Siamo quasi arrivati al 12 maggio, settimo anniversario dell'approvazione da parte dei paesi membri della FAO delle famose DV di cui al titolo. Se contiamo anche i tanti anni precedenti per la negoziazione di questo testo, andiamo quasi oltre un decennio di sforzi tesi a abbindolare le comunità di contadini, indigeni, pescatori, forestali e i tanti piccoli agricoltori che da decenni sperano in politiche che non siano sempre e solo contro di loro.
La storia di questa manipolazione richiede un “rappel” di quale fosse il momento storico nel quale ci si muoveva e quali gli attori in gioco.
Come spiego in maniera più estesa nella mia biografia professionale in uscita il mese prossimo, nei primi anni del nuovo millennio riuscimmo a riaprire il dibattito sulla riforma agraria, malgrado le pressioni del mondo anglosassone all'interno delle istituzioni da loro controllate, per evitare una discussione che, inevitabilmente, avrebbe toccato temi politicamente scottanti.
La questione della forte concentrazione della terra in poche mani è stata fin dalla creazione della FAO uno dei temi più caldi su cui si sono combattute innumerevoli battaglie di cui solo una parte è venuta a conoscenza dell'opinione pubblica. Dagli anni 80 in poi, col dominio sempre più incontrastato del modello neoliberale e del Dio Mercato, l'idea che un tema strutturale come la distribuzione equa delle terre potesse (e dovesse) essere parte delle responsabilità delle politiche pubbliche dei governi era considerata come una bestemmia non redimibile. La nostra FAO era stata colonizzata intellettualmente dal mondo anglosassone, dopo aver buttato fuori l'unico capo servizio progressista che avevamo avuto da molti decenni a questa parte. Lo stretto legame intellettuale del nostro capo (Paul Munro Faure) col mondo della Banca Mondiale e, attraverso l'agenzia di cooperazione britannica (DfiD), con gli altri donatori importanti del nord del mondo, faceva sì che il servizio della ex-riforma agraria (oramai dei regimi fondiari) lavorasse alacremente a favore del tema dei mercati della terra.
Tutto il servizio? Ovviamente no, perché c'era un irriducibile combattente che continuava a portare avanti strade diverse. In quegli anni tornarono alla democrazia sia il Brasile che le Filippine e in entrambi i paesi esistevano dei forti movimenti contadini la cui battaglia era la riforma agraria. Oltre al lavoro di lobbying che io esercitavo all'interno della FAO, altre forze si stavano coalizzando per riportare in superficie il tema. Fu così che nel dicembre del 2004 venne organizzato dal CERAI di Valencia un Forum Mondiale sulla Riforma Agraria a cui anche la FAO decise, all'ultimo momento, di partecipare, su decisione del direttore generale dell'epoca, Jacques Diouf, e contro l'opinione del nostro capo servizio. Il FMRA fu un momento chiave perché permise di dare visibilità al tema a partire da una forte coalizione di ONG, università e specialisti vari, ai quali solo mancarono i lider de La Via Campesina (LVC) che, per ragioni di gelosia istituzionale, non volle partecipare a un evento che lei non aveva organizzato.
Da parte mia e dei miei consulenti ci impiegammo a stimolare i ministri responsabili del Brasile e delle Filippine perché ricordassero al nostro direttore generale il ruolo storico della FAO su questi temi, in modo di provare a forzare un po' la mano e vedere se qualcosa si muoveva. Fu quasi una partita di poker, in particolare fra il Ministro Rossetto e Jacques Diouf, col risultato che venne decisa la realizzazione della Conferenza Internazionale sulla Riforma Agraria e lo Sviluppo Rurale (ICARRD) a Porto Alegre nel marzo del 2006. Ancora una volta La Via Campesina si fece pregare per partecipare, malgrado la visibilità che avevamo assicurato loro anche nei documenti preparatori ufficiali.
La Conferenza andò molto bene, e questo spiacque molto ai neoliberali del nord, Banca Mondiale e vari paesi europei e americani coalizzati. Quello che li spaventò fu il metodo democratico, di dialogo, ascolto e partecipazione che instaurammo nella tre giorni della Conferenza, dimostrando come fosse possibile toccare quei temi in un modo serio e pacato, tenendo in considerazione i rapporti di forza politici ma aprendo la porta anche ai movimenti contadini in modo che fosse possibile esercitare una certa pressione sociale.
La reazione di quel mondo si palesò poche settimane dopo con una missione a Roma dove vennero offerti alla FAO ingenti finanziamenti extra-budget su un tema per noi nuovo, il Cambio Climatico, alla sola condizione che la FAO lasciasse perdere ogni velleità di portare avanti un Piano d'Azione dopo la Conferenza brasiliana, come era tradizione in tutte le conferenze FAO.
Il metodo coercitivo è da sempre usato dai paesi ricchi quando non riescono a piegare le istituzioni delle nazioni unite ai loro voleri politici. Anche quella volta funzionò, data la traballante situazione finanziaria dell'organizzazione. In parallelo la Banca mondiale, assieme ad altre organizzazioni e con l'appoggio della divisione tecnica del commercio della FAO, avevano iniziato un lavoro di preparazione di linee guida (direttive) sul tema scottante degli investimenti nelle zone rurali, con una chiara enfasi a favore degli investitori stranieri e contro i legittimi diritti delle comunità locali
(http://www.fao.org/fileadmin/templates/est/INTERNATIONAL-TRADE/FDIs/RAI_Principles_Synoptic.pdf).
Dato che il tema terra era comunque un affare scottante, e che il mondo neoliberale aveva bisogno di portare avanti la mercantilizzazione della terra (tappa iniziale della finanziarizzazione della Natura nel suo insieme, come spiego più estesamente in un'altra pubblicazione che dovrebbe uscire nel prossimo autunno), una volta tolto di mezzo il tema riforma agraria, venne preso un sostituto dal calderone della Tool-Box americana: questa volta toccò alla “Good Governance”, tirata fuori dritta dritta dal Consenso di Washington.
Il meccanismo proposto era quello di creare un gruppo di lavoro dentro la FAO, sotto il controllo politico del mio capo servizio, l'inglese Paul Munro Faure, in modo da assicurarsi che il mainstream neoliberale fosse rispettato. Al gruppo vennero affiancati dei colleghi allineati alla visione bancomondialista, nonché colleghi di altre unità tecniche che servivano a dare una parvenza di democraticità e pluralità di idee. Tanto il mio direttore (che era stato il principale organizzatore della conferenza ICARRD), come il sottoscritto, venimmo tagliati fuori, in modo da esser sicuri che non ci fossero rompiscatole nel gruppo.
La cosa che più mi sorprese non fu tanto questa, perché la lotta portata avanti dai neoliberali contro le poche voci dissidenti era chiara a tutti, quanto l'arrendevolezza de LVC che accettò subito di entrare nel caravanserraglio montato dagli amici della Banca mondiale, in teoria i grandi nemici della LVC.
Le discussioni si articolarono a partire da un quadro concettuale prefissato, quello del “sustainable use of the environment”, come specificato nella Prefazione, che stava diventando il mantra mondiale per favorire i processi di monetarizzazione e finanziarizzazione della Natura. Per capire meglio questo quadro ideologico, dobbiamo rifarci a quanto ha scritto Arturo Escobar nel suo testo “La invenciòn del Tercer Mundo”(https://cronicon.net/paginas/Documentos/No.10.pdf). Escobar ci spiega in dettaglio gli aspetti principali che sottendono il concetto di sviluppo sostenibile. In primis ci ricorda che questo concetto forma parte di un processo più amplio di problematizzazione della sopravvivenza globale che ha dato come risultato la ricostruzione della relazione tra la natura e la società. Una riflessione originatasi alla luce delle distruzioni causate dalla seconda guerra mondiale e al auge progressivo dei movimenti ambientalisti soprattutto occidentali (e americani in particolare). Il risultato fu un progressivo slittamento dell'attenzione verso l'ecosistema globale. In altre parole, la riflessione tendeva a escludere la sostenibilità delle culture locali e delle loro realtà, per focalizzarsi sulla sostenbilità dell'ecosistema globale, in funzione dei criteri prevalenti nelle menti di chi comandava, e cioè la società occidentale. Anche i movimenti ambientalisti, in particolare gli ecoliberali, arrivarono a teorizzare che, essendo tutti abitanti della stessa nave spaziale Terra, tutti abbiamo una responsabilità uguale in questa degradazione e che per risolvere questi problemi bisogna definirli ed attaccarli a livello globale, trascendendo il contesto culturale locale. Vengono così tolti di mezzo degli intrusi, i tanti attori locali e le loro pratiche, in nome di una uguale responsabilità ecologica che non stava assolutamente in piedi. Si ovviava così di introdurre fin da subito la questione delle dinamiche di potere e delle asimmetrie anche nelle responsabilità del degrado che si aveva davanti.
Altro elemento riguarda la filiazione dello sviluppo sostenibile nella scia della visione dello sviluppo come crescita economica. Quello che risulta evidente anche dal rapporto Bruntland è che bisogna sostenere lo sviluppo (leggasi espansione del mercato capitalista) e non la natura nella sua diversità. Il legame viene dato dalla questione della povertà. Dato che i poveri sono quelli che usano pratiche anti-ambientali e danneggiano di più, per proteggere l'ambiente bisogna lottare contro la povertà e, quindi, favorire la crescita economica. Ecco come si slitta da un concetto ad un altro.
Ed è così che si finisce per non parlare più della natura ma del medio-ambiente, l'environment, inteso come una risorsa per l'essere umano. Non si guarda più alla natura come entità autonoma, fonte di vita, ma ci si concentra sull'ambiente e le risorse che sono a disposizione per gli umani.
In conclusione, difendere il medio ambiente e lo sviluppo sostenibile significa accettare la centralità della crescita economica e la decisione di continuare a prendersi dalla natura tutto quello che sia funzionale a questa crescita. La gerarchia dei poteri è chiara: uomo in primis, tutto il resto viene dopo.
“The recognition of the centrality of land to development”: continua così la prefazione delle VGGT, rafforzando, se bisogno ci fosse, che la filosofia di fondo è quella dello sviluppo, inteso come crescita economica. La terra diventa centrale perché, per gli operatori occidentali, ci vuole non terra, ma certezza giuridica del diritto sulla terra. E questo richiede un sistema di leggi e istituzioni quanto più simili a quelle in uso da noi. Con questa prefazione si sapeva già dove si sarebbe andati a finire.
L'altro aspetto furbesco riguarda lo slittamento dal concetto di “good governance” (buona governanza) a quello di “responsible governance” (governanza responsabile). La ragione probabile tiene al fatto che il primo ha una filiazione diretta con il Consenso di Washington e si porta dietro una ideologia chiaramente neoliberale come hanno chiarito Jomo e Michael Clark nel loro articolo “The Good-governance trap” del quale riporto solo il riassunto iniziale: “Contrary to popular belief, there is little evidence that implementing good-governance reforms leads to more rapid and inclusive economic and social development. In fact, the focus on governance reform – based on a wide variety of one-size-fits-all indicators – may actually be undermining developing countries’ progress.”(https://www.project-syndicate.org/commentary/governance-reform-development-agenda-by-jomo-kwame-sundaram-and-michael-t--clark-2015-06?barrier=accesspaylog)
L'operazione era quindi intesa a spostare l'attenzione dall'iniqua ripartizione delle terre (ciò che avrebbe comandato delle riforme agrarie da parte dei governi) verso una tematica nuova (la good-responsible governance), proposta-imposta da Washington con lo scopo principale di asfaltare le strade delle risorse del terzo mondo per gli appetiti del Nord.
