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giovedì 28 novembre 2013

2013 L50: Ruggine - Stefano Massaron

Un deposito enorme di rottami alla periferia di Milano, pieno di cunicoli casuali e di angoli segreti. Sembra una creatura viva per i bambini degli Alveari. È il loro rifugio magico. Non sanno che proprio lí li aspetta la prova piú spaventosa della loro vita.

Nel 2003, Sandro e Cinzia hanno quasi quarant'anni, e una vita normale. Ma il passato è in agguato, dietro il cartellone che annuncia un nuovo cantiere. Un pezzo di quel passato - il luogo dove giocavano da bambini - sta per scomparire. I ricordi non possono piú essere arginati e riemerge infine ciò che avrebbe dovuto restare sepolto, perché troppo spaventoso. Nell'estate del 1977, in una periferia chiusa nei cortili claustrofobici dei palazzoni popolari, un gruppo di bambini si trova a fronteggiare una minaccia la cui enormità solo loro sono in grado di capire davvero. Il caldo opprimente e l'odore penetrante della ruggine e delle discariche di periferia fanno da sfondo a una storia che riesce a resuscitare le emozioni e i sogni dell'infanzia, e a delineare tutta la violenza del trapasso all'età adulta.

Giuro che non sapevo che Massaron fosse uno strenuo tifoso interista e che il mio giudizio sul libro me lo sono fatto prima di saperlo. E' un gran libro, divorato in due giorni. Consigliatissimo. Sará nella parte alta della Top dell'anno.

2013 L49: La penombra che abbiamo attraversato - Lalla Romano


Dal sito Rai Internazionale: Pubblicato da Einaudi nel 1964, “La penombra che abbiamo attraversato” è una delle opere più riuscite di Lalla Romano, che compie un percorso nella memoria durante un viaggio al proprio paese natale, “Albergo Europa”, trasfigurazione letteraria di Ponte Stura – Demonte in provincia di Cuneo.
Il ricordo non si configura tanto quale ricerca del passato quanto come riscoperta di sé, della propria identità presente che si rispecchia in quella di un tempo. Questo il significato che l’autrice attribuisce alla propria opera nell’introduzione, spiegando la scelta del titolo proustiano – si tratta della citazione di una frase del “Tempo ritrovato”: “Ci appartiene veramente soltanto ciò che noi stessi portiamo alla luce estraendolo dall’oscurità che abbiamo dentro di noi…Intorno alle verità che siamo riusciti a trovare in noi stessi spira un’aura poetica, una dolcezza e un mistero, i quali non sono altro se non la penombra che abbiamo attraversato”.
La narrazione procede per capoversi separati, ispirata ora da un luogo, ora da una fotografia, ora da un passante, figure che portano l’autrice a ricordare con la consapevolezza che “Il tempo meraviglioso era ‘quello di prima’”.
Il ritorno all’infanzia si colora di una nostalgia che non è quella per gli anni di bambina, ma quella stessa per il tempo andato che accompagnava i giorni, i racconti della madre di una vita che fu: e che, come sempre accade, era un’epoca felice rispetto a quella presente. Un tema caro alla letteratura e alla poesia, l’imperfetto della felicità, ritrovato dall’autrice nell’esperienza concreta della propria famiglia, come nel ricordo della madre morente che “in uno dei suoi ultimi giorni – in una pausa del male – improvvisamente disse: Come eravamo felici!”.

Detto questo, forse leggere questo libro della Romano, il mio primo, in una settimana fredda, uggiosa ed io mezzo ammalato, non era il massimo. Mi resterá il ricordo del titolo da applicare al ventennio che, forse, da ieri cominciamo a lasciarci alle spalle. 

martedì 26 novembre 2013

Primarie PD: Votare…. Per cosa?





Si avvicinano le primarie, che saranno seguite dalle secondarie, magari dalle superiori e un giorno anche dall’università .. e così finalmente avremo una classe politica di sinistra all’altezza …

In attesa che questo succeda ho cominciato a riflettere su quali sarebbero le domande a cui desidererei avere una risposta da quelli che si candidano a diventare leader di questa cosa….

