sabato 30 marzo 2019
2019 L17: Andrea Camilleri - Il metodo Catalanotti
Sellerio, 2018
Il commissario Montalbano crede di muoversi dentro una storia. Si accorge di essere finito in una storia diversa. E si ritrova alla fine in un altro romanzo, ingegnosamente apparentato con le storie dentro le quali si è trovato prima a peregrinare. È un gioco di specchi che si rifrange sulla trama di un giallo, improbabile in apparenza e invece esatto: poco incline ad accomodarsi nella gabbia del genere, dati i diversi e collaborativi gradi di responsabilità, di chi muore e di chi uccide, in una situazione imponderabile e squisitamente ironica. Tutto accade in una Vigàta, che non è risparmiata dai drammi familiari della disoccupazione; e dalle violenze domestiche. La passione civile avvampa di sdegno il commissario, che ricorre a una «farfantaria» per togliere dai guai una giovane coppia di disoccupati colpevoli solo di voler metter su una famiglia. Per quanto impegnato in più fronti, Montalbano tiene tutto sotto controllo. Le indagini lo portano a occuparsi dell’attività esaltante di una compagnia di teatro amatoriale che, fra i componenti del direttorio, annovera Carmelo Catalanotti: figura complessa, e segreta, di artista e di usuraio insieme; e in quanto regista, sperimentatore di un metodo di recitazione traumatico, fondato non sulla mimèsi delle azioni sceniche, ma sull’identificazione delle passioni più oscure degli attori con il similvero della recita. Catalanotti ha una sua cultura teatrale aggiornata sulle avanguardie del Novecento. È convinto del primato del testo. E della necessità di lavorare sull’attore, indotto a confrontarsi con le sue verità più profonde ed estreme. Il romanzo intreccia racconto e passione teatrale. Nel corso delle indagini, Montalbano ha la rivelazione di un amore improvviso, che gli scatena una dolcezza irrequieta di vita: un recupero di giovinezza negli anni tardi. Livia è lontana, assente. Sulla bella malinconia del commissario si chiude questo possente romanzo dedicato alla passione per il teatro (che è quella stessa dell’autore) e alla passione amorosa. Un romanzo, tecnicamente suggestivo, che una relazione dirompente racconta in modo da farle raggiungere il più alto grado di combustione nei versi di una personale antologia di poeti; e, all’interno della sua storia, traspone i racconti dei personaggi in colonne visive messe in moviola perché il commissario possa farle scorrere e rallentare a suo piacimento.
Primo libro di Camilleri sul commissario Montalbano che leggo. Un'avventura, dato che è scritto in siciliano. Bella storia, dove si chiude l'eterna storia con Livia e dove l'egocentrismo di Montalbano viene finalmente messo in luce. Consigliato (il libro, non il commissario).
martedì 26 marzo 2019
Terra contesa e jihadismo, strage in Mali
Mi permetto di riprendere il titolo dell'articolo pubblicato da Africarivista, che vi invito a leggere, disponibile all'indirizzo seguente: https://www.africarivista.it/terra-contesa-strage-in-mali/137866/.
Una volta ancora assistiamo al compimento della profezia che da anni cerco di spiegare su queste pagine. La contesa per risorse naturali limitate, con lo sfondo di stati in precarie situazioni e che si ostinano a non riconoscere il ruolo chiave delle autorità comunitarie locali, per cui le capacità di "governance" stanno andando a farsi friggere, il costo decrescente delle armi e le conseguenze del cambio climatico, nonché una ottusità di fondo della comunità internazionale, includendo in questo le Nazioni Unite (e la mia cara ex-FAO), fanno sì che a mano a mano che questi scontri si protraggono, qualcuno ha capito di poterne tirare dei benefici politici. Ecco apparire quindi le varie branchie dell'estremismo religioso, in questo momento mussulmano ma chi può escludere che gli altri non farebbero lo stesso?