Continuiamo la lettura critica di questo documento (VGGT):
“Tenure systems increasingly face stress as the world’s growing population requires food security, and as environmental degradation and climate change reduce the availability of land, fisheries and forests”(Prefazione). Si enfatizza cioè che i regimi fondiari soffrono degli stress a causa della crescente popolazione, ed anche perché il degrado ambientale e il cambio climatico riducono la disponibilità di terra. Due posizioni ideologiche in una sola frase: complimenti! Non una parola sul fatto che i regimi fondiari soffrono di stress dovuto alle pratiche di accaparramento banditesco da parte di settori privati e pubblici, sempre più legati alla finanza, messi in opera grazie al non rispetto dei diritti e delle leggi. No, questo problema non vale nemmeno la pena di citarlo. Meglio rifugiarsi nel degrado ambientale, del quale non si citano mai i principali responsabili, nonché gli effetti che le politiche decise dal nord hanno ridotto qualsiasi possibilità di politiche anticicliche (e quindi a protezione dell'ambiente) nel sud. La disponibilità di terre si riduce, dicono loro, in realtà si riduce la disponibilità di terre di classe A, quelle dove far crescere le varietà delle multinazionali, mentre le terre degradate soffrono di mancanza di interventi dato che i governi del sud da decenni non hanno risorse da investire oppure, come nel caso della Cina, non sanno più cosa fare per arrestare l'avanzamento del deserto (e questo malgrado i risibili tentativi con il loro muro verde, destinato al fallimento).
E' altresì interessante di notare come il passaggio dalla questione della riforma agraria (che riguarda quindi in primis i milioni di contadini senza terra) alla questione della governance of tenure, permette di eliminare in un colpo solo tutta la discussione sui senza terra che, non avendo terra per definizione, non sono più soggetti centrali in questa nuova discussione. Che un movimento come LVC, nato per dare terra ai senza terra, abbia accettato di lasciar perdere la battaglia ICARRD per abbracciare questa proposta neoliberale, francamente, è difficile da capire.
La retorica delle VGGT. Si parte subito alla grande, con l'articolo 1.1 che ribadisce che le VGGT vogliono operare for the benefit of all, dimenticandosi giusto di citare la ragione principale delle nostre battaglie, e cioè i senza terra. Si chiarisce poi, (1.2.) che il quadro di riferimento devono essere le pratiche internazionali accettate … ma da chi? Come si diceva prima riguardo al concetto di sviluppo sostenibile, l'idea era di portare avanti la lotta globale, lasciando perdere le specificità locali, ed eccoci qui a ripeterlo di nuovo: sono le pratiche internazionali accettate, e cioè quelle (di fatto) proposte-imposte dal mondo occidentale a dettar legge e a queste ci si deve riferire in ultima istanza. Guai a voi ispirarsi dalle pratiche millenarie che le comunità usano nei loro territori.
Sempre nello stesso punto (1.2) si insiste sulla necessità di rafforzare le capacità degli attori... senza mai dire una volta che questi attori operano in situazioni altamente asimmetriche quanto a potere decisionale. Quindi la questione non è di rafforzare in genere, ma di ridurre le discrepanze fra gli uni e gli altri, altrimenti il risultato sarà, ceteris paribus, nullo.
Chi di voi ha mai letto Rostow e la sua teoria degli stadi dello sviluppo? Lettura utile per capire cosa significhi il punto 2.4 col suo riferimento al fatto che le VGGT possono essere usate “at all stages of economic development”. Chi ha scritto questo viveva ancora con le vecchie teorie degli anni 60, quando scriveva Rostow, e non si è accorto che il mondo è cambiato. Peggio ancora, la frase serve a rafforzare quanto già detto e cioè che tutto l'impianto delle VGGT è lì per ricordare che quello che conta è lo sviluppo economico, e basta. Non stupitevi se poi nel corso della lettura non troverete nessun riferimento a Madre Natura e alla biodiversità. Era quello che volevano gli orientatori ideologici del processo.
Mi fermo un attimo sul punto 3.1.4 e in particolare sulla frase sibillina “States should provide prompt, just compensationwhere tenure rights are taken for public purposes.” Sono andato a dare un occhio a quanto riporta wikipedia e questa rimanda direttamente alle decisioni generalmente adottate dai tribunali americani che fanno riferimento al “fair market value” cioè il valore di mercato del bene. Questa giurisprudenza, applicata anche da noi in Italia, nei fatti ha riguardato tutti gli espropri per causa di pubblica utilità fatta una importante eccezione: la riforma agraria. La ragione è semplice: data l'estensione delle superfici da espropriare, altri criteri andavano usati in modo da salvaguardare l'interesse pubblico e privato. Ecco perché, nel caso italiano, venne stabilito (dalla Legge Sila e quella detta Stralcio) un'indennità di espropriazione in base ai valori imponibili accertati ed accertabili ai fini e con i criteri dell’applicazione della imposta progressiva sul patrimonio ed il pagamento delle indennità medesime in titoli di debito pubblico, al portatore, al tasso del 5%, redimibili in 25 anni e commerciabili;(http://consiglio.basilicata.it/consiglioinforma/files/docs/10/11/98/DOCUMENT_FILE_101198.pdf).Mi limito a questo esempio per ricordare una delle tante battaglie condotte dalla Banca Mondiale contro il tema della riforma agraria, soprattutto negli anni recenti quando imperversavano i dioscuri Binswanger e Deininger. Si trattava di far sì che i governi iscrivessero nelle loro legislazioni, possibilmente nelle Costituzioni, che gli indennizzi per gli espropri legati alle riforme agrarie dovessero essere pagati a prezzo di mercato. Era, e rimane, la migliore assicurazione contro qualsiasi velleità che un governo di diverso colore avesse per portare avanti una riforma agraria. Ecco perché l'inserimento di questo riferimento nel testo, così anodino non é alla fine. Se per caso non l'aveste capito, allora andate all'art. 15.1 dove si ribadisce una volta di più quello che vuole la Banca Mondiale (e contro cui si era battuta da sempre LVC): pagare gli espropri per la riforma agraria a prezzo di mercato. Cioè, dimenticatevi la riforma agraria finché campa la Banca mondiale (e gente come il mio ex-capo aggiungo io).
Continuiamo la lettura e arriviamo al punto 3.2: “Business enterprises should identify and assess any actual or potential impacts on human rights and legitimate tenure rights in which they may be involved.” Cioè, quelli del business devono “valutare” (assess) l'impatto che possono avere sui legittimi regimi fondiari. Bene, che debbano valutare, ma non sarebbe stato meglio specificare (ricordiamoci che queste direttive sono volontarie anche per i business-men) che devono rispettare la volontà degli aventi diritti fondiari e che, senza il loro consenso (scritto, qualificato) non si poteva procedere? Forse era troppo complicato, e comunque non in linea con la volontà conclamata di mettersi dalla parte del business, avvertendo gli impresari di “valutare”, ma mai di fermarsi, come se ci fosse una posizione di default che dice che gli investimenti servono sempre e comunque. In questo modo il linguaggio crea una dominazione, e per questo non abbiamo bisogno di scomodare Foucault o Bourdieu. Gli aventi diritti (legittimi, un aggettivo non meglio specificato nel testo, lasciando così carta bianca ai governi di decidere) sono quindi visti come quelli da proteggere purché non si oppongano allo sviluppo che, ovviamente, arriva grazie a quelli del business.
Questa insistenza sui “legittimi” tenure rights ancora oggi mi puzza di marcio, come direbbe Tex Willer. Più avanti nel testo si chiarisce che devono essere gli Stati a decidere quali categorie siano “legittime”, il che nel contesto storico attuale, lascia un po' perplessi. Vorrei solo ricordare che gli Stati-Nazione africani, durante e dopo la colonizzazione, si sono caratterizzati, indipendentemente dal colore politico o dalla lingua di chi governasse, per un asse comune fatto di non rispetto dei diritti consuetudinari, che a ragione potremmo chiamare ancestrali, precedenti le creazioni di questi Stati. Ancora oggi in gran parte di questi paesi, sottoposti a un intenso grabbing delle loro risorse, il riconoscimento di questi diritti è quanto mai precario, limitato se non addirittura assente. Ecco perché questa insistenza su questa sottocategoria di diritti mi lascia perplesso. Secondo me sarebbe stato più semplice limitarsi a riconoscere i diritti fondiari punto e basta. Con l'aggettivo “legittimi” si apre la strada ancora una volta alle sopraffazioni dei governi, quegli stessi che non hanno mai voluto riconoscere facilmente quei diritti storici delle comunità. Il nostro lavoro in Mozambico avrebbe potuto essere il caso ideale per far capire questo aspetto, ma siccome io ero escluso dal gruppo di lavoro e la collega dell'ufficio legale che ha partecipato probabilmente non aveva ben capito la profondità del lavoro svolto in quel paese, ci si è ritrovati con questa soluzione che aggrada i tenutari della formalizzazione dei diritti (e quindi land administration, catasto, registro..) insomma tutto il pacchetto occidentale che serve a favorire il business e mai a proteggere la natura e le comunità rurali.
Passiamo ai principi dell'implementazione (3.B), in particolare il 5°: “Holistic and sustainable approach: recognizing that natural resources and their uses are interconnected, and adopting an integrated and sustainable approach to their administration.” Ancora una volta si capisce bene il biais antinatura delle VGGT. Le risorse naturali e il loro uso sono interconnessi. Questo significa che la Natura non va protetta in quanto bene altro, a sé, ma deve essere vista come una riserva da cui estrarre quello che ci serve. E' l'uso delle risorse che va protetto, ed ecco l'insistenza finale sull'importanza dell'amministrazione. Se si voleva seguire un approccio sistemico sul serio, bisognava concettualizzare meglio questo assieme di “risorse”, cioè tornare alla base del discorso: Natura e non risorse da prendere. Ma in quel caso si sarebbe andati su una strada che non interessava né alla Banca mondiale né ai suoi seguaci.
Anche il principio 7 meriterebbe qualche critica, laddove si insista nel voler applicare una Rule of Law con leggi che siano ampiamente pubblicizzate in applicable languages. Una volta ancora casca l'asino: le lingue locali sono centinaia, forse migliaia nel mondo, ma siccome i nostri giuristi lavorano al massimo in due o tre, e le loro sottigliezze sono difficilmente traducibili in tutte le altre, e in più costerebbe caro, allora ci si premunisce con le “applicable languages”. Tocca quindi alle sperdute comunità agricole o pastorili che non parlano, o parlano male, la lingua ufficiale del paese, fare lo sforzo per pagarsi una traduzione di un qualcosa che non capiscono da dove sia venuto e che, nella loro percezione, rappresenta solo un ennesimo tentativo dell'uomo bianco di prendersi le loro terre.
Andando avanti se ne contano parecchi altri articoli che suonano sospetti o, come minimo, poco chiari. Penso per esempio all'articolo 8.7: “States should develop and publicize policies covering the allocation of tenure rights to others and, where appropriate, the delegation of responsibilities for tenure governance. Policies for allocation of tenure rights should be consistent with broader social, economic and environmental objectives. Local communities that have traditionally used the land, fsheries and forests should receive due consideration in the reallocation of tenure rights.”
