Nell’invitare chi avesse accesso a Netflix a guardare il documentario (in 5 parti) sui fatti dell’11 settembre (The Turning Point), alcune riflessioni maturate in questi anni mi vengono in mente e le metto in questo post.
Come emerge bene dal documentario, la domanda che gli americani si sono fatti subito dopo gli eventi, e che sembrano ancora porsi oggi, è: perché ci hanno colpito? Cosa gli abbiamo fatto?
Decenni fa, quando la guerra fredda era ancora l’elemento portante del nostro mondo, l’idea di rispondere all’invasione sovietica dell’Afghanistan era sembrata ovvia a tutti i governi occidentali. Chi più chi meno, tutti hanno trovato normale quello che gli americani si prestavano a fare a nome dei “nostri” valori occidentali, cioè finanziare come un pozzo senza fondo, le guerriglie islamiche presenti nel paese, fornendo loro tutto l’appoggio materiale, economico, logistico, di formazione, che sarebbe durato finché non avrebbero cacciato l’invasore. Che questo sia costato un occhio della testa, non interessa in questa discussione. Interessa invece, e molto, il fatto che gli americani (e noi occidentali, in quanto loro sodali) siano partiti lancia in resta senza una sola strategia sul cosa fare dopo (come confermano gli esperti interrogati nel documentario di cui sopra). Che vincessero o perdessero, il futuro non importava, si sarebbe visto al momento.
I sovietici sono stati mandati a casa (gennaio 1989) e a quel punto le varie guerriglie (almeno 7 gruppi diversi, tutti islamici, dai moderati agli estremisti) hanno preso il potere e iniziato immediatamente una guerra civile interna per decidere chi dovesse comandare. Ben Laden era presente, ma come uno degli attori ancora marginali.
Quell’anno, il 1989, segna anche la fine dell’URSS e il “trionfo” del Nuovo Ordine Mondiale che i neoliberali americani vanno presentando al mondo intero come il nuovo futuro, fatto e ordinato in funzione del dio mercato e di una visione materiale e individualista del mondo, su modello americano. In Italia eravamo quasi alla fine del decennio conosciuto come quello dell’edonismo reaganiano, e poco dopo avremmo iniziato a svegliarci col mal di testa.
Il 1990 lo ricordiamo perché nel quadro di un nuovo mondo dove quel che conta è la forza, anche Saddam Hussein decide di giocarsi la sua partita, invadendo il Kuwait. La reazione americana e inglese è immediata e le loro truppe sono inviate immediatamente a “salvaguardare” i luoghi sacri dell’Arabia Saudita, cioè i pozzi di petrolio.
Arriva così, caduta dal cielo, la giustificazione tanto cercata da Bin Laden, il teorico che russi e americani uguali sono, dato che quello che vogliono è controllare i paesi altrui per avere accesso alle loro risorse per il benessere delle loro popolazioni. Quindi, così come era doveroso battersi contro i sovietici, sostiene Bin Laden che sia necessario fare lo stesso contro gli americani, dichiarando la guerra santa.
Non avendo idea di cosa fare in Afghanistan dopo la cacciata sovietica, gli americani si concentrano sulla nuova guerra contro Saddam, vinta in pochi giorni, rimandandolo a casa sua. Ma intanto il pensiero di Bin Laden cominciava a fare strada.
Ecco allora cominciare la serie di attentati, in particolare quello alle torri gemelle del 1993, organizzato da quello che è considerato come il mentore storico di Bin Laden. Le torri non cadono, e quando questo viene detto in faccia all’attentatore, questi risponderà: avessi avuto più soldi, non sarebbero lì oggi.
I Talebani, avendo battuti tutti gli altri gruppuscoli, prendono il potere nel 1996, pattuando una protezione a Bin Laden in cambio di una promessa di tenersi buono.
Tre anni sono necessari a quest’ultimo per preparare l’attentato dell’11 settembre. I morti sono 3000 e l’impatto è mondiale, epocale.
