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mercoledì 31 maggio 2023

2023 L21: Chimamanda Negozi Adichie - Metà di un sole giallo

 


Einaudi, 2008

Metà di un sole giallo è la storia di molte Afriche: quella sensuale della splendida Olanna, che rinuncia ai privilegi per amare il professore idealista Odenigbo, e quella concreta della sua gemella Kainene, che affronta il mondo con l'arma del sarcasmo; l'Africa superstiziosa di Mama e Amala e quella colta ed emancipata del circolo di Odenigbo, l'Africa naïf del giovane servitore Ugwu e quella archetipica inseguita dall'uomo di Kainene, Richard.

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Per me questo è il LIBRO DELL'ANNO. Solo un altro libro si è innalzato a questo livello, quello di Dave Eggers - Erano solo ragazzi in cammino, dove si raccontava la tragedia della guerra civile in Sudan. Questo di Chimamanda è ancora più forte, racconta la tragedia del Biafra con gli occhi di una biafrana. Straconsigliato a tutte e tutti.

2 giugno: Festa della Repubblica


 È sempre utile ricordare che, se oggi siamo liberi e possiamo godere di diritti civili è perché abbiamo una Costituzione “nata dalla Resistenza e dalla lotta antifascista per liberare il paese dall’occupazione nazifascista”. La legittimazione quindi sta a monte di quanto poi è stato inserito nel documento, facendone “la più bella del mondo” come piace a tanti ricordare: la legittimazione sta nella lotta partigiana e antifascista. Grazie a quella lotta, che sembrava impari, dato l’appoggio popolare che il regime mussoliniano si era garantito per decenni, grazie alle tante persone che si sono battute (ricordo che io ho avuto uno zio morto a 20 anni facendo il partigiano) e grazie alle armi, munizioni e quant’altro necessario fornitoci dagli alleati, oggi possiamo rivendicare di essere una repubblica, democratica dove, come ce lo ricorda il presidente dell’Associazione Nazionale Ex-Deportati nei campi nazisti (ANED), troviamo un “progetto generale di società democratica”.

Per queste ragioni, oggi, tutte le persone che si riconoscono in quella lotta e nel suo risultato, non possono non essere a fianco dell’eroica lotta del popolo ucraino contro l’invasore russo. Una lotta di popolo armata, come si diceva negli anni 70, lotta continua fino a quando gli invasori non saranno ricacciati a casa loro.

Non ci può essere pace con chi, in spregio a tutti i valori civili, ha compiuto genocidi, saccheggiato e distrutto città, ammazzando donne, uomini e bambini. La lotta armata va sostenuta, finchè necessaria.

Si spera che anche l’ANPI rinsavisca, e si ricordi che noi italiani siamo liberi grazie alla lotta armata contro i nazifascisti e non certo grazie alle ridicole marce per la pace fatte dai Bo-Bo italiani in Umbria. Se proprio vogliono parlare di pace, che vadano a fare queste marce sotto i muri del Cremlino, non certo in un paese che è nato dalla lotta armata contro i nazifascisti.

Appoggiamo la lotta armata di tutti i popoli che si ribellano contro i loro oppressori, oggi russi in Ucraina ma altrove li troviamo sotto altre bandiere, anche di alleati nostri. 

Una volta ricacciati fuori dai confini internazionali, riconosciuti dalle Nazioni Unite, allora sarà possibile sedersi attorno a un tavolo e negoziare. Si parlerà anche del legittimo diritto della Russia alla sua sicurezza, ma si parlerà anche dei soldi che i russi dovranno mettere sul tappeto per ripagare i danni che stanno causando. E si parlerà, ma senza negoziare, sui genocidi compiuti dai russi, per i quali solo un tribunale internazionale deve avere competenza.

Viva la Repubblica italiana, fondata sulla lotta armata antifascista e viva tutti i popoli che lottano per i loro diritti e le loro libertà. Il nostro posto, come italiani democratici, è sempre al loro fianco, senza se e senza ma.

lunedì 22 maggio 2023

2023 L20: Gérard Davet et Fabrice Lhomme - Le traître et le néant



Pluriel, 2022

C'est désormais un classique de la fin d'un quinquennat : après "Sarko m'a tuer" en 2011, "Un président ne devrait pas dire ça" en 2016, les journalistes du Monde, Gérard Davet et Fabrice Lhomme publient un nouveau livre-enquête publié chez Fayard, "Le traître et le néant". 620 pages (quand même !) d'un bilan critique mais sans grande révélation, de l'ascension et de l'exercice du pouvoir d'Emmanuel Macron. Si la plupart des proches du président de la République, conseillers, ministres, soutiens affichés, anciens collaborateurs, se sont bien abstenus de répondre aux questions et demandes d'entretiens des deux journalistes (consigne de l'Elysée, peut-on lire), le livre laisse une grande place aux opposants (socialistes), aux trahis du gouvernement Hollande (dont l'ancien président) et aux déçus du macronisme. 