Il sottolineato è mio. Traducendo in volgare: quando lo Stato vuole dare terra ad altri, leggi business men, a cui trasferisce anche la responsabilità per la futura governance (contraddicendo il concetto stesso di governance che dice chiaramente come quest'ultima non sia solo materia dello Stato ma dell'insieme di istituzioni che se ne occupano, includendo, ovviamente, le autorità comunitarie), insomma, quando lo Stato vuol far soldi, deve tenere nella dovuta considerazione le comunità locali che usavano quelle risorse da sempre. Questo è esattamente il contrario di quanto abbiamo fatto e ottenuto nelle nostre lotte in Mozambico e altrove. Il principio salvaguardato nella legge mozambicana dice che le comunità locali hanno dei diritti (senza bisogno di formalizzarli) e che qualsiasi altro attore volesse accedere a una parte dei loro territori deve procedere a una consulta con loro e non solo col governo. Cioè si sancisce il principio tripartita nella negoziazione. L'articolo 8.7 invece riporta questo potere allo Stato, pregandolo di considerare quanto si deve le comunità. Che questo principio sia stato appoggiato (e mai criticato) anche dai colleghi dell'ufficio legale della FAO con cui abbiamo lavorato per anni assieme in quei paesi, mi lascia basito. Che poi LVC sia stata felice di questa accozzaglia ideologica neoliberale, resta un altro mistero come quello della verginità della Madonna. Forse con LVC è proprio una questione di fede e basta.
L'importanza dei valori ambientali. Eccoci allora all'art. 9.1 dove finalmente si riconosce che le terre, foreste e “fisheries” (cioè la pesca, occhio!) hanno un valore … ambientale: ottimo verrebbe da dire, solo che, subito dopo, questo valore viene riconosciuto solo ai popoli indigeni e alle comunità con regimi fondiari consuetudinari. Tradotto dal volgare: tutto il resto, terra, foreste e “fisheries” non hanno di questi valori. L'idea stessa che possa esistere una Natura altra, non ha nemmeno sfiorato gli scrittori e i negoziatori di questo libercolo.
Siccome poi queste comunità indigene e consuetudinarie non sanno bene come gestire queste risorse, allora arriva in soccorso l'articolo 9.2 a ricordare che devono promuovere dei diritti sicuri, sostenibili e equitativi a quelle risorse. Un modo semplice per dire che di loro non ci si può fidare e che devono applicare i nostri principi se vogliono far parte del mondo civile.
Se qualcuno non avesse capito bene il principio dell'articolo 9.1, allora ci torna sopra il 9.7 ricordando come gli Stati debbano tenere conto dei valori ambientali (e altro) delle terre indigene o delle comunità locali. Se non avete ancora capito siete proprio delle teste dure. Il valore ambientale esiste solo in quegli spazi, fuori da lì la terre, le foreste e le “fisheries” sono degli asset economici da impiegare per lo sviluppo economico e basta.
Il 9.9 è forse l'articolo che più mi ha fatto imbestialire. Tutto il nostro lavoro in Mozambico, Angola e altrove si è basato sul principio che i diritti delle comunità andassero riconosciuti in modo semplice e che qualsiasi intervento su quei territori dovesse essere negoziato con le comunità attraverso il meccanismo delle consultazioni. Cioè si mettevano su un piano di parità lo Stato, le autorità comunitarie e chi voleva accedere a quelle risorse, in modo che la negoziazione fosse a tre e non a due, nel chiuso dei gabinetti amministrativi dove, con una bustarella, si risolveva tutto. Questo articolo invece è stato scritto partendo dal presupposto che, in nome di obiettivi superiori, il famoso sviluppo economico, l'unica cosa che contasse fosse come ottenere il consenso delle comunità, e non farle partecipare alla negoziazione. Si inventa così un meccanismo contorto, quasi sempre manipolato nella realtà dei fatti, chiamato FPIC (Free Prior and Informed Consent). Sarebbe bastato rifarsi al caso concreto mozambicano, dicendo che se un business-man voleva accedere a una parte di quelle risorse, si doveva mettere in atto un processo di negoziazione territoriale, riconoscendo quindi i diritti consuetudinari delle comunità, preoccupandosi di rafforzare le capacità negoziali degli attori più deboli. Così difficile?
Il capitolo 4, quello sui mercati, è ovviamente quello (ancor) più ideologico. Fin da subito, (art. 11.1) si chiarisce quello che gli Stati devono fare e cioè favorire un approccio basato sui mercati della terra e dei diritti. Le transazioni dei diritti fondiari non devono “jeopardize core development goals”, cioè quelli stessi che vengono definiti a livello globale dalle potenze dominanti, proposti-imposti ai governi sottostanti e sui quali devono allinearsi le buone pratiche internazionali: insomma, bisogna favorire la messa in pratica di mercati e delle istituzioni che servono ai nostri business-men: catasto e registro. Come lo ripete subito dopo l'11.2, bisogna espandere le opportunità economiche. Traduco: le risorse naturali sono uno stock al quale attingere per mandare avanti il nostro sviluppo economico che ne consuma sempre di più. Gli Stati del sud devono allinearsi, nelle politiche, leggi, istituzioni e far capire che la via del mercato come lo vogliamo noi è l'unico sistema possibile anche per gli indigeni e le comunità locali. Io chiamerei questa una colonizzazione intellettuale bella e buona, voi no?
Tutto il resto dei sub-articoli 11 va in questa direzione, così da preparare il pacchetto investimenti, il vero cuore pulsante di queste direttive, che viene immediatamente dopo. L'ordine viene dato subito (art. 12.1): tutti devono riconoscere il ruolo chiave degli investimenti per migliorare la sicurezza alimentare. Il povero Josué De Castro, che nel lontanissimo 1946, ci aveva spiegato come fosse necessario fare una riforma agraria profonda per combattere la fame e promuovere la sicurezza alimentare nel Nordest del Brasile, si starà rivoltando nella tomba.
Mi fermo qui, con una sola, e ultima, eccezione. Chi mi segue su questo blog o nelle mie conferenze sa già cosa pensi del maledetto sistema di compensazione messo a punto dalla Conferenza di Kyoto in poi. Un meccanismo che permette di inquinare da una parte e compensare acquisendo dei crediti per delle buone azioni fatte altrove. Ecco, l'art. 13.3 puzza esattamente come se anche qui dentro si volesse spingere, attraverso le “land banks” per la protezione ambientale attraverso il famigerato meccanismo compensatorio: “States may consider encouraging and facilitating land consolidation and land banks in environmental protection and infrastructure projects tofacilitate the acquisitionof private land for such public projects, and to provideaffected owners, farmers and small-scale food producers with land in compensationthat will allow them to continue, and even increase, production.”
Insomma, con qualche filtro magico Paul Munro e i suoi sodali americani, inglesi e, più in generale, bancomondialisti, portarono avanti questo processo che, fra i tira e molla vari, durò tre anni. L'essenziale del lavoro era stato fatto e anche la data per la sua approvazione nonché presentazione pubblica, era stata scelta: il 12 maggio 2012. Siccome all'epoca questo documento sembrava andar di moda, il nostro caro direttore generale appena nominato, il brasiliano che voleva tanto ridiventare italiano, cercò di metterci anche la sua coppola e così dal giorno dopo l'approvazione, iniziò a dire che era stato merito suo e dell'intervento che aveva fatto all'ultimo minuto. Facciamo finta di credere a questa balla colossale, e quindi attribuiamo a lui la responsabilità di una manipolazione, diventata evidente molto presto, che nella realtà era stata pensata e preparata dai figli di Washington.
L'Unione Europea fu tra i primi a mettere soldi a disposizione, per la prima fase del teatro dell'assurdo e cioè dei seminari regionali e capacity-building per far conoscere ai paesi membri quello che loro stessi avevano negoziato e concordato.
Ex-post, qualche ONG si rese conto dell'errore madornale (ma voluto):
“NGOs thus caution against using the guidelines as a starting point for training or capacity-building work. They advise that the primary focus must remain on local priorities and strategies to secure internal reforms in national laws and policies with respect to land rights recognition, prohibitions on forcible evictions, and land restitution”
https://fern.org/sites/default/files/news-pdf/Final%20VGGT%20report%20for%20uploading.pdf
Come non mancò di chiarire il buon Munro-Faure immediatamente dopo l'approvazione, le VGGT non erano un documento FAO, il che significava, a differenza per esempio delle conclusioni della conferenza sulla riforma agraria, che la FAO non doveva sentirsi particolarmente responsabile per stimolare la messa in opera di quei principi. Era un problema dei paesi e, su base volontaria, potevano prendere quello che più gli garbava e lasciar perdere il resto. Il nucleo duro del gruppo di Munro-Faure era composto da anglofoni di provata fiducia, più altri colleghi che, negli anni, avevano dato prove sufficienti di non criticare mai il capo e di non osare avere una sola idea propria.
La Via Campesina si rese conto pochi mesi dopo che non c'era trippa per i loro gatti: i soldi erano per la FAO e basta, per cui se loro volevano far qualcosa dovevano darsi da fare. Fu così che nemmeno un anno dopo iniziarono a lamentarsi col direttore generale della loro marginalizzazione e del fatto che, in pratica, non stava succedendo assolutamente nulla.
“NGOs must be cautious not to get drawn by governments and donors into abstract talk and technicalities of land ‘governance’. A lot of the guides appear to reduce the VGGT to a technical standard and the human rights approach is lost or side-lined. Technical discussions are not always helpful and can distract from the core need for land redistribution and equitable access to lands and forests that are the real issue in many countries.” [NGO active in VGGT application: interview #3]
Ora, per chi non conosce il funzionamento di questi movimenti, verrebbe da pensare che volevano soldi per spingere in qualche paese ad avere dei cambi strutturali nella “governance” della terra e, chissà, rispolverare anche il desueto tema della riforma agraria. In realtà non era quello che avevano in mente. Volevano soldi per finanziare le loro riunioni e discutere cosa fare di quel documento (che avevano pubblicamente approvato col loro rappresentante argentino Strapazzon). Il buon DG decise allora di cercare di arginare lo strapotere di Munro-Faure, dato che a lui interessava portare a casa un risultato storico che potesse far parte della sua “legacy” il giorno che avrebbe dovuto lasciare la FAO. Decise così di mettere un capo pari livello di Munro-Faure con la responsabilità di portare avanti un programma di appoggio alle organizzazioni contadine con i pochi soldi che un donante mise a disposizione. La scelta cadde su una persona di fiducia del Partito dei Lavoratori brasiliano, una brava persona che avevo conosciuto anni prima quando dirigeva la riforma agraria. I problemi che questa scelta portava con sé era parecchi: da un lato, contrariamente a tutti i consulenti e funzionari che devono avere almeno una lingua ufficiale della FAO certificata per poterci lavorare, questa persona non ne aveva nemmeno una. Il secondo problema era la totale, ma proprio totale, mancanza di conoscenza di cosa fosse la FAO a livello mondiale, come si lavorasse e come muoversi.