L’esercizio può essere fatto in forma partecipativa; comincio con le prime domande/preoccupazioni, partendo dai tre candidati alle primarie della prossima settimana:

Scorie nucleari: si avvicina la scadenza dell’agosto 2015 (imposta dalla UE) riguardo la presentazione del programma di gestione dei rifiuti radioattivi, compreso il sito di stoccaggio delle scorie delle 4 centrali e dei 5 centri di ricerca nucleare. L’ex ministro del governo Monti (Profumo, fonte Repubblica) aveva assicurato che questo sarebbe stato fatto entro i primi sei mesi di quest’anno. Mi piacerebbe avere una risposta non vaga da parte dei candidati

Al seguente indirizzo http://www.recommon.org/gli-arraffa-terre-la-nuova-pubblicazione-di-recommon-sul-coinvolgimento-italiano-nel-business-del-land-grab/ potrete trovare informazioni utili sul ruolo di imprese italiane nel malaffare dell’accaparramento di terre nel sud del mondo. 
Cosciente che i governi al giorno d’oggi non possono semplicemente intervenire e dare ordini alle imprese del proprio paese di bloccare tutto, resta aperto un soft power che i governi non esitano ad usar quando si tratta di favorire sbocchi commerciali con tali imprese in altri paesi. Vorrei pertanto sapere quali sono gli impegni precisi che i candidati propongono su questo tema.

La Svizzera, dico la Svizzera, non l’Unione Sovietica, ci ha provato. Il referendum sui salari equi in Svizzera (http://www.ilpost.it/2013/10/24/il-referendum-sui-salari-equi-in-svizzera/). Hanno perso, ma la questione ha una sua legittimità, quando si considera come siano cresciuti i divari fra la base e il top del management privato e pubblico. Esistono anche disegni di legge in avanzata fase di preparazione; cito quello della CISL, che non si può accusare di essere un sindacato massimalista:  Il Disegno di legge, elaborato dalla Fiba e condiviso dalla Cisl, prevede, in estrema sintesi, un tetto per la retribuzione fissa di 294 mila euro annui (pari a quello dei manager pubblici deciso con il Decreto ‘salva Italia’), un rapporto di 1:1 per il salario variabile (come da indicazioni europee) e l’abolizione dei bonus relativi alle maxi liquidazioni” http://www.firenzetoday.it/cronaca/stipendi-manager-raccolta-firme-cisl.html. Anche su questo sarebbe interessante avere una opinione chiara e concreta.

Si accettano altre domande….

domenica 17 novembre 2013

2013 L48: Il prete giusto - Nuto Revelli



Einaudi, Gli Struzzi, edizione 2004
 
"Il prete giusto" è la storia di un uomo libero, don Raimondo Viale (1907-1984), costretto a una sfida impari e solitaria con gli eventi più aspri del Novecento. Abbandonato dalla Chiesa e malato, ha affidato a Nuto Revelli la memoria della sua vita. Sullo sfondo della campagna povera del cuneese si snodano gli anni duri dell'infanzia, della prima guerra mondiale, le prime ribellioni in seminario, l'impegno nella parrocchia di Borgo San Dalmazzo fino allo scontro con i fascisti, le prediche coraggiose contro la guerra, l'imbarazzo della Chiesa, il confino. Poi, in un crescendo, i grandi drammi collettivi: l'8 settembre, le stragi naziste e fasciste, la persecuzione degli ebrei, fino alla sospensione "a divinis". 

