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martedì 31 gennaio 2017

Bangkok prime impressioni

Allora, la fase di installazione comincia a prendere fine. Abbiamo casa, internet, parrucchiere e barbiere, supermercati dove possiamo trovare quello che ci serve. Manca ancora un dottore per farmi dare le mie pastiglie per la pressione e tutto il resto, (e per fare questo sembra dovrò andare all’ospedale) ma direi che oramai ci siamo. A giorni dovremmo anche avere il visto rinnovato nonché le nostre cose arrivate dall'Italia ma ferme sempre all'aeroporto.

Guardiamoci attorno: i thai di bangkok (come si chiameranno: bancocchini?) sembrano dei contadini arrivati in città da poco: nessuno parla inglese, sembra abbiano grosse difficoltà a leggere anche il Thai, non sanno leggere una cartina geografica e conoscono pochissimo la città, per cui con i taxi quando ti avventuri fuori dal tuo quartiere abituale diventa sempre un'avventura. Per non dire poi che il tassametro è un optional.. e appena possono, cioè quasi sempre, cercano di non metterlo. Oggi per esempio li avrei mandati a quel paese come si meritano tutti i tassisti bastardi del mondo. 40 minuti e non uno solo ha accettato di mettere il tassametro, per cui sono tornato con moto taxi, senza casco, tutto ciò che dovrebbe essere vietato dalle nazioni unite.

Noi abbiamo trovato casa non troppo lontano, grazie alla gentilezza di un collega,... quindi quando lui è in missione vengo e torno in taxi. Devi fermarne almeno 5 per trovarne finalmente uno che accetti di portarti al tuo indirizzo... tutti dicono: "traffic jam" ... e lo so anch'io che c'e'  traffic jam.. ma con sta scusa chiedono il doppio..

A parte i taxi (che dio li fulmini), e l'inquinamento e il traffico, per il momento siamo tranquilli col caldo. Il peggio verrà a maggio... 

La cosa che ovviamente colpisce tutti i forestieri è lo street-food... dall'alba al tramonto cucinano di tutto e di più.. Dicono che i Thai non cucinino a casa, per cui per esempio è normale che negli appartamenti non abbiano forni e i fornelli siano proprio al minimo... Insomma tutti in strada a mangiare.. e poi tutti a letto con infezioni varie. Il marito di una collega ha provato, e poi si è fatto una settimana a letto. Quindi, anche se la tentazione è grande, eviterò di cercar rogne...
Il sabato mattina abbiamo un posto speciale dove andare a berci un cappuccino degno di questo nome, in un baretto sotto la fermata Ratchathewi del BTS. Fa piacere sedersi li, sfogliare magari un giornale e, chi vuole, fumarsi una sigaretta.

In ufficio e per strada sono tutti sorrisi... ma se scavi un po' sotto la patina superficiale, trovi le stesse rogne di qualsiasi altro paese. Ricordiamoci che viviamo sotto una giunta militare con legge marziale dichiarata nel 2014, insomma non è che siano proprio così calmi come vorrebbero farcelo credere... 

Per il momento tiriamo avanti... cercando di promuovere un po' di collaborazione con i colleghi in ufficio. Sembra proprio di stare in un altro mondo rispetto a Roma. Qui tutti concentrati su progetti, vecchi e nuovi, mentre nella Sede sono tutti a parlare di obbiettivi strategici di cui, appena ti allontani un po’, nessuno ne capisce più nulla. I lunghi anni passati sotto un capo dittatoriale si sentono ancora, per cui la tendenza resta quella di lavorare da soli, di non condividere troppo le informazioni, anche se va detto la nuova capa, che io trovo simpatica e preparata, cerca di cambiare il modo di fare. Il problema è che per conoscere questo mastodonte, c’è bisogno di molti anni, per cui qui si sconta ancora la “gioventù” del management nuovo. Ma credo valga la pena provare. Come ho detto a tutti arrivando, io non ho nessun problema né con questo ufficio, con i colleghi o con la regione. Al contrario voglio fare del mio meglio per aiutare a costruire un programma al quale collaborare, se possibile, anche quando sarò in pensione. La mia difficoltà nasce dal vedere la traiettoria che ha preso l’organizzazione in questi ultimi anni, la perdita di fiducia dei colleghi, la paura di comunicare e di pensare in grande. Scelte manageriali come quella di inviare le persone più sperimentate, a pochi anni dalla pensione, quando maggiormente avrebbero potuto aiutare nella elaborazione di una gestione più credibile, di pensare programmi nuovi, mettere a disposizione la propria esperienza, ecco mandar via in mobilità, cioè essenzialmente via dalla Sede, a me è parsa una decisione sbagliata, che il management può prendere, e quindi devo sottostare, ma che mi fa dire: quanto spreco! Lo so io, come lo sapete voi che mi conoscete da tanti anni, che tipo di lavoro ho fatto e sto facendo e come la decisione di mettermi in mobilita non avesse molto senso. Amen, è andata così e fra pochi mesi sarò libero di offrire i miei servizi a chi fosse interessato. 