Questo meccanismo lo abbiamo visto in azione anni fa in Nigeria, cercando di allertare i miei capi agenzia ma anche il rappresentante delle Nazioni Unite sulla necessità di attaccare il problema alle radici e cioè la questione Terra (e acqua, beninteso). Non si è voluto far nulla, preferendo il solito tran tran di interventi "emergenziali" che non vanno mai al fondo del problema e lasciando marcire una situazione che non può che peggiorare, non solo in Nigeria o Mali, ma nell'intero continente, nelMedio Oriente e nell'Asia. Dopo sforzi continui ma inascoltati da parte dei colleghi responsabili delle Emergenze in FAO, non resta che aspettare e vedere cos'altro succederà prima che si decidano a fare qualcosa e non solo far finta di fare qualcosa come fanno adesso. Il fatto che le Nazioni Unite abbiamo approvato un documento sulla questione dei conflitti, su insistenza di un'agenzia periferica della famiglia ONU, non avanza il dibattito di una virgola.
Mancala volontà politica, più che i soldi. La ragione è semplice, nella sua estrema complessità: le decrescenti capacità delle istituzioni pubbliche dei paesi della fascia saharo-saheliana di "governare" i loro territori, assieme all'insipienza di chi non ha mai voluto accettare altre istituzioni locali per gestire queste realtà, hanno una chiara responsabilità politica, he discende dalle politiche di aggiustamento strutturale imposte dalla Banca Mondiale per riparare ai guasti delle politiche precedenti, che avevano creato la spirale del debito, volute da chi? Dalla stessa Banca Mondiale. I risultati di medio-lungo termine di queste politiche li vediamo benissimo adesso: sistemi sanitari ridotti a zero, per cui a ogni piè sospinto tutto diventa una pandemia e le ONG occidentali corrono a chiedere soldi per loro, e non per rimettere in piedi i sistemi sanitari locali. Il sistema educativo è stato ridotto a zero, per cui le uniche scuole rimaste sono le Madrasse islamiche, colonizzate sempre più da leader estremisti che preparano le future forze combattenti, e infine istituzioni pubbliche corrotte, incapaci e inutili. Questo abbiamo voluto, anche noi italiani, grazie all'appoggio che le nostre delegazioni presso quelle istituzioni hanno sempre dato a queste politiche. Perché, ricordiamocelo bene, la Banca Mondiale non è un extra-terrestre caduto dal cielo, ma una istituzione voluta dagli americani che noi occidentali abbiamo applaudito e finanziato.
Da lì bisognerebbe ripartire, ma non sarebbe sufficiente. Essendo il cuore del problema legato alla terra, bisognerebbe che la principale agenzia delle nazioni unite che ha il compito storico di lavorare su questo tema, si desse da fare sul serio, con una strategia dei piccoli passi che parta dalle tante cose fatte sul terreno e su queste costruire una capacità negoziale che porti i principali attori a dialogare e concertare delle azioni che creino lavoro e sviluppo, salvaguardando la natura. E invece l'agenzia in questione cosa fa? Continua a sproloquiare sulle direttive volontarie per una governanza responsabile della terra. E' come se, avendo il motore della vostra macchia sfasciato, chiedeste a uno dei tanti lava-macchine di pulirla per bene dentro e fuori. Fanno riunioni, pubblicazione, scrivono progetti per avere soldi per fare altre riunioni e altre pubblicazioni, ma mai, dico mai, che cerchino di lavorare su queste questioni in modo serio e approfondito.
Ecco perché é facile prevedere che le cose potranno solo peggiorare. Non interessa quasi a nessuno risolverle, e quei pochi non hanno potere per farlo. Una nota finale andrebbe fatta per il Vaticano e il Papa che, anni fa, era venuto due volte in visita alla FAO per proporre delle azioni comuni sulle questioni dei conflitti fondiari. Aveva anche scritto un'ottima enciclica che lasciava ben sperare noi tutti, ma poi, come molto spesso gli accade, ha girato pagina e di questo non si è più sentito parlare.
