Non mi interessa Matthew, dato che non sarà certo l’ultimo; il mio sguardo va verso i giornali e telegiornali che, o per ignoranza o per altro, hanno fatto circolare l’informazione su Haiti, ricordando, al massimo, che il paese è ancora per terra dopo il terremoto del 2010. Non ne ho trovato uno, o una, che facesse uno sforzo per cercare di capire come mai questo paese sia messo così male.
Quando va proprio bene, troviamo qualche reportage che ci illustra la deforestazione quasi totale e la degradazione dei suoli agricoli e poi il fatto che gran parte della gente viva in capacchie di legno e bandoni e fango. Già questo é un primo passetto in avanti nell'informazione. Invito quindi a farne qualcuno in più, così la prossima volta che un cugino di Matthew passi da quelle parti e faccia qualche altro centinaio o più di morti, almeno la smettiamo di piangere per quello e cominciamo a dirigere la rabbia verso altri lidi.
Il giorno dopo il terremoto del 2010, una radio francese intervistava un membro del gruppo “architetti senza frontiere” (mai sentito prima, ma va bene lo stesso), in partenza per la capitale. Il suo giudizio era quanto mai sferzante e, dal mio punto di vista, di una correttezza esemplare. Diceva, in soldoni, che sarebbe stato un grossissimo problema ristrutturare e ricostruire le case (il riferimento era, all’epoca, ai tanti morti nella capitale) dato che nessuno aveva un pezzo di carta, un titolo o roba simile, che ne certificasse la proprietà.
La stessa situazione si applica da decenni e decenni (non voglio andar indietro di secoli, ma ritroveremmo la stessa situazione) anche nelle campagne agricole. Il tutto aggravato dalla solita concentrazione di terra in mano a poche famiglie e, da ultimo, un sistema legale e giuridico quanto mai farraginoso, fatto apposta per complicare qualsiasi operazione di accatastamento.
Nessuno si sente proprietario a casa sua o nella sua terra (proprietario non nel senso come lo intendiamo noi, ma almeno sicuro di avere una legittimità forte e riconosciuta, che a volte passa anche per un pezzetto di carta con una X messa sopra). La mancanza di sicurezza fondiaria, ce lo insegnano i liberisti della banca mondiale, porta ad avere una relazione predatoria rispetto al bene in oggetto: non si investe per migliorarlo o proteggerlo, come fanno i contadini nel resto del mondo, ma si prende quel che si può nel minor tempo possibile. Il concetto di futuro, di domani, diventa sempre più aleatorio, per cui intanto tiriamo a campare oggi e poi si vedrà.
Haiti era un’isola molto più prosperosa della Repubblica Dominicana, tanto che i francesi fecero di tutto per barattarla con gli spagnoli, facendo cambio: io mi prendo Haiti, le sue foreste, le sue sorgenti, e vi do questa metà Dominicana che interessava molto poco. Oggi se guardate su un google earth qualsiasi, Haiti lo riconoscete perchè non vedrete una macchia di verde neanche dipingendola. Deforestazione, degradazione delle terre e coltivazione su qualsiasi pendente fanno sì che alle prime gocce di ioggia viene giù tutto, figuratevi quando arriva un uragano.
La comunità internazionale ha fatto di tutto per non vedere sul serio questo problema. Abbiamo proposto dei palliativi, tipo il piantare alberelli (un collega forestale mi diceva che con gli alberelli che noi abbiamo fatto piantare avremmo fatto un’autostrada da Port Au Prince fino a Roma). Non ce ne sono più di alberi perchè una volta messi lì, sulle terre di qualcun altro, appena arrivava la fine del progetto finiva tutto, anche i salari per quei quattro poveracci che lavoravano col sistema del food for work. Tanto poi, la comunità internazionale, intenerita dalle immagini che periodicamente arrivavano da questa Africa piazzata in mezzo ai Caraibi, mandava sempre altri soldi per cui non mancava mai una organizzazione, grande o piccol, pronta a proporre un altro progetto... di riforestazione....
Il terremoto, come fu chiaro a qualcuno di noi, rappresentava un’occasione storica per affrontare i veri problemi alla radice. Lo scrissi in messaggi interni ai miei colleghi, corsi sul posto per aiuti di emergenza. Lo scrissi e lo dissi ai miei capi, lo andai a ripetere sul posto, ma nulla è mai stato fatto. Toccare la questione dei diritti sulla terra, in campagna e in città, vuol dire affrontare il potere economico e politico, cosa che le Nazioni Unite e i vari donanti internazionali, Francia in testa, non hanno mai voluto fare.
Era quello il momento quando esisteva una legittimità per intervenire, i poteri forti erano meno forti, c’erano soldi e si poteva quindi iniziare.
Non è stato fatto. Al giorno d’oggi, non mi pare che nemmeno il palazzo presidenziale (costruito su terre che non si sa a chi appartenessero) sia stato ricostruito anzi, a gennaio di due anni fa il presidente dell'epoca ha dichiarato che la sua ricostruzione non rappresentava una prioritá per il paese. I poveracci delle città e delle campagne non avranno mai una certezza sulle loro terre per cui continueranno a disboscare ogni albero che troveranno, perchè di energia ne hanno bisogno per cucinare e per vivere.
Haiti traeva ricchezza anche dall’allevamento dei suini, che quasi tutti i contadini avevano a casa. Andate a cercare l’anno: una minaccia di peste suina toccò gli Stati Uniti che, per proteggersi, passarono su Haiti peggio dell’uragano Matthew, uccidendo tutti, ma proprio tutti, i maiali che esistevano nel paese )a parte quelli politici ovviamente). Da allora non c’è più stato modo di far ripartire quella capitalizzazione agricola minima su cui costruire un domani migliore.
Quindi al prossimo uragano, pensateci due volte e caso mai incazzatevi con chi ha paura di fare quello che sarebbe il suo scopo ultimo: ridurre la povertà e la fame.
PS. I colleghi responsabili delle azioni di terreno ai quali avevo cercato di spiegare questi problemi, senza successo, sono stati, nel frattempo, tutti promossi. Vabbé, magari non c'entra niente.
Nessun commento:
Posta un commento