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venerdì 7 marzo 2025

2025 L9: Florence Lotterie et Elise Pavy-Guilbert - Olympe de Gouges, Une femme dans la révolution


Flammarion, 2025

Paris, 3 novembre 1793. Olympe de Gouges meurt sur l’échafaud. Une fin tragique qui met un terme à une existence qui l’a conduite de Montauban, où elle est née, au cœur des salons et de la vie intellectuelle dans le Paris des Lumières. Jeune encore, la célèbre révolutionnaire avait rêvé de littérature et de politique, de chantiers sociaux, de nouveaux droits pour les exclus en raison de leur précarité, de leur couleur ou de leur sexe. Par la suite, Olympe de Gouges avait défendu d’une plume enlevée et souvent acidulée l’égalité civique : voter et « monter à la tribune » de l’Assemblée nationale, mais aussi élever son enfant tout en travaillant et en s’engageant dans la vie publique. Des positions hardies et d’une grande modernité, qui ne lui semblaient pourtant pas l’être…

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Una personalità indiscutibile del mondo femminista e non solo - candidato alla Top

8 marzo, un’occasione per riprendere il discorso sulla sfera domestica andando oltre le vecchie analisi marxiste


In questo post ci riferiamo, per brevità e chiarezza, a quanto esposto da Leopoldina Fortunati nel suo saggio L’Arcano della riproduzione -Casalinghe, prostitute, operai e capitale, pubblicato nel 1981 (Marsilio, Venezia, 1981). Come l’autrice ricorda, il libro nasce dalle lotte femministe dei primi anni 70, sulla scorta di quanto aveva scritto Mariarosa Dalla Costa nel suo Potere e sovversione sociale (Marsilio, Venezia, 1972; Ombre Corte, Verona, 2021).

Il punto di partenza all’epoca era la chiara posizione della sinistra che continuava a considerare il lavoro domestico come improduttivo, una delle attività marginali all’interno del modo di produzione capitalista: discutere di questi temi era, secondo loro, un perdere tempo ed energia rispetto alla imminente rivoluzione operaia.

Le posizioni della sinistra, se non hanno portato a nessuna rivoluzione, hanno indirizzato le poche iniziative istituzionali verso l’alleviare il lavoro domestico, fornendo servizi sociali tipo asili, doposcuola, case di riposo per anziani, servizi di vario tipo per i disabili, senza voler comprendere il significato del lavoro domestico all’interno del sistema capitalista e senza definirne la portata socio-economica.

È triste dover constatare, come lo ricorda ancora Fortunati, che a distanza di decenni, sul riconoscimento del lavoro domestico non si è ottenuto nessuna conquista significativa sul piano formale. Anche la campagna Wages for Housework promossa all’epoca, pur essendo stata piena di idee elettrizzanti, è rimasta ai margini del movimento femminista per l'ultimo mezzo secolo.

La situazione attuale al giorno d’oggi è molto preoccupante, con una forte tendenza al ritorno verso un dominio ancor più forte del maschio nella sfera domestica. Un’inchiesta realizzata da Consolab nel 2019 in cinque paesi europei conferma la forte sproporzione tra la carica di lavoro femminile e quella maschile nella sfera domestica. Ben il 75% delle intervistate dichiara “fare di più” del loro congiunto, con l’Italia a guidare la classifica con l’88% dichiarando fare di più del loro congiunto (https://www.ifop.com/publication/nettoyer-balayer-astiquer-la-persistance-des-inegalites-de-genre-en-matiere-de-partage-des-taches-menageres/).

Siccome al peggio sembra non esserci limite, dall’America trumpiana viene avanti un forte movimento regressivo portato dalle Mogli Tradizionali (TradWives) (https://it.linkedin.com/pulse/lo-tsunami-trad-wives-e-la-cecità-della-sinistra-italiana-paolo-flfcf).

In reazione a questo, e per riprendere le fila del percorso proposto da Dalla Costa ed altre sulla sfera domestica, abbiamo creato un gruppo aperto di lavoro, composto da donne e uomini provenienti da orizzonti diversi, il tutto con l’accompagnamento del gruppo Ecofem di cui faccio parte.

La nostra proposta parte dal considerare come elemento centrale, particolarmente nelle nostre società del Nord, il tempo e la sua ripartizione. Anche le Nazioni Unite hanno iniziato ad interessarsi al concetto di “time poverty”, (CFS of the UN, October 2023. Voluntary Guidelines on Gender Equality and Women’s and Girls’ Empowerment in the Context of Food Security and Nutrition) e noi approfondiamo questa chiave di lettura. Il tempo domestico è quella quantità necessaria per realizzare una serie di compiti che una coppia considera importanti per tenere a galla il rapporto (matrimonio, convivenza o altro). 

Il tempo di ogni persona ha un valore che va al di là del prezzo (salario) che il mercato potrebbe indicare. Il tempo è una quantità limitata per tutte le persone, e la sua ripartizione nell’arco della giornata è frutto di negoziazioni che sono parzialmente dipendenti dalla nostra volontà specifica ma anche da costrizioni esterne nonché da altre variabili strutturali come il livello di reddito, di educazione etc.. In questo ambito, il trade-off fra le varie utilizzazioni del tempo dipende, ovviamente, anche dalle asimmetrie di potere fra le persone. La valorizzazione sociale che viene data ai vari possibili usi del tempo è frutto di una costruzione sociale dominata largamente dal maschio, cosa per cui le attività più “importanti” socialmente, quelle di prima scelta, sono affidate ai maschi, mentre le secondarie restano nell’ambito femminile. 

Considerando il tempo e la sua ripartizione come elemento centrale in una teoria dell’uguaglianza, significa uscire dal mondo dell’economia e iniziare a viaggiare verso lidi diversi, ancora da definire. 

Nel nostro quadro concettuale, non esiste interscambiabilità di tempo con denaro. Anche se certe attività domestiche possono essere esternalizzate (e quindi monetarizzate il che rimanda al livello di stipendio disponibile), come la pulizia di casa, la cura degli anziani …, ne resteranno sempre alcune che devono essere realizzate dalla coppia o da una delle due persone. 