Ricordare che ci sono state figure come Don Viale, i Don Gallo e tutti quei preti che ancora oggi lottano per gli ultimi... ti vien da pensare a quanto lontana sia la Chiesa di Roma (per non parlare delle altre) dal sentire vero della gente comune. Don Viale non poteva immaginare una vita fuori dalla Chiesa, ed ecco come è stato ripagato alla fine, sospeso a divinis e buonanotte...

giovedì 14 novembre 2013

2013 L46 Biglietto d'amore - Laura Mancinelli

Nel XIII secolo un giovane cantore d'umile origini, di nome Hadlaub, viveva spensierato nella dimora di Rudiger Manesse, ricco mercante di Zurigo, che lo chiamò a svolgere il lavoro di poeta e scrivano dal vicino monastero di Einsiedeln, dove il ragazzo orfano aveva ricevuto una buona educazione e aveva imparato a leggere e ascrivere. La tranquillità di quella bella casa di signori cortesi, che non lo trattavano come un servitore e gli consentivano di vivere nella ricchezza e nell'eleganza, fu spezzata nel giorno in cui Hadlaub s'innamorò incautamente di Lisbeth figlia sedicenne del suo signore. Fra i due ragazzi l'amore sbocciò a prima vista, pur sapendo entrambi che la diversa classe sociale non avrebbe permesso loro di vedersi se non in assoluto segreto. I due innamorati s'incontravano nella piccola torre posta sul lago della dimora, usata da specola d'avvistamento e sguarnita d'inverno perché le rive del lago erano ghiacciate e da quella parte non arrivava nessuno. Quel luogo solitario divenne il loro rifugio d'amore, lontano da sguardi indiscreti che avrebbero potuto scoprire il loro segreto e dividerli per sempre. Lì i ragazzi si trasformarono i giovani vivi e ardenti d'amore, colmi di passione l'uno dell'altra. Essi comunicavano attraverso il sistema di versi scritti su bigliettini, che il giovane Hadlaub la domenica e durante i giorni festivi, mentre tutti i componenti della casa si recavano alla messa, riusciva ad appuntare e a nascondere fra le pieghe del mantello della sua amata. Tuttavia, un verso d'amore scritto su un ritaglio di pergamena di lucente bianchezza tradì la coppia, perché, proprio a causa della lucentezza del bigliettino, che lo faceva spiccare sul mantello della giovane, fu visto dalla cameriera di Lisbeth, la quale, senza che la padrona se n'accorgesse, lo prese e lo consegnò alla madre di lei. Qualche giorno dopo la coppia, ormai scoperta, fu separata con un pretesto da padre della fanciulla: recarsi nelle regioni germaniche meridionali alla ricerca di tutti i versi d'amore dei cantori contemporanei conservati nelle biblioteche dei castelli, dei monasteri e delle case private al fine di raccoglierli tutti in un unico volume e realizzare, così, il sogno di una vita di Rudiger Manesse. Hadlaub capì che la vera causa di questo improvviso viaggio fu la scoperta del bigliettino d'amore scritto a Lisbeth e partì tristemente, un mattino di marzo, con il primo sciogliersi delle nevi, per svolgere la sua missione. Gli fu affidato dal suo signore come scorta e guida un cacciatore di nome Guilbert. Iniziò in tal modo il viaggio che sembrò separare definitivamente i due innamorati. Hadlaub e il suo accompagnatore si recarono dapprima nel monastero in cui il giovane trascorse la sua infanzia, ad Einsiedeln, e lì si fermarono per un breve periodo di tempo...

Mah.. che dire? Fra un pubblico plaudentei protagonisti gaudentitutto va bene, in un italiano un po' dimenticato... che a me sembra buono per i ragazzi delle medie...

lunedì 11 novembre 2013

Il Dio mercato e le riforme agrarie



La domanda che mi pongo da un po’  di tempo è la seguente: Dove sono sparite le riforme agrarie appoggiate, orientate, stimolate o supportate dal mercato?