Quindi suggerirei almeno che cattolici, pro-bancomondialisti o tutti quelli che pensano che questo modello di "sviluppo" sia il migliore possibile, almeno abbiano la compiacenza di non venire a piangere per questo e altri massacri che continueranno.
Una volta ancora assistiamo al compimento della profezia che da anni cerco di spiegare su queste pagine. La contesa per risorse naturali limitate, con lo sfondo di stati in precarie situazioni e che si ostinano a non riconoscere il ruolo chiave delle autorità comunitarie locali, per cui le capacità di "governance" stanno andando a farsi friggere, il costo decrescente delle armi e le conseguenze del cambio climatico, nonché una ottusità di fondo della comunità internazionale, includendo in questo le Nazioni Unite (e la mia cara ex-FAO), fanno sì che a mano a mano che questi scontri si protraggono, qualcuno ha capito di poterne tirare dei benefici politici. Ecco apparire quindi le varie branchie dell'estremismo religioso, in questo momento mussulmano ma chi può escludere che gli altri non farebbero lo stesso?
Questo meccanismo lo abbiamo visto in azione anni fa in Nigeria, cercando di allertare i miei capi agenzia ma anche il rappresentante delle Nazioni Unite sulla necessità di attaccare il problema alle radici e cioè la questione Terra (e acqua, beninteso). Non si è voluto far nulla, preferendo il solito tran tran di interventi "emergenziali" che non vanno mai al fondo del problema e lasciando marcire una situazione che non può che peggiorare, non solo in Nigeria o Mali, ma nell'intero continente, nelMedio Oriente e nell'Asia. Dopo sforzi continui ma inascoltati da parte dei colleghi responsabili delle Emergenze in FAO, non resta che aspettare e vedere cos'altro succederà prima che si decidano a fare qualcosa e non solo far finta di fare qualcosa come fanno adesso. Il fatto che le Nazioni Unite abbiamo approvato un documento sulla questione dei conflitti, su insistenza di un'agenzia periferica della famiglia ONU, non avanza il dibattito di una virgola.
Mancala volontà politica, più che i soldi. La ragione è semplice, nella sua estrema complessità: le decrescenti capacità delle istituzioni pubbliche dei paesi della fascia saharo-saheliana di "governare" i loro territori, assieme all'insipienza di chi non ha mai voluto accettare altre istituzioni locali per gestire queste realtà, hanno una chiara responsabilità politica, he discende dalle politiche di aggiustamento strutturale imposte dalla Banca Mondiale per riparare ai guasti delle politiche precedenti, che avevano creato la spirale del debito, volute da chi? Dalla stessa Banca Mondiale. I risultati di medio-lungo termine di queste politiche li vediamo benissimo adesso: sistemi sanitari ridotti a zero, per cui a ogni piè sospinto tutto diventa una pandemia e le ONG occidentali corrono a chiedere soldi per loro, e non per rimettere in piedi i sistemi sanitari locali. Il sistema educativo è stato ridotto a zero, per cui le uniche scuole rimaste sono le Madrasse islamiche, colonizzate sempre più da leader estremisti che preparano le future forze combattenti, e infine istituzioni pubbliche corrotte, incapaci e inutili. Questo abbiamo voluto, anche noi italiani, grazie all'appoggio che le nostre delegazioni presso quelle istituzioni hanno sempre dato a queste politiche. Perché, ricordiamocelo bene, la Banca Mondiale non è un extra-terrestre caduto dal cielo, ma una istituzione voluta dagli americani che noi occidentali abbiamo applaudito e finanziato.
