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mercoledì 28 dicembre 2016

Vi chiedo scusa




Cari amici e amiche, ragazzi e ragazze con cui ci siamo incontrati in questi lunghi anni, discutendo dei temi dello sviluppo, dei nostri e vostri sogni, dell’importanza di avere dei valori e di lottare per difenderli. Come cantava Leo Ferrè, morire per delle idee, ma di morte lenta: questo per ricordarci come il cammino che avevo scelto e che volevate scegliere sarebbe stato un cammino lungo, irto di difficoltà, dove era importante dosare le energie ed altrettanto importante ricaricare le proprie batterie. 

Io quel cammino pensavo averlo trovato, e dopo oltre trenta anni, di aver percorso una parte importante della mia strada. Aver contribuito a far emergere il concetto di agricoltura familiare in Brasile, e farlo diventare poi un programma faro del primo periodo Lula, aver contribuito a scrivere una politica ed una legge sulla terra che finalmente riconosceva i diritti delle popolazioni locali mozambicane, e successivamente aver partecipato alla lotta per riconoscere i diritti specifici delle donne, un continuum che ci ha reso presenti per oltre venti anni in quel paese, esportando quelle esperienze in tanti altri paesi. Come non ricordare il primo titolo emesso dal Governo dell’Angola in nome di una comunità Bushman? Anche su questo eravamo ben presenti: anni e anni di sensibilizzazione, di empatia con la gente e le loro organizzazioni. E le Filippine, il Sudan e tutto il resto? La proposta che costruimmo in Colombia per affrontare il post-conflitto, una proposta che ancora oggi resta di scottante attualità? 

Tanti lavori iniziati, e tanti ragazzi e ragazze con i quali siamo cresciuti in questi lunghi anni. Avevamo una ispirazione comune, cioè che i valori promossi dalle Nazioni Unite fossero realmente dei valori universali, che di fatto davano un senso, una direzione al nostro lavoro.

Momenti difficili ne abbiamo passati, ma siamo sempre riusciti ad andare oltre. Fino a quest’ultimo intoppo che, per me, ha significato la rottura di un patto di credibilità e di fiducia reciproca. Quando si rompe un vetro, non si possono più riattaccare i pezzi. Resterà uno specchio rotto. Questo sono io adesso. La fiducia è andata, la credibilità anche, resta solo l’impegno professionale, mercenario direi, per continuare dei lavori in corso. Ma non sarà più come prima. Con che faccia possiamo noi andare a dire agli sfollati, ai rifugiati di mille crisi, di guardare avanti con fiducia, di credere nell’avvenire e soprattutto credere nei valori universali incarnati dalle nazioni unite? Non si può più fare, non sarebbe onesto. Togliamo di mezzo tutta la retorica dei “diritti”. Non ci sono diritti, ma solo rapporti di forza. Chi è più forte impone il suo volere, punto e a capo.

Ragazzi, ragazze, non credeteci quando vi parleranno di diritti, perché chi lo farà saranno quelli stessi che non li rispettano. Ricordatevelo, è solo una questione di rapporti di forza. Trovare il mezzo per ribaltare queste situazioni, guardare in faccia la realtà come è, e non come ce la sogniamo o come vorrebbero farcela sognare. Il mondo è brutto, molto di più di quanto pensiamo finché restiamo chiusi a casa nostra. Ho lottato, non dico invano, ma fino ad incontrare il limite della mia ingenuità. E lì mi fermo.Q

martedì 13 dicembre 2016

La sporca dozzina del 2016



come previsto, é stta un'annata difficile per la selezione finale, erano parecchi i libri candidati. Tengo questa dozzina con, in piú, una menzione speciale alla fine.

