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lunedì 17 giugno 2024

Indice di Parità Domestica (IPAD)

 

Gruppo di Lavoro IPAD[1]

 

Introduzione

 

Quando si parla di disuguaglianze o disparità di genere si fa spesso riferimento a qualche dato chiave come il differenziale di stipendio tra uomini e donne, oppure alla partecipazione delle donne al mercato del lavoro, o al numero di femminicidi o stupri subiti. Le disuguaglianze di genere sono misurate negli ambiti in cui sono più evidenti e tramite dati più facilmente raccoglibili e disponibili. Ciononostante è innegabile che nel tempo ci sia stato un riconoscimento del fatto che la disuguaglianza di genere influenza gli individui in tutti gli aspetti della loro vita limitandone le scelte, i diritti e le opportunità. Tant’è vero che tra i traguardi dell’Obiettivo di Sviluppo Sostenibile dell’ONU 5, figurano traguardi quali il 5.4 - Riconoscere e valorizzare la cura e il lavoro domestico non retribuito, fornendo un servizio pubblico, infrastrutture e politiche di protezione sociale e la promozione di responsabilità condivise all’interno delle famiglie, conformemente agli standard nazionali.[2]

 

I temi legati all’uguaglianza di cui più spesso si parla, quali l’uguaglianza professionale o le violenze di genere, sono il risultato di un valore differenziato che la società dà, o ha dato, agli uomini e alle donne. Come direbbero Françoise Héritier-Augé e Pascale Molinier, conosciute femministe francesi, si parla di una valenza differenziale delle donne e degli uomini: “tutte le caratteristiche generalmente associate agli uomini, come la forza, la virilità, la temerarietà, sono valorizzate dalla società. Le caratteristiche come la gentilezza, la dolcezza, sono generalmente considerate come femminili e svalorizzate.”[3]

 

Va anche detto che gli indici che misurano la parità sono anch'essi il riflesso di come le nostre società attribuiscono valore alle attività. Alcuni passi in avanti sono stati fatti per valorizzare il ruolo e il contributo fondamentale delle donne negli ambiti tradizionalmente considerati al di fuori dell’economia monetizzata e in quanto tali invisibilizzati e svalorizzati, come quello domestico, (per esempio negli indici di SDG5 - target 4 nello specifico[4]) ma i paesi sono restii e lenti a raccogliere i dati, quindi manca l'evidenza.

 

L’attribuzione automatica a uomini e donne di qualità considerate intrinsecamente ‘maschili’ o ‘femminili’ è strettamente legata ad un giudizio di valore che svilisce o non riconosce il ‘femminile’. Questa valenza differenziale dei sessi ha anche delle implicazioni sulla ripartizione tra uomini e donne del lavoro domestico (che molte femministe italiane e francesi preferiscono chiamare del lavoro non retribuito o del lavoro riproduttivo).

 

Carole Pateman, femminista e teorica politica inglese, citata da Diana Sartori[5], è arrivata ad affermare: “La dicotomia tra il privato e il pubblico è centrale in quasi due secoli di scritti femministi e di lotta politica; è, in definitiva, ciò su cui verte il movimento femminista”. 

 

Pochi dati disponibili per l’Italia, a parte un’indagine Indesit[6], secondo la quale il 79% delle donne italiane dichiara che di solito pianifica la maggior parte delle faccende domestiche e il 76% afferma di svolgere anche la maggior parte dei lavori; con la pandemia poi, la situazione è ancora peggiorata[7]. In Francia l’Osservatorio delle disuguaglianze afferma che non si registra nessun progresso nella condivisione dei compiti domestici e familiari[8]. Gli ultimi dati in Francia datano del 2010 e secondo l’inchiesta della ripartizione del tempo (Enquête Emploi du temps, Insee, 2010), 72% delle donne si occupavano del lavoro domestico (cura dei figli, cucina, fare le pulizie, lavare e stirare). In Spagna, secondo l’istituto di statistica, solo metà delle famiglie si divide le faccende di casa in pari modo. Nel 46% dei casi sono le donne a fare di più, e solo nel 4% gli uomini[9].   A livello mondiale, le indagini sull’utilizzo del tempo rivelano l’esistenza di differenze importanti tra i due sessi per quanto riguarda il tempo impiegato in faccende domestiche e lavoro di cura, soprattutto nei paesi a medio e basso reddito. In media, le donne dedicano 4,2 ore al giorno al lavoro domestico e di cura non retribuito, in confronto a 1,9 ore degli uomini. 

 

La recente pandemia ha anche aumentato il carico di lavoro di cura delle donne. Le molteplici responsabilità di cura delle donne, combinate con le interruzioni dei servizi e la chiusura delle scuole, hanno aumentato l'assistenza domestica non retribuita delle donne, con un rapporto tra l'onere di cura delle donne e quello degli uomini che è passato da 1,8 nel marzo 2020 a 2,4 nel settembre 2021.[10]

 

Le disuguaglianze di genere nel lavoro domestico e di cura non retribuiti, riscontrabili in tutto il mondo seppure con variazioni tra paesi di una stessa regione, tendono a essere maggiori nelle aree rurali rispetto alle aree urbane e quando si considera il tempo speso per la cura come attività secondaria: in un campione di cinque paesi e in contesti prevalentemente rurali, le donne hanno speso in media 7,0 ore per la cura e il lavoro domestico non retribuito, rispetto a una media di 1,4 ore per gli uomini.[11]

 

Per quanto riguarda il gap “cognitivo”, lo studio condotto da Ana Catalano Weeks (2022) segnala che le donne riportano essere responsabili per il 70% del lavoro casalingo cognitivo, mentre i maschi lo sono al 30%.[12]

 

Per quanto riguarda l’elaborazione intellettuale (e la diversità di concezioni), in particolare per quanto riguarda la sfera pubblica, si è andati molto avanti. Anche noi sottoscriviamo quanto scritto da Sartori: “il concetto habermasiano di sfera pubblica andrebbe corretto nel senso di concepire l’esistenza non di un’unica sfera idealizzata, ma piuttosto di una pluralità di sfere pubbliche: «l’idea di una società egualitaria multiculturale ha senso solo se supponiamo una pluralità di arene pubbliche in cui gruppi con diversi valori e retoriche partecipano. Per definizione una simile società deve contenere una molteplicità di ‘pubblico’». In altre parole, come scrive l’autrice, si va verso una “pluralizzazione della concezione del pubblico”, un concetto che va nella stessa direzione di quanto da noi promosso con l’approccio territoriale negoziato.[13]Non una identità unica, ma un insieme di possibili versioni frutto delle negoziazioni continue di attori e attrici, dove però è essenziale un intervento correttivo delle asimmetrie di potere esistenti.

