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martedì 31 dicembre 2013

La linea di separazione delle acque



Quando vengo in Borgogna da mia suocera, passo sempre per una collina che rappresenta la linea di separazione delle acque che vanno verso il mediterraneo e di quelle che vanno verso l’oceano.

Ogni volta questo semplice passaggio mi fa pensare ai due mondi che da lì iniziano a separarsi, la civiltà mediterranea così ben descritta da François Braudel e quella Atlantica, che cerca ancora un cantore dello stesso spessore.

Penso a questi anni recenti, 2011 fino ad oggi, fine 2013, e non riesco a togliermi l’immagine che stiamo anche noi passando una linea di separazione, quella degli anni Americani, e l’inizio di un qualcosa non ancora completamente chiaro.

L’indicatore più evidente degli anni Americani è stata la voglia di esportare un modello e dei valori, eletti ad universali, verso il resto del mondo considerato come bisognoso di queste lezioni di superiorità occidentali. 

Al di là di figure ridicole come il piccolo Bush, si sentiva comunque quella ingenuità progressista che faceva pensare agli americani di vivere nel migliore dei mondi possibili e che questo dovesse essere condiviso anche dagli altri. Una società chiusa, come quella cinese, che pensa sicuramente che il miglior mondo sia il loro, non teorizza mai la condivisione, ma piuttosto l’asservimento degli altri in modo che il “suo” di mondo possa continuare ad esistere. Gli americani no, loro hanno voluto portare il modello dappertutto dove sono passati. 

I nostri epigoni italiani e non, hanno pensato bene di salire su questo treno quando passava in stazione ed associarsi alle loro battaglie, fosse in Afghanistan, Iraq o altrove.

Ma pian piano, come tutti gli imperi storici, emergono i segni del tempo e le debolezze e fratture cominciano ad apparire. Tutto sta nel capire come e quando queste linee di frattura appaiano. Io credo che la prima crepa evidente sia stata la Libia, un paio d’anni fa, che ha reso evidente ciò che la guerra in Iraq cominciava a far capire e cioè l’incapacità degli americani, da soli, di imporre il loro modello altrove. Ma gli alleati erano troppo deboli a loro volta e questo ci ha trascinati tutti assieme nel disastro iracheno. La guerra di Libia sembrava un boccone faxcile da digerire: la prudenza americana aveva fatto sì che divenisse preferibile mandare avanti francesi e inglesi a cercar gloria. Le voci che allertavano sulla artificialità dello stato libico, tenuto assieme solo dal pugno di ferro del Colonnello, senza il quale il rischio era di aprire una falla difficilmente richiudibile, non vennero ascoltate. Oggi siamo lì, a non sapere cosa fare, con il rischio sempre più forte che il paese si spacchi, almeno in due pezzi, se non di più. Un movimento che oramai rischia di non limitarsi alla Libia, come lo scrivevamo recentemente.

Ma ancora una volta non si è capito cosa la Storia stesse dicendo. E si è partiti nell’avventura Siriana. Senza strategia, senza alleati forti sul posto, con una serie di diavoli pronti a dar man forte agli insorti ma per ragioni molto diverse dalle occidentali, il tutto con una sottovalutazione delle capacità di Assad di resistere e, quel che sta diventando evidente, di vincere lui a guerra.

Eccola la linea di separazione delle acque. Non ci sarà vittoria in Siria, già adesso la ritirata è stata garantita dall’appoggio Russo, ma per il seguito si tratta solo di capire come vendere una sconfitta come fosse stata una campagna vittoriosa. L’esportazione del modello occidentale è finita sulle colline di Aleppo e sulle periferie di Damasco. Da lì inizia la lunga ritirata verso casa. Di fronte si erge un magma difficilmente rappresentabile. I cinesi se ne sono stati fuori, ancora una volta, pronti però a raccogliere i frutti maturi quando cascheranno. Putin sarà, anzi è già, uno dei vincitori a livello mondiale, così come, a scala regionale, lo sarà l’Iran. Poi a livello locale, si avranno tanti vincitori quanti vinti. Israele è fra i perdenti, e data la sua posizione geografica, non si può escludere colpi di testa da parte sua.

La ritirata da Damasco verso le pianure occidentali apre uno scenario difficilmente decifrabile. Nel passato si sono sostituiti imperi (fine dell’800) con nuovi padroni, la Gran Bretagna prima e gli Stati Uniti poi. Sono emersi rapidamente dei grandi imperi euroasiatici, Russi e Cinesi, ma questa volta avremo bisogno di studiare meglio cosa sia in essere. Il rischio è di tanti micro padroni rissosi, pronti a farsi la guerra per un nulla, un medio evo tecnologicamente avanzato potrebbe essere uno degli scenari futuri. Presto, in libreria e a studiare…   

lunedì 30 dicembre 2013

Greening the agriculture in France



Déclaration du Ministre de l’agriculture français, le 9 décembre : le recours à l’usage de pesticides a baissé de 5,7% entre 2011 et 2012 en France.