Eravamo un po’ più giovani, quasi una ventina di anni fa, quando apparse sulla scena agraria il mitico MERCATO. Non il calciomercato, semplicemente il mercato, quello che, nelle opinioni dei sostenitori, avrebbe risolto i problemi di concentrazione della terra nelle poche mani di sempre. Il Mercato con la M maiuscola era LA soluzione ai problemi agrari del mondo intero. Non state lì a chiedervi da dove fosse venuta questa idea: non credo abbiate bisogno di suggerimenti così banali. Noi scettici eravamo stati spazzati via dall’ondata dei giovani arrembanti e dagli specialisti latinoamericani del voltagabbana, quelli che da giovani facevano i rivoluzionari della riforma agraria e poi diventati adulti e presi dei posti di responsabilità nazionali ed internazionali saltarono come un sol uomo sul carro vincente. Il mercato della terra.

Con qualche riserva, anche il nostro capo suggerì di fare un giro su quella giostra. Orgaizzammo così alcuni studi in paesi latinoamericani dove le sirene avevano suonato fin da subito: Messico, Ecuador e Colombia. 

Andammo a vedere, discutemmo e pubblicammo i risultati. Delle Università nazionali e/o delle grosse e reputate ONG nazionali ci accompagnarono in quegli studi. Le risposte che trovammo furono abbastanza ovvie, direi. Il mercato era segmentato e funzionava bene fra ricchi, eventualmente funzionava bene dal sotto in su, cioè estraendo altra terra ai piccoli contadini, ma non funzionava assolutamente nel senso inverso, cioè come redistributore di terre.

Dato che noi contavamo meno di zero, l’ondata mondiale andò avanti, e dal semplice mercato delle terre arrivò la versione fashion: le riforme agrarie via il mercato. La ragione era molto semplice: i movimenti contadini nelle Filippine e nel Brasile erano riusciti ad imporre il tema della riforma agraria nelle agende nazionali, e bisognava correre ai ripari, per evitare che queste pressioni sociali che chiedevano alle istituzioni pubbliche di impegnarsi su questi temi, potessero andare a buon fine.

La riforma agraria via il mercato è stato un prodotto che si è cercato di vendere a tutti i costi: dalla Colombia al Brasile, dal Sudafrica alle Filippine per finire poi nell’imbottigliamento centroamericano. Gli specialisti, uno in particolare, di quella organizzazione che conosciamo bene, si dettero da fare per vendere la mercanzia, col solito trucco delle tre carte: guardate bene dove la metto, sotto qui, o di là.. insomma quando si andava a cercare i risultati positivi di queste promesse, non si trovava mai nulla. Ci andammo anche noi a fare il nostro compitino, nel nordest brasiliano, nello Stato del Cearà, ma i risultati confermarono le stesse ovvietà precedenti.

Si continuò così per anni, fino ad arrivare a nominare questi programmi come Community Based, cioè come se le comunità contadine avessero chiesto loro di fare venire il mercato per fare quelle riforme agrarie che le elites politiche rifiutavano di portare avanti.

Passata la tempesta dei movimenti sociali, che pian piano cominciarono a scendere a più miti pretese, anche il sogno delle riforme di mercato cominciò ad appassire. Non c’era più bisogno di spingere tanto su quell’acceleratore, che tanto non ci credeva nessuno ma soprattutto non c’era più nessuno che facesse pressione sociale per qualcosa di diverso.

I quattro gatti che eravamo rimasti, impacchettatici ben bene dopo la Conferenza di Porto Alegre, rimanemmo fra i pochi a ricordare queste tristi verità: il mercato non ha mai risolto un solo problema per quegli attori che ne sono sistematicamente esclusi. Le asimmetrie di potere erano forti prima e sono ancora più forti adesso. Di riforme agrarie non si sente più parlare, tanto oramai la moda è passata su altri temi, adesso ci si trastulla con la governanza (magari bisognerebbe chiedere a Daniele Silvestri di farne un’aria tipo La Paranza…vediamo: la governanza è una danza, che si balla sull’isola di Ponza, dove senza concorrenza, seppe imporsi a tutta la cittadinanza..).