La risposta immediata è dichiarare guerra all’Afghanistan, e in pochissimo tempo i talebani sono cacciati dal potere. Stessa storia di prima, nessuna strategia chiara sul dopo, a parte una visione ideologica che permeava le alte sfere americane: imporre la democrazia, intesa come regole e istituzioni calate dall’alto, senza radicamento storico locale, allo scopo di rendere presentabile il paese al mondo intero.
La forte presenza militare assicura, nell’immediato, una stabilità e una sicurezza nuova nel paese. Ma non dura molto, dato che nella voglia di vendetta cieca, viene dichiarata guerra all’Irak sulle base di false affermazioni dell’amministrazione Bush appoggiate da Tony Blair (il famoso socialista britannico, teorico della terza via, quella militare? Mi chiedo io). Mantenere due guerre aperte costava troppo anche per loro, per cui buona parte delle truppe americane in Afghanistan vengono spostate in Irak. In questo modo viene lasciato spazio ai vari gruppetti islamici afghani, in particolare ma non solo, i talebani, di riprendere coraggio e iniziare di nuovo la lotta di liberazione, questa volta contro gli americani, per cui vengono a trovarsi alleati naturali di Bin Laden, oramai assunto a leader mondiale degli islamici duri e puri.
I disastri combinati in Irak, con le foto di Abu Ghraib e i comportamenti dei soldati americani, associati alle immagini e prime informazioni sulle torture che venivano inflitte ai prigioneri a Guantamano, migliaia di persone arrestate senza mandato e rimaste per anni, decenni, in carcere senza nessuna incolpazione formale, il tutto contribuisce a mettere benzina sul fuoco anti-occidentale (e anti americano in particolare).
I miliardi spesi in Afghanistan per mantenere al potere un gruppo corrotto ai massimi livelli, senza che si vedano benefici alcuni per la popolazione, i massacri compiuti dalle nuove tecnologie (droni) che Obama manda in quantità industriale, insomma gli elementi per capire perché li odiano tanto, li hanno costruiti da soli, uno dopo l’altro, paese per paese e giorno dopo giorno.
Adesso che hanno perso in Syria, in Irak manca poco, e dall’Afghanistan hanno dovuto scappare in tutta fretta, resta sulla scena un mondo dove l’odio verso il mondo occidentale è molto più presente di prima, la paura di affrontare la grande potenza (e i suoi alleati, noi) non è più un fattore limitante, le armi a disposizione sono infinite e, soprattutto, il sistema di valori che noi abbiamo venduto come universali è oramai talmente intaccato dalla sporcizia americana che diventa sempre più difficile difenderlo. Ecco quindi che si alza il mondo cinese e i suoi alleati, per dire che la visione occidentale della democrazia era una visione di parte, che può magari andar bene da loro, ma altrove non può funzionare e che quindi altri modelli, come quello cinese, hanno lo stesso diritto di esistere (ed essere esportato) che il nostro.
I rapporti di forza sono cambiati: i russi si sono tirati fuori a buon mercato da questo casino, fingono di giocare ancora nella corte dei grandi anche se in realtà sono periferici in (quasi) tutto, mentre chiaramente chi darà le carte è l’unica super-potenza che può dirsi immune da tutto ciò, i cinesi.
Che fosse il mondo americano, con i suoi valori di individualismo, finanza e mercato ad essere questionabile, la loro boria di imporre la loro visione senza ascoltare nessuno, questo non lo hanno ancora capito, cosa che mi fa concludere pensando che gli anni a venire saranno solo peggio (non solo per noi occidentali) di quelli appena passati. Con l’acqua sporca americana si butta via anche il bambino del sistema di diritti, di uguaglianza davanti alla legge, tutti principi che noi europei avremmo potuto difendere avendo una posizione nostra, indipendente, ma che non abbiamo fatto. Le ragioni sono molte, e basta vedere come non faccia passi avanti una strategia europea per le migrazioni, per capire che oramai anche noi siamo incapaci di trovare un punto di caduta europeo comune, al di fuori della moneta unica.
Peccato, decenni passati per nulla, e un futuro che non promette nulla di buono.