Article de “Le Monde” du 19 décembre : les chiffres en question se fondent sur les déclarations de vente enregistrées avant le 31 mars 2013. Sauf que les distributeurs envoient souvent leurs données bien plus tard. Aprèes correction, la réalité sera surement beaucoup moins rose. Un autre chiffre le montre déjà : la taxe sur les pesticides a rapporté 4% de plus entre juin et novembre 2012..

Riassumendo: il governo francese attuale vuol vendere l’idea di preoccuparsi con la qualità dei prodotti agricoli, spingendo verso una riduzione dell’uso dei prodotti chimici (Conferenza di Rio 2012, slogan “Rendere più verde l’economia”). La realtà però riprende il sopravvento e i dati reali (le tasse percepite dal governo sulle vendite di questi prodotti) mostrano una tendenza opposta, alla crescita.

Renzo Arbore anni fa nella pubblicità a una famosa birra italiana, terminava con un “Meditate gente, meditate”. Io preferisco chiudere dicendo: Dubitate (delle verità ufficiali) gente, dubitate.   

giovedì 26 dicembre 2013

Effetti inaspettati dell’acaparramento delle terre in Africa



Gli anni 60 si sono caratterizzati, in Africa, per l’apparizione di una miriade di nuovi Stati indipendenti. La geografia emergente era alquanto precaria, frutto com’era di decisioni prese dalle potenze coloniali oltre un secolo prima. Ma in quel momento non importava, troppo forte l’euforia per la trovata libertà. Una prima generazione di leader nazionali provò a dare un senso progressista e universalista a questa novità storica, mentre in altri casi i nuovi capi erano stati scelti dalle stesse potenze coloniali per cui l’indipendenza nasceva con il guinzaglio corto. Globalmente parlando, si era ancora nell’era in cui il ruolo centrale dello Stato nel dirigere l’economia e la società era considerato come un’ovvietà.

Bastarono pochi anni perché la situazione cambiasse completamente. L’emergenza delle grandi organizzazioni finanziarie internazionali, Banca e Fondo, dalla fine degli anni 70 in poi, come gendarmi della nuova ortodossia neoliberale si manifestò in maniera violenta a metà degli anni 80 in Africa. Le nuove istituzioni avevano poco più di ventanni, un nulla rispetto ai tempi biblici che c’avevano messo le istituzioni democratiche ad emergere nei nostri paesi del nord. Naturalmente affette dai problemi che erano all’origine di quei paesi: poca istruzione concessa ai nativi, per cui trovavi funzionari incapaci, sottoposti ad una casta politica che aveva rapidamente rimpiazzato con le buone o le cattive quei leader troppo indipendenti di spirito (Ben Bella in Algeria, Sankara nel Burkina) per sostituirli con obbedienti servitori del dio mercato, a cambio di cui gli si lasciava una libertà di fare man bassa delle casse nazionali.

Gli anni 80 sono quelli dell’imposizione degli aggiustamenti strutturali alla gran maggioranza dei paesi africani. Il popolo dovette eseguire e seguire, dato che i loro governi avevano accettato (potevano fare diversamente?) queste imposizioni. Ne uscì fuori un’Africa più impresentabile di prima agli occhi di un Occidente che restava il king maker delle regole di bonton della società sviluppata. Nacque così l’urgenza di “democratizzare” l’Africa, con l’imposizione ai governi pro occidentali e corrotti di sottoporsi a un esercizio purificatore, ma da loro controllato, chiamato “elezioni democratiche”. Passò anche questo senza che cambiasse alcunchè, e si andò avanti con la depredazione lenta e silenziosa delle risorse naturali locali e con le promesse per un futuro migliore che venivano elargite a piene mani sia dai governi nazionali che dai controllori del nord.

Le cose peggioravano con calma, ad un ritmo che anche le popolazioni del nord del mondo riuscivano a digerire. Quando arrivavano delle crisi “umanitarie” maggiori, bastava lasciar fare ai cantanti che si dannavano a organizzare concerti e raccolte fondi, e dopo un po’ la febbre passava e si tornava al business as usual.