Che questa non sia la strada da percorrere è abbastanza evidente quando si consideri che il lavoro di colf, badante, aiutante domestica, stiratrice, sono professioni in larghissima parte esercitate solo da donne (spesso sottopagate).

Ecco quindi chiarito l’ambito della nostra proposta: la centralità del tempo e il suo valore. Tempo che non si può comprare ma tempo che va equamente condiviso. Due domande sorgono quindi spontanee: tempo per fare cosa e cosa si intende per “equamente”.

Per definire il “cosa” fare, possiamo riallacciarci alle riflessioni proposte dall’INSEE, che identifica tre perimetri di attività (compiti), necessari a un equilibrio nella vita di coppia: da quelle più fondamentali (che identificano un perimetro ristretto, come, ad esempio ….), spostandoci poi verso attività importanti ma non così tanto come le prime, (caratterizzando un perimetro intermedio …) ed infine un perimetro più largo dove si concentrano attività più ludiche. Coppie diverse, per reddito, cultura, luogo di abitazione etc., avranno delle attività parzialmente diverse, cosa per cui non è possibile determinare a priori una lista esaustiva di tutte le attività rilevanti. Questo comporta un altro aspetto metodologico (la co-costruzione della lista comune) sul quale torneremo più avanti.

Per quanto esaustiva sia poi la lista delle cose da fare, va ricordata la necessità di includere anche la componente di mental load, cioè tutto quanto riguarda la pianificazione, il monitoraggio etc… 

Finalmente, relativamente alla seconda domanda, cosa si intenda per equa ripartizione, riteniamo che il punto di equilibrio tra le due persone interessate, vada ricercato, negoziato e concordato tra di loro. In altre parole, “equa ripartizione” non significa un obbligo di arrivare al 50% per ogni stakeholder, ma andare verso una ripartizione che le persone interessate considerino come equa dal loro punto di vista. Ovviamente in questo campo entrano in gioco le asimmetrie culturali e di potere, l’educazione ricevuta fin da piccoli/e, che possono portare a distorcere il livello di equità. 

Ecco perché l’approccio da noi proposto considera come elemento strutturante la partecipazione tanto degli uomini che delle donne. Questo perché, essendo il tempo (quotidiano, settimanale, mensile) a disposizione una quantità finita, il cammino verso una equa ripartizione significa, quasi inevitabilmente, che per poter guadagnare tempo libero a propria disposizione, bisogna che qualcun altro metta maggiormente del suo tempo per la realizzazione di parte dei compiti sopra indicati.

Il nostro quadro concettuale si basa sull’approccio negoziale, inteso come un processo attraverso il quale le due parti cercano di raggiungere un’intesa che si traduca in una soluzione appagante dei bisogni individuali sulla base di una volontà di scambio. Il terreno della negoziazione, nel nostro caso è una situazione di contrasto, di posizioni differenti, dove ognuno si attiva per tutelare i propri interessi ma secondo un’ottica di mutuo vantaggio. Risorsa fondamentale della negoziazione, infatti, è la capacità degli attori coinvolti di cogliere e intuire non solo i benefici personali ma anche quelli della controparte. 

Negoziare la ripartizione del tempo necessario alla realizzazione di una serie di compiti la cui esaustività dovrà essere mutualmente accettata dalle due parti. Il punto di partenza però deve considerare la storica asimmetria di potere a tutto vantaggio del maschio e deve mettere in essere delle attività volte a livellare il terreno di gioco (levelling the playground).

Questo perché non sarebbe sufficiente proporre una semplice negoziazione tra maschio e femmina di una coppia alla ricerca di una equa ripartizione, accettando come un dato di fatto immutabile il retaggio storico e culturale che impone alla donna una serie di compiti: il risultato finale rischierà di essere la perpetuazione dello stesso dominio attualmente in essere.

Dialogo-Negoziazione-Concertazione, con una attenzione specifica a livellare il terreno di gioco, così che attori/attrici giochino un fair game. 

Da queste premesse emergono vari punti strutturanti la proposta, che ricordiamo brevemente:

1. Centralità del tempo e non fungibilità col denaro

2. Necessità di lavorare simultaneamente con uomini e donne

3. Cose da fare (e da pianificare/monitorare): perimetri che si allargano in funzione della importanza (da centrale a periferica) dell’attività: dialogo tra le parti per concordare la lista definitiva

4. Obiettivo dell’equa ripartizione: negoziazione e concertazione tra le parti che va accompagnata da

5. Attenzione particolare alle asimmetrie di potere (evidenti o nascoste)

In termini concreti, noi proponiamo di misurare queste asimmetrie nella sfera domestica attraverso un Indice di Parità Domestica (IPAD) che serva come strumento di advocacy per accompagnare il percorso di quelle istituzioni, sindacati, movimenti o altro, che abbiano mostrato una base di interesse per le tematiche legate all’uguaglianza di genere, ma che non si siano messe ad approfondire il tema dentro le loro organizzazioni. Un primo test è stato realizzato con un partito progressista italiano, permettendo di mettersi d’accordo sul punto di partenza. Da lì inizierà un percorso di sensibilizzazione, formazione ed educazione interno per poter mostrare come questi squilibri si possano ridurre. 

Voler lavorare con maschi e femmine è un aspetto su cui insistiamo parecchio, e questo per due ragioni. Da un lato, se si tratta di riequilibrare il tempo dedicato ai compiti domestici, è ovvio che per poter aumentare il tempo disponibile per le donne bisogna convincere i maschi a metterne di più da parte loro, per cui tutto l’approccio negoziale che consideri le asimmetrie di potere esistenti prende tutto il suo senso. Dobbiamo lavorare assieme, precisando che il pubblico a cui ci dirigiamo non è qualsiasi movimento, partito o altro, ma chi sia di suo già interessato a queste tematiche. Il secondo argomento è legato alla necessità di costruire alleanze politiche per portare avanti una proposta che voglia ambire a diventare parte delle politiche pubbliche di un paese avanzato.

