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lunedì 27 febbraio 2023

2023 L10: Marguerite Yourcenar - Memorie di Adriano

 

Einaudi Super ET, 2014

«Mi sentivo responsabile della bellezza del mondo», dice di sé Adriano, un personaggio cosí raffinatamente calato nella sua epoca, eppure cosí vicino al tormento di ogni uomo, di ogni tempo, nell'accanita ricerca di un accordo tra felicità e logica, tra intelligenza e fato.

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Ogni tanto ritornare alle letture di un tempo fa sempre bene

martedì 21 febbraio 2023

L’inutilità storica di queste sinistre


 Cresciuto nella periferia del pensiero “di sinistra”, ho tanto sentito parlare e un po’ anche letto, di queste “magnifiche sorti e progressive” che la rivoluzione socialista avrebbe portato a tutte le genti del mondo. I partiti che indossavano questa pelle ci parlavano di quanto questo mondo nuovo sarebbe stato migliore dell’attuale, dall’alto di una supposta superiorità intellettuale condita con una boria stile D’Alema.

 

Con gli anni, alla loro sinistra si svilupparono tanti gruppi e gruppetti uno più rivoluzionario dell’altro (penso per esempio a Lotta Continua, Potere Operaio, il gruppo del Manifesto e poi le varie Avanguardie, Lotta comunista e chi più ne ha più ne metta) che vivevano della luce riflessa della critica al partito comunista, promettendo lotte sempre più rivoluzionarie per cambiare il mondo. Inneggiavano alla Cina di Mao, ai Vietcong, al Che Guevara e a Castro, con slogan che, a dirli oggi, ti prenderebbero per matto: Lenin, Stalin, Mao-Tze-Tung… con bandieroni immensi con queste tre teste a guardare il sol dell’avvenire.

 

Si parlava a vanvera perché nessuno era mai andato in quei posti e comunque non aveva nessuna voglia di capire realmente cosa fosse successo. Poi arrivò Solgenitsin col suo Arcipelago Gulag per cominciare a rompere il muro d’omertà su cosa succedesse realmente nella Russia Sovietica. Pian piano emersero anche gli “errori” di Mao, con i suoi 30 milioni di morti dovuti al gran salto in avanti… e, dal crollo del muro di Berlino, fu chiaro che per le sinistre (italiane ed europee) era arrivato il momento di ripensarsi seriamente.

 

Quasi nulla venne fatto, a parte cambiare nome una, due, cento volte. Grazie a Dio arrivò Mani Pulite a mettere a terra il sistema di corruzione imperante, che fece pagare il prezzo maggiore ai due partiti che si fecero prendere con le mani nel sacco (DC e PSI), lasciando l’ex-PCI ai suoi trastulli identitari. 

 

La fusione tra le due chiese (DC e PCI), permise di non evitare di analizzare profondamente la propria interpretazione della società e del mondo. Iniziò così la stagione del rifugiarsi in una visione sempre più sbilenca, senza un passato e senza un futuro che non fosse quello di andare al governo ed occupare posti di potere.

 

I gruppetti della sinistra pretenziosa si erano sciolti come neve al sole e la spinta radicale che iniziava ad arrivare dal mondo femminile venne zittita ancora una volta dagli intellettuali sinistrorsi.

 

Già agli inizi degli anni 70 brave e conosciute specialiste avevano cercato di porre il problema di quale società si volesse costruire sulle basi di un patriarcato violento che esercitava un potere assoluto sulla vita, la cultura del mondo femminile.

 

Fu un grido inascoltato, e si continuò così nella spirale di una sinistra non più sinistra (oramai sinistra-centro e poi, sempre più, centro-sinistra) che aveva sempre meno da dire alla società intera e nulla del tutto al mondo femminile. 

 

I pochi, ma concreti, passi avanti che la società italiana compì in questo periodo storico furono sempre dovuti a forze esterne sia alle due Chiese (DC e PCI) e ai movimenti della sinistra rivoluzionaria. Per dirla meglio: si realizzarono contro le opposizioni di questi gruppi. 

Non avendo più nessuna visione e nessun sistema di valori da difendere, queste sinistre (sinistre-centro, centro-sinistre…) si beccarono in pieno la sberla portata dal neoliberalismo Thatcheriano e Reaganiano, basato sull’individualismo più sfrenato (che tanto piaceva ai socialisti di Craxi e De Michelis). Fu lì che nacque, per colmo della storia, la futura stagione dei diritti civili, LGBT e altro, dove l’individuo e i suoi diritti venivano a far presa in una sinistra che non aveva null’altro da proporre.

 

Ma restava sempre un cerotto per curare un tumore e difatti l’effetto di questa ondata di “diritti” sul motore interno delle sinistre è stato praticamente zero. Si è continuato a vedere una metà del mondo, quello maschile, assieme a piccole minoranze, importanti certo, ma che non contribuivano a fare una visione d’assieme. Inoltre, l’enfasi sulla questione “diritti” ha fatto dimenticare i “doveri”, l’altra faccia della medaglia che la sinistra non sapeva, e non sa, coniugare.

