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venerdì 7 dicembre 2012

Li vogliono eliminare


Sono proprio loro, quelli che, appena vedete le foto (del mio amico e collega David Boerma), vi fanno subito pensare alla savana, a Out of Africa, ai leoni e a tutti gli altri animali feroci; i Maasai, con cui stiamo lavorando in Kenya e Tanzania, sono sotto attacco, particolarmente nella zona di Ngorongoro, in Tanzania.

Due domande vengono subito in mente: primo, come si fa ad eliminare un popolo nel XXI secolo e, subito dopo, perché? Non vi farò la lunga storia, ma con un raccourci di quelli che solo i blog ti invitano a fare, ricorderò solo che, all'epoca della colonizzazione inglese, i Masaai vennero sposessati di gran parte delle migliori terre che gestivano attraverso pratiche secolari. Vennero quindi costretti a rifugiarsi in habitat parzialmente diversi, nelle parti peggiori, dovendo riadattare sistemi di vita che avevano necessitato secoli per accordarsi con la madre terra. Un equilibrio ecologico che pian piano riuscì a ripristinarsi anche se sottoposto in maniera crescente a stress occasionati dalla "vita moderna". Non avendo il Cynar, hanno dovuto inventarsi altre soluzioni: una conoscenza profonda del loro territorio, di piante, frutta selvatica, pozzi d'acqua, gestione della fertilità della terra in modo da avere dei pascoli per i loro animali e poi, essendo mobili, una organizzazione poco materiale ma altamente sviluppata intellettualmente e istituzionalmente. Solo che tutto questo non si vede facilmente. Vediamo i colori sgargianti, le penne che portano dietro il capo non sappiamo cosa rappresentano, la loro lingua non è stata mai codificata finchè un prete olandese ha deciso di mettersi sul serio a studiarla. Un sistema di regole molto complesse regge l'entrata in società delle giovani classi di età, regola i rapporti col territorio e con gli animali, nonchè fra di loro. Giusto per citare un esempio:noi li vediamo sempre in giro con gli animali, soprattutto vacche (in realtà ci sono anche pecore, ma limitiamoci alle prime). Ci immaginiamo che, con tutte queste vacche siano dei grossi mangiatori di carne, e che la vacca, nel suo insieme, appartenga a chi la porta in giro. Nulla di più sbagliato: per lo più vivono di latte, di vacca, di zebù, ... così ricco di grassi che con due bicchieri (grandi) fanno la giornata intera, da mattina a sera. Ma la storia della vacca è ancora più interessante: intanto mangiano carne solo in rare occasioni, quando si celebra qualcosa o l'animale muore, e comunque quell'animale ha vari proprietari: il latte appartiene alla donna, poi vari pezzi appartengono ai figli ed anche ai vicini. Anche l'uomo ha la sua parte, ma deve spartire l'animale con tutti questi altri. Regole sociali per tenere assieme il gruppo nei periodi fasti e nei periodi duri.

Insomma, erano sopravvissuti agli inglesi per cui uno pensa che possano sopravvivere a tutto; sbagliato perchè poi arrivano le nuove generazioni, che mettono assieme gli ayatollah della natura e i predatori delle terre perdute. Gli ayatollah sono quelli che considerano che l'uomo sia incompatibile con la natura e che quindi per preservare quest'ultima bisogna togliere gli uomini da quel posto. E' una corrente ambientalista conosciuta, che uno sperava non incontrare più, ma invece la ritroviamo qui, in Tanzania: le evidenze di terreno, di chi c'è stato al Lago Natron, a Ngorongoro, è che non si vede nessuna degradazione ambientale anzi, grazie alla gestione dei Maasai, l'equilibrio si mantiene intatto. Ma questi li vorrebbero cacciare, ed hanno investito milioni di dollari nell'operazione, in nome degli slogan accattivanti tipo Salviamo la nostra terra. Hanno grossi appoggi internazionali, anche in Europa, stars del cinema e tutto il resto. Come non bastasse arrivano poi i predatori, i falchi dell'accaparramento delle terre che vorrebbero continuare l'opera intrapresa dalla perfida Albione. Gloi argomenti vanno sempre a finire sulla stessa storia: per far fronte al cambio climatico i Maasai dovrebbero ridurre il numero degli animali etc. etc..cioè di fatto dovrebbero cambiare cultura, cessare di essere nomadi, fare le belle figurine per i turisti e lasciar libero spazio a chi possa valorizzare quelle terre con vista al lago: lodges, turismo di classe, raffinato e caro che brama dalla voglia di vedere un Maasai vero, toccarlo e farsi una foto con lui dopo aver comprato i braccialetti fatti dalle donne, fatta una foto anche con loro, dimenticavo, e poi poter parlare di questi poveretti sorseggiando un liquore on the rocks guardando lo splendido tramonto in riva al lago.

Sarà un caso, ma a me capitano sempre progetti del genere. Giuro che non l'avevo cercato. Chi mi conosce sa che io e la mia squadra ci siamo addentrati nei menadri di paesi in post-conflitto (tipo Mozambico e Angola), oppure ancora in pieno conflitto tipo Darfur e Somaliland, per cercare di aprire una discussione (e forse più) sulla questione die diritti legati alle terre. Questo progetto fa parte di un programma di cui abbiamo già parlato (GIAHS, Sistemi Importanti del Patrimonio Agricolo Mondiale) che cerca di far conoscere e valorizzaqre, anche nei contesti delle politiche nazionali, esempi paradigmatici dell'accumulo di conoscenze storiche che le società agrarie sono riuscite a mettere assieme.

Questo confligge con i sogni millantatori di chi crede nello sviluppo come prodotto di tecnologie, di prodotti chimici e di varietà trasformate: noi parliamo di legami ancestrali, di conoscenze storiche, di rispetto dei diritti in un contesto evolutivo, insomma... un'altra lingua. Stiamo cercando di trovare un modo per aiutarli a non diventare figurine Panini del XXI secolo (con tutto il rispetto per la Panini sia ben chiaro): difficile, ma questi giorni passati a discutere con una serie di persone che qualcosa contano, forse ci lasciano ancora una speranza. Vi terrò informati di come evolcveràa la situazione, ma ricordatevi che se venite da queste parti, Kenya o Tanzania che sia, per favore, quando andate a farvi le foto con il Maasai di servizio, pensate alla dignità perduta di chi, dopo secoli di vita libera è costretto a mercificarsi per far contenti noi uomini bianchi.

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