Il gruppo di lavoro è aperto, per cui chi fosse interessata/o può contattarmi.









mercoledì 19 febbraio 2025

2025 L8: Sibilla Aleramo - Una donna

Una donna - Sibilla Aleramo - copertina

Feltrinelli 2012

Questo romanzo di Sibilla Aleramo fu pubblicato per la prima volta nel 1906. La fortuna immediata del volume, sia in Italia che nei paesi in cui fu tradotto, fece scoprire al mondo un'autrice che avrebbe fornito negli anni altre grandi prove del proprio talento. Una delle principali ragioni del successo del libro fu il suo tema: si tratta infatti di uno dei primi libri femministi apparsi da noi. Al cuore di questo romanzo ampiamente autobiografico c'è la sua autrice. Come scrive Emilio Cecchi nella postfazione, «con l'Aleramo, non si trattava più di un'autrice, d'una artista soltanto: si trattava anche d'una rivendicatrice della parità femminile, d'una ribelle». A più di un secolo dalla sua prima pubblicazione, questo vibrante ritratto di una donna che lotta per il diritto a vivere con pienezza e libertà la sua vita si conferma una lettura imprescindibile.

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Riletto un'altra volta, rimane sempre un grande libro molto consigliato! Candidato alla Top dell'anno!

sabato 15 febbraio 2025

2025 L7: Aldo Cazzullo - L'Italia de noantri


Mondadori, 2009

"Noantri" è la parola chiave dell'Italia di oggi. L'Italia dei clan, delle famiglie, delle fazioni. Del dominio dei rapporti personali. Della politica divenuta prosecuzione degli affari con altri mezzi. Un paese mai così frammentato, eppure mai così uguale dal Piemonte alla Sicilia: unificato dall'egemonia di Roma e del Mezzogiorno. "Forse al Nord si evade il fisco meno che al Sud? Forse il traffico è meno congestionato e non si suona il clacson per strada? Forse al Nord non si paga il pizzo, non si pratica l'usura, non si sfrutta la prostituzione, non si cede al racket, non si accolgono gli investimenti della camorra?" Aldo Cazzullo parte dalla sua città, Alba, dove ancora trent'anni fa "i miei nonni non avrebbero mai mangiato una pizza", e dove ora si vive di turismo quasi come a Taormina. E dalla sua terra, le Langhe, cuore dello scandalo del Grinzane Cavour e di un Piemonte che ha rinunciato all'idea di diversità dal resto del paese. 

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Primo libro che leggo di questo Cazzullo... momenti interessanti ma in generale mi sembra molto raffazzonato, tipico da giornalista di questi tempi

sabato 8 febbraio 2025

2025 L6: Olivier Truc - Le premier renne

Le premier renne par Truc

Editions Métailié, 2024


Laponie suédoise.

Des corbeaux et des loups. Des rennes et des rêves.
Et Anja, une jeune Sami, marginalisée. A qui on a confié le pouvoir de tuer.
Anja, celle qui voulait écouter les pierres de la toundra.
Celle qui ne veut plus se taire. Celle qui ne veut plus plier.
Celle qui voudra inventer le grand récit.
En pleine période du marquage des faons, un troupeau de rennes est décimé le long de la voie ferrée qui transporte le minerai de fer.
Nina Nansen et Klemet Nango, enquêteurs de la police des rennes, se retrouvent au cœur d’un conflit qui déchire un clan d’éleveurs sami.
Les enjeux énormes des terres rares et de la survie des Sami en tant que peuple se télescopent. Pour sauver la planète et assurer la transition énergétique, faudra-t-il sacrifier ce peuple d’éleveurs de rennes ?
Face à une colonisation qui ne dit pas son nom, Anja va entrer en résistance. Avec ses propres méthodes. Et ses démons qui vont croiser ceux de Klemet.


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Top dell'anno, super raccomandato.

lunedì 27 gennaio 2025

2025 L5: Inès Léraud & Pierre Van Hove - Champs de bataille

 Couverture de la BD Champs de bataille : L'Histoire enfouie du remembrement d'Inès Léraud et Pierre Van Hove - Éditions Delcourt

Delcourt, 2024

L'Histoire enfouie du remembrement

Le "remembrement". Cette politique décisive pour le déploiement de l'agriculture intensive a été peu documentée. Aucun livre d'histoire ou de sociologie n'a été consacré aux perdants de cette politique ni aux résistants à ce bouleversement.

 

À la sortie de la Seconde Guerre mondiale, l'État fait redessiner les terres agricoles dans la plupart des campagnes françaises. Accessibilité des champs par des machines, regroupement des parcelles et disparition des haies et talus. C'est le "remembrement". L'objectif est que la paysannerie produise davantage, que le pays atteigne son auto-suffisance alimentaire et que la France devienne une puissance agricole mondiale.


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Per chi si occupa di "sviluppo" agricolo questo è un libro da leggere!!!

domenica 26 gennaio 2025

2025 L4: Dominique Sylvain - Kabukicho


Kabukicho par Sylvain

Points 2016

À la nuit tombée, Kabukicho, sous les néons, devient le quartier le plus sulfureux de la capitale nipponne. Au cœur de ce théâtre, les faux-semblants sont rois, et l’art de séduire se paye à coup de gros billets et de coupes de champagne. Deux personnalités dominent la scène : le très élégant Yudai, dont les clientes goûtent la distinction et l’oreille attentive, et Kate Sanders, l’Anglaise fascinante, la plus recherchée des hôtesses du Club Gaïa, l’un des derniers lieux où les fidèles apprécient plus le charme et l’exquise compagnie féminine que les plaisirs charnels. 
Pourtant, sans prévenir, la jeune femme disparaît. Le piège de Kabukicho s’est-il refermé ? À Londres, son père reçoit sur son téléphone portable une photo où elle apparaît, les yeux clos, suivie de ce message : "Elle dort ici". 
Bouleversé, mais déterminé à retrouver sa fille, Sanders prend le premier avion pour Tokyo, où Marie, colocataire et amie de Kate, l’aidera dans sa recherche. Yamada, l’imperturbable capitaine de police du quartier de Shinjuku, mènera quant à lui l’enquête officielle. 
Entre mensonges et pseudo-vérités, il sera difficile de démêler les fils d’une manipulation démoniaque ; pour le plus grand plaisir du lecteur.