Fra pochi giorni arriveranno le medaglie per i lunghi e onesti servigi prestati all’organizzazione. Avrei dovuto riceverla due anni fa, se non fosse per un cavillo amministrativo che la dice lunga su quanto siamo diventati dei numeri, fungibili ai bisogni del momento, e non più delle “risorse”. 

L’altra sera mi è capitato di rivedere il film “Ruanda”, imperniato sul salvataggio di quasi un migliaio di persone da parte del gestore dell’Hotel delle Mille Colline. Ancora una volta ho sentito la vergogna di esser parte delle nazioni unite, quella stessa organizzazione che non ha fatto nulla per impedire quel genocidio. Non parlo di quei presidenti francesi (Mitterand) o responsabili politici belgi che si sono sporcati le mani di sangue: la loro era politica interna. La nostra doveva e dovrebbe essere la politica con la P maiuscola, quella che porta speranza e che si batte sul serio per quei valori e principi di cui tanto ci riempiamo la bocca. 

Dopo le tante delusioni passate e recenti, eppur continuo a sognare. Non credo più riusciremo a cambiare niente, oramai siamo rimasti al sogno. E adesso, al lavoro…

domenica 29 gennaio 2017

2017 L3: Pieter Aspe - L'affaire du tarot

Albin Michel 2013

"Tu te souviens de l’affaire du tarot ?". Pour meubler une période de calme, Van In et son fidèle acolyte Versavel décident de reprendre une enquête jamais élucidée : 20 ans auparavant, un colonel, un père catholique et un membre du conseil d’Etat avaient chacun été retrouvés assassinés de trois balles, trois crimes signés d’une carte de tarot. Entre une guerre des polices qui refait surface, des scandales institutionnels autour des victimes et de sombres intrigues familiales, l’enquête s’annonce particulièrement complexe. Lorsque le meurtrier au tarot frappe à nouveau, Van In comprend qu’il a ouvert la boîte de Pandore… Intrigue palpitante et passions humaines révélées, écriture soignée et personnages attachants, Aspe prouve avec talent qu’il est capable de se renouveler, pour le plus grand plaisir du lecteur.

Prima lettura completa a Bangkok... leggera, come i tempi che corrono, per dosare lo stress che ci circonda.

sabato 7 gennaio 2017

2017 L2: Elena Ferrante - Les jours de mon abandon



Gallimard Folio 2016


Gallimard Folio 2016

Olga, trente-huit ans, un mari, deux enfants. Un bel appartement à Turin, une vie faite de certitudes conjugales et de petits rituels domestiques. Quinze ans de mariage. Puis, un après-midi d'avril, une phrase de son mari met en pièces cette existence sereine et transforme Olga en femme abandonnée. Une femme rompue. Lâchée, brisée. Una poverella, comme cette voisine de son enfance napolitaine dont elle croit encore entendre les pleurs la nuit. Frappée de stupeur, Olga ne comprend rien au prétendu " vide de sens " de l'homme qu'elle a suivi à Turin, et pour qui elle a abandonné l'écriture. L'homme avec qui elle voulait vieillir est devenu l'homme qui ne veut plus d'elle. Olga n'existe plus. Ou seulement dans sa lente déchéance, dans cette descente aux enfers où la terre semble se dérober sous ses pieds, et les événements se liguer contre elle : un repas de réconciliation se termine dans le sang, son garçon tombe malade, le téléphone est coupé sans raison, le berger allemand agonise, sans doute empoisonné, puis la porte de l'appartement se bloque de l'intérieur et Olga se retrouve enfermée... Le livre d'Elena Ferrante nous projette littéralement dans l'intimité d'Olga et nous embarque pour un voyage aux frontières de la folie. Par la justesse de son ton et son rythme haletant, Les jours de mon abandon constitue une variation parfaitement maîtrisée et originale sur le thème de la femme abandonnée. 