Da lì bisognerebbe ripartire, ma non sarebbe sufficiente. Essendo il cuore del problema legato alla terra, bisognerebbe che la principale agenzia delle nazioni unite che ha il compito storico di lavorare su questo tema, si desse da fare sul serio, con una strategia dei piccoli passi che parta dalle tante cose fatte sul terreno e su queste costruire una capacità negoziale che porti i principali attori a dialogare e concertare delle azioni che creino lavoro e sviluppo, salvaguardando la natura. E invece l'agenzia in questione cosa fa? Continua a sproloquiare sulle direttive volontarie per una governanza responsabile della terra. E' come se, avendo il motore della vostra macchia sfasciato, chiedeste a uno dei tanti lava-macchine di pulirla per bene dentro e fuori. Fanno riunioni, pubblicazione, scrivono progetti per avere soldi per fare altre riunioni e altre pubblicazioni, ma mai, dico mai, che cerchino di lavorare su queste questioni in modo serio e approfondito.
Ecco perché é facile prevedere che le cose potranno solo peggiorare. Non interessa quasi a nessuno risolverle, e quei pochi non hanno potere per farlo. Una nota finale andrebbe fatta per il Vaticano e il Papa che, anni fa, era venuto due volte in visita alla FAO per proporre delle azioni comuni sulle questioni dei conflitti fondiari. Aveva anche scritto un'ottima enciclica che lasciava ben sperare noi tutti, ma poi, come molto spesso gli accade, ha girato pagina e di questo non si è più sentito parlare.
Quindi suggerirei almeno che cattolici, pro-bancomondialisti o tutti quelli che pensano che questo modello di "sviluppo" sia il migliore possibile, almeno abbiano la compiacenza di non venire a piangere per questo e altri massacri che continueranno.
lunedì 25 marzo 2019
2019 L16: Peter May - Le mort aux quatre tombeaux
Editions du Rouergue, 2013
Un pari lors d’une soirée trop alcoolisée amène Enzo MacLeod, ancien légiste de la police écossaise établi en France, à entreprendre une enquête autour de la mystérieuse disparition de Jacques Gaillard, ancien conseiller du Premier ministre devenu star de la télévision et dont on n’a plus aucune trace depuis le mois d’août 1996. Cette affaire énigmatique va le conduire de surprise en coup de théâtre d’un bout à l’autre de la France, dans un macabre jeu de piste imaginé par des esprits aussi brillants que machiavéliques.
La storia è un po' tirata per i capelli, ma resta comunque un bel gialletto... Consigliato per l'estate che verrà!
venerdì 22 marzo 2019
2019 L15: Piergiorgio Odifreddi - Perché non possiamo essere cristiani (e meno che mai cattolici)
TEA, 2013
“In principio Dio creò il cielo e la terra”: parte proprio dall’inizio Piergiorgio Odifreddi in questo suo viaggio dentro le Scritture e lungo i due millenni di storia della Chiesa. Come cittadino e uomo di scienza egli dichiara che il Cristianesimo ha costituito non la molla del pensiero democratico e scientifico europeo, bensì il freno che ne ha gravemente soffocato lo sviluppo. Il Cristianesimo in generale, e il Cattolicesimo in particolare, non sono (soltanto) fenomeni spirituali, ma interferiscono pesantemente nella vita civile di intere nazioni. L’anticlericalismo, oggi, è più una difesa della laicità dello Stato che un attacco alla religione della Chiesa. Odifreddi guida i lettori alla scoperta dei miti e delle superstizioni per dare alla Ragione ciò che è della Ragione. In fondo, e anche per principio, l’ateismo non è una fede.
Probabilmente sarà il mio libro dell'anno, lo consiglio a tutti!
2019 L14: Donato Carrisi - Tenebra Roma
Livre de Poche 2018
Rome va plonger dans les ténèbres pendant 24 heures, toutes les lumières de la ville vont s'éteindre.
Dès le crépuscule, un tueur de l'ombre se met à frapper, aucun habitant n'est à l'abri, même enfermé à double tour. Crime après crime, le mal rejaillit sous sa forme la plus féroce.