 

Se mia nonna avesse avuto le ruote, sarebbe stata un carretto si diceva dalle mie parti quando ero piccolo. Se le sinistre non fossero state così cieche e ottuse nella loro visione politica, avrebbero potuto vedere, ascoltare e dialogare con chi portava un messaggio nuovo proveniente dall’altra metà del mondo. Avrebbero capito che l’insistenza sulla questione domestica era centrale, anche per quegli intellettuali che continuavano a far partire l’origine del mondo dal Capitalismo. Non capivano che, anche in questa visione ristretta e sbagliata, lo sfruttamento domestico era la chiave sia per una riproduzione della manodopera di cui il capitale aveva bisogno, a costo quasi zero, ed anche la valvola di sfogo per quegli operai imbruttiti dal lavoro ripetitivo in fabbrica, che potevano poi tornare a casa e trovare un ambiente dove comandavano loro, così da poter sfogare i loro bassi istinti sulle loro compagne e spose. La saggezza maschilista veneta riassumeva questo con un: Femena, vien chì che te doparo!

 

Siamo così arrivati ai giorni nostri, dove le sinistre, cacciate dal governo nazionale e regionale, continuano per la loro strada senza meta e senza visione. Continuano a non vedere le ragioni di fondo dello sfruttamento, che inizia col patriarcato supportato dall’istituzione famiglia e messo sotto controllo dalla religione cattolica, e quindi non capiscono perché i giovani, maschi e femmine che cominciano a volere un mondo diverso, con più uguaglianza e dove anche i maschietti cominciano a prendere la loro parte di “doveri” nella sfera domestica, non seguano più questi partiti di vecchi che guardano al futuro con la faccia rivolta al passato remoto.

 

Lo scioglimento del PD sarebbe stata un’occasione d’oro per ribattere le carte e magari iniziare a cercar di capire la questione di genere a partire non dal capitalismo, ma da ben prima; capire che si tratta di una questione strutturale per le nostre società, del nord e dei Sud, e che non riguarda solo le donne, ma anche noi maschi. 

 

Nulla di questo è successo, adesso arriverà Bonaccini, quello che vuole l’autonomia differenziata assieme ai leghisti di Lombardia e Veneto, per cui l’unica cosa di cui siamo sicuri è che con loro non c’è nessuna speranza. Bastava leggere il programma di Damato nel Lazio, oppure quello della lista Progressisti (SI e ambientalisti) per vedere come non ci fosse la minima attenzione a queste tematiche chiave per il nostro futuro.

 

Lasciare il dominio patriarcale al maschio alfa ha portato solo e sempre guerre, violenze e sopraffazioni. La parola dominio è stata la prima parola imparata da questo maschio alfa, dominio sui più deboli, a cominciare dalle donne, e dominio sulla natura. Pensare all’utopia di una transizione ecologica senza aver abbattuto il maschio alfa è solo l’ennesima fregatura che ci viene proposta.

 

Basta! Dobbiamo liberarci di queste sinistre inutili (e oramai anche dannose) e cominciare a costruire qualcosa di diverso, a partire dal principio di base dell’uguaglianza nella differenza. Non è un ossimoro alla Aldo Moro (quello delle convergenze parallele), ma il riconoscimento che un’agenda politica di sola uguaglianza porterebbe ancora una volta a uniformare il mondo femminile a standard decisi dal maschio. Le donne sono diverse, dobbiamo accettare questa verità di base; sono sfruttate per mille ragioni che si intrecciano tra loro in una intersezionalità che complica la loro situazione. Ma dobbiamo cercare uno (o più) cammini da esplorare assieme, uguali, ma differenti.

 

Ma fuori dalle gabbie politiche che vengono offerte ai giorni nostri dalle varie sinistre.

lunedì 13 febbraio 2023

2023 L9: Jean Failler - Casa del amor

 


PALÉMON ÉDITIONS 2010

Voilà que Mary Lester s'éloigne de ses bases ! Requise par son ami Mertens, devenu conseiller du ministre de l'Intérieur, elle pousse jusqu'en Vendée, sur l'île de Noirmoutier, pour traiter une affaire délicate : un cas d'empoisonnement dans la résidence d'été d'une personnalité politique de premier plan. Evidemment il lui faudra marcher sur des oeufs, ces VIP ont l'épiderme sensible et tiennent plus que tout à la discrétion, craignant que la presse s'empare de l'affaire. Après une arrivée plus que délicate sur l'île, la voici donc à pied d'oeuvre dans un décor de rêve. Cependant l'envers de ce décor se révélera vite nettement moins reluisant qu'un environnement de carte postale le laissait supposer et il lui faudra faire preuve de beaucoup d'intuition et de doigté pour se sortir sans dommages d'une situation particulièrement délicate.

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Lettura da bordo piscina, tranquilla...

venerdì 10 febbraio 2023

È ora di finirla col “charitess”


 Charitess è un neologismo che ho inventato, facendo una crasi di charity e di business, le due facce della medaglia del mondo della cooperazione allo sviluppo.

 

Da quando Eleonor Roosevelt si impietosì per la sorte dei milioni di persone affamate (fine della seconda guerra), ne è passata di acqua sotto i ponti. L’industria dello “sviluppo” aveva bisogno di un catalizzatore, e la signora Roosevelt lo servì su un piatto d’argento.