Mah. I francesi sembrano averlo adorato, e immagino anche molti italiani. A me è parso melenso, pallosissimo e un prodotto tipico dell'Italia di oggi che sta lì solo a guardarsi il proprio ombelico e non ha più granché da dire agli altri. La lettura è arrivata subito dopo aver visto un film di Muccino (Ricordati di me) sullo stesso stile. Quindi forse mi ha influenzato, ma ambedue mi hanno mandato segnali preoccupanti di a cosa siamo ridotti. 
Lei che viene abbandonata e reagisce contro il mondo intero, comportamenti incivili nei confronti del vicino col quale non riesce nemmeno a scambiare due parole, infatti il mondo esterno sembra non esistere, ne prima della crisi ne durante. Pagine e pagine a menare il torrone, litigate con i figli, incapace di trovare uno scopo alla sua vita... insomma, proprio una palla.
Da notare i comportamenti tipicamente nostrani di lei che porta il cane al parco davanti casa perché possa fare i suoi bisogni dove gli pare, senza che ovviamente in nessun momento pensi a portarsi un sacchetto... oppure quando per attirare l'attenzione del vicino di sotto fa dondolare un pezzo di ferro che gli spacca la finestra (e che lei non si sogna nemmeno di andarsi a scusare e ripagargliela) e poi cade dal sesto piano e nemmeno lì un briciolo di istantanea preoccupazione di cosa potrebbe succedere se cascasse in testa a qualcuno. Insomma, conferma che il resto del mondo non le interessa, e allora io dovrei interessarmi a lei? Alla fine sembra quasi che l'autrice volesse dire che, con una moglie del genere, si capisce che il marito se ne sia andato...

lunedì 2 gennaio 2017

2017 L1: Arnaldur Indridason -Opération Napoléon



Points 2016

1945. Un bombardier allemand, pris dans le blizzard en survolant l’Islande, s’écrase sur le Vatnajökull, le plus grand glacier d’Europe. Parmi les survivants, étrangement, des officiers allemands et américains. L’Allemand le plus gradé affirme que leur meilleure chance de survie est de marcher vers la ferme la plus proche. Une mallette menottée au poignet, il disparaît dans l’immensité blanche. Dans les années qui suivent les Américains lancent en vain des expéditions pour faire disparaître cette opération militaire mystérieuse et encombrante. 1999. Le glacier fond et les satellites repèrent une carcasse d’avion, les forces spéciales de l’armée américaine envahissent immédiatement le Vatnajökull et tentent en secret de dégager l’avion. Deux jeunes randonneurs surprennent ces manœuvres et sont rapidement réduits au silence. Avant d’être capturé l’un d’eux contacte sa sœur Kristin, une jeune avocate sans histoires. Celle-ci se lance sur les traces de son frère dans une course poursuite au cœur d’une nature glaçante. Les événements se précipitent. Les hypothèses historiques déconcertantes, parfois dérangeantes, et la séduction inoubliable qu’exerce cette héroïne à la fois tenace et perspicace, font de ce texte un formidable roman à suspense.

Un valore sicuro per ben cominciare l'anno letterario. La fine potrebbe dar adito a qualche discussione, ma si legge che è un piacere.

La medaglia della vergogna o dell’infamia

Finito l’anno e, come da tradizione, le ultime settimane sono state spese per cercare personalità eminenti da indicarci come esempi da seguire. Bell’esercizio di retorica, che fa il paio con la messe di onorificenze che periodicamente i nostri governi distribuiscono, come prebende, ai tanti che hanno dimostrato di avere le entrature giuste, di far parte del belmondo e quindi meritevoli di diventare Cavalieri di qualcosa, Legion d’onore o quant’altro.

Da un po’ di tempo sto pensando che forse sarebbe opportuno anche istituire una forma di riconoscimento inversa, dedicata alla vergogna e/o infamia. Alcune iniziative del genere esistono già, per cui si potrebbe vedere una estensione del concetto ai livelli più alti. 

