Condivido di seguito un articolo di Costas Douzinas, apparso sul Guardian dell'11 marzo 2009, tradotto da Chiara Bottici e pubblicato sul sito https://www.juragentium.org/topics/rights/it/universa.htm.
Da parte mia ho solo modificato, per ragioni provocatorie, il titolo originale (I diritti sono universali?), prendendo a prestito una frase dell'autore stesso.
In un'intervista recente, Bob Geldof ha sottolineato un apparente paradosso che sta al cuore dei diritti umani: sono occidentali eppure l'Occidente li considera universali. Nel suo discorso inaugurale, il presidente Obama ha detto qualcosa di simile. Gli Stati Uniti stanno tornando ai loro "valori" e ciò gli consentirà di guidare nuovamente il mondo. Ma possono i diritti umani essere occidentali ed universali allo stesso tempo?
I diritti umani sono ormai un fatto. La Dichiarazione Universale e i Patti sui diritti civili, politici sociali ed economici sono stati adottati in tutto il mondo. I diritti umani sono l'ideologia dopo "la fine delle ideologie", gli unici valori dopo la "fine della storia". Ma le controversie sul relativismo culturale, sulle cosiddette guerre umanitarie e sull'abrogazione del nostro Human Rights Act indicano che questo semplice fatto non è abbastanza. Come ha osservato il filosofo Jacques Maritain "siamo tutti d'accordo sui diritti, ammesso che nessuno ci chieda perché. Con il "perché?", iniziano le controversie." Invece di impegnarci a comprendere le giustificazioni sottostanti (ed alternative) ai diritti, un forte coro ci chiede semplicemente di agire, unirsi, salvare il mondo. Si ripetono, come dei mantra, un certo numero di banalità e mezze verità sui diritti; tuttavia non smettiamo di pensare. Di conseguenza, si è spesso incapaci di capire perché e come altri possano dissentire da noi. L'azione diventa un palliativo della cattiva coscienza. Questo intervento ricostruisce sinteticamente la traiettoria percorsa dal diritto naturale fino ai diritti naturali (e poi umani) tracciando un parallelo tra quelle prime tradizioni ed i dibattiti contemporanei.
Il primo riferimento ai "diritti umani" appare in scritti giuridici degli anni venti. Ma il loro pedigree si estende fino alle cosmologie greche e all'idea del diritto naturale. Per i Greci, l'universo, ed ogni essere animato ed inanimato, hanno una natura unica che determina il loro fine o scopo. Ad esempio, un soldato è virtuoso se lotta per diventare il più coraggioso dei guerrieri ed una città è giusta se permette ai suoi cittadini di raggiungere la perfezione in conformità con il loro scopo. L'idea di una "natura" razionale è un'invenzione rivoluzionaria della filosofia. Ha consentito a Socrate e ad Aristotele, ai sofisti e agli Stoici di esplorare che cosa è "giusto secondo natura" usando la ragione contro le opinioni ricevute e le autorità ancestrali. La "natura" è stata la più culturale, ma anche la più rivoluzionaria delle idee filosofiche.
Giacché ogni cosa era percepita come interconnessa in un cosmo armonioso, una concezione comune del bene ed un'etica condivisa univa il mondo greco. Nessun muro tra moralità e legalità. La stessa parola (dikaion, jus) indicava insieme sia ciò che è conforme al diritto che ciò che è conforme alla morale o uno stato di cose giusto. Gli stoici hanno mutato il diritto naturale in un'universale, eterna ed assoluta ragione che unificherebbe spiritualmente l'umanità. Il loro universalismo filosofico è stato di grande aiuto per la costruzione dell'impero romano. Con il giurista e uomo politico Cicerone, l'universalità degli Stoici è passata sullo jus gentium, il diritto dell'Impero Romano, che è "eterno ed immutabile e lega tutti popoli e tulle le epoche". Questa trasformazione dell'universalismo filosofico in imperialismo globale ha da allora immancabilmente accompagnato l'Occidente.