 

Si inventò il concetto di “sviluppo” e di “terzo mondo”, configurando così una corsa truccata dove tutti erano costretti a partecipare, a partire da posizioni iniziali dettate dalle forze economiche e politiche del Nord (erano loro a decidere i criteri per classificare chi era “sviluppato” e chi “in via di sviluppo” o, meglio, “sottosviluppato”). Il percorso era anche quello stabilito dal Nord, cioè il mercato truccato che favoriva sempre gli stessi. Per chi volesse approfondire questo tema può andare direttamente al libro “Encountering Development” di Arturo Escobar, disponibile liberamente sul web.

 

La filosofia dell’approccio proposto/imposto era un Giano bifronte: da un lato la crescita, produrre di più a costi sempre minori, sulla base della teoria ricardiana dei vantaggi comparati, così da favorire il lato A della medaglia, il business, e dal lato B, l’elemosina da fare a quelli che si perdevano per strada o che nemmeno potevano partecipare alla corsa: la carità che tutte le religioni hanno sempre raccomandato. Non è detto che tutti quelli che facevano business facessero anche la carità, e viceversa, mail principio era quello: togliere dai Sud le ricchezze (che, ovviamente, loro non sapevano sfruttare – faccio notare il verbo) sotto forma di materie prime, plus-valore del lavoro umano, manipolazione dei mercati, così che lo scambio fosse sempre a favore del Nord, e ricambiare con qualche briciola per mostrare la compassione dei dominanti sui dominati. 

 

Dalla compassione si passò poi all’impegno per “sviluppare” questi Sud, secondo regole, istituzioni e dettami da noi prodotti ed imposti: la nascente industria della cooperazione allo sviluppo. L’esempio più eclatante per noi italiani fu la famosa legge, promossa dai radicali di Marco Pannella, contro lo “sterminio per fame nel mondo” nel 1985 (https://www.radioradicale.it/scheda/187068/approvata-la-legge-contro-lo-sterminio-per-fame-nel-mondo-conferenza-stampa?qt-blocco_interventi=1). Una montagna di soldi per aiutare i morti di fame, da elargire essenzialmente alle ONG (italiane), invece di rafforzare i sistemi di salute, educazione e alimentazione nazionali, mentre in parallelo, con volumi d’affari molto più grandi, le nostre compagnie tipo l’ENI, continuavano a prelevare le risorse locali pagandole a prezzi stracciati. Sia ben chiaro, noi non siamo stati peggiori di altri, praticamente tutti i paesi dell’area OCSE hanno finanziato la loro industria della cooperazione, via ONG o agenzie governative di sviluppo, mentre parallelamente continuavano le ruberie delle risorse locali.

 

Le nazioni unite, la banca mondiale, il fondo monetario e, più tardi, la pletora di associazioni e ONG, nascono sotto questa stella: promuovere lo sviluppo, “combattere” la povertà e la fame, mentre, in parallelo, continuava lo scambio diseguale così ben descritto da Samir Amin (https://www.gallimardmontreal.com/catalogue/livre/l-echange-inegal-et-la-loi-de-la-valeur-amin-samir-9782717815726). La mia ex-organizzazione in particolare, la FAO, ricevette il mandato (ma non le risorse) per combattere la fame, apportando quanto minimamente necessario per stimolare la produzione agricola in senso lato.

 

Si partiva da una scarsa chiarezza di cosa si intendesse per sviluppo: ognuno interpretava questa parola a modo suo, lasciando aperti lo spazio per qualsiasi deriva. Così come era successo con le parole di Gesù, sceso sulla terra per rivoluzionare il mondo dell’epoca, schierandosi a favore dei deboli e degli indifesi, parole che poi diventarono la guida di crociate contro dei “nemici” inventati e, peggio ancora, la guida spirituale dei genocidi commessi nel nuovo mondo; lo stesso che successe, in tempi vicini a noi, con la filosofia dell’eugenismo, che gli iniziatori pensavano potesse aiutare a migliorare la razza umana, per finire nei campi di concentramento e nei forni hitleriani, ecco, la parola sviluppo, nata sulla spinta di Eleonor Roosevelt, ha finito per rafforzare meccanismi di esclusione, impoverimento e sottomissione che trovano la loro traduzione matematica nei quasi due terzi della popolazione mondiale con un reddito inferiore ai 10 dollari giornalieri e con quasi 900 milioni di persone che soffrono la fame.

 

La manipolazione propagandistica messa in atto parallelamente da parte delle stesse forze che promuovevano quel modello, è servita per far credere a tante persone che ci si batta sul serio per migliorare le condizioni sociali, economiche e, adesso, ecologiche, dei più poveri ed emarginati. Il che non è assolutamente vero.

 

La prima tappa di questo percorso, la potrei intitolare: Basta prenderci per i fondelli! Ed è spiegata in maniera più esaustiva nel libro La crisi agraria ed eco-genetica spiegata ai non specialisti, che ho pubblicato con Meltemi nel 2020. In quel libro illustro il processo di trasformazione dei contadini in operai-massa e la sottomissione delle agricolture del Sud, nonché le tappe iniziali del processo di accaparramento delle risorse eco-genetiche da parte di attori sempre più smaterializzati e pericolosi.

 

Lo scopo dichiarato di quel libro resta quello di spiegare, in modo serio, semplice e comprensibile, come mai siamo arrivati al mondo attuale e alle sue crisi.