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Mi è piaciuto assai, come gli altri libri di questa scrittrice

mercoledì 22 gennaio 2025

Era Trump: pentola a pressione o buco nero?

 

E così è cominciata l’era Trump. Erede di un paese in decadenza oramai da parecchi anni, senza che il resto del mondo occidentale sia stato capace di proporsi come un’alternativa coerente e valida, cerchiamo di anticipare quali potranno essere i futuri sviluppi della situazione.

 

Ricordiamoci bene che Trump è stato si eletto facilmente, ma comunque con una maggioranza risicata, segno che un buon 48% dei votanti sentiva nell’aria la necessità di cambiare strada e provare addirittura ad eleggere una donna, ex-vice-presidente, che nella sua azione politica non aveva proprio incantato. Ma tant’è, ha vinto lui e quindi dobbiamo pensare che le tendenze di fondo del sistema continueranno ad indicare la via che seguiranno gli americani e anche noi, se non ci decidiamo a cambiare strada.

 

Trump riprende l’idea dell’isolazionismo pensando che questo riporterà l’America ai fasti di un tempo. Mai lettura può essere più sbagliata, perché viene fatta in un momento quando il grande competitor, la Cina, ha abbracciato la dottrina del libero mercato da molti anni, ed ha la forza per imporla senza tremare. Ma il punto chiave è che Trump non ha capito che quello che ha fatto grande l’America è stata la conquista delle menti occidentali e non solo: il sogno composito, magari contraddittorio che, come ricordato in precedenza, significava cose molto pratiche, la cioccolata alla fine della guerra, la lavatrice, il televisore, il cinema, la musica, l’orizzonte della California e poi quello della Luna. Potremmo aggiungerci una letteratura nuova e una libertà di stampa capace di far cadere un Presidente (Nixon). Le tante pecche di questo sistema, il segregazionismo, la visione imperiale tanto per dirne un paio, si sono fatte dimenticare davanti a tutto il resto.

 

Adesso l’America, cresciuta sulla dominazione di tutti quelli che stavano sotto, sia americani che resto del mondo, è arrivata a un punto dove non ha più nulla da offrire. Non che la Cina (per non parlare di Russia o India) abbiano qualcosa di meglio da mettere sul piatto, ma comunque manca il traino. Se dalla cultura passiamo ad altro, per esempio al tema ambientale, allora scopriamo che il “modello” americano non è più proponibile per nessuno, nemmeno per loro stessi e non sarà l’uscita dagli accordi di Parigi che cambierà qualcosa nella realtà. Distruggono casa loro e poi anche quelle “risorse” naturali che appartengono a tutti: aria, acqua e quant’altro. Vogliamo poi parlare del volano economico? Avete in mente un solo prodotto che oggi sia chiaramente Made in America? Io no.  Il costo del lavoro altrove è più basso, per cui il modello basato sul consumismo sfrenato, che è diventato quello americano, sta in piedi grazie alle importazioni di prodotti fatti da schiavi soprattutto nei paesi del Sud. E dato che non ce la fanno a comprare “cash”, il sistema dei crediti al consumo, diventati debiti per tutte le famiglie americane, ha incatenato e sta bloccando il meccanismo intero.

 

Ecco perché, secondo me, il dilemma sarà tra il modello pentola a pressione o quello del buco nero. Trump sembra più andare verso il secondo, attirare tutte le forze dentro l’immenso buco nero americano senza capire però che da lì non si esce, perché i fondamentali oramai sono marci. A me però sembra che sarà da guardare da vicino il modello pentola a pressione: le promesse di migliorare le condizioni di vita sono tante, sicuramente troppe, e non sarà certo tagliando i programmi statali che le paghe a fine mese si alzeranno. Nell’amministrazione precedente si era arrivati a riconoscere che le infrastrutture di base, strade, ponti, ferrovie, erano in uno stato calamitoso e per questo Biden aveva messo sul tappeto cifre enormi di soldi pubblici. Trump e i suoi vogliono ridurre, forse eliminare lo Stato, per cui è probabile che peggiorino ancora. Gli stipendi non potranno essere alzati perché altrimenti il costo del lavoro aumenta e i profitti dei grandi elettori di Trump caleranno. Ecco alcune delle ragioni per cui penso che la pressione interna inizierà presto ad aumentare. Già succedeva con Biden, ma Trump è stato bravo a far credere alla gente che fosse colpa dei democratici. Adesso tocca a lui, e i problemi sono gli stessi, in peggio.

 

Non avendo nulla da proporre al resto del mondo occidentale e men che meno a tutti gli altri (l’Africa non l’ha mai visitata e nemmeno mai citata nella campagna elettorale, e l’Asia è solo vista come una minaccia), l’unica cosa che in realtà gli resta è di guardare indietro. Ah, i bei vecchi tempi, quando eravamo i migliori del mondo e tutti lo riconoscevano. Per tornare a quei tempi, la ricetta gliela stanno offrendo le “influencers” del movimento delle “mogli tradizionali”, di cui ho già parlato in altri post e articoli.

 

Il sogno che vorrebbero venderci è che si stava meglio quando le donne stavano a casa, sottomesse ai loro mariti, si facevano belle e pensavano solo a cucinare, pulire la casa ed occuparsi dei figli e dei nonni. Via dal mercato del lavoro, eliminare queste strane pretese di uguaglianza, ecco la strada per ritornare agli anni 50.

 

Ecco alcuni degli slogan che quotidianamente vengono fatti girare sulle piattaforme social da questi gruppi:

 

Be pretty for him

Teach your daughter to obey her husband

Husbands should control the money

Accept chastisement gracefully

A wife’s body belongs to her husband

Women are designed to be at home

Be quite when he speaks

Never say no to sex with your husband

Serve your husband

Be docile

Girls, your career is not important…

 

E potrei continuare per un bel po’.