 

Per quanto riguarda invece la riflessione sulla sfera domestica, va ricordata la pubblicazione fondamentale di Mariarosa Dalla Costa (e il contributo di Selma James)[14] dove, per la prima volta, si poneva la centralità di quanto accade nella sfera domestica, luogo fondamentale per la riproduzione della forza lavoro necessaria al sistema capitalista, il tutto tradotto nelle parole dell’epoca e cioè “lavoro non retribuito”.

 

Gli intellettuali “rivoluzionari” dell’epoca, non dettero mai molta importanza a questa tematica, marginalizzando i lavori di Dalla Costa fino ad arrivare a definire le tematiche femministe come delle “contraddizioni secondarie del capitalismo”: “[…] i partiti di massa e i gruppi extraparlamentari hanno sostanzialmente represso l’interesse della donna a lottare contro il proprio sfruttamento mentre hanno sempre privilegiato interessi essenzialmente maschili. Lo sfruttamento della donna e la sua collocazione nel ciclo produttivo né apparivano mai nel dibattito politico né raccoglievano attorno a sé alcuno sforzo organizzativo da parte delle varie sinistre”.[15]

 

Di fatto, anche l’insieme delle organizzazioni politiche tradizionali ha sempre considerato questo spazio come “un luogo di arretratezza politica”[16], così da non accorgersi, se non con colpevole ritardo, che questo diventava il cuore pulsante a livello sociale e politico dell’intero sistema capitalista, come ben spiega Leopoldina Fortunati nell’articolo sopra citato. Ciò in contrasto da quanto promosso dalle femministe attive nell’ambito dell’economia politica che da sempre sostengono l’importanza di decifrare e comprendere "relazioni sistemiche tra le strutture domestiche, economiche e politiche".[17] Pearson ed Elson, ben note economiste femministe, sono fortemente critiche della separazione tra il mondo ‘della produzione’ e quello della riproduzione, invisibile e in quanto tale facilmente strumentalizzabile da parte dello stato.[18] Basti pensare a quanto il lavoro delle donne sopperisca alla mancanza di servizi di cura all’infanzia e agli anziani.

 

Per questa ragione, sottoscriviamo anche noi alla riflessione della Fortunati: “É importante […] che tutti, donne e uomini, si rendano conto che, se non si scioglie il nodo della sfera della riproduzione e della condizione delle donne, in termini di riconoscimento del valore che qui si produce […], tale sfera continuerà a funzionare come una spina sul fianco di tutti i lavoratori, in un gioco perverso al ribasso. Una sintesi efficace è proposta da Srishti Khare: “It is because of the time women devote to their households in the form of unpaid and unacknowledged labour, that men are productive in the economy”.[19]

 

Malgrado le tante lotte e nuove iniziative nate in questi anni, legate a questa tematica, crediamo si possa dire che “Non c’è pace nella sfera riproduttiva, poiché una divisione ineguale di lavori domestici e di cura tra uomini e donne continua a persistere, anche se in modo più attenuato rispetto al passato”.[20]

 

Per questa ragione abbiamo provato ad approfondire questa riflessione, a partire da un angolo diverso da quello strettamente legato al lavoro e alla sua retribuzione nonché attribuzione o meno di valore economico, con un iniziale riferimento al mondo agrario, centrale nelle attività professionali di alcuni degli autori. Riallacciandoci a quanto sostengono da anni le lavoratrici agricole della Unión de Trabajadores de la Tierra, un sindacato agricolo argentino, e cioè che gli uomini devono farsi carico della loro parte di compiti nella sfera domestica[21]; il punto centrale diventa quindi il tempo e la sua ripartizione a tutta una serie di compiti che vanno fatti per tenere in piedi una coppia/famiglia, di qualsiasi tipo sia. Accudire i figli e i genitori anziani, pulire i cessi e lavare i piatti e tutto quello che viene dietro, non solo nel mondo del “fare” ma anche nel “ricordarsi, pianificare e monitorare”, sono compiti che, storicamente, la donna è stata obbligata ad assumere e che, da tempo, cerca di fuggire o quantomeno di aver meglio riconosciuti e distribuiti. Oltretutto, come ci ricorda l’ecologista politica Ana Agostino, la rivalutazione del lavoro di cura in quanto “coscienza attenta degli altri (e di sé)" ci permetterebbe di "pensare a delle opzioni in cui il denaro non ha più un ruolo centrale”.[22]

 

Uscire da questa trappola non è semplice, perché questa è la base del potere patriarcale, per cui l’uomo storicamente si oppone (o, nel migliore dei casi, guarda altrove) alle lotte emancipatrici. Questa modalità di “esternalizzazione in senso neoclassico del lavoro (delle donne) fuori dalla produzione di valore” permette di rafforzare l’idea dell’inferiorità delle donne e del loro contributo, come sottolineato da Diane Elson[23], e giustificarne la sottomissione e l'oppressione.  Col tempo, le forze che si autodefiniscono “progressiste”, sulla spinta dei movimenti femministi, interni ed esterni, sono stati costretti ad iniziare a fare i conti con questa realtà, ma ancor oggi quello che domina è una retorica dell’uguaglianza, che non trova sufficiente riscontro in azioni concrete, in particolare laddove si trova il nocciolo del problema: la sfera domestica.

 

Le soluzioni si è preferito cercarle altrove: enormi processi di semplificazione, standardizzazione, automazione all’interno della casa oltre all’outsourcing delle faccende domestiche, sia a livello materiale che immateriale: educazione, affetti, intrattenimento, comunicazione e informazione. Come ben ricorda Leopoldina Fortunati nell’articolo di cui sopra, “La centralità della sfera domestica è testimoniata anche dal fatto che lo stato e le famiglie devono dedicare investimenti sempre più ingenti per supplire il lavoro domestico che non è più svolto dalle donne all’interno delle famiglie, a causa anche della loro crescente presenza sul mercato del lavoro. Da un lato, lo stato deve destinare la maggior parte del suo bilancio per integrare i livelli di riproduzione sociale della forza lavoro a livello di istruzione, sanità e pensionamento. Dall’altro, le famiglie sono obbligate ad attingere dalle donne migranti una considerevole quantità di lavoro domestico e di cura per l’assistenza a bambini, anziani, malati e disabili.” 