 

Scendendo di un livello, oltre venti anni fa, assieme a un gruppo di colleghe/i dentro e fuori l’organizzazione FAO, iniziammo a proporre il primo passo di una strada diversa, complicata, senza certezze di successo, ma che voleva da un lato togliere la benda dagli occhi di chi promuove approcci “partecipativi”, troppo spesso diventati della pura e semplice manipolazione, e dall’altro promuovere un nuovo protagonismo delle attrici ed attori all’interno dei territori nei quali vivono, operano e confliggono. Le due versioni successive dell’approccio negoziato allo sviluppo territoriale (PNTD, 2005 e GreeNTD, 2016) erano altri passi verso la costruzione di una visione più realista della situazione, dei problemi, di chi li deve affrontare ogni giorno e di quali fossero le variabili chiave da affrontare.

 

Siccome volevamo facilitare la diffusione di questi approcci all’interno di una organizzazione restia ad occuparsi dei veri problemi del “sottosviluppo”, per anni abbiamo insistito sul passaggio da partecipazione alla negoziazione e sugli aspetti più concreti di come promuovere un dialogo-negoziazione, lasciando più in sordina altri temi scottanti, uno in particolare. Dopo un po’ di anni abbiamo deciso di passare alla velocità superiore, iniziando a ricordare, in maniera sempre più esplicita, la questione centrale delle dinamiche (ed asimmetrie) di potere che, se non affrontate, rischiano di trasformare qualsiasi proposta di intervento in un’altra forma di manipolazione a favore degli “usual suspects”.

 

Aprire il vaso di Pandora delle dinamiche di potere portava inevitabilmente, per chi abbia la mente un po’ aperta, ad andare a lavorare sulla questione strutturale di queste asimmetrie che si manifestano fra le due metà del mondo: quella maschile e quella femminile. Ed è per questa ragione che gli ultimi due anni sono stati dedicati ad approfondire la questione di genere (che è una questione maschile tanto quanto femminile) nel mondo agrario, partendo dall’eterno discorso dei diritti alla terra, per ampliarlo al problema chiave: il patriarcato!

 

Quando Eva bussa alla porta, uscito a fine gennaio per l’editore Ombre Corte, aiuta a capire questo tema nelle sue varie dimensioni.

 

Si tratta quindi del secondo movimento, della lunga marcia di quello che Mazoyer chiamava: il faut savoir à quoi on joue !

 

Capire meglio che mondo è stato costruito, volutamente, dal dopoguerra ad oggi (La crisi agraria …), seguito dalle prime proposte metodologiche di intervenire in modo diverso (PNTD, GreeNTD e poi IGETI) e da una riflessione attenta alle attrici troppo spesso escluse (Quando Eva …), ci porta ad iniziare la riflessione prossima ventura, che parte da un grido nel deserto: finiamola con il charitess.

 

Ripensare il concetto di “sviluppo” dovrebbe portarci a chiarire che le priorità sono legate agli esseri umani e al loro rapporto con la natura. Combattere il patriarcato diventa la base sulla quale costruire il mondo del futuro. Rispetto e condivisione, per lavorare assieme, uomini e donne, e tutte le altre forme che ci sono nelle nostre società (LGBT…) nella diversità che ci categorizza, per fare sì che la parola progresso diventi sinonimo di nuovi rapporti umani ma anche di armonia con la natura. 

 

Le forme attuali di “aiuto”, non fanno altro che perpetuare un colonialismo morale, fatto di carità (verso chi soffre, ma senza impegnarsi per cambiare strutturalmente le cause fondanti di questa miseria), e di business per potersi accaparrare le loro risorse (non solo quelle naturali ma anche quelle umane, esempio tipico le poche persone laureate e specializzate dei Sud del mondo che vogliamo attirare a casa nostra, per palliare ai nostri deficit, scavando ancora di più un human-divide con i Sud.

 

Ecco perché bisogna smetterla con questo charitess, che è solo uno degli elementi del neocolonialismo, costruito sul patriarcato, figlio del modello capitalista e oramai catturato dalle spire della turbo-finanza mondiale.

 

Una rivoluzione che deve iniziare dal basso, centrata sul riequilibrio di genere (lotta al patriarcato in tutte le sue forme), portata avanti da uomini e donne. Rivoluzione che impone anche delle scelte di fondo nel Nord: se vogliamo creare condizioni sostenibili per le agricolture dei Sud, bisogna mettere mano alla stratosferica quantità di sovvenzioni che vengono elargite alle nostre agricolture (vedi: La crisi agraria ed eco-genetica … spiego tutto lì dentro); bisogna dare priorità ad agricolture più armoniche, con rapporti strutturalmente diversi (e più equilibrati nelle sfere domestica e pubblica) tra uomini e donne, ed anche con la natura. Insomma, non pratiche banalmente agrobiologiche o biodinamiche, ma pratiche centrate su rapporti diversi tra le persone, e quindi, su questa base, più equilibrati ed armonici con la natura.

 

Meno protezione ai nostri mercati del nord per permettere alle agricolture del Sud di trovarsi in posizioni più eque negli scambi mercantili. Ma dovremo anche ripensare il modo di vedere i Sud, come fornitori gratuiti di risorse per noi del nord. I nostri modi di intervenire, via multinazionali e asimmetrie di potere politico, contribuiscono in maniera eclatante a bloccare qualsiasi cambio societale nei paesi del Sud. 

 

Se vogliamo aiutarli sul serio, dobbiamo cambiare anche noi in modo radicale. 