Marcus, pénitencier qui a le don de déceler les forces maléfiques, échappe de peu à ce bourreau mystérieux. Mais qui a pu lui vouloir une mort si douloureuse ?
Epaulé par Sandra, photographe de scènes de crime pour la police, il doit trouver
la source du mal avant qu'il ne soit trop tard...
Insomma, ... sembra quasi una nottata nella Roma 5S ... si legge facilmente, buono per un pomeriggio sotto l'ombrellone...
venerdì 15 marzo 2019
VGGT (Directrices Voluntarias para la buena gobernanta de la tierra): se acerca el séptimo aniversario – es hora de hacer un balance
En mayo la FAO y La Via Campesina celebraran el séptimo aniversario de la aprobación de las Directrices Voluntarias para la buena gobernancia de la tierra. Personalmente creo que no hay absolutamente nada que celebrar y, más bien, este será un día más de luto en un sinnúmero de oportunidades perdidas por parte de los progresistas del mundo. Llegaremos a ese día con calma, por el momento me interesa compartir unas reflexiones de Arturo Escobar (La invención del tercer mundo) sobre el concepto madre que está a la base de las VGGT, o sea el “desarrollo sostenible”.
“lo que requiere explicación es precisamente por qué este conjunto de condiciones ha tomado su actual forma, el “desarrollo sostenible”, y cuáles serían los problemas importantes asociados a él.
A este respecto debemos destacar cuatro aspectos. Primero, que el desarrollo sostenible forma parte de un proceso más amplio de problematización de la supervivencia global, que ha traído como resultado la reconstrucción de la relación entre naturaleza y socie- dad. Dicha problematización apareció como respuesta al carácter destructivo del desarrollo después de la Segunda Guerra Mundial, por un lado, y al auge de los movimientos ambientalistas en el Norte y el Sur, por otra, lo que produjo una compleja internacionalización del medio ambiente (Buttel, Hawkins y Power, 1990). Pero lo que se problematiza no es la sostenibilidad de las culturas locales y sus realidades sino la sostenibilidad del ecosistema global. Sin embargo, lo global se define de nuevo de acuerdo con la percepción del mundo compartida por quienes lo rigen. Los ecologistas liberales ven los problemas ecológicos como el resultado de procesos complejos que trascienden el contexto cultural y local. Aún la consigna “Pensar globalmente, actuar localmente” supone no solo que los problemas pueden definirse en el nivel global, sino que son igualmente importantes para todas las comunidades. Los ecoliberales creen que porque todos somos tripulantes de la nave espacial Tierra, todos tenemos la misma responsabilidad de la degradación ambiental. Raras veces se dan cuenta de que existen grandes diferencias y desigualdades en los problemas de recursos entre los países, las regiones, las comunidades y las clases. Y pocas veces reconocen que la responsabilidad está lejos de ser compartida por igual.
Un segundo aspecto que regula el discurso del desarrollo sostenible es el de la economía de la visibilidad que fomenta. Con los años, los analistas de ecosistemas descubrieron las actividades “degradantes” de los pobres, pero casi nunca reconocen que los problemas están enraizados en los procesos de desarrollo que han desplazado comunidades indígenas, perturbando los hábitat y trabajos de la gente, forzando a muchas sociedades rurales a aumentar la presión sobre el medio ambiente. Aunque en los años setenta los ecologistas consideraban como problemas principales el crecimiento económico y la industrialización incontrolada, en los años ochenta muchos de ellos llegaron a percibir la pobreza como un problema de gran importancia ecológica. A los pobres se les reprocha ahora su “irracionalidad” y su falta de conciencia ambiental. Los libros populares y también los textos académicos están llenos de representaciones de masas de gente pobre y piel oscura destruyendo bosques y laderas con hachas y machetes, desplazando con ello la visibilidad y la culpa de los grandes contaminadores industriales del Norte y del Sur y de los estilos de vida depredadores fomentados por el desarrollo capitalista hacia los campesinos pobres y las prácticas “atrasadas” como la agricultura de roza y quema.
