Il 14 luglio in Francia è tradizione festeggiare la presa della Bastiglia, simbolo della rivoluzione e delle tanto declamate parole di libertà, uguaglianza e fraternità. Ma da anni mi chiedo se non ci si renda conto dello scollamento crescente tra la società sognata e la società reale, quella in cui viviamo adesso. Se vogliamo mettere un numero a questo scollamento, eccolo lì nel titolo: da anni, in occasione di queste festività, i ragazzi delle periferie sbandate celebrano a modo loro, per ricordarci che esistono e che hanno non solo rabbia in corpo ma oramai un odio crescente verso la società di facciata. 897 auto sono state bruciate in Francia in quella notte del 14 luglio. Il dato, come riportano i giornali (http://www.lefigaro.fr/actualite-france/2017/07/15/01016-20170715ARTFIG00132-festivites-du-14-juillet-le-nombre-de-voitures-brulees-en-legere-hausse.php) è in leggero aumento rispetto all’anno precedente.
Ieri sera ho rivisto un vecchio film degli anni 90, l’Odio (la Haine) e sono rimasto sorpreso di quanto fosse ancora attuale ai giorni nostri. Le periferie abbandonate di allora, quelle che vennero chiamate i “territori perduti della Repubblica” (Emmanuel Brenner, 2004, edizioni Mille e una notte) sono passate indenni attraverso decenni di politiche pubbliche totalmente aliene a quelle realtà. Prima di quello, avevo guardato un altro film documentario rappresentativo di cosa stiamo diventando noi paesi europei: Merci patron di François Ruffin. E’ la storia dell’emblematico padrone di gran parte delle marche del lusso francese e mondiale, quel Bernard Arnault che dopo aver chiuso molte delle fabbriche francesi che producevano le sue marche di lusso ha decentrato la produzione alla ricerca di sempre maggiori profitti, ma non solo, alla ricerca di disperati disposti a lavorare per salari sempre più bassi ed è arrivato a chiedere la cittadinanza di un altro paese per poter risparmiare sulle già poche tasse che paga e di una delle tante famiglie da lui rovinate. Due facce della stessa medaglia, due società che hanno sempre meno da dirsi e che comunicano attraverso gli scatti di febbre come nelle occasioni citate sopra.
Il patto sociale scricchiola, l’individualismo avanza, usando anche mentite spoglie come i diritti individuali riguardo sessualità e procreazione. Le classi medie si vedono erodere sempre più velocemente quel benessere che sembrava un bene acquisito e per il quale non ci fosse bisogno di continuare a lottare. Per arrivare a questo è stata necessaria un’opera di pulizia mentale, far dimenticare la nostra storia recente, le lotte che hanno permesso alle classi meno abbienti di contenere lo strapotere delle classi agiate, favorire politiche redistributive e un accesso pubblico all’educazione, salute e ricreazione (ferie). La televisione, soprattutto quella privata ma poi seguita anche dalla pubblica, ci ha messo del suo in questa opera di smantellamento della coscienza popolare, nonché nel mettere in luce personaggi sempre più lontani dalle nostre realtà, inarrivabili per le loro ricchezze e che dovevano assurgere a nuovi miti per le nuove generazioni. Non più il valore lavoro, lo sforzo individuale e collettivo, il preoccuparsi degli altri, cose che quando eravamo giovani imparavamo tutti, sia che andassimo nelle sezioni del partito comunista (o nella sinistra extra parlamentare) o che andassimo a giocare in parrocchia.
Erano valori condivisi, sui quali abbiamo costruito un periodo storico che, malgrado le morti, tragedie e bombe varie, tutti ricordiamo come un periodo globalmente felice. Eravamo felici perché ci sentivamo molto più uguali e simili di adesso. Certamente c’erano le invidie, i dissapori, le lotte partitiche e quant’altro, ma nessuno ha mai messo in dubbio il fatto che fossimo una stessa comunità. E, soprattutto, eravamo certi che avremmo avuto un futuro per il quale valeva la pena battersi. Un futuro diverso per ognuno di noi, ma il futuro c’era.
Adesso ci svegliamo ogni giorno di più pensando che ce lo stanno portando via, che ci siamo divisi in tantissimi gruppetti che alla fine restiamo soli come individui. Non abbiamo più un qualcosa che ci leghi, sia esso partito, movimento quant’altro, a larga scala. Ci rifugiamo nel particulare, e, per fortuna almeno lì, qualcosa cerchiamo di fare.
Ma attorno a noi avanza il fuoco distruttore. Il fatto che si arrivi a considerare come un fatto banale che nemmeno merita più attenzione, quello di bruciare quasi un migliaio di auto, preoccupa. Preoccupa perché il livello di indifferenza è arrivato a livelli altissimi. Cosi come la nostra indifferenza.
Non ho risposte da dare che vadano al di là del piccolo esempio che porto avanti col mio lavoro. Ma anche dentro la mia stessa organizzazione sento che l’afflato per gli altri, quella empatia che dovrebbe portarci a capire chi siano gli altri e intervenire sulle cause profonde di questi problemi e non restare solo e sempre in superficie, sta scomparendo.
Viviamo nel carpe diem perenne, senza renderci conto che non siamo più su una tavola orizzontale, ma abbiamo iniziato una lunga discesa verso un futuro che non mi piace. Sono preoccupato, e sto male, male dentro.
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