 

giovedì 9 febbraio 2023

Eva, Adamo e le (possibili) origini del patriarcato

 

(post ironico)

 

Da quando siamo piccoli ci raccontano che tutto cominciò con Eva e Adamo. Stanotte ho sognato come sia andata, immaginandomi un fumetto come Tex Willer.

 

Scena 1: panorama sull’Eden, questo paradiso dove la temperatura è sempre mite e dove terra, acqua e aria non sono inquinati dalle concerie di Valdagno, dal petrolchimico di Porto Marghera o dai PFAS.

 

Scena 2: vediamo apparire questi due personaggi, nudi perché con la temperatura che fa non hanno bisogno di vestirsi. Son un po’ particolari, perché non hanno idea di essere i primi abitanti umani di questo Eden, e non hanno ricordi della loro infanzia (che non c’è stata).

 

Scena 3: chi li ha creati (maschio o femmina che sia), spera che, adesso che sono umani, si rendano conto di due cose: devo trovare da mangiare e poi imparare a riprodursi, così che da 2 diventino 3, 4 e poi tanti altri.

 

Scena 4: non succede nulla, finché a un certo punto, la donna, che chiameremo Eva, decide de prendere in mano la situazione. Prende un frutto da un albero (mela o pera o pesca non importa) e, chiamando l’altra persona (di cui non conosce il nome), glielo porge:

-       Ciò ti, mona, ciapa qua! (Eva era probabilmente di origine veneta)

-       Cossa xeo/a? (risponde il mona, o gnocco che dir si voglia)

-       El xe un pomo (seguendo la tradizione che ci è stata insegnata), magna e tasi!

-       Va ben, ciò! (e mangia il frutto, così ingerendo un po’ di energia).

 

Scena 5: Eva, che è gentile, raccoglie altri frutti, ne mangia una parte e porge il resto al mona. Lui, tutto contento, la guarda e dice: E vaiii…

Lei, non capendo bene cosa dica, sente solo la prima parte - E…va – e siccome il suono le piace, decide di considerarlo come il suo suono personale, che la identifica, insomma, il suo nome.

 

Scena 6: Eva, che adesso ha deciso di chiamarsi così, si rivolge all’altro:

-       Ciò ti, come te ciamito? Mi son Eva, capissito? E ti?

Il mona ci mette un po’ a capire, e scontento che sia sempre lei a trovare le cose nuove, le risponde in malo modo:

-       A dar via er … (con un suono decrescente di cui Eva capisce bene solo la prima parte – A…da…)

-       Te ciamito Ada cosa? Adar, Adam … non go capio ben?

Basandosi ancora sul suono, Adam suona meglio di Adar secondo Eva, per cui decide di chiamarlo Adam, che col tempo diventerà Adamo.

 

Scena 7: I due sono distesi sull’erba, con la pancia piena e cercano di immaginare cosa devono fare dopo. La creatrice, maschio o femmina che sia, non ha detto nulla in maniera esplicita, ma ha lasciato qualche piccola sensazione nel loro istinto.

Ancora una volta è Eva a prendere in man la situazione. Si rivolge a Adamo in maniera gentile e sorridente:

-       Ciò, Adamo, ma chel bigolo lì che te ghe in mezo ae gambe, cosa serveo? Meo feto tocare?

Adamo, che è un po’ gnocco (o mona, in veneto), risponde di sì.

 

Scena 8: la scena successiva è facile da immaginare, e qualche tempo dopo la pancia di Eva comincia a ingrossarsi e i due si rendono conto che dentro c’è una nuova creatura.

Adamo si mette a pensare. Ha due strade davanti a sé: la prima è quella di riconoscere che questa Eva è più sveglia di lui, ha capito come risolvere il problema della fame, poi ha inventato i nomi per loro due e adesso gli ha anche mostrato come si fa a riprodursi, ed è lei che porta in pancia la nuova creatura. Questa strada porterebbe a una armonia tra i due e i futuri discendenti, basandosi sui fatti concreti accaduti all’inizio. La seconda strada è molto diversa: Adamo, che senza saperlo si porta dentro il gene della gelosia e della superbia, non vuole accettare questo dato di fatto. Vuole essere lui a comandare, come un bambino viziato.

 

Scena 9: risultato delle riflessioni di Adamo, decide di inventare dei meccanismi per mettere in chiaro che è lui a comandare. Prima cosa, inventa la religione. Una squadra di supereroi, tutti maschi (Dio, Noè, Mosè, Gesù, Pietro, Paolo, i re Magi, il vecchio Giuseppe e tutti gli altri) che si autodefiniscono come i “padri” della chiesa (da lui inventata). Eva, che considera Adamo come un vero mona, un bambino viziato che non riesce a crescere, lo lascia fare, pensando che prima o dopo gli passerà.

 

Scena 10: i supereroi iniziano a dettare regole e a un certo punto Adamo va da Eva e le dice: queste sono le regole, adesso devi accettarle. Comando io e sarà così per sempre. La prima cosa è chiarire chi fa i lavori di base: il gruppo iniziale era cresciuto negli anni, adesso Eva e Adamo erano diventati nonni, c’erano tanti figli e figlie e la comunità cresceva sempre di più. Adamo aveva imposto che dovevano coprirsi, e qualcuno doveva quindi fare i vestiti. Bisognava anche mangiare, pulire la grotta dove vivevano, occuparsi dei bambini, insegnar loro le cose di base, lavarli, pulirli e fare loro dei vestiti. Insomma, una quantità di lavoro che cresceva ogni giorno e che, secondo le regole di Adamo e dei suoi supereroi, toccavano a Eva e alle sue discendenti.