La naissance politique d'Emmanuel Macron, la trahison "avec méthode" au dépend de François Hollande et du PS, la création du "nouveau monde" et les presque cinq années sans partage à la tête de l'État bousculées par les crises sociales et sanitaires, tout cela est de nouveau raconté, sans apporter nouvelles informations majeures mais à travers une multitude de regards, des alliés aux ennemis.

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Nulla da aggiungere a questa recensione sintetica e corretta.

Dall’operaio massa al/la contadino/a massa

 

Tronti, il padre dell’operaismo, così definiva l’operaio massa: quel lavoratore generico di linea, privo di competenze particolari, responsabile di una piccola funzione all’interno del processo produttivo automatizzato. 

 

L’operaismo di Tronti, in virtù della coappartenenza tra soggetto luogo ed epoca, si basa sull’unità tra classe operaia, fabbrica e modernità. A partire da qui si può generare il conflitto rivoluzionario, l’unico in grado di rovesciare il sistema capitalistico (https://effimera.org/la-classe-primo-secondo-operaismo-operaio-massa-operaio-sociale-confronto-daniele-ilardi/).

 

L’idea di fondo quindi era di appoggiarsi sulla mitica classe operaia, intesa come un unico insieme (di individui maschi) per rifare il mondo.

 

Oggi, nel mondo (non più solo agrario), assistiamo a un processo che ha alcune similitudini, ma anche molte differenze (in peggio).

 

Se l’operaio massa era e restava un generico lavoratore, per il/la contadino/a massa è ben peggio. Con un livello di indebitamento crescente, il/la contadino/a, inizialmente proprietario dei suoi mezzi di produzione (cosa che, agli occhi dei socialisti-comunisti ne faceva un capitalista), progressivamente ne perde la proprietà (che appartengono oramai alle banche) ma ne diventa schiavo. Senza quei mezzi di produzione, non esiste più il/la contadino/a. 

 

Possiamo inserire tra i suoi “mezzi di produzione” le sementi che, annualmente, venivano scelte tra le migliori varietà produttive dell’anno precedente, e ripiantate (così da realizzare anche un processo di miglioramento selettivo “on-farm”). 

 

Inoltre, il/la contadino/a, storicamente aveva delle conoscenze e quindi competenze molto allargate e specifiche. Per lui/lei era fondamentale occuparsi della biodiversità locale, dato che era alla base dell’equilibrio tra produrre e riprodurre.

 

Insomma, non si poteva inventarsi contadini/e, bisognava averlo fatto per lunghi anni, per conoscere il territorio, il clima, le sementi, gli animali, il mercato e tutto il resto. L’operaio non aveva nessuna competenza particolare: lo mettevi alla catena di montaggio e lì stava, a ripetere gesti consueti che non necessitavano un’intelligenza particolare.

 

Il/la contadino/a invece è stata progressivamente defraudato/a delle sue competenze, attraverso la progressiva standardizzazione delle varietà da produrre, degli itinerari tecnici, dei prodotti chimici da impiegare e dalle forme di accesso al mercato sempre più dominate da forze esterne. Inoltre, per la sua sola sopravvivenza, il/la contadino/a doveva cercare di aumentare la sua superficie produttiva nonché la produttività, dato che i prezzi che gli venivano riconosciuti hanno una tendenza più che secolare al ribasso.

 

Questo/a contadino/a massa, da sempre sfruttato più e peggio degli operai massa, è sempre stato cancellato dalle analisi politiche delle forze cosiddette “progressiste”, che fin dagli albori dei loro dibattiti, hanno dimostrato di non capirne nulla della specificità contadina (H.G. Lehmann, 1977. Il dibattito sulla questione agraria nella socialdemocrazia tedesca e internazionale: dal marxismo al revisionismo e al bolscevismo, Feltrinelli).


Ancora oggi nessun partito rilevante nell’agone politico nazionale o europeo, si preoccupa di capire cosa stia succedendo in questo mondo. Io ho cercato di sintetizzare i processi in corso dalla fine della seconda guerra mondiale nel libro sulla Crisi agraria ed eco-genetica pubblicato nel 2020 da Meltemi. Qui vorrei solo ricordare l’attacco attuale, sul quale magari ritornerò in futuro, quello che va sotto il nome della Digitalizzazione in agricoltura.


Come ce lo ricordano i ricercatori dell’ETC Monitoring Power and Technology, “affrontiamo la tempesta di crisi legate al cambiamento climatico, alla biodiversità e ai sistemi alimentari”. I patriarchi delle Big Tech (Gates, Bezos, …) sono alla guida della digitalizzazione e dell'agenda "technofix". 