Munro-Faure se lo mangiò in un boccone, lasciandogli presentare qualche evento ogni tanto, giusto perché il pubblico si rendesse conto che non conosceva l'inglese, la FAO e nemmeno il processo che aveva portato alle VGGT. Da parte mia provai ad aiutarlo e anche lui chiese parecchie volte al DG di lasciarmi lavorare con lui, dato che ero l'unica persona che conosceva i retroscena, le lingue, la FAO e che non stava dalla parte di Munro-Faure. Ma il brasiliano che aveva tanto voluto essere italiano gli rispose di no ogni volta.
Fu così che del programma delle organizzazioni contadine saltò fuori un unico prodotto, discusso in parecchie riunioni, a una delle quali, in Indonesia, fui mandato a partecipare in nome FAO. Quando si dice che la montagna ha partorito il topolino, beh, questo è il caso: tutta la lotta della Via Campesina si ridusse a un Manuale Popolare dove le Direttive Volontarie venivano chiamate …. Direttive, senza il Volontarie. Una pena.
Nel frattempo la fumisteria anglofona andava avanti e fu così che dopo 4 lunghi anni dall'approvazione venne presentato un documento al Comitato della Sicurezza Alimentare dove si presentavano una serie di casi di successo. Il documento può essere consultato qui: http://www.fao.org/fileadmin/templates/cfs/Docs1516/OEWG_Monitoring/3rd_Meeting/VGGT_Summary_key_elements_4_July_2016.pdf. Si tratta di una ricopilazione di eventi, seminari, workshops, dcumenti condivisi, ma senza che ci sia un solo lavoro politico concreto. Interessante il caso finale che riguarda l'impegno preso dalla Coca Cola sui diritti alla terra. Nella rete troverete molti riferimenti a questo impegno, ma nessun risultato concreto. L'unico che io ho trovato riguarda il caso recente in Thailandia: “Thai court accepts Cambodian land grabbing case, orders mediation”https://www.inclusivedevelopment.net/thai-court-accepts-cambodian-land-grabbing-case-orders-mediation/?fbclid=IwAR3I8FaXZhkUMnyLZSt-kP_jLv4_6YUr_s5onTaayoh4nxTyljbljA7UqZc
Dal 2016 in poi la necessità di trovare almeno un caso positivo è diventata assillante. Ecco perché io e uno dei miei consulenti decidemmo di provare a usare le VGGT in un paese del Nord, in questo caso l'Italia. Con pochissimi soldi e molto lavoro di contatti, fu possibile dimostrare come, con un lavoro politico adeguato, si potrebbero fare dei passi avanti su questi temi anche nei paesi del Nord. Il documento, intitolato “ VGGT as a Tool for Improving Access to Land and the Responsible Management of Natural Resources: Based on the Experience of Lazio Region and Rome Municipality“ e disponibile all'indirizzo seguente: https://www.iss.nl/sites/corporate/files/24-ICAS_CP_Gallico_and_Groppo.pdf
Voleva essere un tentativo per stimolare Munro-Faure e la sua banda a far qualcosa anche al Nord. Facemmo una presentazione del lavoro svolto in FAO e l'amico brasiliano co-responsabile delle VGGT apprezzò molto, tanto da dirci che lo avrebbero pubblicato in FAO. Sono passati solo 3 anni e io porto pazienza. Munro-Faure ovviamente non si degnò nemmeno di risponderci. Dovetti attendere il 2019 e un articolo in preparazione da parte di una collega per avere conferma di quanto supponevo da sempre. Per un altro tema delicato sul quale la FAO voleva fare qualche evento nei paesi del Nord (America e Europa), era stato messo in chiaro che la FAO non deve occuparsi di dare consigli tecnici o politici ai paesi del Nord. Per il momento la Cina non ha ancora preso una posizione simile, vedremo dopo le prossime elezioni. Cioè, le VGGT sono roba per quelli del Sud, sottosviluppati che non siete altro!
Insomma, avendo fretta e mancando di risultati, presero l'unico caso che sembrava andare nella loro direzione: la Sierra Leone. Se cercate nel sito FAO, sarà questa la “success story” che viene presentata. Anch'io ho cercato nella rete, mettendo Sierra Leone e land rights, ed ecco cosa ho trovato in data 23 gennaio 2019: “In Sierra Leone, Land Rights Defenders Under Attack”https://www.oaklandinstitute.org/sierra-leone-land-rights-defenders-under-attack.Per chi non lo conoscesse, l'Oakland Institute è roba seria, mica bruscolini come direbbe Totò. Ho continuato la mia ricerca, ed ecco allora un articolo di Grain, altro peso massimo mondiale su questi temi: Stop land grabbing by SOCFIN in Sierra Leone! Stop the criminalisation of land rights defenders! (data 21 febbraio 2019)https://www.grain.org/entries/6140-stop-land-grabbing-by-socfin-in-sierra-leone-stop-the-criminalisation-of-land-rights-defenders.
Siccome a questo punto vi viene da pensare che sono io ad avercela con queste VGGT, voglio solo ricordarvi che anche altri esperti hanno trovato parecchi elementi critici in queste VGGT:
“Key shortcomings include:
- — Lack of enforceability and the voluntary nature of the guidelines
- — Derogations that seek to subvert international law to national law
- — Ambiguities over the weight of national versus international law
- — Failure to define “legitimate tenure rights”
- — Little specific attention to collective rights and rights to the commons
- — Complexity, making guidelines sometimes hard to interpret
- — Some vague language and provisions open to different interpretations
- — VG terms and concepts often hard to translate into local languages
- — Apparent bias towards the importance and primacy of state decision-making
- — Repeated endorsement of state-sponsored resettlement in the public interest
- — No prohibition of large land sales nor recommendation against large-scale land acquisition
- — Alternative economic models are mostly confined to smallholder/peasant land use systems FPIC is confined to IPs, with conditional language attached
- — Only brief treatment of sustainable land use and environmental protection
- — Minimal attention to water rights
- — Weak treatment of implementation and monitoring.Some indigenous organisations have condemned the VGGT text for its derogations in provisions on indigenous peoples that are not found in existing human rights instruments like UNDRIP. The guidelines, some conclude, may undermine certain international law standards.
Da parte mia continuavo a portare avanti dei progetti sul campo assieme alla mia banda di consulenti che servissero a creare un clima di dialogo e cooperazione foriero di possibili cambiamenti strutturali sulle questioni dei diritti territoriali e sullo “sviluppo” inclusivo. L'esperienza iniziale mozambicana era stata fondamentale per capire come la prima cosa da fare fosse far capire alle comunità locali che anche dentro la FAO potevano esserci delle persone di cui fidarsi; creare quindi fiducia e empatia erano elementi chiave, direi precedenti (o almeno contemporanei) al lavoro tecnico perché di questo si tratta, in fondo, ricostruire un patto sociale, ricreare credibilità rendendoci conto che l'impressione che spesso la FAO stessa ha creato nei confronti degli attori locali è quella di un agente lontano dalle loro preoccupazioni per cui la strategia non doveva partire dalla scrittura di un documento di difficile lettura come le VGGT, ma dal moltiplicare esperienze di lavoro sul campo come quelle nostre in Mozambico, Angola, Bissau, Kenya...
You have to realise that for many communities and activists the FAO is still seen as the ‘enemy’.FAO people are seen as technocrats allied to the governments and when push comes to shove, they will always come down on the side of the State. The reality is that the FAO is a technical body. [NGO: interview #13]
Most communities are unaware of the VGGT. A few community organisations have attended FAO regional meetings in Asia. Once informed about the VGGT, local CSOs have been blunt. They cannot see the relevance of this document for their struggles. Groups from Indonesia were scathing. They said, ‘what is this Rome book? How can it help us? The government is taking our land and we need to prioritise... How can this help us?’”[NGO: interview #13]
https://fern.org/sites/default/files/news-pdf/Final%20VGGT%20report%20for%20uploading.pdf
Ovviamente le nostre esperienze sono rimaste totalmente inascoltate, dato che l'obiettivo da raggiungere era un altro, ben riassunto dalla preoccupazione di una ONG (che ci è arrivata sempre ex-post, mentre in realtà non era difficile capirlo anche prima, conoscendo chi guidava il processo: Munro-Faure e gli accoliti della banca mondiale):
One NGO concern is that global technical-legal standards like the VGGT do not challenge agro-industrial concession models of land acquisition or industrial-scale resource exploitation. NGOs warn that donors and governments are already starting to apply a narrow technical application of the VGGT, focusing on land registration alongside new land laws that facilitate large-scale land concessions, enable foreign direct investment in land for agribusiness development, and aid TNC strategies to incorporate small holders into the agribusiness supply chain.
NGOs warn that biased and self-serving government and company application of the VGGT risks increasing the vulnerability of communities and smallholders, causing massive land use change and driving the wholescale transformation of land use systems and rural economies.
One problem of the VGGTs is that governments and donor agencies are focusing on a just a few sections of the guidelines (mainly on agricultural investment and land registration). Some are still using World Bank technical tools without applying the rights-based principles in the guidelines. [NGO: interview #4]
...Interventions under the New Alliance are donor-driven, based on technical land policy processes and are largely disconnected from community needs[NGO: interview #4]
...although there are useful parts in the VGGT and donors support them, the trouble is that they do not challenge the current land concession model and do not recognise that the TNC business model is flawed [Forest NGO: interview #9]
There is a tendency for governments, FAO staff and donor agencies to reduce the VGGT to technical issues and abstract legal analyses.NGOs and civil society organisations must keep the VGGT true to their spirit of a right-based approach. [NGO: interview #12]
Ultimi commenti poi provenienti dalle ONG sul lavoro concreto della mia ex-organizzazione:
The local and country FAO staff is pretty bad on land rights stuff.They still apply a technical and agro- industrial bias to land and food production. The approach is not really rights-based. Some of them have little understanding of the VGGT. I know one case in Cambodia where certain FAO staff simply do not know what to with them! [NGO: interview #8]
The local organisations from Indonesia pointed out in a regional meeting on the VGGT that NGOs may negotiate with governments in Rome to get new international standards, but in the end it is governments, the FAO and companies that are quick to use the standard to promote their own agendas at the expense of the communities... [NGO: interview #13]
Questi altri commenti si riferiscono al gruppetto di amici del brasiliano che voleva essere italiano, occupati a promuovere i multistakeholder processes, per mostrare come siano aperti e inclusivi:
Multistakeholder initiatives and platforms, with regional and national meetings, have been a primary activity under FAO VGGT awareness and implementation initiatives. One of the main critiques made by NGOs is that, although these meetings have included some national CSOs, they have so far not been very inclusive of vulnerable groups that are supposed to be major beneficiaries of the VGGT standard.
The truth is that land tenure is complex in all countries. The meetings on the VGGT so far held with FAO support have tended to involve consultants, FAO officials, government agencies and city-based NGOs. The ‘benchmarking’ of tenure issues in the situation analysis has been dominated by government and consultant perspectives. The voice and perspectives of communities and local activists is still not being heard.[Forest NGO: interview #6]
Chiudo ricordando un caro collega che lavora nel dipartimento delle foreste e che ha dichiarato:
There is a need to explore different pathways to positive land tenure change. There are different tools: social mobilisation, litigation, community mapping and generating evidence on local tenure regimes. Engaging with the VGGT and taking part in meetings held by FAO may not necessarily always be the best option for communities.... [FAO Forest and Farm Facility: interview #17]
Difficile per me non essere d'accordo con lui.