Alfredo Noriega - Mourir, la belle affaire
Lionel Olivier - Le crime était signé
Lydie Salvayre - Pas pleurer
Antonio Pennacchi - Canale Mussolini
Julien Suaudeau - Dawa
Sophie Hénaff - Poulets Grillés
Samira Bellil - Dans l'enfer des tournantes
Olivier Norek: Territories
Cédric Bannel - Baad
Romain Puertolas - L'extraordinaire voyage du fakir qui était resté coincé dans une armoire ikea
Antonio Fusco - La pietà dell'acqua
Jonas Jonasson - L'analphabète qui savait compter


Menzione speciale per la cara Giulia e il suo primo, e molto bello, romanzo: 
Giulia Caminito - La Grande A

martedì 6 dicembre 2016

Torri d’avorio e autismo: riflessioni al di là del referendum


Da alcuni anni oramai chi ha occhi per osservare, orecchie per ascoltare e bocche per parlare, vede in giro per il mondo una tendenza sempre piú netta alla separazione di vari gruppi che stanno sopra e quelli del piano di sotto. Non si tratta tanto (o solo) della famigerata “casta”, ovviamente la situazione é molto piú complicata. Alla “casta”, ai “poteri forti” eccetera possiamo aggiungerci un mondo intellettuale sempre piú autoreferenziale, piccolo borghese, dissociato da quel mondo reale che pretende capire e spiegare. Ma abbiamo anche una parte della classe media che, nello sfacelo progressivo ed accellerato di quella che fu l’asse portante delle democrazie occidentali, esprime un sentimento di paura, una incapacitá di leggere i fenomeni in corso  e si rifugia al cospetto di chi sta sopra nella speranza (vana?, mah) di potersi assicurare un futuro.

Quelli di sotto sono invece una accozzaglia, giusto per usare un termine caro al nostro (quasi) ex-Presidente del Consiglio di persone con interessi diversi. Nel caso europeo troviamo sempre più giovani neodiplomati alla ricerca di un lavoro che non trovano, accomunati alle fasce di povertà storica, economica e culturale, ma anche a quella fascia crescente di classe media che si sente scivolare verso il basso dela piramide sociale e si sente tradita da “queli di sopra”, la classe politica che, in cambio di un benessere accettabile ma soprattutto stabile, chiedeva la delega perenne per guidare i paesi.

Questo peró non succede solo qui da noi. La globalizzazione e finanziarizzazione dell’economia, distruggendo molti piú posti di lavoro di quanti sia riuscita a crearne, precarizzando e impoverendo fasce enormi della popolazione mondiale, contribuendo in larga misura alla degradazione ecologica, ma anche sociale e culturale, sta producendo fenomeni simili anche nel sud del mondo.

L’aspetto più vistoso é la normalizzazione del pensiero che diventa “mainstream”, cioè pensiero unico: morte le ideologie di sinistra, ne è sopravissuta una, di destra, quella del libero mercato. Racconti di favole secondo i quali grazie all’economia di mercato, libera da lacci e lacciuoli, si finirebbe con lo stare tutti meglio. Una ideologia che non accetta la diversità e che tende a semplificare tutto quello che non riesce a capire e a integrare nei suoi modelli econometrici. Ecco il perchè della lotta sfrenata contro i “commons”, i beni comuni, visti come un intralcio al dispiegarsi delle forze del mercato portatrici di libertà. Nel sud del mondo questo vuol dire una lotta continua, per interposta persona spesos e volentieri, contro i riconoscimenti dei diritti delle comunità contadine, dei popoli indigeni, dei pastori nomadi etc. etc.

Le elite culturali dei paesi del sud vengono pian piano formattate al pensiero unico e diventano loro stesse i nemici dei loro popoli. Lo stesso processo di separazione che le nostre elite culturali hanno intrapreso parecchi decenni fa.