 

Per approfondire la questione dell’esternalizzazione del lavoro domestico e il legame con le migrazioni e il capitalismo recente, si possono leggere Demazière, Araujo Guimarães e Hirata[24], oppure Christelle Avril e Marie Cartier.[25]

 

Semplificando, possiamo dire che il tempo, al giorno d’oggi, sta diventando più importante del denaro. Il concetto di “time poverty” (dovuto alla diseguale ripartizione dei compiti domestici) comincia ad apparire nel dibattito internazionale.[26]

 

Come ce lo ricorda Srishti Khare, “[t]ime is one of the most valuable resources, it is also deeply political. The conceptions of time have embed power hierarchies within them, that determine how much time is to be given to whom, who gets control and the basis for its distribution”.[27]

 

Un articolo recente apparso sul sito de LaVoce.info spiega in dettaglio come il tempo sia oramai una risorsa scarsa: “200 per cento: è la percentuale di tempo in più, rispetto ai loro partner, che nel 2014 le donne italiane con un impiego a tempo pieno e almeno un figlio di età inferiore ai 14 anni hanno dedicato al lavoro domestico in un giorno infrasettimanale”.[28] E, più avanti: “In Italia, una donna che lavora a tempo pieno e ha figli da accudire dedica all’incirca 60 ore alla settimana alla somma di lavoro retribuito, lavoro domestico e cura dei figli, contro le 47 ore del partner. Ciò si traduce in una disparità di genere di circa 13 ore settimanali di “lavoro totale”, una differenza nettamente superiore alla media europea, che ammonta a 11 ore.”

 

Quindi è fondamentale che anche i maschi mettano del loro tempo dentro il mondo dei compiti domestici. Tempo, e non denaro. Mettere tempo maschile è fondamentale per liberare tempo femminile. L’uso che poi ne farà il soggetto femminile di questo tempo “liberato”, non ci riguarda, è e deve restare una scelta personale.

 

La questione dell’ineguale distribuzione dei compiti domestici è arrivata anche nelle negoziazioni che il Comitato per la Sicurezza Alimentare (CFS) ha portato avanti in vista delle Voluntary Guidelines menzionate prima.[29] Spiace però constatare che, ancora una volta, la responsabilità principale venga posta sui governi, senza che, da parte delle forze progressiste (movimenti, associazioni, partiti) che spingono per un accordo su questo testo, ci sia un pari impegno per cambiare queste asimmetrie di potere ben presenti anche al loro interno, malgrado la tanta retorica pubblica.[30]

 

Ecco perché abbiamo iniziato a pensare ad un indice di parità domestica (IPAD), uno strumento di monitoraggio, incoraggiamento e advocacy per una vera uguaglianza di genere. 

 

La scelta che proponiamo non è quella di contabilizzare il lavoro domestico nel PIL, come alcuni lavori in corso preconizzano. Ad esempio, l’INSEE (Istituto della Statistica francese) ha provato a calcolare a livello nazionale, il numero di ore annuali passate per il lavoro domestico, che risulterebbero da una a due volte più numerose delle ore lavorate: tra le 42 e le 77 miliardi di ore a seconda di quali “faccende domestiche” si contino. Se si dovesse monetizzare questo numero di ore, si arriverebbe tra il 19 e il 35% del PIL.  

 

Monetizzare il lavoro domestico potrebbe ripercuotersi sul ruolo delle donne nel confortarle a rimanere nella sfera domestica. Se il lavoro domestico diventasse un lavoro retribuito, si riconoscerebbe sicuramente che questo tempo, svolto maggiormente dalle donne, abbia un valore per la società, ma rischierebbe di rilegare le donne nelle sole mura di casa. “Visto che hai già del lavoro da fare dentro casa, perché volerne un altro lavoro al di fuori?”, “le donne comandano dentro casa”, i fautori e i conservatori utilizzerebbero questa scusa per mantenere il potere politico ed economico nelle mani degli uomini, lasciando alle donne la gestione domestica. Inoltre, il rischio sarebbe quello, ancora una volta, della cementificazione di una scala di valori che penalizza il lavoro delle donne, perpetuandone la marginalizzazione. 

 

Per questo motivo abbiamo deciso di lavorare su un indice di monitoraggio, [incoraggiamento ed advocacy] facile da mettere in pratica, che possa permettere di coscientizzare le mentalità sulle disparità attuali.

 

A chi è diretto l’IPAD

 

La ragione principale di un indice di questo tipo, è di servire come strumento di advocacy per una maggiore uguaglianza di genere, partendo dalla sfera domestica e attraverso un monitoraggio costante.

 

Questo indice viene pensato per un pubblico particolare, cioè quei gruppi, associazioni, movimenti e/o partiti che esprimono delle posizioni pubbliche impegnate a favore della parità di genere. L’IPAD permetterà di mostrare quindi la coerenza tra il discorso, la parola e le azioni concrete intraprese al loro interno per stimolare le persone partecipanti (o simpatizzanti) a questi gruppi, a iniziare (continuare, accelerare) un percorso di cambiamento verso una vera uguaglianza. 

 

L’assenza constatata di riferimenti alla sfera domestica, fa sì che tutti questi impegni pubblici siano considerati come riferibili alla sola sfera pubblica, parte importante ma meno strutturale delle dinamiche di potere della sfera privata.

 

È in quest’ultima che i rapporti di potere patriarcali si estrinsecano in maniera più subdola e strutturale, creando di fatto la base materiale per la sovrastante economia di stampo capitalista. Nella sfera domestica non si riproduce solo gratuitamente la manodopera, ma si creano e mantengono quei rapporti di sottomissione uomo-donna che ritroviamo pari pari nella visione dominatrice dell’uomo sulla natura. 

 

Attaccare questa fonte perenne e strutturale di potere patriarcale è quindi fondamentale.

 

Noi offriamo un prodotto pensato per questa missione. Per poter trovare però una sua valenza reale e condivisa, è fondamentale che la controparte con cui lavoreremo (associazione, movimento, partito, etc.) sia coinvolta e diventi protagonista della costruzione, dell’uso e del successivo monitoraggio (in particolare per quanto riguarda il dettaglio delle variabili da misurare). Cioè l’IPAD deve diventare “cosa loro”. Poter mostrare come nel corso del tempo il valore di IPAD migliora, permetterà di argomentare in maniera più credibile i miglioramenti che verranno stimolati nella sfera domestica dopo averne constatato le asimmetrie al momento T°. Di fatto l’IPAD servirà, in un primo momento (T°) a rendere evidenti, con una rappresentazione numerica, quali siano i reali rapporti di forza all’interno di coppie/famiglie e, di conseguenza, quali e quanti siano gli sforzi da fare per adeguare il discorso pubblico sulla promozione dell’uguaglianza con le pratiche concrete interne.

  

Un rischio di cui essere coscienti, e che va evitato, è quello di non considerare le asimmetrie di potere che possono esistere nei gruppi dominanti delle associazioni, movimenti, partiti con cui intendiamo lavorare. La realtà storica è che la composizione dei direttivi di queste istituzioni abbia tendenza a essere maggiormente di tipo maschile, di conseguenza portandosi dentro un carico implicito di patriarcato dovuto al peso storico avuto nella nostra formazione culturale. Se non ci si interessa a questa dimensione del potere patriarcale, quello che verrà fatto sarà un esercizio di partecipazione con rischio di manipolazione. Noi insistiamo sull’aspetto negoziale perché i vari portatori (e, in questo caso, di portatrici) di interessi, devono poter essere in condizione di far sentire la loro voce nel processo decisionale.