Direttive Volontarie per la terra (VGGT): cronaca di una manipolazione annunciata
Siamo quasi arrivati al 12 maggio, settimo anniversario dell'approvazione da parte dei paesi membri della FAO delle famose DV di cui al titolo. Se contiamo anche i tanti anni precedenti per la negoziazione di questo testo, andiamo quasi oltre un decennio di sforzi tesi a abbindolare le comunità di contadini, indigeni, pescatori, forestali e i tanti piccoli agricoltori che da decenni sperano in politiche che non siano sempre e solo contro di loro.
La storia di questa manipolazione richiede un “rappel” di quale fosse il momento storico nel quale ci si muoveva e quali gli attori in gioco.
Come spiego in maniera più estesa nella mia biografia professionale in uscita il mese prossimo, nei primi anni del nuovo millennio riuscimmo a riaprire il dibattito sulla riforma agraria, malgrado le pressioni del mondo anglosassone all'interno delle istituzioni da loro controllate, per evitare una discussione che, inevitabilmente, avrebbe toccato temi politicamente scottanti.
La questione della forte concentrazione della terra in poche mani è stata fin dalla creazione della FAO uno dei temi più caldi su cui si sono combattute innumerevoli battaglie di cui solo una parte è venuta a conoscenza dell'opinione pubblica. Dagli anni 80 in poi, col dominio sempre più incontrastato del modello neoliberale e del Dio Mercato, l'idea che un tema strutturale come la distribuzione equa delle terre potesse (e dovesse) essere parte delle responsabilità delle politiche pubbliche dei governi era considerata come una bestemmia non redimibile. La nostra FAO era stata colonizzata intellettualmente dal mondo anglosassone, dopo aver buttato fuori l'unico capo servizio progressista che avevamo avuto da molti decenni a questa parte. Lo stretto legame intellettuale del nostro capo (Paul Munro Faure) col mondo della Banca Mondiale e, attraverso l'agenzia di cooperazione britannica (DfiD), con gli altri donatori importanti del nord del mondo, faceva sì che il servizio della ex-riforma agraria (oramai dei regimi fondiari) lavorasse alacremente a favore del tema dei mercati della terra.
Tutto il servizio? Ovviamente no, perché c'era un irriducibile combattente che continuava a portare avanti strade diverse. In quegli anni tornarono alla democrazia sia il Brasile che le Filippine e in entrambi i paesi esistevano dei forti movimenti contadini la cui battaglia era la riforma agraria. Oltre al lavoro di lobbying che io esercitavo all'interno della FAO, altre forze si stavano coalizzando per riportare in superficie il tema. Fu così che nel dicembre del 2004 venne organizzato dal CERAI di Valencia un Forum Mondiale sulla Riforma Agraria a cui anche la FAO decise, all'ultimo momento, di partecipare, su decisione del direttore generale dell'epoca, Jacques Diouf, e contro l'opinione del nostro capo servizio. Il FMRA fu un momento chiave perché permise di dare visibilità al tema a partire da una forte coalizione di ONG, università e specialisti vari, ai quali solo mancarono i lider de La Via Campesina (LVC) che, per ragioni di gelosia istituzionale, non volle partecipare a un evento che lei non aveva organizzato.
Da parte mia e dei miei consulenti ci impiegammo a stimolare i ministri responsabili del Brasile e delle Filippine perché ricordassero al nostro direttore generale il ruolo storico della FAO su questi temi, in modo di provare a forzare un po' la mano e vedere se qualcosa si muoveva. Fu quasi una partita di poker, in particolare fra il Ministro Rossetto e Jacques Diouf, col risultato che venne decisa la realizzazione della Conferenza Internazionale sulla Riforma Agraria e lo Sviluppo Rurale (ICARRD) a Porto Alegre nel marzo del 2006. Ancora una volta La Via Campesina si fece pregare per partecipare, malgrado la visibilità che avevamo assicurato loro anche nei documenti preparatori ufficiali.
La Conferenza andò molto bene, e questo spiacque molto ai neoliberali del nord, Banca Mondiale e vari paesi europei e americani coalizzati. Quello che li spaventò fu il metodo democratico, di dialogo, ascolto e partecipazione che instaurammo nella tre giorni della Conferenza, dimostrando come fosse possibile toccare quei temi in un modo serio e pacato, tenendo in considerazione i rapporti di forza politici ma aprendo la porta anche ai movimenti contadini in modo che fosse possibile esercitare una certa pressione sociale.
La reazione di quel mondo si palesò poche settimane dopo con una missione a Roma dove vennero offerti alla FAO ingenti finanziamenti extra-budget su un tema per noi nuovo, il Cambio Climatico, alla sola condizione che la FAO lasciasse perdere ogni velleità di portare avanti un Piano d'Azione dopo la Conferenza brasiliana, come era tradizione in tutte le conferenze FAO.
Il metodo coercitivo è da sempre usato dai paesi ricchi quando non riescono a piegare le istituzioni delle nazioni unite ai loro voleri politici. Anche quella volta funzionò, data la traballante situazione finanziaria dell'organizzazione. In parallelo la Banca mondiale, assieme ad altre organizzazioni e con l'appoggio della divisione tecnica del commercio della FAO, avevano iniziato un lavoro di preparazione di linee guida (direttive) sul tema scottante degli investimenti nelle zone rurali, con una chiara enfasi a favore degli investitori stranieri e contro i legittimi diritti delle comunità locali
(http://www.fao.org/fileadmin/templates/est/INTERNATIONAL-TRADE/FDIs/RAI_Principles_Synoptic.pdf).
Dato che il tema terra era comunque un affare scottante, e che il mondo neoliberale aveva bisogno di portare avanti la mercantilizzazione della terra (tappa iniziale della finanziarizzazione della Natura nel suo insieme, come spiego più estesamente in un'altra pubblicazione che dovrebbe uscire nel prossimo autunno), una volta tolto di mezzo il tema riforma agraria, venne preso un sostituto dal calderone della Tool-Box americana: questa volta toccò alla “Good Governance”, tirata fuori dritta dritta dal Consenso di Washington.
Il meccanismo proposto era quello di creare un gruppo di lavoro dentro la FAO, sotto il controllo politico del mio capo servizio, l'inglese Paul Munro Faure, in modo da assicurarsi che il mainstream neoliberale fosse rispettato. Al gruppo vennero affiancati dei colleghi allineati alla visione bancomondialista, nonché colleghi di altre unità tecniche che servivano a dare una parvenza di democraticità e pluralità di idee. Tanto il mio direttore (che era stato il principale organizzatore della conferenza ICARRD), come il sottoscritto, venimmo tagliati fuori, in modo da esser sicuri che non ci fossero rompiscatole nel gruppo.
La cosa che più mi sorprese non fu tanto questa, perché la lotta portata avanti dai neoliberali contro le poche voci dissidenti era chiara a tutti, quanto l'arrendevolezza de LVC che accettò subito di entrare nel caravanserraglio montato dagli amici della Banca mondiale, in teoria i grandi nemici della LVC.
Le discussioni si articolarono a partire da un quadro concettuale prefissato, quello del “sustainable use of the environment”, come specificato nella Prefazione, che stava diventando il mantra mondiale per favorire i processi di monetarizzazione e finanziarizzazione della Natura. Per capire meglio questo quadro ideologico, dobbiamo rifarci a quanto ha scritto Arturo Escobar nel suo testo “La invenciòn del Tercer Mundo”(https://cronicon.net/paginas/Documentos/No.10.pdf). Escobar ci spiega in dettaglio gli aspetti principali che sottendono il concetto di sviluppo sostenibile. In primis ci ricorda che questo concetto forma parte di un processo più amplio di problematizzazione della sopravvivenza globale che ha dato come risultato la ricostruzione della relazione tra la natura e la società. Una riflessione originatasi alla luce delle distruzioni causate dalla seconda guerra mondiale e al auge progressivo dei movimenti ambientalisti soprattutto occidentali (e americani in particolare). Il risultato fu un progressivo slittamento dell'attenzione verso l'ecosistema globale. In altre parole, la riflessione tendeva a escludere la sostenibilità delle culture locali e delle loro realtà, per focalizzarsi sulla sostenbilità dell'ecosistema globale, in funzione dei criteri prevalenti nelle menti di chi comandava, e cioè la società occidentale. Anche i movimenti ambientalisti, in particolare gli ecoliberali, arrivarono a teorizzare che, essendo tutti abitanti della stessa nave spaziale Terra, tutti abbiamo una responsabilità uguale in questa degradazione e che per risolvere questi problemi bisogna definirli ed attaccarli a livello globale, trascendendo il contesto culturale locale. Vengono così tolti di mezzo degli intrusi, i tanti attori locali e le loro pratiche, in nome di una uguale responsabilità ecologica che non stava assolutamente in piedi. Si ovviava così di introdurre fin da subito la questione delle dinamiche di potere e delle asimmetrie anche nelle responsabilità del degrado che si aveva davanti.
Altro elemento riguarda la filiazione dello sviluppo sostenibile nella scia della visione dello sviluppo come crescita economica. Quello che risulta evidente anche dal rapporto Bruntland è che bisogna sostenere lo sviluppo (leggasi espansione del mercato capitalista) e non la natura nella sua diversità. Il legame viene dato dalla questione della povertà. Dato che i poveri sono quelli che usano pratiche anti-ambientali e danneggiano di più, per proteggere l'ambiente bisogna lottare contro la povertà e, quindi, favorire la crescita economica. Ecco come si slitta da un concetto ad un altro.
Ed è così che si finisce per non parlare più della natura ma del medio-ambiente, l'environment, inteso come una risorsa per l'essere umano. Non si guarda più alla natura come entità autonoma, fonte di vita, ma ci si concentra sull'ambiente e le risorse che sono a disposizione per gli umani.
In conclusione, difendere il medio ambiente e lo sviluppo sostenibile significa accettare la centralità della crescita economica e la decisione di continuare a prendersi dalla natura tutto quello che sia funzionale a questa crescita. La gerarchia dei poteri è chiara: uomo in primis, tutto il resto viene dopo.
“The recognition of the centrality of land to development”: continua così la prefazione delle VGGT, rafforzando, se bisogno ci fosse, che la filosofia di fondo è quella dello sviluppo, inteso come crescita economica. La terra diventa centrale perché, per gli operatori occidentali, ci vuole non terra, ma certezza giuridica del diritto sulla terra. E questo richiede un sistema di leggi e istituzioni quanto più simili a quelle in uso da noi. Con questa prefazione si sapeva già dove si sarebbe andati a finire.
L'altro aspetto furbesco riguarda lo slittamento dal concetto di “good governance” (buona governanza) a quello di “responsible governance” (governanza responsabile). La ragione probabile tiene al fatto che il primo ha una filiazione diretta con il Consenso di Washington e si porta dietro una ideologia chiaramente neoliberale come hanno chiarito Jomo e Michael Clark nel loro articolo “The Good-governance trap” del quale riporto solo il riassunto iniziale: “Contrary to popular belief, there is little evidence that implementing good-governance reforms leads to more rapid and inclusive economic and social development. In fact, the focus on governance reform – based on a wide variety of one-size-fits-all indicators – may actually be undermining developing countries’ progress.”(https://www.project-syndicate.org/commentary/governance-reform-development-agenda-by-jomo-kwame-sundaram-and-michael-t--clark-2015-06?barrier=accesspaylog)
L'operazione era quindi intesa a spostare l'attenzione dall'iniqua ripartizione delle terre (ciò che avrebbe comandato delle riforme agrarie da parte dei governi) verso una tematica nuova (la good-responsible governance), proposta-imposta da Washington con lo scopo principale di asfaltare le strade delle risorse del terzo mondo per gli appetiti del Nord.