Si tratta di una lotta lunga, alla quale qualcuno si contrappone, per fortuna, ma alla resa dei conti cominciamo a renderci conto che, una volta al potere, anche le rappresentanze autoproclamate di queste istanze sociali dimenticate (i “forgotten” de noantri) calano le brache per allinearsi ai diktat economico-finanziari dettati dal nord del mondo. Basta guardare i casi recenti latinoamericani, tipo Lula: arrivato al potere spinto da masse operaie e contadini senza terra piú una classe media stanca dei soliti partiti e politici corrotti, il lascito storico lasciato dal presidente è una pletora di scandali che hanno colpito ed affondato gran parte dei quadri superiori del partito, in aggiunta a quelli che lo vedono coinvolto, lui e il figlio Lulinho, una sottomissione al capitale finanziario nazionale e internazionale (http://docplayer.com.br/13944203-A-politica-economica-do-governo-lula-reformismo-e-submissao-ao-capital-financeiro.html), un piegarsi alla diffusione massiccia degli OGM in agricoltura e la paura di attaccarsi al problema strutturale della povertà rurale, con una riforma agraria abortita durante la sua presidenza, e adesso che la bonanza degli alti prezzi delle commodities é passata, la povertà e la fame ritornano. Questi esempi, senza parlare di Chavez, sono alcuni dei tanti che hanno sabotato il sogno di generazioni, del sud e del nord. Una “politica che è solo far carriera, il perbenismo interessato, la dignità fatta di vuoto, l’ipocrisia di chi sta sempre con la ragione e mai col torto...” scriveva tanti decenni fa il nostro Francesco da Pavana. Generazioni di politici si sono susseguiti, tutti oramai frutto dello stesso format, che guarda sempre verso l’alto, che accetta aprioristicamente tutte le ricette tese a “snellire” lo stato, cioè a ridurlo in brandelli, per far spazio al mercato, ai TTIP e via dicendo.. e che sempre più si dimenticano di quelli del piano di sotto.
L’idea di fondo resta sempre la stessa dagli inizi della colonizzazione: noi abbiamo ragione, perchè siamo “sviluppati”, e voi tutti avete torto. Ed ecco perchè nascono le idee di “esportare la (nostra) democrazia” a colpi di cannone, di reprimere qualsiasi tentativo locale di uscire dal seminato nordista (vedi il povero Sankara in Burkina), tutto giustificabile in nome del superiore interesse non più (o non solo) della nazione, ma del “progresso”, quel progresso che la protagonista del mio ultimo libro, Julia Mwito, sente come un pericolo inafferrabile dal quale stare lontani.

Continuiamo a smantellare il contratto sociale che ci tiene assieme. Poi un giorno capita che si scopra che quelli del piano di sotto ci sono ancora, non sono morti. Diventano i “sans dents” del presidente socialista francese (http://lelab.europe1.fr/le-sms-sur-les-sans-dents-de-francois-hollande-revele-par-valerie-trierweiler-article-le-plus-lu-de-la-semaine-2874629) che si possono sfottere, salvo quando poi mettono a fuoco le periferie (e diventano quindi i nemici della nazione http://r-sistons.over-blog.com/article-banlieues-la-france-en-guerre-contre-elle-meme-l-ennemi-interieur-58352413.html). Oppure semplicemente decidono di andare a votare, e allora tutti si sorprendono, ma anche lí quelli del piano di sopra non capiscono. In America Bernie Sanders ha portato un vento di speranza tra di loro, finalmente un politico a cui credere e con cui costruire, ed ecco che il suo stesso partito l’affonda.  In Inghilterra Corbyn porta (finalmente) aria nuova al Labour, e subito Blair-il-bugiardo lo attacca https://alganews.wordpress.com/2016/06/27/nel-partito-labour-blair-attacca-corbyn-per-ilbrexit/, appoggiato da gran parte della stampa “progressista”, tipo La Repubblica (http://www.repubblica.it/esteri/2016/09/25/news/anthony_giddens_il_labour_ora_e_una_setta_con_corbyn_leader_rischia_di_scomparire_-148498169/).