Tercero, la visión ecodesarrollista expresada en la corriente principal del desarrollo sostenible reproduce los principales aspectos del economicismo y el desarrollismo. Los discursos no se reemplazan entre sí completamente sino que se construyen uno sobre otro como capas que solo pueden separarse en parte. El discurso del desarrollo sostenible redistribuye muchas de las preocupaciones del desarrollo clásico: necesidades básicas, población, recur- sos, tecnología, cooperación institucional, seguridad alimentaria e industrialismo, son términos que aparecen en el informe Bruntland, pero reconfigurados y reconstruidos. El informe defiende los intereses ecológicos, aunque lo hace con una lógica un poco diferente. Al adoptar el concepto del desarrollo sostenible, dos viejos enemigos, el crecimiento y el medio ambiente, se reconcilian (Redclift, 1987). Después de todo, el informe se centra menos en las consecuencias negativas del crecimiento económico sobre el ambiente que en los efectos de la degradación ambiental sobre el crecimiento y el potencial para el crecimiento. Es el crecimiento (léase expansión del mercado capitalista), y no el medio ambiente lo que hay que sostener. Además, como la pobreza es al tiempo causa y efecto de los problemas ambientales, se requiere crecimiento con el propósito de eliminar la pobreza, con el propósito, a su vez, de proteger el medio ambiente. La Comisión Bruntland da a entender que la manera de armonizar estos dos objetivos en conflicto es establecer nuevas formas de gestión. La gestión ambiental se convierte en la panacea.
Cuarto, esta reconciliación se facilita por el nuevo concepto de “medio ambiente”, cuya importancia en el discurso ecológico creció en el período de la segunda posguerra. El desarrollo de la conciencia ecológica que acompañó al veloz crecimiento de la civilización industrial también transformó la “naturaleza” en “medio ambiente”. La naturaleza ya no significa una entidad autónoma, fuente de vida y de discurso. Para quienes defienden una visión del mundo como recurso, el medio ambiente se convierte en una estructura indispensable. Como se usa hoy el término, el medio ambiente incluye una visión de la naturaleza acorde con el sistema urbano industrial.Todo lo importante para el funcionamiento de este sistema se convierte en parte del medio ambiente. El principio activo de esta conceptualización es el agente humano y sus creaciones, al tiempo que la naturaleza queda relegada a un rol aún más pasivo. Lo que circula es materia prima, productos industriales, desechos tóxicos, “recursos”. La naturaleza se reduce a un ente estático, un mero apéndice del medio ambiente. Junto con el deterioro físico de la naturaleza, presenciamos su muerte simbólica. Lo que se mueve, crea, inspira, es decir, el principio organizador de la vida, reside ahora en el medio ambiente (Sachs, 1992).
Un grupo de activistas ambientales de Canadá destaca así el peligro fundamental de aceptar el discurso del desarrollo sostenible:
La creencia genuina de que el Informe Bruntland constituye un grave avance para el movimiento ambiental/verde... equivale a una lectura selectiva, en la cual los datos relativos a degradación ambiental y pobreza se enfatizan, mientras que la orientación del informe hacia los “recursos” y el crecimiento se ignora o minimiza. Este punto de vista sugiere que dado el respaldo del Informe Bruntland al desarrollo sostenible, los ambientalistas pueden señalar ahora cualquier atrocidad ambiental particular y decir: “Esto no es desarrollo sostenible”. Sin embargo, con ello los ambientalistas están aceptando el “desarrollo” como marco para la discusión (Green Web, 1989: 6).
Convertirse en nuevo cliente del aparato del desarrollo trae más implicaciones de lo que parece: sustenta y contribuye a la difusión de la visión económica dominante.