Continuiamo la lettura critica di questo documento (VGGT):
“Tenure systems increasingly face stress as the world’s growing population requires food security, and as environmental degradation and climate change reduce the availability of land, fisheries and forests”(Prefazione). Si enfatizza cioè che i regimi fondiari soffrono degli stress a causa della crescente popolazione, ed anche perché il degrado ambientale e il cambio climatico riducono la disponibilità di terra. Due posizioni ideologiche in una sola frase: complimenti! Non una parola sul fatto che i regimi fondiari soffrono di stress dovuto alle pratiche di accaparramento banditesco da parte di settori privati e pubblici, sempre più legati alla finanza, messi in opera grazie al non rispetto dei diritti e delle leggi. No, questo problema non vale nemmeno la pena di citarlo. Meglio rifugiarsi nel degrado ambientale, del quale non si citano mai i principali responsabili, nonché gli effetti che le politiche decise dal nord hanno ridotto qualsiasi possibilità di politiche anticicliche (e quindi a protezione dell'ambiente) nel sud. La disponibilità di terre si riduce, dicono loro, in realtà si riduce la disponibilità di terre di classe A, quelle dove far crescere le varietà delle multinazionali, mentre le terre degradate soffrono di mancanza di interventi dato che i governi del sud da decenni non hanno risorse da investire oppure, come nel caso della Cina, non sanno più cosa fare per arrestare l'avanzamento del deserto (e questo malgrado i risibili tentativi con il loro muro verde, destinato al fallimento).
E' altresì interessante di notare come il passaggio dalla questione della riforma agraria (che riguarda quindi in primis i milioni di contadini senza terra) alla questione della governance of tenure, permette di eliminare in un colpo solo tutta la discussione sui senza terra che, non avendo terra per definizione, non sono più soggetti centrali in questa nuova discussione. Che un movimento come LVC, nato per dare terra ai senza terra, abbia accettato di lasciar perdere la battaglia ICARRD per abbracciare questa proposta neoliberale, francamente, è difficile da capire.
La retorica delle VGGT. Si parte subito alla grande, con l'articolo 1.1 che ribadisce che le VGGT vogliono operare for the benefit of all, dimenticandosi giusto di citare la ragione principale delle nostre battaglie, e cioè i senza terra. Si chiarisce poi, (1.2.) che il quadro di riferimento devono essere le pratiche internazionali accettate … ma da chi? Come si diceva prima riguardo al concetto di sviluppo sostenibile, l'idea era di portare avanti la lotta globale, lasciando perdere le specificità locali, ed eccoci qui a ripeterlo di nuovo: sono le pratiche internazionali accettate, e cioè quelle (di fatto) proposte-imposte dal mondo occidentale a dettar legge e a queste ci si deve riferire in ultima istanza. Guai a voi ispirarsi dalle pratiche millenarie che le comunità usano nei loro territori.
Sempre nello stesso punto (1.2) si insiste sulla necessità di rafforzare le capacità degli attori... senza mai dire una volta che questi attori operano in situazioni altamente asimmetriche quanto a potere decisionale. Quindi la questione non è di rafforzare in genere, ma di ridurre le discrepanze fra gli uni e gli altri, altrimenti il risultato sarà, ceteris paribus, nullo.
Chi di voi ha mai letto Rostow e la sua teoria degli stadi dello sviluppo? Lettura utile per capire cosa significhi il punto 2.4 col suo riferimento al fatto che le VGGT possono essere usate “at all stages of economic development”. Chi ha scritto questo viveva ancora con le vecchie teorie degli anni 60, quando scriveva Rostow, e non si è accorto che il mondo è cambiato. Peggio ancora, la frase serve a rafforzare quanto già detto e cioè che tutto l'impianto delle VGGT è lì per ricordare che quello che conta è lo sviluppo economico, e basta. Non stupitevi se poi nel corso della lettura non troverete nessun riferimento a Madre Natura e alla biodiversità. Era quello che volevano gli orientatori ideologici del processo.
Mi fermo un attimo sul punto 3.1.4 e in particolare sulla frase sibillina “States should provide prompt, just compensationwhere tenure rights are taken for public purposes.” Sono andato a dare un occhio a quanto riporta wikipedia e questa rimanda direttamente alle decisioni generalmente adottate dai tribunali americani che fanno riferimento al “fair market value” cioè il valore di mercato del bene. Questa giurisprudenza, applicata anche da noi in Italia, nei fatti ha riguardato tutti gli espropri per causa di pubblica utilità fatta una importante eccezione: la riforma agraria. La ragione è semplice: data l'estensione delle superfici da espropriare, altri criteri andavano usati in modo da salvaguardare l'interesse pubblico e privato. Ecco perché, nel caso italiano, venne stabilito (dalla Legge Sila e quella detta Stralcio) un'indennità di espropriazione in base ai valori imponibili accertati ed accertabili ai fini e con i criteri dell’applicazione della imposta progressiva sul patrimonio ed il pagamento delle indennità medesime in titoli di debito pubblico, al portatore, al tasso del 5%, redimibili in 25 anni e commerciabili;(http://consiglio.basilicata.it/consiglioinforma/files/docs/10/11/98/DOCUMENT_FILE_101198.pdf).Mi limito a questo esempio per ricordare una delle tante battaglie condotte dalla Banca Mondiale contro il tema della riforma agraria, soprattutto negli anni recenti quando imperversavano i dioscuri Binswanger e Deininger. Si trattava di far sì che i governi iscrivessero nelle loro legislazioni, possibilmente nelle Costituzioni, che gli indennizzi per gli espropri legati alle riforme agrarie dovessero essere pagati a prezzo di mercato. Era, e rimane, la migliore assicurazione contro qualsiasi velleità che un governo di diverso colore avesse per portare avanti una riforma agraria. Ecco perché l'inserimento di questo riferimento nel testo, così anodino non é alla fine. Se per caso non l'aveste capito, allora andate all'art. 15.1 dove si ribadisce una volta di più quello che vuole la Banca Mondiale (e contro cui si era battuta da sempre LVC): pagare gli espropri per la riforma agraria a prezzo di mercato. Cioè, dimenticatevi la riforma agraria finché campa la Banca mondiale (e gente come il mio ex-capo aggiungo io).
Continuiamo la lettura e arriviamo al punto 3.2: “Business enterprises should identify and assess any actual or potential impacts on human rights and legitimate tenure rights in which they may be involved.” Cioè, quelli del business devono “valutare” (assess) l'impatto che possono avere sui legittimi regimi fondiari. Bene, che debbano valutare, ma non sarebbe stato meglio specificare (ricordiamoci che queste direttive sono volontarie anche per i business-men) che devono rispettare la volontà degli aventi diritti fondiari e che, senza il loro consenso (scritto, qualificato) non si poteva procedere? Forse era troppo complicato, e comunque non in linea con la volontà conclamata di mettersi dalla parte del business, avvertendo gli impresari di “valutare”, ma mai di fermarsi, come se ci fosse una posizione di default che dice che gli investimenti servono sempre e comunque. In questo modo il linguaggio crea una dominazione, e per questo non abbiamo bisogno di scomodare Foucault o Bourdieu. Gli aventi diritti (legittimi, un aggettivo non meglio specificato nel testo, lasciando così carta bianca ai governi di decidere) sono quindi visti come quelli da proteggere purché non si oppongano allo sviluppo che, ovviamente, arriva grazie a quelli del business.
Questa insistenza sui “legittimi” tenure rights ancora oggi mi puzza di marcio, come direbbe Tex Willer. Più avanti nel testo si chiarisce che devono essere gli Stati a decidere quali categorie siano “legittime”, il che nel contesto storico attuale, lascia un po' perplessi. Vorrei solo ricordare che gli Stati-Nazione africani, durante e dopo la colonizzazione, si sono caratterizzati, indipendentemente dal colore politico o dalla lingua di chi governasse, per un asse comune fatto di non rispetto dei diritti consuetudinari, che a ragione potremmo chiamare ancestrali, precedenti le creazioni di questi Stati. Ancora oggi in gran parte di questi paesi, sottoposti a un intenso grabbing delle loro risorse, il riconoscimento di questi diritti è quanto mai precario, limitato se non addirittura assente. Ecco perché questa insistenza su questa sottocategoria di diritti mi lascia perplesso. Secondo me sarebbe stato più semplice limitarsi a riconoscere i diritti fondiari punto e basta. Con l'aggettivo “legittimi” si apre la strada ancora una volta alle sopraffazioni dei governi, quegli stessi che non hanno mai voluto riconoscere facilmente quei diritti storici delle comunità. Il nostro lavoro in Mozambico avrebbe potuto essere il caso ideale per far capire questo aspetto, ma siccome io ero escluso dal gruppo di lavoro e la collega dell'ufficio legale che ha partecipato probabilmente non aveva ben capito la profondità del lavoro svolto in quel paese, ci si è ritrovati con questa soluzione che aggrada i tenutari della formalizzazione dei diritti (e quindi land administration, catasto, registro..) insomma tutto il pacchetto occidentale che serve a favorire il business e mai a proteggere la natura e le comunità rurali.
Passiamo ai principi dell'implementazione (3.B), in particolare il 5°: “Holistic and sustainable approach: recognizing that natural resources and their uses are interconnected, and adopting an integrated and sustainable approach to their administration.” Ancora una volta si capisce bene il biais antinatura delle VGGT. Le risorse naturali e il loro uso sono interconnessi. Questo significa che la Natura non va protetta in quanto bene altro, a sé, ma deve essere vista come una riserva da cui estrarre quello che ci serve. E' l'uso delle risorse che va protetto, ed ecco l'insistenza finale sull'importanza dell'amministrazione. Se si voleva seguire un approccio sistemico sul serio, bisognava concettualizzare meglio questo assieme di “risorse”, cioè tornare alla base del discorso: Natura e non risorse da prendere. Ma in quel caso si sarebbe andati su una strada che non interessava né alla Banca mondiale né ai suoi seguaci.
Anche il principio 7 meriterebbe qualche critica, laddove si insista nel voler applicare una Rule of Law con leggi che siano ampiamente pubblicizzate in applicable languages. Una volta ancora casca l'asino: le lingue locali sono centinaia, forse migliaia nel mondo, ma siccome i nostri giuristi lavorano al massimo in due o tre, e le loro sottigliezze sono difficilmente traducibili in tutte le altre, e in più costerebbe caro, allora ci si premunisce con le “applicable languages”. Tocca quindi alle sperdute comunità agricole o pastorili che non parlano, o parlano male, la lingua ufficiale del paese, fare lo sforzo per pagarsi una traduzione di un qualcosa che non capiscono da dove sia venuto e che, nella loro percezione, rappresenta solo un ennesimo tentativo dell'uomo bianco di prendersi le loro terre.
Andando avanti se ne contano parecchi altri articoli che suonano sospetti o, come minimo, poco chiari. Penso per esempio all'articolo 8.7: “States should develop and publicize policies covering the allocation of tenure rights to others and, where appropriate, the delegation of responsibilities for tenure governance. Policies for allocation of tenure rights should be consistent with broader social, economic and environmental objectives. Local communities that have traditionally used the land, fsheries and forests should receive due consideration in the reallocation of tenure rights.”
