Scrivo per ricordare. Per me e per gli studenti a cui mi
capita di andare a raccontare queste mie riflessioni. Oramai sarà chiaro a
tutti che il punto centrale delle mie preoccupazioni professionali riguarda le
risorse naturali, terra in primis, il loro accesso e il loro uso e gestione.
Ho già avuto modo di ricordare come le risorse di prima
qualità si stiano riducendo, secondo pubblicazioni ufficiali della FAO. A
questo si aggiunge la questione demografica, che porterà un paio di nuovi
miliardi di abitanti su questa terra, e la competizione crescente da parte di
settori alieni alla produzione agricola, interessati alle stesse terre di buona
qualità. Il punto da cui partire è proprio questo: la buona qualità delle
risorse ambite da tutti. Terre degradate o non ottimali ne esistono, e tante,
il problema è che non interessano molto e soprattutto nessuno ha voglia di
investire grandi risorse per il loro recupero. Quindi la corsa si restringe a
una porzione delle terre disponibili, e tutti vogliono quelle. Le città si
espandono, e le nuove lottizzazioni vanno a cercare buone terre e buona acqua,
per vendere più care le case che saranno costruite sopra. Il golf: sempre più
gente vuole giocare al golf. Avessero ascoltato Giorgio Gaber, si sarebbero
dati al calcio, ed invece no, il golf. Cito: “
Nello studio
dell’Autorità Ambientale della Regione Puglia, sempre con riferimento a
condizioni medie nazionali, si cita il dato di 100.000 mc/Ha/y per un campo
della superficie di 60/70 Ha, con incrementi del 50-60% per la stagione estiva
relativamente alle condizioni dell’Italia meridionale” (http://www.sardegnademocratica.it/ambiente/acqua-per-il-golf-quanta-1.23362). Il golf ha fatto fare un passo da gigante alla guerra per
l’acqua. Prima si parlava solo di problemi legati alle terre, ma col golf, non
c’è partita. A essere onesti va anche ricordato che se arriveremo prima alla
guerra per l’acqua rispetto alla guerra per la terra, un contributo essenziale
viene proprio dai sistemi produttivi che si usano nell’agricoltura moderna.
Cito a memoria, ma credo che il 70% dell’acqua se ne vada per usi agricoli, e
non dei piccoli produttori.
Comunque, torniamo alle terre. Le terre
interessano alle città, ai golf, ma sempre di più ai produttori di
agrocarburanti, grazie alle dissennate politiche di certi paesi del Nord. Le
terre interessano anche ad altre industrie, tipo il turismo, insomma tanti le
vogliono ma nessuno vuole spendere un copeco per rimetterle a posto.
Trattandole male, le terre si degradano e, dato che nessuno vuole spendere sul
serio per le terre degradate, dovremmo avere tutti interesse a lasciare le
buone terre solo per l’agricoltura. E invece nulla. Allora quando le terre di
casa mia si stanno degradando, vedi il caso della desertificazione che avanza
in Cina, la soluzione è lì a portata di mano: si va da un’altra parte a
prendersi quelle degli altri (l’erba del vicino è sempre più verde, cosa
risaputa). Questo è il fenomeno del land grabbing, o accaparramento delle
terre. Lo fanno tutti quelli che possono e si credono furbi. Esportano i propri
problemi altrove e ne ricavano benefici immediati a costi molto bassi. Ma per
esser certi di poter pagare poco i loro misfatti, dove vanno a prenderle le
terre? Non certo in Germania, ma invece nel Sud del mondo. Come funziona il
meccanismo?
Primo atto: si crea il mito della
disponibilità delle terre. Ci vuol tempo, costanza e tecnologia, e con le foto
satellitari si ariva a mostrare che ci sono grandi quantità di terra
“disponibile”, in Africa e in America Latina. Non si discute il concetto di
“disponibilità”, semplicemente si mette in avanti il fatto che ci sono tante
terre che non sono usate.
Atto secondo: a quelli che fanno ricordare
che su quelle terre ci sono e ci vivono popolazioni locali, stanziali o nomadi,
e che comunque si tratta di suoli fragili date le condizioni edafo-climtiche,
gli si rispolvera l’equivalente del Protocollo dei Savi di Sion (un falso
storico tendente a far credere ad una cospirazione ebraica mondiale): si ritira
fuori l’articolo di Hardin sulla Tragedia dei Commons, un testo della fine
degli anni 60 che doveva servire a dimostrare la superiorità della proprietà
individuale rispetto a quella “in comune”. Anche se milioni di altre
publicazioni hanno dimostrato la falsità di questo assunto, il testo continua a
girare ed esser citato. In questo modo si riesce ad associare mentalmente
l’idea che lasciare quelle terre in mano a qelle comunità (africane) sia uno
spreco che il mondo non può permettersi.
Atto terzo: un po’ di clemenza, mio
Signore. Per rafforzare la tesi precedente, ecco arrivare una schiera di
economisti a dimostrare che quelli del Sud non investono in agricoltura e che
di questo c’è bisogno: di investire. Questo giustifica quindi l’apertura delle
porte a quelli che hanno i soldi, i soli quindi a potr esser ammessi al
banchetto.