La memoria storica non interessa nessuno, o quasi. Per colpa del mio professore francese, io insisto nel ricordare queste cose. Nella vita c’è chi sta da una parte e chi dall’altra. I fautori del mercato e delle riforme agrarie via mercato stanno seduti da un’altra parte, la dove non si trovano gli esclusi, gli indigeni, i pastori e gli altri piccoli attori qusi senza speranza. Noi stiamo invece seduti da quella parte e continueremo a ripetere lo stesso messaggio: più organizzazione sociale per fare più pressione, partire dai diritti collettivi per riconoscere anche quelli individuali; rafforzare le istituzioni dello Stato come ordinatori del territorio: non lasciare i beni comuni in mano al mercato e no alla privatizzazione. Vogliamo più Stato, ma uno Stato diverso come dicevamo a Porto Alegre, uno Stato aperto al dialogo, alla collaborazione.

Lo diciamo ancora una volta, adesso che stiamo cercando di far ripartire uno di questi momenti di riflessione internazionale su questi temi. A futura memoria.

2013 L45: Le dernier lapon - Olivier Truc


L’hiver est froid et dur en Laponie. À Kautokeino, un grand village sami au milieu de la toundra, au centre culturel, on se prépare à montrer un tambour de chaman que vient de donner un scientifique français, compagnon de Paul-Emile Victor. C’est un événement dans le village. Dans la nuit le tambour est volé. On soupçonne les fondamentalistes protestants laestadiens : ils ont dans le passé détruit de nombreux tambours pour combattre le paganisme. Puis on pense que ce sont les indépendantistes sami qui ont fait le coup pour faire parler d’eux.
La mort d’un éleveur de rennes n’arrange rien à l’affaire. Deux enquêteurs de la police des rennes, Klemet Nango le Lapon et son équipière Nina Nansen, fraîche émoulue de l’école de police, sont persuadés que les deux affaires sont liées. Mais à Kautokeino on n’aime pas remuer les vieilles histoires et ils sont renvoyés à leurs courses sur leurs scooters des neiges à travers l’immensité glacée de la Laponie, et à la pacification des éternelles querelles entre éleveurs de rennes dont les troupeaux se mélangent. Au cours de l’enquête sur le meurtre Nina est fascinée par la beauté sauvage d’Aslak, qui vit comme ses ancêtres et connaît parfaitement ce monde sauvage et blanc.
Que s’est-il passé en 1939 au cours de l’expédition de P-E. Victor, pourquoi, avant de disparaître, l’un des guides leur a-t-il donné ce tambour, de quel message était-il porteur ? Que racontent les joïks, ces chants traditionnels que chante le sympathique vieil oncle de Klemet pour sa jeune fiancée chinoise ? Que dissimule la tendre Berit malmenée depuis cinquante ans par le pasteur et ses employeurs ? Que vient faire en ville ce Français qui aime trop les très jeunes filles et a l’air de bien connaître la géologie du coin ? Dans une atmosphère à la Fargo, au milieu d’un paysage incroyable, des personnages attachants et forts nous plongent aux limites de l’hypermodernité et de la tradition d’un peuple luttant pour sa survie culturelle. Un thriller magnifique et prenant, écrit par un auteur au style direct et vigoureux, qui connaît bien la région dont il parle.

Proprio bello. Consigliato anche per saperne un po' di più sugli ultimi Sami d' Europa....

domenica 3 novembre 2013

LA TENENCIA DE LA TIERRA Y LA PAZ EN COLOMBIA

continuando con Colombia, comparto este texto de Alejandro Reyes...

Por primera vez en medio siglo, el gobierno llegó a un acuerdo agrario con las Farc en La Habana el 26 de mayo de este año. El acuerdo no agota las aspiraciones de reforma rural que las Farc quieren impulsar cuando ingresen a la democracia, pues no comprometió al gobierno a abolir el latifundio, ni prohibir la inversión extranjera en tierras, y tampoco a resolver a favor de la agricultura el conflicto de tierras con la gran minería. Pero el acuerdo sí define los parámetros de una profunda reforma rural, que el gobierno había planteado desde 2010, cuando logró la aprobación de la ley de víctimas y restitución de tierras y un proyecto de ley de tierras y desarrollo rural que le da un vuelco a la política agraria con enfoque multisectorial y territorial, actualmente en consultas étnicas.