2019 L13: Razmig Keucheyan - La nature est un champ de bataille
La Découverte
Face à la catastrophe écologique annoncée, les bonnes âmes appellent l’humanité à « dépasser ses divisions » pour s’unir dans un « pacte écologique ». Cet essai s’attaque à cette idée reçue. Il n’y aura pas de consensus environnemental. Loin d’effacer les antagonismes existants, la crise écologique se greffe au contraire à eux pour les porter à incandescence. Soit la localisation des décharges toxiques aux États-Unis : si vous voulez savoir où un stock de déchets donné a le plus de chances d’être enfoui, demandez-vous où vivent les Noirs, les Hispaniques, les Amérindiens et autres minorités raciales. Interrogez-vous par la même occasion sur le lieu où se trouvent les quartiers pauvres… Ce « racisme environnemental » qui joue à l’échelle d’un pays vaut aussi à celle du monde.
« Marchés carbone », « droits à polluer », « dérivés climatiques », « obligations catastrophe » : on assiste à une prolifération des produits financiers « branchés » sur la nature. Faute de s’attaquer à la racine du problème, la stratégie néolibérale choisit de financiariser l’assurance des risques climatiques. C’est l’essor de la « finance environnementale » comme réponse capitaliste à la crise.
Surcroît de catastrophes naturelles, raréfaction de certaines ressources, crises alimentaires, déstabilisation des pôles et des océans, « réfugiés climatiques » par dizaine de millions à l’horizon 2050… Autant de facteurs qui annoncent des conflits armés d’un nouveau genre, auxquels se préparent aujourd’hui les militaires occidentaux. Fini la guerre froide, bienvenue aux « guerres vertes ». De La Nouvelle-Orléans au glacier Siachen en passant par la banquise de l’Arctique, l’auteur explore les lieux marquants de cette nouvelle « géostratégie du climat ».
Un libro che dovrebbe essere obbligatorio da leggere, soprattutto oggi che tutti vogliono andare in piazza per il clima, senza fare uno sforzo minimo per capire cosa ci sia dietro.
Senza dubbio sarà nella Top dell'anno
martedì 12 marzo 2019
2019 L12: Michel Pinçot et Monique Pinçot-Charlot - Le Président des ultra-riches
La Découverte, 2019
« Macron, c’est moi en mieux », confiait Nicolas Sarkozy en juin 2017. En pire, rectifient Michel Pinçon et Monique Pinçon-Charlot. Huit ans après Le Président des riches, les sociologues de la grande bourgeoisie poursuivent leur travail d’enquête sur la dérive oligarchique du pouvoir en France.
Au-delà du mépris social évident dont témoignent les petites phrases du président sur « ceux qui ne sont rien », les auteurs documentent la réalité d’un projet politique profondément inégalitaire. Loin d’avoir été un candidat hors système, Emmanuel Macron est un enfant du sérail, adoubé par les puissants, financé par de généreux donateurs, conseillé par des économistes libéraux. Depuis son arrivée au palais, ce président mal élu a multiplié les cadeaux aux plus riches : suppression de l’ISF, flat tax sur les revenus du capital, suppression de l’exit tax, pérennisation du crédit d’impôt pour les entreprises… Autant de mesures en faveur des privilégiés qui coûtent un « pognon de dingue » alors même que les classes populaires paient la facture sur fond de privatisation plus ou moins rampante des services publics et de faux-semblant en matière de politique écologique.
Mettant en série les faits, arpentant les lieux du pouvoir, brossant le portrait de l’entourage, ce livre fait la chronique édifiante d’une guerre de classe menée depuis le cœur de ce qui s’apparente de plus en plus à une monarchie présidentielle.
Questo libro è dedicato a Eugenio Scalfari che per mesi ha cercato di proporre Macron come l'ideale europeo e progressista col quale il PD doveva allearsi. Delle due l'una: o il PD è andato ancora più a destra di quanto pensassi, oppure Scalfari oramai prende solo lucciole per lanterne.
