, a cui va aggiunta la lettura, sana e continua, critica e diversa, per continuare a stare al passo con l’evoluzione del mondo. Siamo noi stessi che dobbiamo imparare a “stare” con l’altro, ad accettare idee, culture, musiche e cucine diverse. Certo, siccome tutto è un divenire, per fortuna certe idee si modificano, molto lentamente, e quindi una cultura dell’uguaglianza inizia, con molti stenti, a farsi avanti. Una uguaglianza di diritti e di doveri, che tocca tutti gli esseri umani. Imparare a parlarsi, a dialogare è quindi necessario, almeno finché pretendiamo di vivere su questa unica terra che condividiamo. 

Ricordiamoci poi che esiste un problema di potere, anzi di asimmetrie di potere che fanno sì che chi sta in alto usa tutti gli strumenti a disposizione, fra cui la religione, la xenofobia e il razzismo, per fregare chi sta sotto e depredarlo. Anche lottando contro questi poteri si lotta contro il razzismo, ma va anche tenuto ben chiaro in mente che non esisterà mai un essere umano che, lasciato solo con un potere in mano, difenderà naturalmente chi ne ha meno. Bisogna sempre che esistano meccanismi che impediscano questo accentramento di potere: e ritorno quindi alla scuola, e all’educazione civica che anche noi nel nostro quotidiano dobbiamo fare e farci a noi stessi.


La xenofobia e il razzismo non li elimineremo mai completamente, ma nemmeno dobbiamo arrenderci ad accettarli come ineluttabili. Proprio perché sono oramai diffusi dappertutto, è da noi, dal nostro piccolo che dobbiamo iniziare a cambiare. Possiamo anche buttar fuori Salvini, ma non sarà quello che cambierà come io vedo e mi relaziono col mio vicino. Dalle piccole cose possono crescere grandi cambiamenti, purché iniziamo questo cammino.

2018 L43: Manuel Scorza - Rulli di tamburo per Rancas


Feltrinelli, 1975

Rulli di tamburo per Rancas non è solo uno dei più avvincenti e forti romanzi che ci siano giunti dall'America latina, è anche una ricostruzione di fatti reali popolata da personaggi di cui tuttora si occupano le cronache. Héctor Chacón, detto il Nittalope, trasformato in leggendario bandito dall'ingiustizia, uscì dal carcere solo nel 1972, e il soffocante Recinto, incombente e mobile come un personaggio, col quale sono state sottratte le terre ai contadini, fa parte ormai del paesaggio peruviano... Al centro delle vicende si situa lo scontro, avvenuto a Rancas negli anni cinquanta, fra i Comuneros (cioè gli appartenenti a una comunità contadina) e i latifondisti alleati del potente monopolio della Cerro de Pasco Corporation. Abbattendo la parete divisoria fra letteratura e sociologia, Manuel Scorza qui inventa un affascinante ritmo narrativo, un linguaggio in cui poesia e ironia, immaginazione e sdegno si fondono mirabilmente. In Perù brani di questo testo sono imparati a memoria dagli indios che, giustamente, lo considerano la "loro" opera epica.

Vecchio libro ritrovato e riletto, qualche decennio dopo. Lettura difficile, ma lo scrittore questo voleva, un modo diverso di raccontare le solite storiche angherie contro i poveri locali, con dietro l'eterno problema della terra e delle risorse naturali. Una lettura che richiede impegno!