Dicho de otra manera, porque el gobierno había reconocido la crisis del campo, agravada por la guerra interna, y había planteado las tareas necesarias para superarla, fue posible tender un puente de oro para establecer las bases de un acuerdo para poner fin al conflicto armado, con la guerrilla que justificó su lucha de cinco décadas con un programa agrario de reivindicación campesina.

De hecho, las Farc iniciaron esa reingeniería desde hace varios años, al reducir el tamaño de sus frentes y trasladar combatientes a la acción política en sus zonas de influencia. Su apuesta es que pueden capitalizar en organización social y política entre el campesinado, los trabajadores y estudiantes, lo que consideran su acumulado histórico de lucha militar contra el Estado, para disputar un día el poder, por vía electoral, a la burguesía.

En la base campesina de población, arruinada por el desplazamiento y el despojo, con sus líderes perseguidos y sus organizaciones disueltas, ha ido surgiendo en los últimos años un impulso de organización, expresión de sus demandas y búsqueda de reconocimiento, que se conjugó en la movilización agraria de agosto 19, que bloqueó durante casi un mes el transporte de alimentos a varias capitales, incluida Bogotá.
La activación de esta energía colectiva ha sido posible por las enormes ganancias en seguridad de los últimos años, desde la desmovilización de los paramilitares entre 2005 y 2006, el repliegue de las guerrillas de muchas regiones y el combate a las bandas criminales, que están reduciendo el miedo que la paralizaba.

Aunque la recuperación del control territorial por el estado sea solo parcial, y falte mucho para lograr la seguridad ciudadana en ciudades y campos, el sentimiento que domina en muchas regiones es que se levantó la cortina de terror que silenciaba a la población campesina, que ahora puede plantear sus reclamos, durante tanto tiempo postergados. El inicio de un serio proceso de paz refuerza la esperanza de cambio de las condiciones insoportables de vida y anticipa el posconflicto. En la Habana se está transformando el conflicto armado en un conflicto social con reglas democráticas. El proceso de cambio rural cuenta ahora con el protagonismo de la población rural en vías de organización y movilización creciente, que llegó para quedarse.

En la movilización campesina que se inició el 18 de agosto hubo participación activa y grupos de choque beligerantes contra la fuerza pública provenientes de organizaciones rurales cercanas a las Farc, como Marcha Patriótica, pero la movilización desbordó el activismo y convocó a miles de campesinos que reclamaron su propia representación y vocería. Una gran parte de la población rural, que quiere salir de la violencia, rechaza ser identificada y seguir las directrices de las guerrillas, y algunas de las regiones donde el paro tuvo mayor apoyo fueron aquellas donde su influencia es marginal, como Boyacá y Cundinamarca.

Relacionado con el Acuerdo Agrario con las Farc, el gobierno planteó, como respuesta a la movilización rural, un pacto por el agro y el desarrollo rural. El pacto debe transformarse en la creación de instancias de diálogo y participación organizada y representativa en todo el mundo rural, desde las veredas y municipios hasta los departamentos y territorios, para impulsar la reforma de la tenencia de la tierra y el desarrollo rural.

La tarea que le espera al país en el mundo rural es enorme, pero todas las condiciones para realizarla se están reuniendo finalmente. El cambio climático impulsa a ordenar mejor la población en el territorio, para retirarla de áreas de riesgo ambiental. La crisis alimentaria mundial exige aumentar la agricultura a expensas de la ganadería extensiva, mejorando el uso del suelo. La superación de la pobreza rural requiere focalizar la inversión social en el campo. El cumplimiento del acuerdo de paz hace necesaria una fuerte intervención estatal para dar acceso a tierras y bienes públicos a la población rural. Finalmente, la activación de un nuevo movimiento social surgido de organizaciones locales del campesinado aporta la energía colectiva para cambiar las relaciones de poder en los territorios rurales, contra la oposición que harán las elites tradicionales y emergentes que monopolizan la propiedad rural.