Il sottolineato è mio. Traducendo in volgare: quando lo Stato vuole dare terra ad altri, leggi business men, a cui trasferisce anche la responsabilità per la futura governance (contraddicendo il concetto stesso di governance che dice chiaramente come quest'ultima non sia solo materia dello Stato ma dell'insieme di istituzioni che se ne occupano, includendo, ovviamente, le autorità comunitarie), insomma, quando lo Stato vuol far soldi, deve tenere nella dovuta considerazione le comunità locali che usavano quelle risorse da sempre. Questo è esattamente il contrario di quanto abbiamo fatto e ottenuto nelle nostre lotte in Mozambico e altrove. Il principio salvaguardato nella legge mozambicana dice che le comunità locali hanno dei diritti (senza bisogno di formalizzarli) e che qualsiasi altro attore volesse accedere a una parte dei loro territori deve procedere a una consulta con loro e non solo col governo. Cioè si sancisce il principio tripartita nella negoziazione. L'articolo 8.7 invece riporta questo potere allo Stato, pregandolo di considerare quanto si deve le comunità. Che questo principio sia stato appoggiato (e mai criticato) anche dai colleghi dell'ufficio legale della FAO con cui abbiamo lavorato per anni assieme in quei paesi, mi lascia basito. Che poi LVC sia stata felice di questa accozzaglia ideologica neoliberale, resta un altro mistero come quello della verginità della Madonna. Forse con LVC è proprio una questione di fede e basta.
L'importanza dei valori ambientali. Eccoci allora all'art. 9.1 dove finalmente si riconosce che le terre, foreste e “fisheries” (cioè la pesca, occhio!) hanno un valore … ambientale: ottimo verrebbe da dire, solo che, subito dopo, questo valore viene riconosciuto solo ai popoli indigeni e alle comunità con regimi fondiari consuetudinari. Tradotto dal volgare: tutto il resto, terra, foreste e “fisheries” non hanno di questi valori. L'idea stessa che possa esistere una Natura altra, non ha nemmeno sfiorato gli scrittori e i negoziatori di questo libercolo.
Siccome poi queste comunità indigene e consuetudinarie non sanno bene come gestire queste risorse, allora arriva in soccorso l'articolo 9.2 a ricordare che devono promuovere dei diritti sicuri, sostenibili e equitativi a quelle risorse. Un modo semplice per dire che di loro non ci si può fidare e che devono applicare i nostri principi se vogliono far parte del mondo civile.
Se qualcuno non avesse capito bene il principio dell'articolo 9.1, allora ci torna sopra il 9.7 ricordando come gli Stati debbano tenere conto dei valori ambientali (e altro) delle terre indigene o delle comunità locali. Se non avete ancora capito siete proprio delle teste dure. Il valore ambientale esiste solo in quegli spazi, fuori da lì la terre, le foreste e le “fisheries” sono degli asset economici da impiegare per lo sviluppo economico e basta.
Il 9.9 è forse l'articolo che più mi ha fatto imbestialire. Tutto il nostro lavoro in Mozambico, Angola e altrove si è basato sul principio che i diritti delle comunità andassero riconosciuti in modo semplice e che qualsiasi intervento su quei territori dovesse essere negoziato con le comunità attraverso il meccanismo delle consultazioni. Cioè si mettevano su un piano di parità lo Stato, le autorità comunitarie e chi voleva accedere a quelle risorse, in modo che la negoziazione fosse a tre e non a due, nel chiuso dei gabinetti amministrativi dove, con una bustarella, si risolveva tutto. Questo articolo invece è stato scritto partendo dal presupposto che, in nome di obiettivi superiori, il famoso sviluppo economico, l'unica cosa che contasse fosse come ottenere il consenso delle comunità, e non farle partecipare alla negoziazione. Si inventa così un meccanismo contorto, quasi sempre manipolato nella realtà dei fatti, chiamato FPIC (Free Prior and Informed Consent). Sarebbe bastato rifarsi al caso concreto mozambicano, dicendo che se un business-man voleva accedere a una parte di quelle risorse, si doveva mettere in atto un processo di negoziazione territoriale, riconoscendo quindi i diritti consuetudinari delle comunità, preoccupandosi di rafforzare le capacità negoziali degli attori più deboli. Così difficile?
Il capitolo 4, quello sui mercati, è ovviamente quello (ancor) più ideologico. Fin da subito, (art. 11.1) si chiarisce quello che gli Stati devono fare e cioè favorire un approccio basato sui mercati della terra e dei diritti. Le transazioni dei diritti fondiari non devono “jeopardize core development goals”, cioè quelli stessi che vengono definiti a livello globale dalle potenze dominanti, proposti-imposti ai governi sottostanti e sui quali devono allinearsi le buone pratiche internazionali: insomma, bisogna favorire la messa in pratica di mercati e delle istituzioni che servono ai nostri business-men: catasto e registro. Come lo ripete subito dopo l'11.2, bisogna espandere le opportunità economiche. Traduco: le risorse naturali sono uno stock al quale attingere per mandare avanti il nostro sviluppo economico che ne consuma sempre di più. Gli Stati del sud devono allinearsi, nelle politiche, leggi, istituzioni e far capire che la via del mercato come lo vogliamo noi è l'unico sistema possibile anche per gli indigeni e le comunità locali. Io chiamerei questa una colonizzazione intellettuale bella e buona, voi no?
Tutto il resto dei sub-articoli 11 va in questa direzione, così da preparare il pacchetto investimenti, il vero cuore pulsante di queste direttive, che viene immediatamente dopo. L'ordine viene dato subito (art. 12.1): tutti devono riconoscere il ruolo chiave degli investimenti per migliorare la sicurezza alimentare. Il povero Josué De Castro, che nel lontanissimo 1946, ci aveva spiegato come fosse necessario fare una riforma agraria profonda per combattere la fame e promuovere la sicurezza alimentare nel Nordest del Brasile, si starà rivoltando nella tomba.
Mi fermo qui, con una sola, e ultima, eccezione. Chi mi segue su questo blog o nelle mie conferenze sa già cosa pensi del maledetto sistema di compensazione messo a punto dalla Conferenza di Kyoto in poi. Un meccanismo che permette di inquinare da una parte e compensare acquisendo dei crediti per delle buone azioni fatte altrove. Ecco, l'art. 13.3 puzza esattamente come se anche qui dentro si volesse spingere, attraverso le “land banks” per la protezione ambientale attraverso il famigerato meccanismo compensatorio: “States may consider encouraging and facilitating land consolidation and land banks in environmental protection and infrastructure projects tofacilitate the acquisitionof private land for such public projects, and to provideaffected owners, farmers and small-scale food producers with land in compensationthat will allow them to continue, and even increase, production.”
Insomma, con qualche filtro magico Paul Munro e i suoi sodali americani, inglesi e, più in generale, bancomondialisti, portarono avanti questo processo che, fra i tira e molla vari, durò tre anni. L'essenziale del lavoro era stato fatto e anche la data per la sua approvazione nonché presentazione pubblica, era stata scelta: il 12 maggio 2012. Siccome all'epoca questo documento sembrava andar di moda, il nostro caro direttore generale appena nominato, il brasiliano che voleva tanto ridiventare italiano, cercò di metterci anche la sua coppola e così dal giorno dopo l'approvazione, iniziò a dire che era stato merito suo e dell'intervento che aveva fatto all'ultimo minuto. Facciamo finta di credere a questa balla colossale, e quindi attribuiamo a lui la responsabilità di una manipolazione, diventata evidente molto presto, che nella realtà era stata pensata e preparata dai figli di Washington.
L'Unione Europea fu tra i primi a mettere soldi a disposizione, per la prima fase del teatro dell'assurdo e cioè dei seminari regionali e capacity-building per far conoscere ai paesi membri quello che loro stessi avevano negoziato e concordato.
Ex-post, qualche ONG si rese conto dell'errore madornale (ma voluto):
“NGOs thus caution against using the guidelines as a starting point for training or capacity-building work. They advise that the primary focus must remain on local priorities and strategies to secure internal reforms in national laws and policies with respect to land rights recognition, prohibitions on forcible evictions, and land restitution”
https://fern.org/sites/default/files/news-pdf/Final%20VGGT%20report%20for%20uploading.pdf
Come non mancò di chiarire il buon Munro-Faure immediatamente dopo l'approvazione, le VGGT non erano un documento FAO, il che significava, a differenza per esempio delle conclusioni della conferenza sulla riforma agraria, che la FAO non doveva sentirsi particolarmente responsabile per stimolare la messa in opera di quei principi. Era un problema dei paesi e, su base volontaria, potevano prendere quello che più gli garbava e lasciar perdere il resto. Il nucleo duro del gruppo di Munro-Faure era composto da anglofoni di provata fiducia, più altri colleghi che, negli anni, avevano dato prove sufficienti di non criticare mai il capo e di non osare avere una sola idea propria.
La Via Campesina si rese conto pochi mesi dopo che non c'era trippa per i loro gatti: i soldi erano per la FAO e basta, per cui se loro volevano far qualcosa dovevano darsi da fare. Fu così che nemmeno un anno dopo iniziarono a lamentarsi col direttore generale della loro marginalizzazione e del fatto che, in pratica, non stava succedendo assolutamente nulla.
“NGOs must be cautious not to get drawn by governments and donors into abstract talk and technicalities of land ‘governance’. A lot of the guides appear to reduce the VGGT to a technical standard and the human rights approach is lost or side-lined. Technical discussions are not always helpful and can distract from the core need for land redistribution and equitable access to lands and forests that are the real issue in many countries.” [NGO active in VGGT application: interview #3]
Ora, per chi non conosce il funzionamento di questi movimenti, verrebbe da pensare che volevano soldi per spingere in qualche paese ad avere dei cambi strutturali nella “governance” della terra e, chissà, rispolverare anche il desueto tema della riforma agraria. In realtà non era quello che avevano in mente. Volevano soldi per finanziare le loro riunioni e discutere cosa fare di quel documento (che avevano pubblicamente approvato col loro rappresentante argentino Strapazzon). Il buon DG decise allora di cercare di arginare lo strapotere di Munro-Faure, dato che a lui interessava portare a casa un risultato storico che potesse far parte della sua “legacy” il giorno che avrebbe dovuto lasciare la FAO. Decise così di mettere un capo pari livello di Munro-Faure con la responsabilità di portare avanti un programma di appoggio alle organizzazioni contadine con i pochi soldi che un donante mise a disposizione. La scelta cadde su una persona di fiducia del Partito dei Lavoratori brasiliano, una brava persona che avevo conosciuto anni prima quando dirigeva la riforma agraria. I problemi che questa scelta portava con sé era parecchi: da un lato, contrariamente a tutti i consulenti e funzionari che devono avere almeno una lingua ufficiale della FAO certificata per poterci lavorare, questa persona non ne aveva nemmeno una. Il secondo problema era la totale, ma proprio totale, mancanza di conoscenza di cosa fosse la FAO a livello mondiale, come si lavorasse e come muoversi.