Penso per esempio al caso del genocidio ruandese. Ci penso perché in questi giorni torna l’attenzione sul vicino Burundi e il rischio che un genocidio simile possa scatenarsi anche lì, considerando anche l’uccisione ieri del ministro dell’ambiente davanti a casa sua. Il caso del Ruanda è emblematico di quanto le nazioni unite fossero diventate parte del problema e non della soluzione. Il giornale inglese The Guardian pubblicò un articolo il 3 settembre del 2000 (UN chief helped Rwanda killers arm themselves),dove rivelava che "l'allora Segretario generale dell'ONU, Boutros Boutros-Ghali, giocò un ruolo importante nella fornitura di armi al regime Hutu, il quale ha realizzato una campagna di genocidio contro i Tutsi in Ruanda nel 1994. Come ministro degli esteri in Egitto, Boutros-Ghali ha facilitato un affare di armi nel 1990, che era di $26 milioni (18 milioni di sterline) di bombe di mortaio, lanciarazzi, granate e munizioni, trasferite dal Cairo al Ruanda. Le armi furono utilizzate dagli Hutu in attacchi che hanno portato fino a 1.000.000 di morti”.

Non l’unico caso eclatante, basti pensare a Kurt Waldheim, un nazista eletto segretario generale dell’ONU, oppure a quel Direttore dell’Unicef in Belgio costretto alle dimissioni per colpa di un impiegato infedele che aveva trasformato gli scantinati dell'agenzia delle Nazioni Unite per la protezione dell'infanzia nel centro nevralgico di un' organizzazione che sfruttava bambini a scopi sessuali. 

Questi sono casi eclatanti, ma resta il fatto che così come chi guida le agenzie delle nazioni unite e ancor più il segretariato generale ha una visibilità e un ruolo molto importante per la comunità mondiale e quindi va loro riconosciuto il giusto merito quando riescano ad ottenere risultati positivi nelle varie campagne che combattano ogni giorno, altrettanto dovrebbero sottostare a un giudizio trasparente e popolare che possa anche indicare chi quei valori non ha perseguito.

Le nazioni unite nel loro insieme stanno passando per un periodo complicato, e probabilmente le critiche saranno destinate ad aumentare coll’arrivo di Trump alla Casa Bianca (ricordate il suo tweet una settimana fa: “l’ONU? Solo un Club di chiacchiere”). La questione vera riguarda però la capacità di portare a casa qualche risultato significativo, in modo che la percezione della gente comune possa ridivenire positiva. Quando sul web mettiamo ONU e scandali sessuali, immediatamente troviamo una sfilza di casi di caschi blu invischiati in torbide storie di violenze su quelle popolazioni che dovrebbero proteggere. Tutta fa brodo, contro l’ONU e la percezione generale diventa pian piano che, magari non sarà un club di chiacchiere, ma certamente non un club capace di evitare di cascare continuamente in problemi del genere. E dato che è impossibile pensare a qualche forma di sanzione giuridica, sia per i veti incrociati sia perché nessun paese vuole assumersi l’onere di lanciare procedure di questo tipo, si potrebbe pensare a una iniziativa dal basso che assegni una volta l’anno (solo nel caso ci siano gli estremi per assegnarlo ovviamente) una medaglia alla vergogna o all’infamia (anche sulle categorie si potrebbe discutere), in modo da creare uno stimolo esterno, slegato dalle pressioni politiche, che punti i fari su episodi di questo tipo e che in quel modo si attivi un monitoraggio cittadino, allo scopo non tanto di punire, ma di provocare maggior attenzione previa nella scelta delle persone e a una valutazione più completa delle procedure delle varie missioni.


Che ne pensate? 

Un anno è andato via, della mia vita …


Già vedo danzar l’altro, che passerà … così scriveva Francesco da Pavana oltre cinquant'anni fa (album Radici, 1971). Lasciamo dietro un anno pieno di sventure, conflitti, cantanti morti e quant’altro, per avventurarci in questo 2017 indecifrabile, come è giusto che sia.

Cinque anni fa, un caro amico d’infanzia, di mestiere broker, mi diceva che la crisi di cui si parlava già parecchio, sarebbe durata ancora molto, e che si poteva cominciare a vedere la fine del tunnel verso il 2017. Ci siamo. Vediamo se quella profezia che, all’epoca, mi parve un tantino pessimista, non sia stata in realtà fin troppo ottimista.