Con la cristianizzazione dell'impero romano sono emerse le prime tensioni tra il diritto naturale e le priorità teologiche. A differenza delle divinità classiche, così profondamente umane, il Dio biblico è un legislatore onnipotente. Il diritto romano, sofisticato e pieno di sfumature, è stato gradualmente trasformato in una serie di comandamenti dati dalle Scritture. Tommaso d'Aquino ha fuso l'universo razionale classico con il Dio trascendente del Cristianesimo. È stata una fusione cruciale, ma precaria. La ragione divina detta la volontà divina, argomenta l'Aquinate, trasformando così il conflitto tra ragione e volontà in una questione di psicologia divina. E' Dio che ha inscritto le leggi eterne nell'ordine naturale, ma lo ha fatto in modo intelligibile. Questo diritto divino naturale, interpretato dalla Chiesa, è considerato superiore al diritto statuale. I poteri secolari devono seguire la legge divina o abbandonare le loro pretese di fedeltà dei cittadini. Era un'arma potentissima nelle mani della Chiesa. Ma quando la superiorità della Chiesa è stata pienamente raggiunta, il diritto naturale si è trasformato in una dottrina che giustificava il potere statuale. La grande forza di attrazione del diritto naturale consisteva nella sua flessibilità e nel potere straordinario che conferiva ai suoi interpreti. I diritti umani non sono molto differenti.
La fonte del diritto naturale passò dal cosmo teologico alla ragione unificante e, infine, a Dio nel giro di dieci secoli, e la moralità ha seguito una traiettoria simile. "Diritto" significava la giusta risposta ad una questione legale e morale insieme. Veniva raggiunta attraverso l'osservazione e la contemplazione della "grande catena dell'essere". Fino alla prima modernità, i diritti soggettivi non esistevano per cui i doveri erano i mattoni della morale. Gli stretti legami sociali nelle le città e nelle comunità creavano un forte senso di dovere morale e di virtù. Come Hannah Arendt ha provocatoriamente affermato, in base ai doveri dei loro padroni gli schiavi ateniesi avevano una vita migliore delle minoranze senza Stato dell'inizio del ventesimo secolo (o i rifugiati di oggi) che godono di diverse forme di "diritti" teorici ma non hanno alcuna protezione reale. L'osservazione di Arendt è un'utile risposta a Jack Straw ed ai Tories che sostengono che i doveri dovrebbero essere introdotti nella legislazione sui diritti umani. Il nostro diritto prevede obblighi giuridici penali e civili. Ma i doveri morali non possono essere facilmente legiferati. Essi emergono spontaneamente nelle famiglie e nelle comunità a partire dai legami "naturali". Il diritto può solo rafforzarli, non crearli.
Il precario compromesso stabilito da Tommaso tra i principi classici e quelli cristiani cominciò a sgretolarsi nel XIV secolo. I cosiddetti teologi "nominalisti" sostenevano che Dio avesse la priorità sulla ragione. Il diritto naturale è imposto da Dio sul mondo - per cui Egli ha il potere di mutarlo radicalmente. Dio può far sì che due più due faccia cinque e che il male si trasformi in bene e viceversa. Il nominalista Guglielmo di Ockham, reso celebre dal Nome della Rosa, sosteneva che sono gli individui e non le comunità ad essere gli elementi costitutivi del cosmo, e le relazioni tra di essi sono esterne anziché immanenti. Come direbbe la signora Thatcher (che potrebbe essere chiamata una nominalista contemporanea), non esiste alcuna società, ma solo individui e famiglie.
Che il diritto sia immanente e razionalmente comprensivo o imposto dall'esterno è questione cruciale nel dibattito contemporaneo, diviso com'è tra coloro che credono che i diritti umani siano universali ed i relativisti che lo negano. In questo contesto, i relativisti ricordano piuttosto i filosofi greci dell'epoca classica, che credevano che un codice morale possa funzionare solo se risponde all'organizzazione interna ed ai valori di una particolare società. I valori emergerebbero organicamente, l'imposizione esterna sarebbe sbagliata ed inefficace. Al contrario, gli universalisti seguono spesso i nominalisti: le leggi ed i valori possono e devono essere imposti dall'esterno. Se esiste una verità nelle questioni morali, il suo possessore ha il diritto (se ne ha il potere) di imporlo su altri. Poiché le relazioni sono esterne ed artificiali, anche le società riluttanti presto si accorderanno ed accetteranno il codice universale. Le nostre guerre recenti per esportare i diritti umani sono state condotte sotto la bandiera universalista, ma appartengono alla tradizione nominalista. Come si sa, la riconciliazione di filosofia e teologia operata da Tommaso è stata un fallimento.