 

Di conseguenza non sarà sufficiente delegare al direttivo della controparte la scelta finale delle variabili da misurare, ma bisognerà accompagnare questo processo da parte di “facilitatori/trici” di IPAD che abbiano ben chiaro questo rischio potenziale. Con questo non si vuol dire che, a priori, i direttivi di associazioni, movimenti, partiti etc. siano maschilisti per definizione; solo che il rischio esiste e va quantomeno ridotto ai minimi termini. Questa opera di discussione iniziale, propedeutica alla fase negoziale, diventa quindi importante, e un tempo adeguato va considerato. Quanto maggiore sarà il grado di concertazione della lista negoziata, quanto maggiori le possibilità che si vada vicini a una rappresentazione reale ma soprattutto condivisa della situazione, stimolo iniziale necessario per partire su una dinamica di miglioramento.

 

Va anche detto che non si tratta di colpevolizzare a prescindere il partner che faccia meno (o non faccia nulla). Lo scopo del dialogo e della negoziazione iniziale serve, al contrario, per aumentare la presa di coscienza esplicita di quante siano le attività necessarie per tenere in piedi una coppia/famiglia, così che la volontà personale dei partner meno coinvolti aumenti, per farli passare da una semplice presa di coscienza a un impegno attivo.

 

L’IPAD: come calcolarlo

Metodo e quadro concettuale

La riflessione che proponiamo in questo documento è ovviamente preliminare e aperta. Vogliamo condividere le nostre ipotesi di lavoro e il possibile risultato, così da confrontarci su una base concreta nei prossimi mesi.

 

Nel momento in cui decidiamo di combinare diverse variabili in un unico indice aggregato, due domande devono trovare risposta: 1) il quadro analitico che spiega come l’insieme delle variabili sia indicativo della parità domestica; e 2) che peso dare alle singole variabili che compongono le aree tematiche (dimensioni).

 

Sul punto 1, anzitutto bisogna mettersi d’accordo su una lista di compiti da considerare come rappresentativi dell’insieme della sfera domestica. 

In mancanza di un quadro analitico di riferimento universalmente riconosciuto, riteniamo comunque necessario proporne uno che costruisca su quanto già esistente in letteratura. Avere delle dimensioni aggregative di quelli che sono i compiti (e chi li esegue) che si svolgono nella sfera domestica aiuta a identificare le asimmetrie di potere. Nella letteratura, ci sono almeno quattro esempi che possiamo usare come riferimento analitico. Una è la componente del “tempo” del gender equality index[31] di EIGE, un altro è quanto proposto da Rodsky (2020)[32]; ci sta poi l’indice di asimmetria sviluppato da ISTAT[33] e per finire l’approccio suggerito dall’Istituto di Statistica Francese (INSEE)[34].

 

Nell’IPAD noi scegliamo di costruire partendo da quanto proposto dall’INSEE, per motivi che spiegheremo più avanti. L’INSEE organizza il proprio quadro concettuale sul lavoro domestico attorno a tre perimetri.

 

Un perimetro ristretto che contiene le attività "centrali" del lavoro domestico, che sono oggetto di consenso e la cui inclusione è raramente discussa: i lavori domestici, i lavori di manutenzione, piatti, lavanderia, stiro, spesa, cucina, cura e assistenza di bambini e persone non autosufficienti. Tutte queste mansioni possono essere delegate ed esistono sostituti di mercato: lavanderie, tintorie, ristoranti, assistenti all'infanzia, aiuto compiti, autisti, segretari privati (conciergie).

 

Un perimetro intermedio: a questo primo elenco di attività produttive e "delegabili", si aggiungono quelle che siamo più propensi a svolgere solo per piacere e quindi durano più a lungo di quanto sia strettamente necessario. Questo secondo elenco comprende attività semi-tempo libero: cucito, bricolage, giardinaggio, caccia e pesca. In questo secondo elenco, per l’INSEE, rientra anche la spesa perché non è possibile distinguere nella loro inchiesta la spesa quotidiana dallo shopping.

 

Un perimetro allargato: ai primi due si aggiungono i tempi di percorrenza, i viaggi in macchina e portare fuori il cane a passeggio.

 

Noi riteniamo partire da quanto proposto dall’INSEE perché ci sembra il quadro concettuale più versatile e neutro. L’utilizzo dei perimetri, invece di altre categorizzazioni per attività, permette di includere automaticamente le differenze culturali e di disponibilità economica. Non abbiamo infatti categorie che possono risultare importanti per un contesto e meno in un altro, ma misuriamo le attività svolte sulla base della loro prossimità al nucleo familiare, e alla loro esizialità ai fini di un felice occorrimento della vita domestica. 

 

Al quadro proposto dall’INSEE noi aggiungiamo un aspetto che riteniamo fondamentale e che deriva dal lavoro di Ana Catalano Weeks, il “cognitive household labor gap” (con riferimento alle dimensioni di  anticipating needs, identifying options for filling them, making decisions, and monitoring progress)[35] che si traduce in un carico mentale che deve essere incluso in un lavoro la cui ambizione sia misurare il peso della gestione della famiglia.[36] Questo perché, come accennato brevemente prima, non si tratta solo di cose “da fare”: molte di loro vanno anche “pensate” in anticipo, “ricordate” senza bisogno che l’altra/altro lo faccia notare, “pianificate” e “monitorate” costantemente. Nel lavoro citato sopra è spiegato e misurato il concetto di Mental Load (carico mentale). Mentre rimandiamo ai suoi testi per un’approfondita lettura, ci basta qui menzionare che nei perimetri derivati dall’esperienza dell’INSEE adotteremo alcuni elementi di questo lavoro.

 

 

Per ogni perimetro, verranno proposte delle dimensioni (aree tematiche) iniziali, a cui faranno seguito le variabili specifiche (esempio: dimensione: Lavoro domestico; Variabili: Cucinare, Pulizia, Lavanderia …). Passando poi alle attività specifiche relative ai dettagli di ogni variabile (vedi la parte in rosso nello schema precedente), queste saranno discusse e negoziate con la controparte.

Prendiamo l’esempio indicato nello schema precedente. Nella dimensione “Lavoro domestico” del perimetro ristretto, prendiamo la variabile “Lavanderia”: la versione semplificata può essere: chi se ne occupa? Se però guardiamo più nello specifico, sempre restando nel perimetro ristretto, esiste una prima attività che riguarda il raccogliere e mettere i panni sporchi nel cestino della biancheria, seguita dal portare il cestino alla lavatrice, mettere dentro i panni, separando quelli colorati da quelli bianchi per evitare sbagliare candeggio e far partire il programma adeguato. Una volta finita la lavatrice, chi si occupa di stendere i panni ad asciugare? Per concludere con: una volta stesi, chi li piega e successivamente li stira e, infine, li mette al loro posto nei vari armadi o cassetti? A questo va aggiunto il cognitive gap, cosicché altre domande specifiche siano considerate: anticipare i bisogni (ricordarsi che i panni puliti e stirati debbono essere pronti prima di poter vestirsi per andare a scuola o al lavoro), identificare le opzioni per soddisfarli (portare in lavanderia, lavarli a mano o in lavatrice?), prendere le decisioni corrispondenti (ci siamo ricordati di comprare il detersivo e l’ammorbidente?) ed infine monitorare i progressi.