In questi ultimi anni, prima con la crisi finanziaria e poi con l’accelerazione del movimento del grabbing da parte di operatori stranieri, è diventato sempre più palese quello che si sapeva fin dall’inizio e cioè che gli Stati africani attuali rappresentano sempre meno delle realtà storiche quanto invece delle costruzioni imposte. 

Finchè si viveva nella finzione di voler credere che fossero gli stati nazionali a decidere delle loro politiche, tuttti stavano calmi. Mano a mano che l’incapacità di questi stessi Stati è diventata palese, e che le popolazioni hanno cominciato a percepire non solo la fragilità ma soprattutto l’artificialità di queste istituzioni, i conflitti si sono accelerati. La crisi finanziaria ha avuto un ruolo minore in questo scenario, perché ha toccato tutti, nord e sud. Diverso il caso degli accaparramenti di terre e risorse naturali che sta accelerando in questi ultimi mesi. Lì è evidente che nessun governo riesce a controllare alcunchè e che in molti casi sono loro stessi, al massimo livello, ad essere parte in causa in questi grabbing. A quel punto, il resto della (scarsa) fiducia riposta nelle istituzioni “democratiche” se ne sta andando. Riprende forma la regola consuetudinaria, la tribù e i clan. Aggiungiamoci poi i problemi creati dalle religioni che, da sempre, considerano l’Africa terra di missione, cioè di conquista. Ognuno per sé diventa quindi la regola di base. Il costo delle armi si riduce, così che i vecchi conflitti tribali diventano immediatamente dei conflitti armati e molto sanguinari.

La cartina che ho messo recentemente sul blog (la mia africa), ricorda solo una parte dei conflitti in corso attualmente. Stati in dissoluzione, come la Libia, altri che si vuol ricostruire con ben poche speranze, come la Somalia, altri in fase di implosione come la Nigeria, il Camerun e la repubblica Centrafricana, sono alcuni dei segnali del futuro che si prepara: la conflittualità è destinata ad aumentare, parallelamente con la perdita di fiducia dei cittadini in quelle istituzioni mai completamente nate e ridotte ai minimi termini dalla Banca e dal Fondo, troppo interessate agli equilibri macroeconomici per rendersi conto delle conseguenze delle loro azioni. Aver ridotto a poco le istituzioni statali in paesi di scarsa presa geografica è stato il segnale di partenza della corsa verso la dissoluzione degli equilibri firmati a Vienna nel 1815. Ancora oggi non si capisce la necessità di (ri)costruire lo Stato e le istituzioni per cercare di gestire situazioni altrimenti intenibili. Ci si preoccupa della finanza e della macroeconomia. Domani se non si cambia subito, sarà troppo tardi. E guardando alle ricette imposte dalla Troika ai nostri paesi europei, che ricalcano il modello degli anni 80 in Africa, non c’è di che star allegri. Buon anno.

lunedì 23 dicembre 2013

Serenità



Pian piano si va creando una tradizione. Ritrovarci a Natale per una cena tutti assieme; nulla di nuovo sotto il sole, abitudini vecchie come il mondo. Una piccola cosa, in sé, ma che in periodi bui come questi, fa bene al cuore. Stare assieme per voglia e non per interesse. La voglia di cantare assieme, grazie a Andrea, più in forma che mai. Barba e Barbara a leggere i testi girati verso il computer, come scolari impegnati a fare bene il loro compito, ritornelli a squarciagola con Cresci lanciatissimo, così che Cocò lo guardava stupito, scoprendo delle qualità innate (a dir il vero alcuni di noi avrebbero avuto da ridire sui vocalizzi, ma non siamo qui a sottigliare).

Ognuno si porta dentro le sue preoccupazioni, chi più chi meno, ma è utile che ogni tanto si riesca a scaricare la tensione e lasciarsi andare. Consu che pensa e spera che l’operazione si faccia presto e bene, preoccupata com’è di lasciare il suo splendido cavallo in mani aliene. Che poi con queste mani il cavallo vinca, questo può solo moltiplicare la voglia di tornare in sella velocemente.

Con i Roberti c’eravamo già visti per un aperitivo a pranzo, ma è sempre una gioia vederli. Tanti gli anni passati assieme che ogni volta la sensazione è la stessa: troppo poco tempo per dirci tutte le cose di cui vorremmo parlare. Per cui ci lasciamo sempre con appuntamenti già fissati per l’estate prossima (proposta Anguillara), magari anche prima, al “Castello” di Cresci…  

Salta il “re”, terza corda della mitica chitarra americana di Andrea. Beatrice tenta di rimetterla a posto, si mette in mezzo anche Cresci raccontandoci così la storia degli archetti da violino, viola, violoncello… Tanto per capire in che campionato si giochi, una muta di corde da violoncello viaggia sui cento euri, ma quando entriamo nel mondo degli archetti, buonanotte. E’ iperbolica la curva: si arrivano alle decine, vedi centinaia, di migliaia di euri per archetti da gran maestri, ma anche a livelli più bassi, te ne servono qualche centone. 