Munro-Faure se lo mangiò in un boccone, lasciandogli presentare qualche evento ogni tanto, giusto perché il pubblico si rendesse conto che non conosceva l'inglese, la FAO e nemmeno il processo che aveva portato alle VGGT. Da parte mia provai ad aiutarlo e anche lui chiese parecchie volte al DG di lasciarmi lavorare con lui, dato che ero l'unica persona che conosceva i retroscena, le lingue, la FAO e che non stava dalla parte di Munro-Faure. Ma il brasiliano che aveva tanto voluto essere italiano gli rispose di no ogni volta.
Fu così che del programma delle organizzazioni contadine saltò fuori un unico prodotto, discusso in parecchie riunioni, a una delle quali, in Indonesia, fui mandato a partecipare in nome FAO. Quando si dice che la montagna ha partorito il topolino, beh, questo è il caso: tutta la lotta della Via Campesina si ridusse a un Manuale Popolare dove le Direttive Volontarie venivano chiamate …. Direttive, senza il Volontarie. Una pena.
Nel frattempo la fumisteria anglofona andava avanti e fu così che dopo 4 lunghi anni dall'approvazione venne presentato un documento al Comitato della Sicurezza Alimentare dove si presentavano una serie di casi di successo. Il documento può essere consultato qui: http://www.fao.org/fileadmin/templates/cfs/Docs1516/OEWG_Monitoring/3rd_Meeting/VGGT_Summary_key_elements_4_July_2016.pdf. Si tratta di una ricopilazione di eventi, seminari, workshops, dcumenti condivisi, ma senza che ci sia un solo lavoro politico concreto. Interessante il caso finale che riguarda l'impegno preso dalla Coca Cola sui diritti alla terra. Nella rete troverete molti riferimenti a questo impegno, ma nessun risultato concreto. L'unico che io ho trovato riguarda il caso recente in Thailandia: “Thai court accepts Cambodian land grabbing case, orders mediation”https://www.inclusivedevelopment.net/thai-court-accepts-cambodian-land-grabbing-case-orders-mediation/?fbclid=IwAR3I8FaXZhkUMnyLZSt-kP_jLv4_6YUr_s5onTaayoh4nxTyljbljA7UqZc
Dal 2016 in poi la necessità di trovare almeno un caso positivo è diventata assillante. Ecco perché io e uno dei miei consulenti decidemmo di provare a usare le VGGT in un paese del Nord, in questo caso l'Italia. Con pochissimi soldi e molto lavoro di contatti, fu possibile dimostrare come, con un lavoro politico adeguato, si potrebbero fare dei passi avanti su questi temi anche nei paesi del Nord. Il documento, intitolato “ VGGT as a Tool for Improving Access to Land and the Responsible Management of Natural Resources: Based on the Experience of Lazio Region and Rome Municipality“ e disponibile all'indirizzo seguente: https://www.iss.nl/sites/corporate/files/24-ICAS_CP_Gallico_and_Groppo.pdf
Voleva essere un tentativo per stimolare Munro-Faure e la sua banda a far qualcosa anche al Nord. Facemmo una presentazione del lavoro svolto in FAO e l'amico brasiliano co-responsabile delle VGGT apprezzò molto, tanto da dirci che lo avrebbero pubblicato in FAO. Sono passati solo 3 anni e io porto pazienza. Munro-Faure ovviamente non si degnò nemmeno di risponderci. Dovetti attendere il 2019 e un articolo in preparazione da parte di una collega per avere conferma di quanto supponevo da sempre. Per un altro tema delicato sul quale la FAO voleva fare qualche evento nei paesi del Nord (America e Europa), era stato messo in chiaro che la FAO non deve occuparsi di dare consigli tecnici o politici ai paesi del Nord. Per il momento la Cina non ha ancora preso una posizione simile, vedremo dopo le prossime elezioni. Cioè, le VGGT sono roba per quelli del Sud, sottosviluppati che non siete altro!
Insomma, avendo fretta e mancando di risultati, presero l'unico caso che sembrava andare nella loro direzione: la Sierra Leone. Se cercate nel sito FAO, sarà questa la “success story” che viene presentata. Anch'io ho cercato nella rete, mettendo Sierra Leone e land rights, ed ecco cosa ho trovato in data 23 gennaio 2019: “In Sierra Leone, Land Rights Defenders Under Attack”https://www.oaklandinstitute.org/sierra-leone-land-rights-defenders-under-attack.Per chi non lo conoscesse, l'Oakland Institute è roba seria, mica bruscolini come direbbe Totò. Ho continuato la mia ricerca, ed ecco allora un articolo di Grain, altro peso massimo mondiale su questi temi: Stop land grabbing by SOCFIN in Sierra Leone! Stop the criminalisation of land rights defenders! (data 21 febbraio 2019)https://www.grain.org/entries/6140-stop-land-grabbing-by-socfin-in-sierra-leone-stop-the-criminalisation-of-land-rights-defenders.
Siccome a questo punto vi viene da pensare che sono io ad avercela con queste VGGT, voglio solo ricordarvi che anche altri esperti hanno trovato parecchi elementi critici in queste VGGT:
“Key shortcomings include:
- — Lack of enforceability and the voluntary nature of the guidelines
- — Derogations that seek to subvert international law to national law
- — Ambiguities over the weight of national versus international law
- — Failure to define “legitimate tenure rights”
- — Little specific attention to collective rights and rights to the commons
- — Complexity, making guidelines sometimes hard to interpret
- — Some vague language and provisions open to different interpretations
- — VG terms and concepts often hard to translate into local languages
- — Apparent bias towards the importance and primacy of state decision-making
- — Repeated endorsement of state-sponsored resettlement in the public interest
- — No prohibition of large land sales nor recommendation against large-scale land acquisition
- — Alternative economic models are mostly confined to smallholder/peasant land use systems FPIC is confined to IPs, with conditional language attached
- — Only brief treatment of sustainable land use and environmental protection
- — Minimal attention to water rights
- — Weak treatment of implementation and monitoring.Some indigenous organisations have condemned the VGGT text for its derogations in provisions on indigenous peoples that are not found in existing human rights instruments like UNDRIP. The guidelines, some conclude, may undermine certain international law standards.
Da parte mia continuavo a portare avanti dei progetti sul campo assieme alla mia banda di consulenti che servissero a creare un clima di dialogo e cooperazione foriero di possibili cambiamenti strutturali sulle questioni dei diritti territoriali e sullo “sviluppo” inclusivo. L'esperienza iniziale mozambicana era stata fondamentale per capire come la prima cosa da fare fosse far capire alle comunità locali che anche dentro la FAO potevano esserci delle persone di cui fidarsi; creare quindi fiducia e empatia erano elementi chiave, direi precedenti (o almeno contemporanei) al lavoro tecnico perché di questo si tratta, in fondo, ricostruire un patto sociale, ricreare credibilità rendendoci conto che l'impressione che spesso la FAO stessa ha creato nei confronti degli attori locali è quella di un agente lontano dalle loro preoccupazioni per cui la strategia non doveva partire dalla scrittura di un documento di difficile lettura come le VGGT, ma dal moltiplicare esperienze di lavoro sul campo come quelle nostre in Mozambico, Angola, Bissau, Kenya...
You have to realise that for many communities and activists the FAO is still seen as the ‘enemy’.FAO people are seen as technocrats allied to the governments and when push comes to shove, they will always come down on the side of the State. The reality is that the FAO is a technical body. [NGO: interview #13]
Most communities are unaware of the VGGT. A few community organisations have attended FAO regional meetings in Asia. Once informed about the VGGT, local CSOs have been blunt. They cannot see the relevance of this document for their struggles. Groups from Indonesia were scathing. They said, ‘what is this Rome book? How can it help us? The government is taking our land and we need to prioritise... How can this help us?’”[NGO: interview #13]
https://fern.org/sites/default/files/news-pdf/Final%20VGGT%20report%20for%20uploading.pdf
Ovviamente le nostre esperienze sono rimaste totalmente inascoltate, dato che l'obiettivo da raggiungere era un altro, ben riassunto dalla preoccupazione di una ONG (che ci è arrivata sempre ex-post, mentre in realtà non era difficile capirlo anche prima, conoscendo chi guidava il processo: Munro-Faure e gli accoliti della banca mondiale):
One NGO concern is that global technical-legal standards like the VGGT do not challenge agro-industrial concession models of land acquisition or industrial-scale resource exploitation. NGOs warn that donors and governments are already starting to apply a narrow technical application of the VGGT, focusing on land registration alongside new land laws that facilitate large-scale land concessions, enable foreign direct investment in land for agribusiness development, and aid TNC strategies to incorporate small holders into the agribusiness supply chain.
NGOs warn that biased and self-serving government and company application of the VGGT risks increasing the vulnerability of communities and smallholders, causing massive land use change and driving the wholescale transformation of land use systems and rural economies.
One problem of the VGGTs is that governments and donor agencies are focusing on a just a few sections of the guidelines (mainly on agricultural investment and land registration). Some are still using World Bank technical tools without applying the rights-based principles in the guidelines. [NGO: interview #4]
...Interventions under the New Alliance are donor-driven, based on technical land policy processes and are largely disconnected from community needs[NGO: interview #4]
...although there are useful parts in the VGGT and donors support them, the trouble is that they do not challenge the current land concession model and do not recognise that the TNC business model is flawed [Forest NGO: interview #9]
There is a tendency for governments, FAO staff and donor agencies to reduce the VGGT to technical issues and abstract legal analyses.NGOs and civil society organisations must keep the VGGT true to their spirit of a right-based approach. [NGO: interview #12]
Ultimi commenti poi provenienti dalle ONG sul lavoro concreto della mia ex-organizzazione:
The local and country FAO staff is pretty bad on land rights stuff.They still apply a technical and agro- industrial bias to land and food production. The approach is not really rights-based. Some of them have little understanding of the VGGT. I know one case in Cambodia where certain FAO staff simply do not know what to with them! [NGO: interview #8]
The local organisations from Indonesia pointed out in a regional meeting on the VGGT that NGOs may negotiate with governments in Rome to get new international standards, but in the end it is governments, the FAO and companies that are quick to use the standard to promote their own agendas at the expense of the communities... [NGO: interview #13]
Questi altri commenti si riferiscono al gruppetto di amici del brasiliano che voleva essere italiano, occupati a promuovere i multistakeholder processes, per mostrare come siano aperti e inclusivi:
Multistakeholder initiatives and platforms, with regional and national meetings, have been a primary activity under FAO VGGT awareness and implementation initiatives. One of the main critiques made by NGOs is that, although these meetings have included some national CSOs, they have so far not been very inclusive of vulnerable groups that are supposed to be major beneficiaries of the VGGT standard.
The truth is that land tenure is complex in all countries. The meetings on the VGGT so far held with FAO support have tended to involve consultants, FAO officials, government agencies and city-based NGOs. The ‘benchmarking’ of tenure issues in the situation analysis has been dominated by government and consultant perspectives. The voice and perspectives of communities and local activists is still not being heard.[Forest NGO: interview #6]
Chiudo ricordando un caro collega che lavora nel dipartimento delle foreste e che ha dichiarato:
There is a need to explore different pathways to positive land tenure change. There are different tools: social mobilisation, litigation, community mapping and generating evidence on local tenure regimes. Engaging with the VGGT and taking part in meetings held by FAO may not necessarily always be the best option for communities.... [FAO Forest and Farm Facility: interview #17]
Difficile per me non essere d'accordo con lui.
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