 

Scena 11: Eva guarda verso i lettori/lettrici del fumetto e dice:

-       El me gà ciavà! In fin dei conti no gliera mia un mona, solo un cojon!

Il patriarcato era nato!

 

Scena 12: secoli dopo, siamo nell’Inghilterra del XIX secolo in mezzo alla nascente rivoluzione industriale.

Siamo a casa di un signore barbuto tedesco che vive a Londra. E’ figlio del suo tempo, forgiato dal mona-cojon de Adamo, per cui le donne non contano molto.

Lui pensa e scrive tutto il giorno: il suo tema centrale sono gli operai, i padroni e questo misterioso plus-valore. Ogni tanto, quando è proprio stanco, chiama sua moglie:

-       Femena, vien chi che te doparo! 

Il risultato, dopo nove mesi, è un’ennesima creatura della quale dovrà occuparsene lei, ovviamente.

 

Scena 13: Questo signore, assieme a suo genere, diventano famosi e le loro parole guidano rivoluzioni in giro per il mondo. 

Le donne continuano a stare in casa, salvo poche che iniziano a dire che la fregatura vera non è il plus-valore sottratto agli operai in fabbrica, ma il non riconoscimento di tutto il lavoro fatto da loro nella sfera domestica, così da garantire la “riproduzione della forza lavoro” (usando le parole del barbuto e di suo genero) a costo zero per il capitale. 


Scena 14: laddove le rivoluzioni hanno portato al potere seguaci del barbuto e di suo genero, le condizioni di vita peggiorano sempre più. Ma nessuno di quei maschi viene da pensare che forse c’era qualcosa di sbagliato all’inizio.

Altre donne, e qua tornemo nel Veneto, continuano a ribadire che el problema vero el xe dentro casa. Fin quando non se riconosse el lavoro fato dae femene, e fin quando l’omo non scomissierà a fare anca lù la so parte in casa (lavare, stirare, portar fora le scoasse, far da magnare, spareciare, broar su, spassare, far la spesa, lavorare a maja per fare vestiti novi, ocuparse dei veci e dei tosi picoli e tuto el resto), xe inutie andare in giro a parlare de rivolussion.

 

Scena 15: siamo nel 2023 … e spetemo ancora che qualcosa suceda. 

mercoledì 8 febbraio 2023

Gender Equality Index (EU) and gin@


GEI and gin@

 

In nero si trovano i “domains” del Gender Equality Index della UE. In rosso le proposte per arricchire il gin@. 

 

Principale difetto del GEI a mio avviso: la questione dello sfruttamento domestico (nelle sue molteplici espressioni, che sono tante), viene sottostimato, essendo solo uno dei 7 (o 6 se consideriamo che quello sulle violenze in realtà non entra nell’indice) domains. Nel gin@ il peso sarebbe di 1/3, cioè molto superiore. Ed essendo la sfera domestica la madre di tutte le disuguaglianze, credo sia giusto mettere in evidenza questo aspetto.

 

Chiarisco anche che il gin@ sarebbe pensato in priorità per il pubblico FAO, cioè le zone rurali.

 

GEI ha i seguenti “domains”:

 

About the domain of power

The domain of power measures gender equality in decision-making positions across the political, economic and social spheres. The sub-domain of political power examines the representation of women and men in national parliaments, government and regional/local assemblies. The sub-domain of gender-balance in economic decision-making is measured by the proportion of women and men on corporate boards of the largest nationally registered companies listed on stock exchanges and national Central banks.

 

Di questo potremmo tenere il sub-domain di gender-balance in economic decision-making, da misurare con la proporzione di donne e uomini nelle organizzazioni di villaggio/comunità, consorzi irrigui o simili. 

Ci sarebbe però da aggiungere, in termini di potere, chi controlla (e può decidere l’uso e la trasmissione ereditaria) della terra. 

Proporrei di inserire tutto nella sfera cultura.

 

About the domain of health

The domain of health measures gender equality in three health -related aspects: health status, health behaviour and access to health services. Health status looks at the differences in life expectancy of women and men together with self-perceived health and healthy life years (also called disability-free life expectancy). This is complemented with a set of health behaviour factors, based on WHO recommendations on healthy behaviour, namely fruit and vegetable consumption, physical activity, smoking and alcohol consumption. Access to health services is measured by the percentage of people who report unmet medical and/or dental needs.

 

Non sono specialista, ma credo che sarebbe difficile andare oltre “health status” che proporrei di mettere nella sfera domestica.

 

Violence domain

The domain of violence provides a set of indicators that can help the EU and its Member States to monitor the extent of the most common and documented forms of violence against women. Unlike the other domains, the domain of violence does not measure differences between women and men; rather, it examines women’s experiences of violence. The main objective is to eliminate violence against women, not to reduce gaps.