Tutta una scienza, come la considera quello specialista (di Padova) dove hanno portato il violoncello per un controllo: camice bianco (come i meccanici della Renault nelle pubblicità televisive di una volta), lettino per auscultare lo strumento, prima sopra e poi sotto… roba seria… non diciamo il prezzo per non spaventare i lettori…

Anna che mi spiega in dettaglio i commenti iniziali sul nuovo libro: si vede che lo sta leggendo con gusto e che ha consigli utili, per cui la prego di continuare. Con Cresci ho chiesto loro di darci un occhio “legale” per non intercorrere in problemi con la storia del cementificio.

Christiane apprezza la cena: una ricetta su tte, la “pearà”. Sento che l’anno prossimo ne avremo una interpretazione locale, il che mi piace… Ma tutto quel che troviamo in tavola è da leccarsi i baffi, dalla soppressa di Barba, ai formaggi, gli spinaci e l’insalatina per digerire…il tacchino ripieno. Cresci, ancora lui, ci fa diventar matti col suo Chateauneuf du Pape, storpiato in Chateauneuf du Paf da Barba, al quale spiego che essere Paf, in francese, vuol dire essere sbronzi, e che nell’andazzo della serata quella storpiatura viene a pennello.

In cucina a dar una mano, fin da subito, la Miki to Play, reduce da un periodo di viaggi incredibili, tra Russia, Georgia e Hong Kong (o era Shangai?)… insomma all’estero il Made in Italy tira ancora, ma bisogna correre. Miki è una amica importante per Consu, si vede dalla complicità silenziosa tra loro.

I fumatori escono sul balcone, attenti a non rovinare le pastine messe lì da Cresci (ancora lui… mannaggia), che poi divoreremo col panettone di Andrea (mio cognato, non il chitarrista). Un pensiero agli assenti (Mauro e Patrizia) e a chi non abbiamo potuto invitare perché quest’anno abbiamo fatto tutto nell’appartamento di Consu che, più di tanti, non ci permette di stare.

Abbiamo provato mille volte a stimolare Barba a presentarci le due pubblicazioni di cui ci ha riempito le braccia, sulla genesi dfel Bacchiglione, ma, a parte sapere che nasce a Dueville, non siamo riusciti a tirargli fuori niente altro. Nemmeno con secondo volume, uccelli rettili e affini… dove aveva sempre in serbo una vecchia barzelletta dai tempi dell’università… magari la metterà lui nei commenti… Barba era troppo intento a non allontanarsi dal tavolo, sembrava fosse stato a dieta per una settimana in previsione della serata…

L’ora è arrivata. Noi dovevamo partire all’alba per cui li lasciamo, dopo l’ultima canzone su Carlo Martello che ritorna dalla battaglia di Poitiers… a presto ragazzi e buone feste a tutti…

giovedì 19 dicembre 2013

La Top dell’anno 2013



Eppure all’inizio mi era sembrato un anno di letture non particolarmente interessanti. Alla fine invece non sono riuscito a ridurre alla solita “sporca dozzina”, troppi i libri da segnalare e soprattutto tanti i nomi nuovi, per me almeno. La prima lista è di donne, fra le quali segnalo in particolare il libro della Melandri. Sotto segue la lista maschile dove voglio ricordare in particolare il libro di Pepetela, un grande scrittore angolano. Ma sono tutti da leggere… fatelo e vi troverete a viaggiare come  e meglio che se prendeste l’aereo.

Più alto del mare - Francesca Melandri

La Couleur des sentiments - Kathryn Stockett

Passage du désir - Dominique Sylvain

Purge - Sofi Oksanen

La femme aux pieds nus - Scholastique Mukasonga

L'Île des oubliés - Victoria Hislop

Come vincere la guerra di classe - Susan George

Ce que je sais de Vera Candida - Véronique Ovaldé

La jambe gauche de Joe Strummer - Caryl Férey

L'homme du lac - Arnaldur Indridason

La Vérité sur l'Affaire Harry Quebert - Joel Dicker

Madame Ba - Erik Orsenna

Le vieux qui lisait des romans d'amour - Luis Sepulveda

Atom[Ka] - Franck Thilliez

L'uomo dei sogni - Jean-Christophe Rufin

O Timido e as Mulheres - Pepetela

Le dernier lapon - Olivier Truc

Ruggine - Stefano Massaron