Per capirci bene: una "technofix”" è lo sviluppo di un prodotto o di un intervento tecnologico di proprietà privata (e redditizio), che si suppone sia destinato ad affrontare un problema sociale o ambientale, ma che non risolve in alcun modo le cause alla base di tale problema, che di per sé può essere stato creato da un precedente fallimento tecnologico.


Sappiamo bene oramai che la pandemia legata al Covid ha gravato sulle donne e su altre persone in modi senza precedenti: le case sono improvvisamente diventate scuole e uffici, per quanto piccoli; l'economia dell'assistenza ha imposto oneri e responsabilità ancora più pesanti e spesso non ricompensati alle donne e ad altre persone che si occupano di assistenza in tutto il mondo, tra cui madri, casalinghe, insegnanti e infermiere; e la violenza domestica è aumentata vertiginosamente.


Allo stesso tempo, la pandemia ha avvantaggiato i settori della tecnologia digitale e dell'agricoltura e dell'alimentazione industriale. Nel 2020 la maggior parte dei maggiori colossi mondiali dell'alimentazione e dell'agricoltura ha visto aumentare le vendite e i profitti, mentre quasi un miliardo di persone soffriva la fame e i raccolti fallivano.


Ricordiamo che le più grandi tecnologie e piattaforme digitali del mondo sono state tutte fondate da uomini, la maggior parte dei quali bianchi e provenienti dal Nord globale (soprattutto dagli Stati Uniti). 


Le aziende tecnologiche digitali da loro fondate perpetuano il patriarcato, esaltando gli uomini come geni, imprenditori che si sono fatti da soli, mentre le donne rimangono in secondo piano come minoranza nella gerarchia aziendale. Queste aziende adottano anche un approccio estrattivo ai dati come risorsa redditizia.

Avendo quindi compreso che possono fare ancora più soldi attraverso la tecnologia digitale applicata in agricoltura, i miliardari della tecnologia, come Jeff Bezos e Bill Gates, si sono introdotti nei circoli politici che prima erano appannaggio dei politici governativi. Ciò ha permesso a questi tecnologi ultra ricchi di stabilire parametri per la risoluzione delle crisi che stanno iniziando a normalizzare l'approccio technofix come unica via da seguire nei negoziati intergovernativi.


Esempi del loro modo di fare sono parecchi. Ricordiamo il Fondo per la Terra di Jeff Bezos, dotato di un capitale iniziale di 10 miliardi di dollari, che vuole appoggiare l’obiettivo politico detto “30x30” della Convenzione per la Biodiversità (CBD). Questa operazione, che ignora completamente le gestioni e i diritti territoriali delle popolazioni indigene e comunità locali, è stata definita come il più grande Land Grab della storia.


L’operazione “digitalizzazione” promossa dai BigTech, ha bisogno di molta terra e moltissima acqua ed energia. Secondo la rivista scientifica New Scientist "un tipico data center, che può ospitare diverse migliaia di server, può consumare tra gli 11 e i 19 milioni di litri d'acqua al giorno, pari a quanto consuma una città di 30.000-50.000 persone ».


Traslare questo approccio nel mondo agricolo, dove i contadini/e hanno già perso il controllo dei mezzi di produzione, devono produrre cosa vuole il mercato, con le sementi e i pacchetti tecnologici dettati dalle industrie chimiche e sementiere (spesso le stesse), è cosa facile.


La digitalizzazione dell'alimentazione e dell'agricoltura comprende le sementi modificate geneticamente (che sono associate a un uso massiccio di prodotti agrochimici, esponendo così gli agricoltori a rischi per la salute ed erodendo la diversità genetica), la robotica e l'automazione, le piattaforme digitali, i droni e altre tecnologie digitali. Queste tecnologie minacciano di minare i diritti e l'autonomia degli agricoltori, trasformandoli in semplici fonti ed estrattori di dati e vincolandoli a pratiche dettate da potenti aziende digitali e agroalimentari. Ciò mina le conoscenze agricole degli agricoltori e la loro capacità di trasmetterle di generazione in generazione, anche a causa della standardizzazione forzata su un numero limitato di colture.


Quindi, ripetiamolo: l’analisi politica, per capire cosa stia succedendo nei temi interdipendenti di cambio climatico, riduzione della biodiversità e “malbouffe” dovrebbe partire da qui. Se vogliamo realmente pensare a un domani diverso e migliore, bisogna rimettere in piedi quell’equilibrio tra esseri umani e natura, fare in modo di invertire la rotta sulla quale transitano il/la contadino massa, oramai quasi ovunque diventati/e produttori/trici legati/e mani e piedi al settore dei business (agro, chimico, finanziario e della distribuzione), sempre in condizioni di sottomissione totale. Una rotta che porti a riconsiderare questo equilibrio con la natura, non limitandosi ai richiami della Laudato Sì di Papa Francesco, un ottimo documento per aprire il dibattito, ma andando oltre, centrandosi sulla sfera domestica e quella pubblica insieme. 