 

Ecco quindi che il momento negoziale con i rappresentanti dell’istituzione con cui andremo a lavorare, diventa fondamentale. Dalla lista di attività (domande) che verranno inserite (od escluse) uscirà un indice più o meno rappresentativo e quindi utile. 

Crediamo sia utile (necessario?) ricordare come le attività (e domande) da prendere in esame varieranno in funzione delle specificità dell’istituzione di controparte. Nel caso la controparte fosse un movimento contadino (magari del Sud del mondo), si dovrà fare spazio ad attività come andare a prendere l’acqua, raccogliere legna e/o frutti di bosco, miele o quanto altro nella foresta. Sembra una considerazione ovvia, ma la natura co-costruttiva dell’IPAD prende tutto il suo senso in questo processo di dialogo e negoziazione. Adattare il questionario alle specificità locali e culturali-sociologiche lo rende più adatto alle varie situazioni ed accettabile dalla controparte, ovviamente a scapito di una generica comparabilità spaziale.

Peso delle attività

 

Per valutare come l’assolvimento delle attività in una coppia vari, abbiamo tre possibilità: 

a) attribuiamo a ogni attività lo stesso peso, o valore (per cui chi all’interno della coppia svolge quella attività segnerà 1).[37]

b) misurarli in termini di quanto tempo occorra per svolgere i compiti ad essi associati, oppure 

c) misurarli in termini di quale sia il loro valore monetario. 

 

La soluzione a) è la più semplice ma viene al costo di omettere importanti differenze tra i vari indici; se da un lato prendersi cura del lato emotivo di un bambino può comportare un enorme dispendio di tempo ed energie, non comporta un costo monetario diretto (ma ne comporta uno in termini di costo opportunità per il genitore che sceglie di stare con il bimbo invece che a lavoro o a fare altro). Altro vantaggio innegabile è che toglie ogni soggettività alle scelte dei partner (nel momento di dare un peso diverso a un compito rispetto ad un altro, si introduce un elemento esterno di soggettività da parte dell’inquirente). Tutti i compiti (di una lista discussa ed accordata) vanno eseguiti; quello che può cambiare è la frequenza considerata necessaria, che diventa ininfluente nel momento in cui si sceglie di misurare l’aver fatto quel compito e non quanto tempo ci si è speso.

 

La soluzione b) è ideale per considerare quanto tempo rimane ai genitori per fare altro (diletto o lavoro); ed è la soluzione adottata per esempio da ISTAT nell’indice di asimmetria; al tempo stesso viene al costo di non considerare lo sforzo finanziario necessario per permettere una certa attività (se un genitore può permettersi di stare con i figli è perché l’altro guadagna abbastanza per mantenere tutta la famiglia; oppure una certa attività ludico creativa per i bambini è possibile solo se si hanno le risorse finanziarie sufficienti per comprare quel servizio). 

 

Il problema maggiore con questa soluzione è che introduce surrettiziamente un elemento di differenziazione (io sono più veloce di te perché tu non lo sai fare; oppure, al contrario: io ci metto più tempo perché pulisco più a fondo di te). In questo modo, adottare questa strada non porta a una “soluzione” ma rende il problema irrisolvibile.

 

La soluzione c) piacerebbe sicuramente ai tenutari del neoliberalismo, per cui tutto si misura in termini monetari, ritornando così al vecchio dibattito sul salario domestico. Noi l’abbiamo indicata per una questione di trasparenza, ma è evidente che non è questa la strada che possa portare verso l’uguaglianza. Il fatto che alcuni compiti possano essere esternalizzati (p.e. cura degli anziani nelle case di riposo), introduce un elemento di differenziazione (di classe, secondo la terminologia marxista): chi ha i soldi paga e chi non li ha deve risolvere la questione dentro il nucleo familiare. Ma la ragione ultima che ci spinge ad eliminare questa “soluzione” è che di fatto rischia di congelare i ruoli sociali asimmetrici così come sono. Rifacendoci al gruppo Lotta Femminista, che per primo pose questo dibattito agli inizi degli anni 70, sulla scorta delle riflessioni di Mariarosa Dalla Costa, ripetiamo con loro: si vuole evitare che, attraverso questa richiesta, venga istituzionalizzato il ruolo di casalinga. Proprio per tale motivo le militanti rifiutano e invitano a rifiutare […] il lavoro di casa come lavoro femminile, come lavoro imposto, che le donne non hanno mai inventato”.[38]

 

La strada verso l’uguaglianza verso cui vogliamo dirigerci prevede liberare tempo femminile (lasciando libere queste ultime di deciderne l’uso) e impiegare più tempo maschile nella condivisione dei compiti della sfera domestica. 

 

La nostra scelta, sulla base di quanto esposto precedentemente, è quella di attribuire a tutte le attività in elenco lo stesso peso. Di conseguenza, procedere a una somma delle attività, senza distinguere tra attività più o meno care, più o meno faticose, più o meno lunghe nel tempo. Troppi parametri socio-culturali soggettivi potrebbero influenzare qualunque parametro finanziario o temporale per indulgere in queste altre scelte (esempio: io ci metto più tempo per lavare il bagno perché lo faccio in modo più accurato e meglio di te!). 

 

Partendo da una lista indicativa che, ripetiamo, andrà completata tramite una negoziazione iniziale tra le parti (sia per quanto riguarda i compiti specifici di ogni perimetro sia del peso da dare ai vari perimetri), abbiamo un totale di X attività, alle quali si attribuisce valore -1 se vengono svolte solamente dal partner A; -0.5 se vengono svolte principalmente dal partner A; 0 se vengono svolte in maniera equilibrata dai due partner A e B; +0.5 se vengono svolte principalmente dal partner B; +1 se vengono svolte solamente dal partner B.

 

Per le interviste, useremo un campione statisticamente rappresentativo della popolazione in studio. Una scheda introduttiva - anonima - servirà per registrare gli elementi caratterizzanti il partner che risponde).