All'inizio della modernità, la posizione nominalista è diventata dominante ed ha trasformato la natura in un oggetto inanimato, privo di spirito ed armonia. Il diritto naturale si è spaccato: da un lato, le leggi immutabili della natura che descrivono regolarità naturali, dall'altro, le leggi umane della Chiesa e dello Stato. I fini che unificavano il cosmo sotto una concezione del bene sono stati rimpiazzati dalle cause efficienti di una natura disincantata. Le conseguenze di un tale mutamento per il diritto e la politica sono state tratte da Hobbes, Locke, Paine e Rousseau. Quest'ultimo era l'autore preferito dai rivoluzionari francesi il cui primo atto è stato quello di promulgare una Dichiarazione dei diritti dell'uomo e del cittadino. I diritti dell'uomo di Paine ha influenzato moltissimo i rivoluzionari americani. La teoria dei diritti naturali anima la Dichiarazione d'Indipendenza ed il Bill of Rights. Dopo l'epoca rivoluzionaria, ciò che è "diritto" secondo la natura e la giustizia è stato trasformato in diritti naturali: un insieme di poteri personali e libertà, tipicamente quelli alla vita, libertà e proprietà, che appartengono al popolo perché parte della natura. Il metodo filosofico era quello di osservare gli uomini e, deducendo da tale osservazione i loro bisogni e desideri fondamentali, elaborare una costituzione a cui le diverse parti avrebbero acconsentito attraverso un fittizio patto naturale. I diritti sono diventati i mezzi attraverso cui i moderni, in assenza di un bene comune, perseguono le loro diverse concezioni di vita felice.
L'invenzione dell'idea di un contratto sociale ha aperto le porte alla possibilità della resistenza e della rivolta nel caso in cui le leggi statuali violino i diritti. Il loro potenziale rivoluzionario era fin troppo chiaro ai rivoluzionari vittoriosi. Poco dopo l'epoca delle rivoluzioni, i diritti naturali si sono atrofizzati. Il XIX secolo è stata l'epoca dell'ingegneria sociale all'interno degli Stati europei e del colonialismo all'esterno. Il diritto è diventato un mezzo nelle mani dei governi, dei costruttori di imperi e dei riformatori. Appelli ai principi morali o ai diritti individuali erano visti come ostacoli reazionari sulla via del progresso. Per dirla con il filosofo utilitarista Jeremy Bentham, parlare di diritti naturali è "un non-senso, non-senso sui trampoli". L'introduzione di spiegazioni su larga scala in sociologia, economia e psicologia, insieme all'affermarsi dei partiti politici di massa, ha accelerato il declino dei diritti naturali. L'idea che la società politica fosse stata istituita attraverso un contratto sociale era vista come un mito, mentre l'idea che certi diritti fossero naturali ed inalienabili è tramontata con le critiche di Durkheim, Weber e Marx. La Società per la prevenzione delle crudeltà verso gli animali è stato istituita nel 1823, mentre quella per la prevenzione della crudeltà verso i bambini solo nel 1889. I sostenitori dei diritti delle donne facevo spesso riferimento alla protezione degli animali come esempio da seguire. All'inizio del XX secolo, l'idea dei diritti naturali era ormai stata accantonata come una forma retrograda di conservatorismo religioso.
I diritti naturali sono stati riabilitati soltanto con il Processo di Norimberga per i crimini di guerra nazisti, nella nuova forma però di diritti umani. I giudici alleati si trovarono di fronte ad una difesa ineccepibile dal punto di vista legale. I tedeschi avevano seguito le leggi naziste ed agito entro i limiti del diritto statuale - l'unico diritto valido secondo l'idea allora prevalente. Per uscire da questa impasse, la corte ha ingegnosamente argomentato che lo sterminio sistematico degli Ebrei ed altri violava il diritto consuetudinario ed i principi delle nazioni civilizzate. Nel fare questo, il tribunale recuperava le idee centrali del diritto naturale: la sua insistenza sul fatto che una gerarchia tra le leggi esista e che, aldilà del diritto interno a ciascuno stato, esistono principi legali universali che, in caso di conflitto, devono prevalere.