Esta tarea exige fortalecer la capacidad del estado para titular, registrar, gravar con impuestos, clarificar, recuperar las tierras públicas ilegalmente apropiadas y distribuir a quienes no tienen o tienen muy poca. El año entrante se hará un nuevo censo agropecuario, que el país no ha hecho en 42 años, y pronto se hará un nuevo catastro rural con última tecnología, para disponer de las herramientas de información necesarias para la reforma rural. Otra decisión importante es que se creará una jurisdicción agraria, que aplique el derecho agrario y no el civil, como ocurre hoy en manos de la justicia ordinaria, para resolver conflictos de tenencia y formalizar ese 40% de la pequeña producción que carece de título formal.

Entender los problemas de gobernanza de la tierra en Colombia requiere un poco de historia. La ocupación del territorio productivo ha sido un proceso de siglos, para dominar una abigarrada topografía difícil de comunicar por carreteras. Los valles interandinos fértiles fueron rápidamente monopolizados por una elite terrateniente que se apropió de los extensos baldíos que había a comienzos del siglo 20, relegando a los campesinos a colonizar nuevas tierras con la técnica primitiva de tumba y quema del bosque. Igual ocurrió en la extensa planicie de la Costa Caribe y en las tierras fértiles de los Llanos Orientales.

Esas elites propietarias han logrado conservar un sistema legalista y anacrónico de acreditación de la propiedad de la tierra, refractario a la modernización del catastro y registro de propiedad, y cuentan con una sobre-representación en el Congreso, por la vía del clientelismo, que ha logrado impedir o desvirtuar los intentos de reforma agraria que emprendieron gobiernos reformistas, como el de Alfonso López Pumarejo, entre 1934 y 1938, y el de Carlos Lleras Restrepo entre 1968 y 1970.

La actual coyuntura ha cambiado los parámetros políticos del problema. Las antiguas elites terratenientes se han mezclado con los empresarios de las drogas, que se volvieron terratenientes, un tercio del campesinado ha sido violentamente desplazado y despojado de sus territorios, las guerrillas se disponen a impulsar las demandas campesinas de cambio, y lo más importante, los campesinos han resuelto participar para cambiar las cosas a su favor, después de varias décadas de impotencia y persecución.

Colombia se prepara para pasar, en lenguaje de Douglas North, de ser una sociedad de acceso limitado a una de acceso abierto, que implica generalizar los derechos de propiedad a toda la población, subordinar los privilegios de las elites territoriales al interés general, para eliminar la captura de rentas de la tierra, multiplicar las organizaciones sociales y finalmente, garantizar que las fuerzas de seguridad del Estado protejan un orden democrático y no señorial, sobre todo ahora que están en retirada los señores de la guerra.

Ese cambio sistémico es la oportunidad histórica que ofrece la paz con las guerrillas, que crea el contexto democrático para adelantar la profunda reforma rural, que es la gran tarea pendiente del desarrollo en Colombia. Esa reforma debe cerrar la expansión de la frontera agraria, formalizar la pequeña propiedad, restituir las tierras despojadas, recuperar para la nación los baldíos ilegalmente apropiados, extinguir el dominio de las tierras ociosas y del enriquecimiento ilícito, distribuir tierra a campesins sin ella o con muy poca, sanear de ocupantes las reservas naturales y las tierras de minorías étnicas, relocalizar población fuera de las zonas de grave riesgo ambiental, crear mercados de tierras no rentísticos, aumentar los impuestos sobre la tierra en forma progresiva con su valor, para estimular el uso adecuado de la tierra, y, finalmente, como un objetivo que lo resume todo, aumentar la densidad de población rural en las mejores tierras cercanas al mercado, con infraestructura y servicios, y reservar para el desarrollo empresarial de gran escala las áreas con menor densidad de población, como la altillanura del Meta y Vichada

Colombia, un viaggio nel tempo



Arrivo a Bogotà avendo fra le mani un libro di un amico di lunga data, che tratta dell’esproprio delle terre ai contadini e popoli indigeni del paese, nel quadro di quella che si è soliti chiamare la Violenza.