 

Per il momento questo tsunami viene avanti nel mondo anglosassone, principalmente. Da noi, come ho già scritto, nessun partito o movimento di sinistra sembra accorgersene. Come al solito le tematiche legate alle “donne” (perché così vengono viste a sinistra) sono considerate secondarie rispetto all’agenda principale: una volta era fare la rivoluzione, adesso, più banalmente, arrivare al potere e tenerselo.

 

La pentola a pressione un giorno scoppierà, oppure il buco nero inghiottirà tutto quello che ancora si sente attirato da quelle parti. Ma siccome non esiste un sogno alternativo, abbiamo uno spazio che potremmo provare a prenderci. Il sogno parte da una vera uguaglianza tra esseri umani, il che comporta ovviamente uno sforzo particolare per gli uomini, di capire che non possono continuare a sperare che il patriarcato  “de noantri”, da poveretti, possa permetter loro di cavarsela. Molti giovani lo stanno capendo da soli e, come spesso accade, la società conferma essere più avanti della classe politica, e non solo in Italia.

 

Io continuo a suonare l’allerta: Shomèr ma mi-llailah?

2025 L3: Lilli Gruber - Non farti fottere

Non farti fottere. Come il supermercato del porno online ti ruba fantasia,  desiderio e dati personali - Lilli Gruber - Libro - Rizzoli - Saggi  italiani | IBS

Rizzoli, 2024

Per generazioni di ragazzi, il porno è ormai la principale forma di educazione sessuale. Fin da bambini può capitare inatteso sui loro device con un pop-up e ben presto comincia-no a cercarlo e a nutrirsene, scambiando per realtà quella che è solo fiction, a volte estrema. Per gli adulti è una forma di intrattenimento come un’altra, magari usata per dare un po’ di pepe alla vita di coppia. Risultato: la macchina del porno macina miliardi, grazie a siti che sono tra i più visitati al mondo. Ma si tratta davvero di un mercato qualunque? Questo libro ricco di dati, notizie e interviste ai protagonisti spiega perché no, non lo è. Racconta chi sono davvero i discreti padroni degli aggregatori pornografici. Indaga i percorsi professionali, i meccanismi economici, le implicazioni sociali di un fenomeno cresciuto fino a raggiungere dimensioni colossali. Denuncia le storie di sfruttamento e violenza. Fa chiarezza sui temi più problematici, come l’uso e l’abuso dell’intelligenza artificiale e la compravendita dei nostri dati personali. Senza falsi pudori né pregiudizi, Lilli Gruber mostra in queste pagine come sia il porno a usare noi, e non viceversa. Per invertire la rotta occorre aprire un dibattito, spezzare il silenzio delle istituzioni e chiedere innanzitutto un’educazione sentimentale e sessuale per i nostri figli e misure per la trasparenza delle pratiche economiche del settore. E impegnarci per recuperare i beni preziosi che la peggiore pornografia online ci ha rubato: l’erotismo, il desiderio e la creatività.

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Ovviamente di taglio giornalistico, ma interessante per capire il mondo del porno

lunedì 20 gennaio 2025

2025 L2: Margaret Atwood - La servant écarlate



Robert Laffont, 2017

Devant la chute drastique de la fécondité, la république de Galaad, récemment fondée par des fanatiques religieux, a réduit au rang d'esclaves sexuelles les quelques femmes encore fertiles. Vêtue de rouge, Defred, servante écarlate parmi d'autres à qui l'on a ôté jusqu'à son nom, met donc son corps au service de son Commandant et de sa femme. Le soir, dans sa chambre à l'austérité monacale, elle songe au temps où les femmes avaient le droit de lire, de travailler... En rejoignant un réseau clandestin, elle va tout tenter pour recouvrer sa liberté.

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Per la terza volta ho iniziato e, stavolta, finalmente concluso, questo libro che, malgrado le tante recensioni positive, a me non è sembrato un granché. @fuoridalcoro


sabato 18 gennaio 2025

La serie M. Il figlio del secolo: uno sguardo provinciale e uno mondiale


I libri di Scurati prima, e la serie televisiva, dopo, hanno riportato d’attualità il dibattito sulla nascita delle dittature, con un ovvio interesse per quella di casa nostra.

Chi legge i libri o guarda la serie con un occhio provinciale, vede Mussolini agitarsi, organizzare le sue truppe e poi commettere tutte le violenze che i suoi mandanti gli ordinano di fare. Già questo basta per accendere le discussioni in Italia, ma sono discussioni che portano essenzialmente sul passato, senza rendersi conto che M. Il figlio del secolo, parla a un pubblico più vasto, forse al di là di quanto lo stesso Scurati pensasse.

Mussolini ha avuto degli emuli, lo stesso Hitler si è ispirato a lui agli inizi. Ma senza andare nel passato, e guardando la storia attuale, forse dovremmo renderci conto che Mussolini non è morto e che ha trovato nel lider indiano Modi il suo figlio prediletto.

Modi ha messo in piedi un sistema razzista che non tollera nessuna opposizione, fa ammazzare tutti quelli che la pensano diversamente, organizza dei genocidi il tutto in nome di una supremazia Indù che nemmeno Hitler avrebbe osato proclamare. Modi viene ricevuto da tutti i presidenti e primi ministri occidentali e del resto del mondo. Immaginate che Hitler, se fosse vivo, potrebbe presentarsi a Roma, Parigi, Londra, Washington e venire accolto come un ospite d’onore col quale tutti vorrebbero fare degli affari?

Modi, e l'ideologia che appoggia, hanno dei disegni territoriali altrettanto se non più grandi di mister Pannocchia negli Stati Uniti. Tutta l'Asia del Sud deve essere ripresa e messa sotto il controllo Indù. Questo è il loro disegno. Ricordatelo.

Gli italiani provinciali, non tutti, ma tanti, non riescono ad andare oltre la copertina del libro o della serie. Compito nostro è di ricordare cosa ha prodotto il figlio del secolo e quello che sta succedendo in giro per il mondo, in nome di quella stessa ideologia fascista e razzista.

Meditate gente, meditate.


venerdì 17 gennaio 2025

2025 L1: Yasmina Khadra - Ce que le jour doit à la nuit

Juilliard, 2008

"Mon oncle me disait : "Si une femme t'aimait, et si tu avais la présence d'esprit de mesurer l'étendue de ce privilège, aucune divinité ne t'arriverait à la cheville."