Schiavitù, sterminio di intere popolazioni indigene, ed altre simili atrocità coloniali sono state commesse ripetutamente dall'Occidente. Adesso, però, che gli Europei hanno cercato di sterminare altri Europei il concetto di "crimini contro l'umanità" è entrato a far parte del lessico giuridico. L'umanità si è divisa in vittime e carnefici. Dopo il 1945, si è (tardivamente) accettata l'idea che l'umanità possa essere l'angelo sterminatore di se stesso. Norimberga e la Dichiarazione Universale dei Diritti Umani del 1948 hanno dato inizio ad un lungo processo di elaborazione normativa. Centinaia di dichiarazioni, convenzioni ed accordi sono stati adottati dalle Nazioni Unite, dalle organizzazioni regionali e dagli Stati. I diritti umani sono stati catalogati in "prima generazione" di diritti, quelli civili e politici (o diritti "negativi") associati al liberalismo, "seconda generazione", ossia diritti economici, sociali e culturali (o "positivi"), associati invece alla tradizione socialista, ed infine la cosiddetta "terza generazione" o diritti di gruppo e nazionali di sovranità, associati alle lotte per la decolonizzazione. Commissioni, tribunali e corti ne sono rapidamente seguite. Qual è la ragione di una tale proliferazione? È forse l'umanità divenuta per questo più sicura?
Gli orrori della Seconda Guerra Mondiale e dell'Olocausto hanno reso evidente che la democrazia e le tradizioni giuridiche e costituzionali nazionali non sono in grado di prevenire le atrocità su larga scala. Per dirla con Hannah Arendt, "possiamo anche pensare che, un giorno, un'umanità altamente organizzata e meccanizzata concluda democraticamente - ossia per maggioranza - che per l'umanità nella sua interezza sarebbe meglio liquidarne alcune sue parti". I diritti umani internazionali sono stati concepiti come un tipo di diritti di livello superiore a quello delle singole politiche statuali. In questo senso, i diritti umani sono intrinsecamente anti-democratici, allorché agiscono in difesa dei vulnerabili e degli oppressi contro i pregiudizi della maggioranza. Essi tentano di imporre restrizioni ai governi ed ai poteri legislativi per prevenire atti ferini nei confronti degli "altri" di ogni società e di ogni epoca. Dio - la fonte della legge di natura - è morto, come diceva Nietzsche, ma è stato rimpiazzato dal diritto internazionale.
Il Dio cristiano ha iniziato a risentire dei primi colpi della secolarizzazione nel tardo Medio Evo, nel momento stesso in cui il suo potere assoluto veniva celebrato, ma altri dei, incluso il Leviatano di Hobbes o "dio mortale", apparivano sulla scena. L'arroganza e l'ignoranza di alcuni dei fanatici dei diritti umani potrebbe muoversi in direzioni analoghe. I diritti umani sono occidentali e/o universali? E' indubbio che il loro albero genealogico sia occidentale. Il Confucianesimo, l'Induismo, l'Islam e le altre religioni africane hanno i loro approcci a etica, dignità ed uguaglianza, molti dei quali assai simili a quello occidentale. Ma le filosofie e le religioni non occidentali hanno una base comunitaria più accentuata, e non sono state parte dello sviluppo iniziale del movimento dei diritti umani. A John Humphrey, che ha steso la prima bozza della Dichiarazione Universale, è stato chiesto di studiare la filosofia cinese prima di mettersi al lavoro. "Non sono andato in Cina", ammetterà più tardi, "né ho studiato i testi di Confucio". Sono quindi universali i diritti umani? Questa breve storia vorrebbe offrire dei punti di riferimento per una discussione informata su quella che è forse la questione cruciale della filosofia politica della nostra epoca.
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