 

Il nostro indice pertanto avrà tre possibili estremi:

 

IPAD = 0          coppia perfettamente bilanciata

IPAD= valore negativo massimo (coppia dove tutte le attività sono svolte solo componente/partner A)

IPAD= valore positivo massimo (coppia dove tutte le attività sono svolte solo da componente/partner B)

 

Solo Partner A

Principalmente A

Entrambi

Principalmente B

Solo Partner B

-1

-0.5

0

+0.5

+1

 

Importante ricordare che quello che si vuole osservare con questo indice è il trend da un momento T a un momento T+1 (e successivi). Per cui non è tanto il valore assoluto che conta, ma se nell’intervallo di osservazione vengono promosse (dalla coppia o dai responsabili dell’organizzazione, partito o movimento) attività che vadano verso una maggiore parità domestica. In questo senso, anche la comparabilità tra gruppi diversi è meno importante del movimento dell’indice stesso, che diventa quindi uno strumento di advocacy politica.

 

Se alcune attività saranno delegate a terze persone (uomini o donne delle pulizie, babysitter, etc.), queste ultime saranno tolte dal calcolo finale (vedi più avanti).

 

LE IPOTESI

 

Le ipotesi sottostanti a questo indice dipendono dal tipo di coppia/famiglia e dal loro status sociale. Uno degli aspetti interessanti di questo indice è la sua capacità di portare alla luce la eterogeneità di bilanciamento domestico nelle diverse coppie di genere; avremo anche poi la possibilità di tenere in considerazione anche la possibilità o meno di avere aiuto esterno nello svolgimento delle attività in lista.

 

La prima ipotesi consiste nel dire che nelle coppie omosessuali (due uomini o due donne), la disparità sia minore che nelle coppie eterosessuali. Questa ipotesi è legata al minore impatto degli stereotipi di genere nelle coppie omosessuali ed anche alla minore presenza di figli (legato alla maggiore difficoltà nel procreare o nell’adozione in determinati paesi). 

 

La seconda ipotesi è che nelle coppie con più di un figlio, le disparità nella coppia aumentano. Secondo i dati INSEE sul part time in Francia si può notare la correlazione tra numero di figli e la loro età e la percentuale di donne e uomini in part time. 

 

Secondo i dati riportati nel 2019, più il numero di figli aumenta, più le donne hanno un contratto part time. Si verifica l’opposto per gli uomini. Si potrebbe dedurre che la scelta del part time sia legato alle attività domestiche e di cura dei figli. In termini pratici, proponiamo di introdurre una domanda iniziale ai due partner per conoscere il numero di figli a carico (che possono essere i loro figli, oppure figli di un precedente rapporto di coppia). In fase di analisi dei risultati sarà così possibile approfondire l’importanza di questa variabile nella ripartizione dei compiti.

 

La terza ipotesi consiste nel considerare che le famiglie più agiate esternalizzano maggiormente determinate attività domestiche (pulizia, la cucina, una parte della cura dei figli, etc…). L’esternalizzazione (o outsourcing) della cura ha però un impatto non solo sulle disuguaglianze di genere (perché le persone che si occupano delle pulizie o del babysitting sono in maggioranza donne), ma in più sulle disuguaglianze di “razza” e di classe sociale perché sono di solito donne immigrate e precarie. 

 

Per analizzare l’effetto “reddito” sulla variazione dell’IPAD, potremmo introdurre, nella prima parte del questionario, una domanda relativa al reddito netto mensile della coppia, con tre scaglioni di reddito: da zero a 2.500 euro; da 2.501 a 5.000 e oltre 5.000.

A sua volta, l’effetto “esternalizzazione” verrà trattato inserendo una domanda specifica nella parte socio demografica del questionario (vedi nota sul questionario in allegato), chiedendo anche il sesso della persona che se ne occupa.

 

Solo Partner A

Principalmente A

Entrambi

Principalmente B

Solo Partner B

Esternalizzata

(indicare sesso) 

-1

-0.5

0

+0.5

+1

XX/XY

 

La quarta ipotesi riguarda l’eventuale presenza asimmetrica sul mercato del lavoro (una delle due persone lavora a tempo pieno e l’altra è totalmente dedita ai compiti domestici). Diverse famiglie mono reddituali sperimentano situazioni asimmetriche che spesso sfociano in discussioni e tensioni. 

 

La quinta ipotesi guarda al ciclo della vita di una coppia. Vi sono almeno due possibili interpretazioni di questa ipotesi; nella prima cercheremo di capire come variano gli equilibri domestici in coppie “giovani” e “anziane”, prendendole da un punto di vista della durata della coppia. Nella seconda interpretazione, studieremo le differenze che esistono in coppie giovani o adulte in quanto all’età di chi le coppie forma. L’idea è capire se le coppie di giovani possano essere più sensibili e quindi più attente a queste dinamiche, così da ricavarne elementi specifici per indirizzare le proposte di azione successiva.

Dati

Nel nostro modello i dati hanno un ruolo principale. Immaginiamo questo strumento come un derivato delle varie metodologie di inchiesta rapida che sono usate nel mondo dello sviluppo; e desideriamo anche dargli la flessibilità e la snellezza che permettano una raccolta dati molto rapida. 

 

I questionari saranno applicati ad entrambe le persone della coppia/famiglia. Non tanto per avere una verifica individuale delle risposte date, ma per una maggiore rappresentatività del campione. I questionari saranno anonimi, limitandosi a riportare il sesso, la fascia di età, il livello educativo della persona, il numero di figli/e e il reddito netto mensile della coppia/famiglia.

 

A margine del questionario, e per catturare le scelte soggettive, metteremo una domanda sulla soddisfazione soggettiva per lo stato delle cose. Questa domanda ha il duplice scopo di capire quanto i membri della coppia sentano le proprie aspirazioni e idee riflesse nell’attuale situazione, e anche di valutare come questa percezione cambi nel tempo. è infatti ipotizzabile che esistano coppie dove una situazione sbilanciata a sfavore di uno dei membri, venga da questi considerata comunque soddisfacente. Ciò può accadere per effetto di retaggi culturali e sociali. Sarebbe, in tal senso, interessante valutare il cambio nel medio/lungo periodo in seguito a campagne di sensibilizzazione ed emancipazione. 

 

Le risposte ottenute dipendono dal rispondente, cioè saranno presumibilmente diverse da partner A a partner B. Pertanto sarà necessario pensare a come bilanciare le possibili distorsioni cognitive e psicologiche. Una possibilità, da discutere nella prossima riunione, è di attribuire alla famiglia/coppia il valore medio delle due risposte. 

 

La media dell’insieme dei valori trovati, permetterà di stabilire un valore di partenza al momento T°. Un monitoraggio periodico (semestrale, annuale) permetterebbe quindi di disegnare la tendenza per il gruppo, associazione, movimento o partito politico.