Le interviste con alcuni dei lider delle Autodefensa, in particolare i fratelli Castano, morti tutti e due nel frattempo, rendono bene l’idea del medio evo nel qualde si dibatte questo paese, così ricco e così povero.

Uno Stato centrale debole, che non è mai riuscito ad affermarsi completamente tanto che, ancora oggi, si dice che il perimetro della Nazione sia più grande el perimetro dello Stato, a significare quanto poco sia sotto il controllo del potere centrale. Vassalli e valvassori locali si sono erti a potere statale, attraverso il controllo della violenza. Paramilitari e narcos da un lato, varie guerriglie dall’altro, un po’ di militari e di polizia per completare il quadro, il tutto in un mixer di violenza e ideologia (da tutti i lati) dove gli unici a rimetterci sono stati da sempre i poveracci del campo. Sono oltre settant’anni che la storia va avanti, con alti e bassi, ma con l’unico risultato sicuro che oggi la terra è più concentrata in poche mani di quanto non fosse agli inizi degli anni 60. Governi deboli e spesso collusi col malaffare, un’incapacità di controllare i militari e la polizia e, ovviamente, uno zero assoluto rispetto ai potentati locali che regnano in signori incontrastati su terre che alla fine nemmeno sanno usare.

Fanno allevamento bovino, cioè l’attività che richiede meno capacità impresariale e meno capitale. Tanto lo scopo principale era di lavare denaro sporco per cui, anche pagando care le terre, dato che poi non ci pagano tasse sopra, a quel punto anche non far nulla va bene lo stesso. Una classe di latifondisti prima, soppiantati in molti casi dai narcos che hanno approfittato della violenza della guerra civile per mettere le mani su immense estensioni territoriali. Non riescono ancora ad entrare negli altri settori produttivi, per cui si parcheggiano lì, in attesa di, pian piano, essere accettati nei salotti buoni. Nel frattempo le guerriglie si esauriscono, ridotte oramai a bande di banditi senza arte ne parte, trafficanti come i narcos che dicono di combattere. Violenza e paura hanno cacciato via milioni di colombiani dalle loro campagne e adesso tutte le città sono intasate di bolsoni di povertà indicibile. I movimenti sociali sono stati laminati, risucchiati in un’ottica di violenza dove le loro aspirazioni non trovavano posto, ne da una parte ne dall’altra, sorpassate da esigenze di guerra guerreggiata. Oggi non esiste un movimento nazionale, una oprganizzazione sociale capace di rappresentare questi settori, lo Stato si barcamena con promesse di rimetter mano alla questione agraria ma, arrivati oramai all’ultimo anno del Presidente uscente, i risultati non si vedono.

Alejandro nel suo libro ricorda che non può esserci via d’uscita dalla violenza senza la fondazione di nuove identità e diritti collettivi per ridefinire il quadro dei rapporti sociali con mezzi non violenti. Senza qusta ricostruzione sociale, di cui non si vede l’ombra a dire il vero, la violenza guerrigliera potrà anche finire, per trasformarsi in semplice banditismo, ancor più difficile da controllare. Nel frattempo, questo sistema agrario che elimina lavoro e non produce nulla a parte un po’ di carne, rischia solo di aumentare ancor di più le tensioni urbane a cui sono sottoposte oramai non più solo le classi medie ma anche quelle stesse classi ricche che fra poco dovranno emigrare se vogliono godersi in pace il frutto delle loro rapine.

Chiudo ricordando alcune riflessioni di Alejandro: “El requisito de la paz es que el Estado recupere su soberanía como responsable del interés general en la administración del territorio; que proteja la propiedad legitima y recupere para la nación la ilegitima; que distribuya la tierra a los campesinos; que proteja las reservas naturales, los territorios indígenas y negros, y que aumente la productividad agraria y la eficiencia de las comunidades y del Estado local”.