Da alcuni anni
oramai chi ha occhi per osservare, orecchie per ascoltare e bocche per parlare,
vede in giro per il mondo una tendenza sempre piú netta alla separazione di
vari gruppi che stanno sopra e quelli del piano di sotto. Non si tratta tanto
(o solo) della famigerata “casta”, ovviamente la situazione é molto piú
complicata. Alla “casta”, ai “poteri forti” eccetera possiamo aggiungerci un
mondo intellettuale sempre piú autoreferenziale, piccolo borghese, dissociato
da quel mondo reale che pretende capire e spiegare. Ma abbiamo anche una parte
della classe media che, nello sfacelo progressivo ed accellerato di quella che
fu l’asse portante delle democrazie occidentali, esprime un sentimento di
paura, una incapacitá di leggere i fenomeni in corso e si rifugia al cospetto di chi sta sopra
nella speranza (vana?, mah) di potersi assicurare un futuro.
Quelli di sotto
sono invece una accozzaglia, giusto per usare un termine caro al nostro (quasi)
ex-Presidente del Consiglio di persone con interessi diversi. Nel caso europeo
troviamo sempre più giovani neodiplomati alla ricerca di un lavoro che non
trovano, accomunati alle fasce di povertà storica, economica e culturale, ma
anche a quella fascia crescente di classe media che si sente scivolare verso il
basso dela piramide sociale e si sente tradita da “queli di sopra”, la classe
politica che, in cambio di un benessere accettabile ma soprattutto stabile,
chiedeva la delega perenne per guidare i paesi.
Questo peró non
succede solo qui da noi. La globalizzazione e finanziarizzazione dell’economia,
distruggendo molti piú posti di lavoro di quanti sia riuscita a crearne,
precarizzando e impoverendo fasce enormi della popolazione mondiale,
contribuendo in larga misura alla degradazione ecologica, ma anche sociale e
culturale, sta producendo fenomeni simili anche nel sud del mondo.
L’aspetto più
vistoso é la normalizzazione del pensiero che diventa “mainstream”, cioè pensiero
unico: morte le ideologie di sinistra, ne è sopravissuta una, di destra, quella
del libero mercato. Racconti di favole secondo i quali grazie all’economia di
mercato, libera da lacci e lacciuoli, si finirebbe con lo stare tutti meglio.
Una ideologia che non accetta la diversità e che tende a semplificare tutto
quello che non riesce a capire e a integrare nei suoi modelli econometrici.
Ecco il perchè della lotta sfrenata contro i “commons”, i beni comuni, visti
come un intralcio al dispiegarsi delle forze del mercato portatrici di libertà.
Nel sud del mondo questo vuol dire una lotta continua, per interposta persona
spesos e volentieri, contro i riconoscimenti dei diritti delle comunità
contadine, dei popoli indigeni, dei pastori nomadi etc. etc.
Le elite
culturali dei paesi del sud vengono pian piano formattate al pensiero unico e
diventano loro stesse i nemici dei loro popoli. Lo stesso processo di
separazione che le nostre elite culturali hanno intrapreso parecchi decenni fa.
Si tratta di una
lotta lunga, alla quale qualcuno si contrappone, per fortuna, ma alla resa dei
conti cominciamo a renderci conto che, una volta al potere, anche le
rappresentanze autoproclamate di queste istanze sociali dimenticate (i “forgotten”
de noantri) calano le brache per allinearsi ai diktat economico-finanziari
dettati dal nord del mondo. Basta guardare i casi recenti latinoamericani, tipo
Lula: arrivato al potere spinto da masse operaie e contadini senza terra piú
una classe media stanca dei soliti partiti e politici corrotti, il lascito
storico lasciato dal presidente è una pletora di scandali che hanno colpito ed
affondato gran parte dei quadri superiori del partito, in aggiunta a quelli che
lo vedono coinvolto, lui e il figlio Lulinho, una sottomissione al capitale
finanziario nazionale e internazionale (http://docplayer.com.br/13944203-A-politica-economica-do-governo-lula-reformismo-e-submissao-ao-capital-financeiro.html),
un piegarsi alla diffusione massiccia degli OGM in agricoltura e la paura di
attaccarsi al problema strutturale della povertà rurale, con una riforma
agraria abortita durante la sua presidenza, e adesso che la bonanza degli alti
prezzi delle commodities é passata, la povertà e la fame ritornano. Questi
esempi, senza parlare di Chavez, sono alcuni dei tanti che hanno sabotato il
sogno di generazioni, del sud e del nord. Una “politica che
è solo far carriera,
il perbenismo interessato, la
dignità fatta di vuoto, l’ipocrisia di chi sta sempre con la ragione e
mai col torto...” scriveva tanti decenni fa il nostro Francesco da Pavana.