Oran retenait son souffle en ce printemps 1962. La guerre engageait ses dernières folies. Je cherchais Emilie. J'avais peur pour elle. J'avais besoin d'elle. Je l'aimais et je revenais le lui prouver. Je me sentais en mesure de braver les ouragans, les tonnerres, l'ensemble des anathèmes et les misères du monde entier."

Yasmina Khadra nous offre ici un grand roman de l'Algérie coloniale (entre 1936 et 1962) - une Algérie torrentielle, passionnée et douloureuse - et éclaire d'un nouveau jour, dans une langue splendide et avec la générosité qu'on lui connaît, la dislocation atroce de deux communautés amoureuses d'un même pays.

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Un po' lungo, ma a me questo autore piace molto. Iniziamo bene l'anno.

Raccogliere i frutti marci

Tanti anni fa (in realtà ancora adesso) ascoltavo per la prima volta una canzone di Crosby, Still, Nash & Young tratta dallo storico album “4 way street”: Chicago. All’epoca il mio inglese era molto basico, ma c’era una frase che risuonava facile nella mente: “We can change the world …” (noi possiamo cambiare il mondo). Era un sogno, condiviso da molti, anche se nessuno sapeva realmente come fare e da dove cominciare. 

L’American Dream era anche questo. E noi europei (e non solo) lo prendemmo tale e quale. C’era il movimento Hippie, le droghe per esplorare altre dimensioni, c’era la Route 66 e Jack Kerouac con il suo romanzo “Sulla strada”, lo sbarco sulla Luna e noi tutti dietro a sognare.

Non lo sapevamo, ma quel mondo immaginario era già in fase decadente. Se vogliamo mettere una data, potremmo provare col 1956. De Gregori l’ha cantato quell’anno, inserendoci la frase: “Mi ricordo le fotografie dei carri armati”, ma chi di noi capiva cosa avesse in mente? In quell’anno l’Ungheria, controllata dai soviet russi, aveva provato a sollevarsi, in nome di quella democrazia che i sovietici non potevano vedere nemmeno in sogno. Durò pochissimo, i carri armati russi in pochissimi giorni spensero quel sogno e fecero aprire gli occhi ai primi critici di quel mondo socialista che sembrava poter diventare una alternativa popolare sul finire della guerra. Da quel momento in poi il distacco tra la realtà del socialismo reale e il resto del mondo divenne sempre più marcato. L’inerzia del tempo fece sì che tante lotte per l’indipendenza, varie rivoluzioni, scoppiassero in seguito in nome di quei principi libertari che venivano oppressi ogni giorno nella Russia e nel mondo sovietico. Ma quelle crepe finirono per far crollare tutto l’edificio, e se oggi tendiamo a ricordare il 1989 come l’anno cerniera, con la caduta del Muro di Berlino, non possiamo dimenticare che i sogni di una alternativa popolare e democratica erano già stati infranti prima.

All’ovest ci rifugiammo dentro una democrazia di parole, controllata da forze antidemocratiche grazie ad attentati, bombe, assassini etc. perché non sapevamo più dove guardare. Eravamo cresciuti dicendoci: non morirò democristiano, pensando ad Andreotti che baciava il capo mafia Riina, e poi finimmo per votare un partito, il PD, mezzo democristiano, convinti che fosse l’unica alternativa al mondo proposto da Berlusconi.

Quello che Margaret Thatcher diceva nel momento del suo apogeo (non esiste la società, esistono solo gli individui), frase che a noi sembrava l’essenza della filosofia neoliberale ed individualista, è diventata la nostra realtà attuale. Il senso di comunità si è perso, ognuno va per la propria strada e se le nuove generazioni non hanno voglia di impegnarsi, tanto peggio per loro. In un mercato globalizzato come l’attuale, ci saranno sempre dei poveracci disposti a tutto pur di lavorare, e per i nostri figli saranno c..i amari. 

I segnali di un mondo che spazza via i pochi diritti acquisiti li abbiamo davanti a noi tutti i giorni. Ma siccome abbiamo disimparato a leggere e capire, siamo totalmente impreparati e, nella realtà, non abbiamo più nessun riparo mentale al quale appoggiarci.

Le regole di fondo del sistema sono sempre le stesse: tanto per pochi e poco (anzi pochissimo) per tanti. Chi sta in alto nella piramide sociale può permettersi tutto, privatamente, e chi sta in basso, scende sempre più verso un lumpen-proletariat che è un abisso senza fine. La banca mondiale ha imparato a nasconderci i dati globali, presentandoci sempre e solo quelli riguardanti l’estrema povertà. Nel mio libro Crisi agraria ed eco-genetica spiegata ai non specialisti (Meltemi, 2020) riportavo un grafico della Banca dal quale era possibile evincere che solo il 35% della popolazione mondiale viveva (nel 2011) con più di 10 dollari al giorno: in altre parole, quasi i due terzi della popolazione mondiale era da considerarsi povera. Questo succedeva in un mondo dove il sistema capitalista mondializzato e legatissimo alla finanza, dominava da nord a Sud e da est a ovest.

Si tratta di un sistema di sfruttamento dove c’è sempre meno spazio per l’essere umano e, altra novità, per la natura in quanto tale. Quest’ultima l’abbiamo trasformata lessicalmente in “risorse naturali” che servivano a noi, in realtà a chi comanda e sta in alto nella piramide, per farne poi dei prodotti finanziari per speculazioni sempre più azzardate.

Quando anche altri grandi paesi hanno capito come fare, tipo la Cina, abbiamo cominciato a capire che i conti non tornavano più, per noi, e che prima o dopo il conto ce l’avrebbero presentato.

Partiti da un mondo che non volevamo più, quello degli Imperi della fine del XIX° secolo, siamo cresciuti credendo alla favola della democrazia liberale di matrice anglosassone e tradotta in pratica dagli americani, per ritrovarci ora sotto un impero in disfacimento, che non riesce a contenere l’altro impero in fase di espansione. In mezzo ci stanno tutti quelli che si consideravano classe media, protetta dalla povertà, libera nelle sue scelte, e con la possibilità di sognare una scalata sociale.