Dedicato anche a qualsiasi persona che, voglio sperare per sbaglio, avesse votato Macron alle presidenziali, senza avere qualche miliardo di euro nascosti nel materasso. Roba da far rimpiangere che non sia stata eletta la Le Pen, almeno che fosse una neofascista sarebbe stato chiaro a tutti. Questo qui è molto, ma molto peggio.
giovedì 7 marzo 2019
2019 L11: Eric Vuillard - La guerre des pauvres
Actes Sud, 2019
1524, les pauvres se soulèvent dans le sud de l’Allemagne. L’insurrection s’étend, gagne rapidement la Suisse et l’Alsace. Une silhouette se détache du chaos, celle d’un théologien, un jeune homme, en lutte aux côtés des insurgés. Il s’appelle Thomas Müntzer. Sa vie terrible est romanesque. Cela veut dire qu’elle méritait d’être vécue ; elle mérite donc d’être racontée.
Scritto di getto, con una capacità di usare la parola come un vero maestro sa fare, anche troppo a volte. Resta comunque il messaggio che l'autore voleva far passare, di questa figura poco conosciuta ma emblematica delle rivolte contadine d'antan.
«Guarda, i signori e i prìncipi sono l'origine di ogni usura, d'ogni ladrocinio e rapina; essi si appropriano di tutte le creature: dei pesci dell'acqua, degli uccelli dell'aria, degli alberi della terra (Isaia 5, 8). E poi fanno divulgare tra i poveri il comandamento di Dio: "Non rubare". Ma questo non vale per loro. Riducono in miseria tutti gli uomini, pelano e scorticano contadini e artigiani e ogni essere vivente (Michea, 3, 2–4); ma per costoro, alla più piccola mancanza, c'è la forca.»
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(Thomas Müntzer, Confutazione ben fondata, 1524) |
martedì 5 marzo 2019
2019 L10: Boris Quercia - Tant de chiens
Le Livre de Poche, 2016
Encore une mauvaise période pour Santiago Quiñones, flic à Santiago du Chili. Son partenaire Jiménez vient de mourir au cours d'une fusillade avec des narcotrafiquants. Pire encore, le défunt semble avoir été mêlé à des histoires peu claires, et il avait les Affaires internes sur le dos.
Par curiosité autant que par désœuvrement, Santiago commence à mener l'enquête, et il retrouve une jeune femme qu'il connaît bien, Yesenia. Tous deux ont grandi dans le même quartier avant que leurs chemins se séparent. Entretemps, Yesenia a connu l'enfer : séquestrée et violée par son beau-père, elle ne vit plus que pour se venger. Au nom de leur amitié passée, elle va demander à Santiago d'abattre son bourreau...
Meglio del precedente, come mi aveva detto anche il libraio dove li ho comprati. Se non fosse per la solita ed esagerata quantità di sesso, visto sempre e solo sotto l'angolo maschile dei "5 minuti e via", sarebbe anche un candidato alla Top dell'anno. Un po' troppo prevedibile il ritorno di fiamma con la fidanzata storica, Marina, così da terminare il libro su una nota potenzialmente positiva come aveva già fatto nel primo libro. Ci sarebbe poi da dire qualcosa sulla totale assenza di qualsiasi contatto o riferimento con il paese vero, che sia a livello superiore (chi comanda) inferiore (chi è comandato). Insomma il rischio che sia un ennesimo poliziotto "maudit", mezzo drogato, scopereccio, che si fa sparare addosso o accoltellare a ogni piè sospinto, con una storia di famiglia difficile (vedi rapporto con la madre o, come scopriamo qui, con un possibile fratello che non vuol vedere), insomma, rischiamo di essere nel solito cliché, senza che la città dove siamo vissuti e dove abbiamo ancora tanti bei ricordi, riesca a emergere minimamente. Concludendo, mi chiedo come mai siano tutti maschili i commentatori entusiasti che ho trovato sui siti francesi.
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