 

Qui si potrebbe pensare a misurare la proporzione di donne e uomini che hanno subito violenza coniugale. Questo andrebbe nella sfera domestica

 

About the domain of work

The domain of work measures the extent to which women and men can benefit from equal access to employment and good working conditions. The sub-domain of participation combines two indicators: participation in rates of full-time equivalent (FTE) employment and the duration of working life. The FTE employment rate takes into account the higher incidence of part-time employment among women and is obtained by comparing each worker’s average number of hours worked with the average number of hours worked by a full-time worker. Gender segregation and quality of work are included in the second sub-domain. Sectorial segregation is measured through the participation of women and men in the sectors of education, human health and social work activities. The quality of work is measured by flexible working time arrangements and job prospects. Flexibility of work is captured by the ability of women and men to take an hour or two off during their working time to take care of personal or family matters. The Career Prospects Index captures continuity of employment, defined in relation to type of employment contract, job security (the possibility of losing a job in the next six months), career advancement prospects and development of the workplace in terms of the number of employees. It is measured on a scale between 0 and 100 points, where 100 is the maximum and indicates the best job prospects.

 

L'essenziale di questa disuguaglianza è divisa fra sfera domestica e sfera pubblica: durata tempo di lavoro, durata della vita lavorativa. Molti dei sub-domains (cominciando dal basso) non si applicano al caso nostro: type of employment contract, job security, career advancement. Altri sub-settori non sembrano al loro posto: participation in the sector of education, human health and social work.  Ovviamente qui andrebbero anche tutte le attività della sfera domestica, dalla cura della casa a quella dei bambini/anziani, l’orto …, includendo quello che viene indicato nel dominio “Time” alla fine.

Propongo di metterla nella sfera domestica, per aumentare il peso della variabile.

 

About the domain of money

The domain of money measures gender inequalities in access to financial resources and women’s and men’s economic situation. The first sub-domain of financial resources includes women’s and men’s monthly earnings and income measured through two indicators. The first is mean monthly earnings from work and the second is mean equivalised net income, which besides earnings from paid work includes pensions, investments, benefits and any other source of income. Both are expressed in the purchasing power standard (PPS), which is an artificial currency that accounts for differences in price levels between Member States. The second sub-domain of economic resources captures women’s and men’s risk of poverty and the income distribution amongst women and men. Indicators included are the percentage of population not at risk of poverty (whose income is above or equal to 60 % of median income in the country) and the ratio of the bottom and top quintile by sex. The latter indicator is used to measure the level of income inequality among women and among men.

 

Questo entrerebbe diretto nella sfera pubblica.

 

About the domain of knowledge

The domain of knowledge measures gender inequalities in educational attainment, participation in education and training over the life course and gender segregation. The sub-domain of educational attainment is measured by two indicators: the percentage of women and men tertiary graduates, and participation of women and men in formal and non-formal education and training over the life course. The second sub-domain targets gender segregation in tertiary education by looking at a percentage of women and men among students in fields of education, health, welfare, humanities, and arts.

 

Tutto questo potrebbe facilmente rientrare nella categoria del potere, come un sotto settore.

 

About the domain of time

The domain of time measures gender inequalities in allocation of time spent doing care and domestic work and social activities. The first sub-domain, concerned with care activities, measures gender gaps in involvement of women and men in caring for and educating their children or grandchildren, older and disabled people, as well as their involvement in cooking and housework. The second sub-domain explores how many women and men engage in social activities. Concretely, it measures gender gaps in women’s and men’s engagement in sport, cultural or leisure activities outside of their home, combined with their engagement in voluntary and charitable activities.

 

Un altro doppione: da aggiungere a quanto detto per il dominio “Work”, così da completare la sfera domestica.

 

Riassumendo:


sfera domestica: qui entra il dominio “work” e quello “time”. Se si riuscisse ad avere qualche dato, entrerebbe anche il dominio “violence” e, infine, quello della “salute”.


sfera pubblica: qui entra il dominio “money”


sfera cultura (che potremmo rinominare “potere”: qui entra quanto detto sul dominio “power” e sul dominio “knowledge”

 

I valori delle “sfere” (domestica, pubblica e di potere), variabili da 0 a 1 (con 1 indicando la massima uguaglianza), saranno moltiplicati (invece di fare una media matematica) fra di loro per ottenere il valore finale. 

 

 

martedì 7 febbraio 2023

2023 L8: Andrea Camilleri - Le manège des erreurs

 

Fleuve Editions, 2020

Le commissaire Montalbano, toujours aussi gourmet mais désormais également préoccupé par son propre vieillissement, doit cette fois-ci s'occuper de deux affaires sans lien apparent : celle de l'enlèvement successif de trois belles employées de banque, lesquelles réapparaissent toutes miraculeusement le lendemain des faits, et celle de la disparition d'un don Juan -vendeur de matériel électronique- dont le magasin a été dévasté par un incendie peu avant.

Afin de résoudre ces deux enquêtes, Montalbano devra dissiper les écrans de fumée qui se dresseront devant lui et ne pas se laisser entraîner par des erreurs qu'il pourrait bien commettre s'il n'y prend garde.
Heureusement, le petit monde du commissariat de Vigàta, avec l'ineffable Catarella en tête, et, de manière plus inattendue, la mafia seront là pour le conseiller et le soutenir.

=
Continuo ad esser convinto che sia meglio leggerlo in italiano. Comunque la storia non è un granché e, se non fosse per la fortuna di aver trovato l'attore giusto per impersonarlo, probabilmente sarebbero finiti nel dimenticatoio, questa e molte altre storie.