Quando ascolto e leggo le parole dei cosiddetti leader mondiali, al governo o in qualunque posizione si trovino, qualche dubbio mi sorge. Le ragioni sono abbastanza semplici: da un lato qualcuno comincia a sentire che le radici stesse del nostro vivere assieme cominciano ad essere intaccate da una crisi che, nata nella speculazione finanziaria, ha trovato alimento in quell’individualismo promosso da decenni di ideologia neoliberale al comando dalla fine degli anni settanta. Ma una volta fatta la diagnosi, si resta fermi lì, all’interno di recinti mentali troppo angusti, presi dalle proprie paure di pensare alto ed essere quindi coerenti fra diagnosi e prognosi. Una crisi globale come quella nella quale siamo immersi, fatta di tante crisi che si stanno sommando casualmente (o no?) richiede una risposta globale, all’altezza delle sfide. Il problema è che siamo guidati da classi politiche mentalmente chiuse, prigioniere di schemi mentali e di patti col diavolo turbocapitalistico, che impedisce loro di andare alla ricerca delle cose da fare e di porsi alla testa di quel movimento mondiale di rinascita senza il quale non ne usciremo vivi.

Di crisi ne abbiamo tante, proviamo solo a ricordarle:
  • crisi ambientale, di cui si è tanto parlato fra la COP di Parigi del novembre 2015 e gli impegni di Marrakesh di quest’anno;
  • Crisi finanziaria dalla quale non siamo usciti e che, come vediamo a casa nostra, significa un possibile crollo del sistema bancario, oberato da una montagna di crediti inesigibili che potrebbero sfociare nel fallimento del Monte dei Maschi, la più antica banca del mondo, simbolo di quel fallimento più ampio che si annuncia;
  • Crisi del lavoro: da quando sono sento parlare di mettere il lavoro al centro delle preoccupazioni del governo. Ne sono passati una quarantina da quando ho cominciato a sentire questi discorsi, ma siamo sempre lì: lo sviluppo tecnologico taglia lavoro a livelli stratosferici e nulla indica che si pensi di tornare indietro da questa strada;
  • Crisi geopolitiche a profusione: dai vecchi conflitti tipo Israele Palestina, siamo passati a una miriade di conflitti a geometrie variabili, alcuni centrati sul controllo delle risorse naturali, altri di cui si è quasi perso il senso e poi tutti quelli nuovi che in modo molto approssimativo, e sbagliato, vengono ricondotti a uno scontro di civiltà fra i musulmani integralisti e i cattolici;
  • La summa di gran parte di queste crisi è quella crisi di valori, del perché vogliamo e dobbiamo stare assieme su quest’unica Terra che abbiamo. La crisi delle democrazie occidentali è il segnale di quello che abbiamo perso: non sappiamo più, e forse non vogliamo più, Stare assieme, ed eccoci lì a dividerci, a reinventare barriere che fino a pochi decenni fa volevamo a tutti i costi eliminare. Muri dappertutto, ma soprattutto dentro le nostre teste. Muri che ci impediscono di vedere al di là di casa nostra, per cui quello che ci viene proposto come risposta sono sempre soluzioni buone per il giardino di casa, e non oltre.

Abbiamo iniziato il 2017 così come abbiamo finito il precedente: un attentato a Istanbul, e l’ennesimo scandalo che vede coinvolto il Presidente della Commissione Europea Junker. In Siria, Iraq, Yemen e tutta la regione, gli scontri continuano, ai quali si aggiungono i segnali in arrivo dal Burundi, con l’uccisione di uno dei ministri del governo. Da mesi si parla del Burundi come del prossimo genocidio in preparazione, forse il 2017 sarà l’anno buono. Le finanze di casa nostra sono ridotte a brandelli, con un governo tutto teso a far pagare ai cittadini i costi della propria insipienza nella crisi bancaria nostrana. Nel frattempo ci viene dimostrato una volta ancora che a livello europeo siamo come nella situazione della volpe messa a guardia del pollaio. Junker, uomo del turbo capitalismo finanziario mondiale, ha fatto di tutto per proteggere quegli interessi che gli pagano il vero stipendio e ovviamente solo gli ingenui possono pensare che, una volta nominato a Bruxelles, il lupo possa aver perso il vizio.