Dopodichè la gente vota al contrario di quanto suggerito dalla Repubblica e da Scalfari, e tutti si sorprendono. In molti sono lí a cercare di metterci sopra il cappello. Ma non funzionerà, perchè il campanello d’allarme non era (solo) contro un modo di far politica in Italia che ha stancato, Renzi o non Renzi, il problema non si limita a lui, alla sua boria e presunzione. La questione va ben al di là. Da decenni le classi politiche e soprattutto gli ambiziosi leader di destra, centro e sinistra che cercano di arrivare ai piani alti, non hanno piú nulla da dire a quelli di sotto. Non fanno sognare nessuno, nel nord come nel sud del mondo. Quasi nessuno li vuole ascoltare, anche se i pochi esempi di politici rimasti nel cuore della gente sono proprio quelli che non hanno mai perso le loro radici al piano di sotto. Uno fra tutti: Pepe Mujica, ex-presidente dell’Uruguay, che ha dimostrato che si può far politcia in modo diverso, senza perdere di vista chi sta peggio, con onestà, preparazione e empatia, visibilissima in tutti i suoi atti pubblici e privati.

Quindi non sto qui a discutere su quanto sia bello che abbia vinto il NO o abbia perso il SI. Voglio solo ricordare che questi segnali si stanno accumulando, lentamente ma inesorabilmente, su tutto il pianeta. Gli estremisti islamici stanno cercando di metterci il loro cappello sopra a questa rabbia che cova nelle cantine, ma al di là di qualche caso limitato, sembra difficile immaginare che sia una religione a poter far da collante a tutto ció. Più probabile che spinga ulteriormente a dividersi, ad odiarsi, ma di questo non abbiamo bisogno.

Quello che ci serve è un cammino diverso, umile ed ambizioso nello stesso tempo. Un viaggio verso gli altri che in tanti possiamo cominciare a fare, dal nostro piccolo quotidiano, il nostro paese (https://www.youtube.com/watch?v=biekjXni8kI )  su su fino ai piani della politica. Si tratta di ripensare il vivere assieme come lo stanno già facendo in tanti: https://www.theguardian.com/sustainable-business/blog/buen-vivir-philosophy-south-america-eduardo-gudynas.

Riparare le ferite inflitte al nostro patto sociale, ripensare l’economia e la finanza al servizio dell’uomo e non viceversa, rompere il tabú del pensiero unico e cominciare a valorizzare la diversità, non solo la biodiversità, ma la nostra. Non aver paura a dire che questo modello economico impostoci dagli gnomi di Wall Street e dalle grandi organizzazioni finanziarie internazionali distrugge lavoro, natura e rapporti sociali, costirngendoci tutti a diventare dei nomadi, alla disperata ricerca di un lavoro che non c’é più. Invece di costruire muri a casa nostra, e nello stesso tempo veder partire i nostri figli all’estero, esattamente quello che fanno le famiglie del sud del mondo, lottiamo per cambiare le cose alle origini. Fra quanti cantano per la vittoria e quelli che si lamentano per la sconfitta, andate a vedere se qualcuno sia stato capace di allargare l’orizzonte dell’analisi al di là del proprio orticello, se ci sia qualcuno capace di dire alto e forte che non possiamo piú continuare cosí, e che bisogna andare a cambiare di modello economico e di società se vogliamo continaure a restare su questo pianeta.

Vasto programma direte in tanti al leggere queste parole. Lo so, ne sono cosciente. Ma vi prego di credere che dopo oltre trentanni di girovagare, leggere, ascoltare e discutere, nonchè vederle in prima persona, arrivo a queste conclusioni con il cuore pesante. L’invito é quindi di fare uno sforzo ulteriore. Non è piú sufficente abbassarsi e cercare di capire le ragioni degli esclusi, dei forgotten, i sans dents. Sappiamo da doive viene la rabbia, il sentimento di esclusione. La risposta non può più essere: non ci sono soldi. I soldi per le armi ci sono, quindi è una balla. I soldi per tornare a sognare si poossono trovare, basta cambiare le priorità, ma questo va fatto collettivamente, pensando e costruendo il futuro che vogliamo, per finirla con quelli che il futuro ce lo continuano a rubare.