La Cina è vicina? (o no?)
Mentre queste cose succedevano nel mondo “libero”, altre dinamiche erano in marcia nel resto del mondo. Non torno sullo smantellamento dell’Unione Sovietica che apri un’autostrada al vento neoliberale verso Est. Mi riferisco qui a tendenze di fondo del sistema terra: i trends demografici e la progressiva distruzione di risorse naturali. Il combinato disposto di una popolazione in crescita e di una disponibilità calante di terre di ottima o buona qualità, ha inevitabilmente cominciato a creare delle difficoltà, delle frizioni, che a volte hanno cominciato ad assumere i toni della disputa e del conflitto. Aggiungiamoci poi la scarsa conoscenza che avevamo (e abbiamo ancora) delle dinamiche di funzionamento dei nostri ecosistemi, ed ecco quindi che a volte si generano dinamiche preoccupanti per le generazioni attuali e future. Chi volesse saperne di più sul tema dei conflitti legati alle risorse naturali, terra in particolare, può andare a leggere qui di seguito: http://landportal.info/book/thematic/land-conflicts.
Il caso della Cina è emblematico; alcuni di noi forse ricorderanno gli slogan di una vita fa: la Cina è vicina. Non ne sapevamo nulla allora e anche adesso non è che ne sappiamo poi molto. Quel poco conosciuto pero è fonte sufficiente di preoccupazione. Usando le cifre attuali, la Cina dispone di meno del 10% delle terre arabili disponibili, mentre deve alimentare una popolazione che rappresenta circa il 20%. La disponibilità di terra per capita è all’incirca di 0.09 ha (meno di mille metri quadrati). Se la Cina comunista fosse un paese conosciuto per il suo sapere agronomico, magari potremmo preoccuparci un po’ meno. Il problema di fondo è che al posto di affidarsi alle conoscenze millenarie accumulate, il Partito ha deciso fin da subito di applicare all’agricoltura gli stessi schemi mutuati dall’industria statale.
Il deficit storico dei partiti di sinistra, europei e russi in particolare, nel capire la natura particolare del settore agricolo, è stato studiato e se ne conoscono i dettagli dei dibattiti interni. La Feltrinelli pubblicò un libro nel 1977 che reputo fondamentale ancor oggi (https://books.google.co.th/books/about/Il_dibattito_sulla_questione_agraria_nel.html?id=hnGoNQAACAAJ&redir_esc=y). Io ne venni a conoscenza semplicemente perché il traduttore italiano era mio fratello e quindi ne ricevette una copia che anni dopo ebbi modo di leggere.
Il risultato dell’applicazione di un metodo basato sull’ignoranza è stata la desertificazione crescente di cui soffre oggi il paese: dati recenti dell’ente responsabile delle foreste cinesi indicano una espansione della desertificazione a un ritmo da 2.500 a 10mila kilometri quadrati l’anno. Grosso modo 400 milioni di cinesi sono a rischio desertificazione (http://www.geocases1.co.uk/printable/Desertification%20and%20land%20degredation%20in%20China.htm). La mappa che ho messo qui da un’idea del livello di stress idrico (mancanza d’acqua), l’altra faccia della medaglia della desertificazione che avanza.
Questo per dire che, ci piaccia o meno, anche se adesso cominciano a rendersi conto del problema (e sognano di piantare un miliardo di alberi per fermare il deserto… ) prima di riuscire a modificare queste tendenze di fondo ci vorranno decenni. E siccome la produttività agricola dei cinesi non è esattamente quella dei vietnamiti, ci sono ragioni di preoccuparsi, nonché di capire perché i cinesi siano alla disperata ricerca sia di terre altrui (land grabbing) sia di comprare tutto quello che trovano sul mercato delle scorte alimentari.
Aggiungiamoci poi che l’aumentato livello di vita porta anche a un consumo diverso da prima: non solo riso ma anche proteine animali, che hanno bisogno di ancor più superficie per essere prodotte. Riassumendo: sti cinesi li avremo sulle (s)palle ancora per parecchi anni prima che si possano calmare. Saranno un elemento perturbatore perché le quantità di prodotti alimentari a cui devono accedere saranno ancora crescenti per parecchi anni prima che miglioramenti sensibili nei livelli di produzione locale e una riduzione della popolazione permettano di invertire il trend.
Altri deserti stanno avanzando, i cosiddetti deserti verdi. Rimpiazzano le foreste primarie laddove ancora esistono. Da una parte sono le piantagioni di palma da olio e dall’altra le piantagioni di eucalipti. La ragione invocata è sempre la stessa: la domanda di prodotto (in questo caso la cellulosa per la carta) aumenta e quindi deve aumentare la superficie in produzione. Con l’emergere (adesso un po’ stemperato) dei BRICS (Brasile, Russia, India, Cine e Sudafrica), le aspettative sono che negli anni a venire la domanda continuerà a crescere, dai cui pressioni crescenti in questo senso. Per quanta riguarda l’olio estratto dalla palma, visto da Bangkok, sembra lontano il punto di inflessione verso una regressione. Ci sono paesi, come quello dove sto andando in missione, o un altro qui vicino, che ne fanno quasi una questione di priorità nazionale per cui le foreste date in concessione, tutte su territori ancestralmente appartenuti a comunità indigene, non si possono nemmeno discutere.
Abbiamo quindi davanti a noi un futuro che si presenta sempre più nero. Le nazioni unite dicono che bisognerebbe quasi raddoppiare la produzione alimentare da qui al 2050. Tornerò un’altra volta per spiegare perché non credo sia un obiettivo ragionevole.
(continua)
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