 

L’utilizzo della media è prassi abituale nella inferenza statistica. Nel caso dell’IPAD, dato che richiede interpretazioni soggettive sull’uso del tempo di ciascun individuo, l’utilizzo della media risponde a due esigenze: depurare il dato dal bias cognitivo che ognuno di noi metterebbe nelle risposte; e dare un senso di quanto allineate e consapevoli siano le coppie cui ci rivolgiamo. Nel primo caso, ognuno di noi molto probabilmente si attribuisce più ruoli e lavori “domestici” di quanti in effetti non gliene riconosca il partner; sarà anche interessante capire quante di queste auto-attribuzioni andranno in overlapping, ossia verranno auto attribuite a entrambi i partner. L’altro aspetto è invece legato a quanto gli individui si distanzino dal valore medio, ossia quanto allineati siano i partner nel riconoscere il ruolo altrui. 

 

Un esempio pratico

 

Consideriamo che, frutto della negoziazione con la controparte, ci si sia messi d’accordo su un questionariocon 100 attività (domande) le cui risposte (partner A) indichino:

 

-1: 75 risposte; -0.5: 5 risposte; 0: 5 risposte; +0.5: 10 risposte e +1: 5 risposte – nessuna esternalizzazione

 

Tradotto in percentuali, diventa:

-1: 0.75; -0.5: 0.05; 0: 0.05; +0.5: 0,10; +1: 0.05

 

Calcolo IPAD:

(-1)*0.75 + (-0.5)*0.05 + 0*0.05 + (0.5)*0.10 + (1)*0.05 =

 

-0.75 - 0.025 + 0.05 + 0.05 = -0.675 valore IPAD per partner A

 

Le risposte del partner B siano:

 

-1: 55 risposte; -0.5: 5 risposte; 0: 20 risposte; +0.5: 10 risposte e +1: 10 risposte – nessuna esternalizzazione

 

Tradotto in percentuali, diventa:

-1: 0.55; -0.5: 0.05; 0: 0.20; +0.5: 0,10; +1: 0.10

 

Calcolo IPAD:

(-1)*0.55 + (-0.5)*0.05 + 0*0.20 + (0.5)*0.10 + (1)*0.10 =

 

-0.55 - 0.025 + 0.05 + 0.10 = -0.425 valore IPAD per partner B

 

Il valore medio per quella coppia sarebbe –(0.675 + 0.425)/2= -0.550

 

Conclusioni

 

Come detto precedentemente, lo scopo principale di un indice di questo tipo, è di servire come strumento di advocacy per promuovere, tra le istituzioni interessate all’uguaglianza di genere, una maggiore uguaglianza di genere, partendo dalla sfera domestica e attraverso un monitoraggio costante.

 

I valori calcolati nell’esempio precedente serviranno come base di partenza al momento T°. Lo scostamento rispetto al valore medio dell’insieme del gruppo permetterà di identificare in priorità il partner con cui sia necessario lavorare maggiormente. L’IPAD, in funzione delle caratteristiche raccolte con la scheda introduttiva e con le varie dimensioni di calcolo, permetterà anche di dettagliare quali siano, ad un livello più specifico, le azioni da intraprendere (per esempio: perimetro ristretto o allargato? Quale area tematica presenta la maggiore asimmetria? E, all’interno di ogni dimensione, quali sono le variabili più significative?). Considerando poi la possibilità di disporre delle informazioni sulla fascia di reddito di appartenenza, sarà possibile un’ulteriore analisi per classi di reddito e così via. 

 

L’IPAD verrà poi misurato più volte nel tempo, perché siamo convinti che la parte più interessante sia proprio vedere come (e se!) il bilanciamento cambi nel tempo. Quindi i valori iniziali a T° assumono tutto il loro significato nell’analisi temporale (come è cambiato il valore a T1 e T2 grazie alle azioni specifiche messe in atto dalle/dai responsabili dell’associazione, movimento e/o partito?) piuttosto che nell’analisi spaziale (comparabilità nello stesso anno tra varie istituzioni) che, per quanto utile, non rappresenta il cuore del problema che vogliamo affrontare.

 

Noi crediamo fortemente che un cambio nella sfera domestica (o della riproduzione sociale) sia centrale nella costruzione di un mondo diverso e migliore. In una società che ha dato un ruolo chiave agli indici, ci sembra che accompagnare il lavoro di lobbying dal basso, con uomini e donne, per una reale condivisione del tempo all’interno della sfera domestica, così che l’uomo assuma la sua parte di responsabilità e si liberi del tempo femminile, per qualsiasi altra utilizzazione, sia una proposta interessante da discutere.

 

Appendice

Sviluppo del questionario

 

Il questionario che abbiamo in mente si svilupperà in due parti. Nella prima parte raccoglieremo tutte le descrizioni socio economico demografiche che ci serviranno a profilare le famiglie. Nel rispetto delle regole della privacy, faremo domande sulla composizione del nucleo familiare (sesso età numerosità); la situazione lavorativa; la situazione patrimoniale; una fotografia della coppia (p.e.: durata). In generale, in questa prima parte del questionario includeremo tutte le variabili che ci servono a rispondere alle ipotesi di ricerca menzionate nel paper. 

Nella seconda parte del questionario metteremo invece le domande inerenti ai perimetri e alle categorie di attività che in essi saranno racchiuse. Non possiamo dire con certezza sin da ora quali saranno queste variabili, dato che come detto saranno oggetto di negoziazione tra le controparti. 

 

In tutto il questionario le domande saranno chiuse e categoriali. Chiuse perché non vogliamo lasciare spazio alla interpretazione degli intervistandi e degli intervistatori. Categoriali perché risulterà più semplice il lavoro analitico successivo. 

 

Le interviste saranno implementate face-to-face facendo uso di tablet per raccolta dati. Le interviste verranno fatte ad entrambi i partner della coppia, separatamente a ciò che si riduca la possibilità di influenza reciproca. 

 

La selezione del campione dipenderà dall’universo campionario e sarà tendenzialmente stratificato per categorie di interesse. 