Tutto questo oramai sta finendo, ci restano solo i frutti marci di questo sistema, contro il quale non esiste nessuna capacità di pensare e proporre valori e una visione che faccia sognare quel 65% di poveri (ai sensi della Banca mondiale).

Possiamo fare qualcos’altro che non sia arrenderci alla fatalità oppure lottare per il nostro orticello? Io penso sia ancora possibile.


giovedì 16 gennaio 2025

Una civiltà in decadenza


Di segnali ne riceviamo tutti i giorni. L’altra sera, a cena con amici, si parlava delle scuole, delle difficoltà da parte degli insegnanti di fronte a una platea di giovani sempre meno interessati allo studio, più ignoranti e, peggio, quasi contenti del loro status. Salando poi di palo in frasca si era andati sull’elezione di Trump e allora, apriti cielo!

La notte mi ha portato a cercar di legare i vari pezzetti che pian piano andavano accumulandosi da parecchio tempo e l’immagine che ne è venuta fuori è quella di una società, l’occidentale, in decadenza, senza che sia chiaro all’orizzonte cosa la rimpiazzerà.

Eric Hobsbawm nell’Età degli Imperi (1875-1914) e nel successivo Il Secolo breve, ci ha descritto molto bene com’era la nostra società occidentale alla fine di quel periodo storico dominato dai grandi imperi e cosa ne è venuto fuori, come tentativo di dare un senso nuovo al mondo dopo il grande conflitto (lui vedeva la prima e la seconda guerra mondiale come un unico conflitto in due tempi) che aveva portato a molti milioni di morti. L’anelito alla democrazia era sembrato un sogno condivisibile da gran parte del mondo. Un sogno che si portava dietro l’inevitabile movimento di decolonizzazione e di varie rivolte e rivoluzioni in giro per il mondo, così da dare una speranza agli oppressi, poveri e affamati.

La sinistra dal canto suo aveva messo in campo, grazie alla rivoluzione dei soviet, di cui si sapeva ben poco in realtà, un sogno dell’uomo nuovo, di una società più giusta e migliore di quella capitalista. Insomma, aveva dato agli sfruttati una visione, una “mission” diremmo oggi. Noi occidentali fummo soggiogati dal pacchetto di benefit che arrivarono con gli americani: dalla coca-cola alle lavatrici, dalle gomme da masticare ai blue-jeans e, in cima a tutto, dalla musica, rock, country, blues…

Insomma, vedemmo quello che volevamo vedere e cioè che con la “democrazia” stavamo tutti meglio. Non vedevamo la segregazione dei neri, le donne confinate a casa, l’imperialismo americano che voleva sostituire quello inglese precedente e così via. 

Siamo cresciuti così, in tutta Europa e in molti altri paesi. Sognando California, ma anche Parco Lambro, la “libertà” di ribellarsi, le battaglie che si cominciavano a vincere, tipo il divorzio e l’aborto. La mia generazione, quella del 60, è cresciuta nel boom, qualsiasi cosa questo volesse dire, ma soprattutto ha cominciato a chiudere le porte che i nostri fratelli e sorelle maggiori avevano aperto sul resto del mondo. Ecco perché l’arrivo dell’onda neoliberale e individualista da noi è diventata l’epoca della “Milano da bere”, con gioia ci siamo buttati in questo mondo di balocchi disinteressandoci di cosa succedeva in giro per il mondo. Nemmeno le crisi del petrolio ci avevano fatto aprire gli occhi: come si dice, non c’è miglior cieco di chi non vuol vedere. 

Gli anni sono passati e la realtà ha cominciato a farsi strada nelle nostre teste, o almeno in alcune di esse. Caduto il muro di Berlino, sciolta l’Unione Sovietica, tutto sembrava andare per il meglio. Ma non era così. L’individualismo neoliberale ci ha fatto marcire dal didentro, poco a poco. Le notizie che ci arrivavano da Est e poi dai paesi “rivoluzionari” ci hanno fatto capire quanto illusoria fosse la strada del socialismo tradotto in politiche pubbliche. Queste sinistre al potere hanno ucciso il sogno, direi peggio di quanto abbia fatto il capitalismo, l’imperialismo e la mondializzazione. Quelli sapevamo essere i “nemici”, ma almeno credevamo ci fosse un’alternativa. Adesso è evidente per moltissime persone che questa alternativa non esiste più. Vedi Cuba, Venezuela, Nicaragua, paesi che ci avevano fatto sognare, oppure la Cina e l Vietnam che, per i nostri fratelli maggiori, indicavano la strada del Sol dell’avvenire. 

Il marciume lasciatoci dal neoliberalismo individualista lo abbiamo visto con le televisioni di Berlusconi e quelle che lo hanno seguito. L’ignoranza è diventata la nuova religione, il “fancazzismo” un modo di vivere, mentre pian piano nuove generazioni di affamati scappavano da casa loro e venivano a cercar rifugio e lavoro, quei lavori che nessuno vuol più fare, qui da noi.

Siamo diventati insensibili, ignoranti e razzisti. Abbiamo un ministro come Salvini perché l’abbiamo voluto, lui è uno di noi, non un marziano venuto dallo spazio. 

Se poi guardiamo alla casa madre, l’America, di quella che noi abbiamo sognato, all’epoca di “American Graffiti” e “Happy Days” non è rimasto più nulla se non una violenza fuori controllo, una ignoranza spaventosa e un popolo che, per paura di tutto, potrebbe attaccare tutti. Trump, anche lui, è un risultato storico di un’America profonda, che era già così un secolo fa. Ricordiamo che l’eugenismo, la teoria che bisognava eliminare gli individui “inferiori”, per malattie, razza o altro, lo avevano teorizzato gli americani a inizio del XX° secolo. Pian piano la nebbia si sta diradando e ci accorgiamo che quella “democrazia” non ha messo radici e che quello che ci si prospetta è, probabilmente, un’era di tumulti, dove non si vede all’orizzonte un sogno, una visione che possa mettere assieme i cocci di un mondo “progressista” in disarmo. 