Se proprio vogliamo parlare di sviluppo


 Ricordiamo ancora una volta che il concetto di “sviluppo” è una invenzione occidentale (meglio, americana) del periodo appena successivo alla fine della seconda guerra mondiale (A. Escobar. 1995. Encountering Development – The Making and the Unmaking of the Third World, Princeton University Press). Dietro la parola c’era tutta una scuola di pensiero economico e politico che voleva mettere in chiaro due punti chiave:

-       Chi era sviluppato (qualunque cosa volesse dire), cioè NOI del nord, e chi non lo era (tutti gli altri, classificati come secondo o terzo mondo); il criterio base era il livello di reddito, cioè tutto veniva centrato esclusivamente sull’economia.

-       Quale fosse la strada per diventare “sviluppati”: mettere in atto le misure che noi – sviluppati, dunque esperti in materia – avremmo dettato loro.

 

Anni dopo, Franz Fanon ci avrebbe spiegato che “il linguaggio è uno strumento di oppressione” (F. Fanon. 2007. I dannati della terra, Einaudi), aiutandoci a capire come, grazie all’invenzione concettuale dello “sviluppo”, che portava con sé la “povertà” e le indicazioni da copiare per “svilupparsi”, il nord del mondo aveva creato la gabbia ideale nella quale rinchiudere il resto del mondo.

Quindi, se vogliamo pensare a un futuro migliore e diverso, bisognerà anche liberarsi di queste catene e concetti. Sarà una strada lunga, ma prima o poi dovremo intraprenderla. Per tutti questi decenni è stato chiaro che nemmeno le forze di sinistra o progressiste, hanno mai avuto il coraggio di intraprendere questa strada. Ma, come si dice, spes ultima dea.

Di conseguenza è abbastanza realista pensare che ci vorrà ancora parecchio tempo per spezzare queste catene, per cui possiamo provare a dare qualche suggerimento iniziale. 

A questo proposito, prendendo spunto dal famoso coefficiente di Gini (misura statistica della diseguaglianza che descrive quanto omogenea o diseguale il reddito o la ricchezza sono distribuite tra la popolazione di un paese. Il coefficiente assume un valore tra 0 e 1, ed un coefficiente di Gini più elevato è associato ad una più elevata diseguaglianza), potremmo cominciare a pensare a qualcosa di simile e nello stesso tempo di profondamente diverso, che ci aiuti a misurare più da vicino il grado di diseguaglianza di genere. 

L’idea di fondo è che una umanità con ridotta diseguaglianza di genere sarà più armonica, men tesa ai conflitti e più aperta alle diversità di tutti i tipi: in altre parole, più democratica. Ripetiamo ancora che non si tratta di far diventare uomini e donne uguali, dato che siamo e resteremo diversi, ma di intraprendere un cammino che, nella diversità, ci porti a vivere e crescere assieme.

Passeremo quindi dal misurare il reddito come unità di misura a una misurazione delle disuguaglianze sociali, patendo da quella più evidente e che mette di lato il 50% della popolazione mondiale.

Propongo quindi di pensare a un indicatore (coefficiente di Gin@), articolato su tre assi principali, come riportato nella figura qui sopra:

A.    un asse dedicato alla sfera domestica

B.    un altro alla sfera pubblica (a volte detta anche sfera produttiva)

C.     e finalmente una dedicata alla sfera culturale (in mancanza di un sostantivo migliore).

Ogni asse misura, a livelli crescenti, il livello di uguaglianza. Il coefficiente combinato di questi tre assi assume un valore tra 0 e 1, dove i valori più elevati indicano maggiore uguaglianza. 

Per la sfera domestica, potremmo prendere come spunto iniziale la griglia (iniziale) che ho postato pochi giorni fa (http://paologroppo.blogspot.com/2023/01/verso-una-vera-uguaglianza-manuale-duso.html), prendendo a prestito l’interessante libro di Eve Rodsky, Come ho convinto mio marito a lavare i piatti). 

Per la sfera pubblica, esistono sicuramente già una serie di indicatori sui differenziali di reddito, di pensioni, di accesso a beni e servizi, etc. etc. Si tratterebbe di elaborare di più questi indicatori in modo da arrivare poi a una sintesi unitaria. Penso che qualche amic@ econometrista (o statistic@) potrebbe aiutare su questo tema.

Infine la sfera culturale, dove possiamo inserire l’educazione (accesso) e tante altre tematiche, come il rapporto con la natura.

Il prodotto di queste tre variabili principali (A*B*C) ci darà un valore di quanto diseguali siano le società in esame, altresì indicando, scomponendo il coefficiente nelle sue tre componenti, le tematiche principali sulle quali lavorare. In questo modo lo “sviluppo” non sarà più quello (economico) voluto dal nord, ma un qualcosa da costruire dal basso.

Questo è un post per cercare di lanciare una discussione. Il vantaggio dei tre assi principali è quello dell’immagine di un cubo, facile da ricordare e da trasmettere. Inoltre si esce dalla gabbia economica e da quella dell’unico universo possibile, per andare verso un qualcosa di più complesso che prenda spunto dalla centralità umana, vista però nei suoi rapporti dinamici privati e pubblici e in funzione di una maggior armonia con la natura.

Spero che qualcuno si manifesti così da pensare a un gruppo di lavoro per i prossimi periodi.