Avremo probabilmente un anno ancora di bombe e attentati, anche se siamo qui ad attaccarci alla speranza che in Colombia l’accordo d pace diventi pratica di terreno reale e che il fragile accordo appena firmato tra i vari contendenti al potere nel Congo “Democratico” resista e vada avanti. In queste ore siamo lì ad osservare la tregue siriana promossa da Putin e Erdogan, e noi, quelli che una volta credevano nelle nazioni unite, siamo alla finestra a guardare l’ennesimo fallimento, l’ennesima dimostrazione di inutilità di queste organizzazioni tale e quale sono strutturate. Gli unici progressi significativi, cioè i due accordi di cui parlavo prima, Colombia e RDC, sono il frutto della diplomazia di Oltretevere, la longa manus di Papa Francesco, molto più potente e concreto di tanti altri. Putin e Erdogan, una coppia sulla quale pochi avrebbero scommesso, sono forse riusciti a promuovere una tregua dove brilla l’assenza non solo degli americani, ma ancora una volta, delle nazioni unite. 

Gennaio ci porterà la nuova presidenza americana, un segnale che ci ostiniamo a non voler capire. Il sonno della ragione genera mostri, questo lo sapevamo fin da piccoli, ma non è servito a nulla. L’ostinazione con la quale le forze politiche dimenticano il sano principio di “parlare come te magni”, cioè quel legame fondamentale col popolo dal quale traggono la loro legittimità, cosa particolarmente grave per quei partiti che si richiamavano a una tradizione progressista, sembra difficile da capire. Poi andiamo a vedere la piccolezza degli uomini che compongono la dirigenza di quei partiti e movimenti, la loro ignoranza, presunzione e, soprattutto, la loro voglia di “arrivare”, cioè di mettersi in tasca quei soldi, sporchi o puliti non fa differenza, che sono diventati l’unico metro che misura la riuscita di un individuo, e allora cominciamo a capire.

Pensare che sia possibile venirne fuori finché questa “accozzaglia” (come direbbe il non rimpianto ex-premier italiano) sarà lì a manovrare, a loro volta manovrati da interessi più forti, che si chiamano JP Morgan o altro, è una illusione dalla quale dobbiamo svegliarci presto.

Non ha nessun senso augurare buon 2017, perché non potrà essere un buon anno. Sarà un anno di disgrazie e conflitti annunciati, già scritti sulla carta, l’unica incognita resta il dove e quando, ma non la certezza che succederà. Andate a cercare le decisioni prese e i soldi veri messi a disposizione dal nostro governo (attuale e gran parte dei precedenti) per risanare il nostro territorio, metterlo in sicurezza, e fermare quel bagno continuo di cemento che è stato il marchio di fabbrica del “miracolo” italiano. Non troverete nulla, a parte le tante dichiarazioni di solidarietà e le visite ai terremotati. E allora, se non siamo capaci nemmeno di evitare di segare il nostro piccolo ramo italiano sul quale siamo seduti, ditemi voi perché dovrei sperare che il 2017 sarà migliore.

Dice il nuovo governo (Ministro Minniti, due giorni fa) che bisogna raddoppiare le espulsioni. La corsa a chi la spara più grossa è partita. Fra Grillo e Salvini, anche il governo vuole mettersi in mezzo. Parliamo dell’albero, e mai della foresta. Cacciamo gli immigranti clandestini, bene, bravo, bis. Ma qual è il disegno che l’Italia persegue a casa sua, in Europa e nel Mondo? Quali i valori che testimoniamo nel quotidiano, e che vorremmo esportare? Ci resta quel fondo di anima gentile e compassionevole, affidata oramai al terzo settore, alle parrocchie, mentre ai piani alti non si vede una persona capace di vedere al di là del proprio naso. Non possiamo consolarci dicendo che è così anche altrove, America compresa: è triste constatarlo, ma abbiamo lasciato che la finanza mettere ai posti chiave i suoi uomini, preoccupati di salvare il capitale, le banche, di aumentare la produttività del lavoro, cioè di continuare a tagliare posti di lavoro. Ciliegina sulla torta per chiudere il 2016 arriva poi la decisione della Corte di Cassazione (4 giorni fa) che afferma che è lecito licenziare per aumentare i profitti. Ecco riaffermata la sola verità che conta, la supremazia di Mammona, altro che balle.

Libro consigliato per il 2017, di Yanis Varoufakis: I deboli sono destinati a soffrire? La risposta è si!


Come si dice dalle mie parti, ‘ndasì in mona tuti quanti!