Generazioni di politici si sono susseguiti, tutti oramai frutto dello stesso
format, che guarda sempre verso l’alto, che accetta aprioristicamente tutte le
ricette tese a “snellire” lo stato, cioè a ridurlo in brandelli, per far spazio
al mercato, ai TTIP e via dicendo.. e che sempre più si dimenticano di quelli
del piano di sotto.
L’idea di fondo
resta sempre la stessa dagli inizi della colonizzazione: noi abbiamo ragione,
perchè siamo “sviluppati”, e voi tutti avete torto. Ed ecco perchè nascono le
idee di “esportare la (nostra) democrazia” a colpi di cannone, di reprimere
qualsiasi tentativo locale di uscire dal seminato nordista (vedi il povero
Sankara in Burkina), tutto giustificabile in nome del superiore interesse non
più (o non solo) della nazione, ma del “progresso”, quel progresso che la
protagonista del mio ultimo libro, Julia Mwito, sente come un pericolo
inafferrabile dal quale stare lontani.
Dopodichè la gente
vota al contrario di quanto suggerito dalla Repubblica e da Scalfari, e tutti si
sorprendono. In molti sono lí a cercare di metterci sopra il cappello. Ma non
funzionerà, perchè il campanello d’allarme non era (solo) contro un modo di far
politica in Italia che ha stancato, Renzi o non Renzi, il problema non si
limita a lui, alla sua boria e presunzione. La questione va ben al di là. Da
decenni le classi politiche e soprattutto gli ambiziosi leader di destra,
centro e sinistra che cercano di arrivare ai piani alti, non hanno piú nulla da
dire a quelli di sotto. Non fanno sognare nessuno, nel nord come nel sud del
mondo. Quasi nessuno li vuole ascoltare, anche se i pochi esempi di politici
rimasti nel cuore della gente sono proprio quelli che non hanno mai perso le
loro radici al piano di sotto. Uno fra tutti: Pepe Mujica, ex-presidente dell’Uruguay,
che ha dimostrato che si può far politcia in modo diverso, senza perdere di
vista chi sta peggio, con onestà, preparazione e empatia, visibilissima in
tutti i suoi atti pubblici e privati.
Quindi non sto qui
a discutere su quanto sia bello che abbia vinto il NO o abbia perso il SI.
Voglio solo ricordare che questi segnali si stanno accumulando, lentamente ma
inesorabilmente, su tutto il pianeta. Gli estremisti islamici stanno cercando
di metterci il loro cappello sopra a questa rabbia che cova nelle cantine, ma
al di là di qualche caso limitato, sembra difficile immaginare che sia una
religione a poter far da collante a tutto ció. Più probabile che spinga
ulteriormente a dividersi, ad odiarsi, ma di questo non abbiamo bisogno.
Riparare le ferite
inflitte al nostro patto sociale, ripensare l’economia e la finanza al servizio
dell’uomo e non viceversa, rompere il tabú del pensiero unico e cominciare a
valorizzare la diversità, non solo la biodiversità, ma la nostra. Non aver
paura a dire che questo modello economico impostoci dagli gnomi di Wall Street
e dalle grandi organizzazioni finanziarie internazionali distrugge lavoro,
natura e rapporti sociali, costirngendoci tutti a diventare dei nomadi, alla
disperata ricerca di un lavoro che non c’é più. Invece di costruire muri a casa
nostra, e nello stesso tempo veder partire i nostri figli all’estero, esattamente
quello che fanno le famiglie del sud del mondo, lottiamo per cambiare le cose
alle origini. Fra quanti cantano per la vittoria e quelli che si lamentano per
la sconfitta, andate a vedere se qualcuno sia stato capace di allargare l’orizzonte
dell’analisi al di là del proprio orticello, se ci sia qualcuno capace di dire
alto e forte che non possiamo piú continuare cosí, e che bisogna andare a
cambiare di modello economico e di società se vogliamo continaure a restare su
questo pianeta.
Vasto programma
direte in tanti al leggere queste parole. Lo so, ne sono cosciente. Ma vi prego
di credere che dopo oltre trentanni di girovagare, leggere, ascoltare e
discutere, nonchè vederle in prima persona, arrivo a queste conclusioni con il
cuore pesante. L’invito é quindi di fare uno sforzo ulteriore. Non è piú sufficente
abbassarsi e cercare di capire le ragioni degli esclusi, dei forgotten, i sans
dents. Sappiamo da doive viene la rabbia, il sentimento di esclusione. La
risposta non può più essere: non ci sono soldi. I soldi per le armi ci sono,
quindi è una balla. I soldi per tornare a sognare si poossono trovare, basta
cambiare le priorità, ma questo va fatto collettivamente, pensando e costruendo
il futuro che vogliamo, per finirla con quelli che il futuro ce lo continuano a
rubare.