Atto quarto: dove andare. Per evitare
troppe rimostranze, si consiglia di andare in quei paesi dove la governanza è
debole. Cioè, in altre parole, dove le capacità di controllo da parte di
istituzioni locali, democratiche, sia minima. Come farlo? Semplice. Si prepara
il terreno rima, come si fa con le coltivazioni agricole: aratura, poi sminuzzo
le zolle con l’erpice, poi semino e avanti così. In questo caso il terreno va
preparato col tempo. Il tempo istituzionale o politico è diverso e più lungo
del tempo agricolo. Da metà degli anni 80 in poi sono arrivati i PAS, programmi
di aggiustamento strutturale, che hanno colpito in modo pegiore delle carestie
che tanta pena hanno suscitato a livello mondiale (We are the world...). Si
tagliano le istituzioni meno utili agli economisti, salute, educazione e
servizi agricoli. Trent’anni dopo, nessuno di quei paesi che hanno sofferto il
passaggio dei PAS è riuscito a rimetter in piedi delle istituzioni degne di
questo nome. Di conseguenza la scelta è ampia sul dove andare. Ed ovviamente si
va laddove le terre sono buone e l’acqua vicina. Ripeto quanto detto sopra:
nessuno va a prendere le terre in mezzo al deserto, ma sì quelle vicine ai
corsi d’acqua, casualmente le stesse che interessano le comunità locali, ma
siccome abbiamo dimostrato che loro non sanno usarle bene (vedi Hardin), allora
noi abiamo diritto a prendercele. In più abbiamo gli investimenti e,
diciamocelo, chi ce lo può impedire? Una classe politica che abbiamo messo noi
stessi in quei posti di comando?
A questo punto tutto sembra a posto. Ed
invece ecco spuntar fuori un problema. Quella stessa cattiva governanza, che
era stata cercata come condizione basica per andare ad accaparrarsi delle
terre, una volta entrato nel paese, diventa un problema. I nostri investitori,
oppure le banche che li finanziano, vogliono la certezza della proprietà, non
si fidano di accordi fatti a voce, di mape disegnate sulla sabbia... E si
scopre che abbiamo bisogno di istituzioni per “governare” la questione
territoriale. Notate bene, non si parla di istituzioni in senso lato, cioè non
si dice: abbiamo bisogno di scuole che funzionino, di ospedali pubblici etc.
etc., ma ci si limita alla parte più cocente del discorso: le istituzioni della
amministrazione fondiaria.
Scoperto di aver fatto una cazzata con le
ricette dei PAS, i soliti pensatori del Nord invece di andare a Canossa ed
ammettere i loro sbagli, si inventano un modo nuovo di proporre soluzioni
antiche: si parte col circo mediatico della “governanza”. Parola che non
esisteva prima dei PAS. Parola che oggigiorno è in bocca a tutti i politici, di
qualsiasi colore e latitudine.
Bisogna migliorare questa governanza. Ed
eco che si disegnano degli strumenti ad hoc, volontari, dove si dice ai governi
(tutti... Nord come Sud), cosa devono fare er migliorare la governanza in
materia di amministrazione della terra. Cioè, per fare un esempio, si siega al
govrno del Canada come dovrebbe fare per avere un catasto che funzioni, che sia
in grado di darti un titolo ed una mappa in poco tempo in modo che gli
investitori provenienti dal Burina Faso possano fare il business in tempi
ridotti.
Dite che forse ho sbagliato l’odine dei
paesi? Vabbè, capita. Mi scuso con i rispettivi governi. Allora adesso che
abbiamo scoperto che biogna ricostruire le istituzioni, gli ingenui pensano che
finalmente la banda dei PAS metta a disposizione soldi a buon mercato per tutti
quei paesi le cui istituzioni sono state ridotte a un colabrodo. Ed invece no.
Vi ho già detto che a nessuno interessa rafforzare la scuola pubblica del sud,
gi ospedali e tutte quelle cose inutili. Bisogna mettere in piedi le
istituzioni dell’amministrazione fondiaria, catasto, registro, mappe e quanto
altro.
Come fare? Soldi non ce ne sono, e comunque
a nessuno verrebbe in mente di andare a dire alla Norvegia che deve preocuparsi
con la buona governanza nei confronti del popolo Sami. Mentre le stesse cose le
diciamo ai paesi del Sud, quelli dove le terre ci interessano ovviamente.
Arrivano i nostri: a uesto punto, soldi non
ce ne sono, il pubblico è incantato con la magia delle parole, per cui basta
far arrivare i Donanti che mettono a disposizione un po’ di soldi in alcuni
paesi. Scelti da chi? Da una organizzazione super partes? No, scelti da loro.
Donare: dare altrui in dono, cioè senza compenso, regalare. I Donanti sarebbero
quindi delle entità che regalano... deve essere un caso se poi sono le stese
entità che promuovono quelle politiche e quei programmi che ci hanno condotto
dove siamo adesso.
L’importante è partecipare, diceva De
Coubertin. Eco io penso che sia importante capire a che gioco stiamo giocando
(Mazoyer dixit), in modo che poi ognuno si assuma le proprie responsabilità.
Questa “governanza” è una danza che serve sempre gli stessi interessi. Stupisce
che anche i movimenti contadini si siano lasciati prendere al gioco ed abbiano
finito per andare anche loro alla festa. Io resto con i miei dubbi... e continuerò
a lottare perchè si ricostruiscano le altre istituzioni, educazione e salute,
col rispetto che dobbiamo a quelli che abbiamo sfruttato per così tanti anni.
Ma lotterò anche per far sì che la “governanza” sia applicata anche al Nord,
non discriminando in funzione dei soldi dei “Donanti”, ma in funzione
dell’esistenza di problemi che, è lampante oramai, il dio mercato iesce solo a
creare e mai a risolvere, a casa nostra come altrove.