Vacue parole d’ordine come Pace suonano vuote per chi abbia un po’ di memoria storica. La domanda sorge spontanea, di fronte alla paura che incombe sulle frange popolari del mondo intero: cosa fare per rimettere in piedi una speranza per un mondo diverso e migliore?


sabato 11 gennaio 2025

Vermiglio: un bel film?


Ieri sera ho visto in anteprima Vermiglio, il film di cui tanto si parla, realizzato da Maura Delpero e ambientato nel villaggio dello stesso nome.

Dico subito che mi ha lasciato molto perplesso, ma non tanto per il film, abbastanza ben fatto anche se con una parte finale abbozzata che non si capisce proprio se non si va a leggere le presentazioni sui giornali. La sorella che si fa suora l’ho capita solo dopo aver letto i giornali e la stessa idea di Lucia di andare al Sud, così, senza arte né parte, solo per non trovare nulla, non mi è parsa una fine chiara.

Ma il punto è la domanda implicita che sorge dopo aver visto il film. Leggendo i giornali si capisce che l’ambientazione è verso la fine della seconda guerra mondiale, ma poi, vedendo come vivevano le famiglie, vien da pensare che potevamo essere anche 100 anni prima e non sarebbe cambiato nulla. Una famiglia patriarcale dove il capo, cioè il “paròn”, fa da maestro elementare a qualche abitante del villaggio e poi, per il resto del tempo, non fa una beata minchia, a parte andare all’osteria a bere e leggere il giornale. Sto patriarca, che non capisce nemmeno i suoi figli, vuol comandare secondo leggi immutabili nei secoli, cosa che gli permette di usare ed abusare della moglie, fino a farle fare figli come conigli.

Il resto della famiglia non ha diritto di parlare, zitti e avanti a lavare i panni con l’acqua fredda, a passare il tempo grattando dei pezzi di legno per cercare di tirarne fuori degli oggetti tipo soprammobili, ogni tanto mungono la vacca per avere il latte per la colazione e basta. Non vedi nessuno che lavori realmente, a parte la madre che deve occuparsi di tutta la marmaglia e non può dire nulla al paròn, cioè non può “mancargli di rispetto” perché l’ordine immutabile è quello. Quello che dice lui è legge e non si discute. La domanda, dicevo, è semplice: ma come è stato possibile che in un paio di decenni si sia passati, nel Trentino ma anche in parte dell’Italia, da condizioni medioevali a una prosperità diffusa? Non certo per merito di questi maschi patriarcali. 

Peccato che la regista si sia accontentata di fare una foto del passato, rendendolo così edulcorato che ci sarà sicuramente qualcuno che dirà: ah, i bei tempi di una volta!

Almeno la Cortellesi, nella sua ingenuità, ha centrato la fine sulla questione del diritto al voto, e questo ci può stare. Qui invece siamo nella visione della povera sedotta e abbandonata dal bigamo che, per sopravvivere, deve mettere in orfanotrofio la propria figlia ed andarsene a far la serva dai ricchi.

Onestamente, speravo di meglio.

Trump: un regalo di Natale per Putin e Xi


Le recenti dichiarazioni del pregiudicato Trump, relative alla sua voglia di prendersi il canale di Panama, la Groenlandia e di sottomettere il Canada come 51esimo stato dell’Unione, sono state un regalo di Natale inaspettato per i due principali dittatori mondiali. 

Penso che neanche nei loro sogni più folli avrebbero potuto sperare di trovarsi davanti un imbecille come quello che assumerà fra pochi giorni la presidenza americana. Loro, che dell’uso della forza fanno l’asse centrale della loro politica, sia estera che casalinga, in barba a tutti i trattati delle nazioni unite, si ritrovano di colpo aiutati in maniera incredibile proprio da quello che dovrebbe essere il loro principale antagonista.

L’uso della forza e l’invasione dell’Ucraina diventano quindi un semplice esempio della politica che intende portare avanti Trump in futuro, di fatto legalizzando l’uso della forza al di sopra del diritto. Chi potrà andare ad accusare Putin, se l’Occidente, col suo Commander-in-Chief, vuol fare esattamente le stesse cose, addirittura contro un paese alleato della NATO? E il buon Xi, appena si rimetterà dallo stupore, comincerà ad attualizzare i piani di invasione di Taiwan, anche lì appoggiandosi sulla “dottrina Trump”. 

La terza guerra mondiale, fatta per pezzi successivi, sta chiaramente accelerando, grazie a quello che dovrebbe essere il nostro principale alleato. Inutile poi ricordare quell’altro pazzo che si porta dietro, Musk: uno che dovrebbe essere arrestato appena sceso dall’aereo nel caso venisse in Italia, dato che ha commesso un “reato universale” come stabilito dal governo della sua amica GM, cioè fare un figlio per procreazione assistita. Il suo appoggio diretto ai vari movimenti fascisti e neonazisti servirà solo a dare una spinta ulteriore al crollo di quel mondo, basato sul sistema dei diritti e delle Nazioni Unite, che si era costruito dalla fine del secondo conflitto mondiale.

E noi qua come dei broccoli ad aspettare che tutto questo succeda.



mercoledì 8 gennaio 2025

La sporca dozzina del 2024


 (in realtà sono più di 12 ma va bene lo stesso)

 

come sempre in ordine casuale:


Olivier Norek - Les Guerriers de l'hiver

 

Héctor Abad - L'oblio che saremo

 

Claire Keegan - Piccole cose da nulla

 

Sebastiano Vassalli - La chimera

 

Sandrine Lucchini - Charlotte chérie

 

Maryse Condé - Moi, Tituba sorcière

 

Umberto Matino - I rossi

 

Lea Ypi – Libera

 

Beata Umubyeyi Mairesse - Le convoi

 

Caryl Férey – Okavango

 

Abir Mukherjee - Les princes de Sambalpur

 

Francesca Giannone - La portalettere

 

Silvia Avallone - Cuore Nero

 

Peter May - Il rumore del ghiaccio