[1] Hanno partecipato a questo gruppo di lavoro: Paolo Groppo, FAO (R), Membro di Ecofemminismo e Sostenibilità; Marco D’Errico, FAO Economista; Charlotte Groppo, CIO, Head of Gender Equality, Diversity and Inclusion; Clara Park, FAO Senior Gender officer; Costanza Hermanin, Analista Politico, European University Institute, Firenze; Francesca Lazzari, Consigliere di Parità, Provincia di Vicenza; Marco De Gaetano, Economista, Consulente indipendente; Sophia Los, Architetto; Roberto De Marchi, Agronomo; Maria Paola Rizzo, FAO Land Tenure expert; Laura Cima, Ecofemminista) 

[2] https://unric.org/it/obiettivo-5-raggiungere-luguaglianza-di-genere-ed-emancipare-tutte-le-donne-e-le-ragazze/

[3] Héritier-Augé, Françoise, et Pascale Molinier, 2014. La valence différentielle des sexes, création de l’esprit humain archaïque, Nouvelle revue de psychosociologie, vol. 17, no. 1, pp. 167-176

[4]https://unric.org/it/obiettivo-4-fornire-uneducazione-di-qualita-equa-ed-inclusiva-e-opportunita-di-apprendimento-per-tutti/

[5] Sartori, Diana, 2004. Donne e uomini tra pubblico e privato in Gender studies e metodologia del discorso filosofico: radici, profili ed effetti dei dualismi nella tradizione filosofica occidentale, ITC, Trento

[6] https://www.fiduciaeconvenienza.it/news/notizie--curiosita/803-parit-di-genere-in-casa-in-italia-mica-tanto

[7] https://www.nonsprecare.it/lavori-di-casa-e-se-li-dividessimo-tra-uomo-e-donna

[8] Observatoire des inégalités, 2020. Le partage des tâches domestiques et familiales ne progresse pas - https://www.inegalites.fr/Le-partage-des-taches-domestiques-et-familiales-ne-progresse-pas

[9] https://www.open.online/2023/05/20/spagna-app-parita-genere-faccende-domestiche/

[10] FAO, 2023. The status of women in agrifood systems, Roma

[11] FAO, Ibid.

[12] Weeks, Ana Catalano, 2022. The Political Consequences of the Mental Load (https://scholar.harvard.edu/files/anacweeks/files/weeks_ml_oct22.pdf)

[13] Groppo Paolo et al., 2023. The evolution of a negotiated territorial approach, in Corso di pubblicazione

[14] Dalla Costa, Mariarosa, 1972. Potere femminile e sovversione sociale. Marsilio, Padova

[15] Collettivo Internazionale Femminista, Comunicato del Collettivo Internazionale femminista, Padova, Italia, luglio 1972, in «Quaderni di Lotta Femminista», n. 2, Il personale è politico, Musolini Editore, Torino 1973, pp. 7-8.

[16] Fortunati Leopoldina, 2020. La sfera domestica. Comune-info.net -  https://comune-info.net/la-sfera-domestica/

[17] Razavi Shahra, 2009. Engendering the political economy of agrarian change. The Journal of Peasant Studies 36(1): 197–226. 

[18] Molyneux, Maxime, 2006. Mothers at the Service of the New Poverty Agenda: Progresa/Oportunidades, Mexico’s Conditional Transfer Programme. Social Policy and Administration 40(4): 425–449; Razavi Shahra, 2007. The Political and Social Economy of Care in a Development Context: Conceptual Issues, Research Questions and Policy Options. Paper Number 3, Gender and Development Programme. Geneva: United Nations Research Institute for Social Development

[19] “È grazie al tempo che le donne dedicano alla famiglia, sotto forma di lavoro non retribuito e non riconosciuto, che gli uomini sono produttivi nell'economia.” Srishti, Khare, 2021. Women And Time Poverty: Time Creates A Gender Gap That Disadvantages Women, Feminism in India, https://feminisminindia.com/2021/07/15/women-and-time-poverty-time-creates-a-gender-gap-that-disadvantages-women/

[20] Fortunati, ibid.

[21] Unión de Trabajadores de la Tierra, 2019. Primer encuentro nacional de mujeres trabaja- doras de la tierra, (https://uniondetrabajadoresdelatierra.com.ar/2019/10/15/ 

primer-encuentro-nacional-de-mujeres-trabajadoras-de-la-tierra-utt/).

[22] Agostino Ana, 2015. Climate Justice and Women’s Agency: Voicing Other Ways of Doing Things. In: Baksh-Soodeen R and Harcourt W (eds) The Oxford Handbook of Transnational Feminist Movements. New York, NY: Oxford University Press, pp. 815–852.

[23] Elson Diane, 1998. The Economic, the Political and the Domestic: Businesses, States and Households in the Organisation of Production, New Political Economy, Vol. 3, No.2 

[24] Demazière Didier, Araujo Guimarães Nadya, Hirata Helena et al., 2013. Être chômeur à Paris, São Paulo, Tokyo. Une méthode de comparaison internationale. Presses de Sciences Po, « Académique »

[25] Avril Christelle, Cartier Marie, 2019. Genre et classes populaires au travail. Open Edition Journals, Vol. 61 - n° 3 | Juillet-Septembre

[26] CFS of the UN, October 2023. Voluntary Guidelines on Gender Equality and Women’s and Girls’ Empowerment in the Context of Food Security and Nutrition (https://www.fao.org/3/nn162en/nn162en.pdf)

[27] “Il tempo è una delle risorse più preziose, ma è anche profondamente politico. Le concezioni del tempo hanno incorporato al loro interno gerarchie di potere che determinano quanto tempo deve essere dato a chi, chi ne ha il controllo e le basi per la sua distribuzione”. Srishti, Ibid.

[28] Barigozzi, Francesca; Di Timoteo, Cesare e Monfardini Chiara, 2020. Quell’uso del tempo che divide donne e uomini. LaVoce.info

[29] CFS of the UN. Op.cit.

[30] Come sottolinea Jessica Horn: “Il femminismo continua ad essere stigmatizzato all’interno dei movimenti sociali che resistono ad affrontare gli squilibri nei rapporti di potere e le questioni di uguaglianza e non discriminazione”. Intervista a Gilda Parducci, Yanira Argueta, Emely Flores e Margarita Fernández, attiviste di El Salvador, da parte di Patricia Ardòn, in BRIDGE, 2013. Género y movimientos sociales, informe general.

[31] https://eige.europa.eu/gender-equality-index/2022

[32] Rodsky, Eve, 2020. Come ho convinto mio marito a lavare i piatti. Il metodo che risolve per sempre la divisione dei lavori domestici e riporta la gioia in famiglia, Vallardi

[33] https://www.istat.it/it/files//2011/01/testointegrale201011101.pdf

[34] https://www.insee.fr/fr/statistiques/2123967#titre-bloc-3

[35] Weeks, Ana Catalano, 2022. The Political Consequences … op. cit. e Daminger, Allison et al., 2019. The Cognitive Dimension of Household Labor, American Sociological Review Vol. 84 Issue 4

[36] Per il pubblico francofono, si consiglia vivamente il fumetto (in visione gratuita) di Emma, Fallait demander - Un autre regard Tome 2 (https://emmaclit.com/2017/05/09/repartition-des-taches-hommes-femmes/) che contiene un capitolo specifico sulla carica mentale

[37] Esiste la possibilità che un'attività x (o un indice i) venga svolta parzialmente da entrambi i membri della coppia. Questo è uno degli aspetti più intriganti della collezione dei dati, in quanto darà la possibilità di valutare l’auto-attribuzione di competenze e attività. Sarà poi necessario procedere a calcolare la media delle risposte dei due partner per arrivare a un risultato che sia scevro da distorsioni.

[38] Dalla Costa, M., 1972. op. cit. 

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