Bisogna che le forze politiche, penso al fumoso nuovo partito democratico di Elly Schlein, inizino a capire le basi del problema attuale, e non limitarsi a generici appelli contro il riscaldamento globale e per una alimentazione sana. Questo è tempo perso. Sono anni che dico e scrivo queste cose, ma ho ancora la forza di ripeterle. Senza capire la base del problema, non si costruirà mai nulla di solido.


(Un grazie a Deepl per l’aiuto nella traduzione)

2023 L19: Chimamanda Ngozi Adichie - Dovremmo tutti essere femministi

 

Einaudi, 2021

I maschi e le femmine sono indiscutibilmente diversi sul piano biologico, ma la socializzazione accentua le differenze. Prendiamo l’esempio della cucina. In generale, è piú probabile che siano le donne a sbrigare le faccende di casa: cucinare e pulire. Ma qual è il motivo? È perché le donne nascono con il gene della cucina o perché sono state educate a credere che cucinare sia un loro compito? Il problema del genere è che prescrive come dovremmo essere, invece di riconoscere come siamo. Passiamo troppo tempo a insegnare alle ragazze a preoccuparsi di cosa pensano i ragazzi, a essere ambiziose ma non troppo, a puntare al successo ma non troppo, altrimenti saranno una minaccia per gli uomini. Allo stesso tempo facciamo un grave torto ai maschi educandoli ad aver paura della debolezza, della vulnerabilità. Spingendoli a credere di dover essere dei duri, li rendiamo fragili. In questo modo il genere ci inchioda a dei ruoli prefissati che spesso non ci rispecchiano. E se ci concentrassimo sulle capacità e sugli interessi invece che sul genere?

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Mi è capitato di ascoltare Umberto Galimberti, un po' casualmente. La sua tesi è la seguente: i maschi non hanno il concetto di “alterità”. Le donne hanno una fantasia pazzesca, e cioè di poter cambiare gli uomini. Gli uomini non si possono cambiare perché hanno un tasso ridottissimo di psiche.

Sono corso a leggere questo libretto di Chimamanda, con la segreta speranza che sia lei ad aver ragione, perché se avesse ragione Galimberti, ci sarebbero zero speranze per l'uguaglianza donna-uomo.

sabato 20 maggio 2023

2023 L18: Sonoko Machida - La casa del nespolo

 

Giunti, 2023

A Yokohama, nel quartiere di Utsukushigaoka, c’è una casa con un grande nespolo. Le sue fronde rigogliose arrivano fino al primo piano, dai suoi frutti si ricavano unguenti, dalle foglie tè e infusi. Secondo la tradizione è un albero portafortuna, eppure qualche vicino un po’ pettegolo insinua il contrario: che ogni famiglia passata di lì sia stata infelice. Ma davvero una casa può determinare il destino di chi vi abita? All’interno di questa magica cornice si intrecciano le vicende di varie famiglie, con le loro gioie, sofferenze e incomprensioni. Ci sono Mihori e Yuzuru, che hanno appena aperto un salone da parrucchiere; Takako e Yoshiaki, tra infedeltà e nipoti in arrivo; Kanae e Yukari, amiche del liceo e adesso coinquiline; Tadakiyo e Chiyoko, che cercano a tutti i costi di avere un figlio. E poi c’è Nobuko, un’anziana signora, buffa e gioviale, che va sempre in giro con un cesto di vimini dal quale si affaccia la testolina di Gan-chan, la sua tartaruga. Cinque storie diverse ma ugualmente profonde e toccanti, legate da un filo invisibile: la riflessione su cosa sia la felicità e su come realizzare i propri sogni anche quando la vita ti mostra il suo lato più violento e ingiusto, specialmente se sei una donna. Un romanzo delicato, dallo stile limpido, che intreccia dolore e rinascita e che vi colpirà al cuore.

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Consigliato dalla libreria Giunti di Bracciano 2: scelta azzeccata. 5 storie familiari, semplici e complesse nello stesso tempo, utili per farci capire quanto patriarcale sia la società giapponese.

giovedì 18 maggio 2023

Migranti dai Sud del mondo: perché arrivano adesso e non 50-60 anni fa?

 

Io capisco le tante persone che si interessano al tema, sia chi vuole aiutare sia chi, dalla parte opposta, si sente addirittura “minacciato” da questa “invasione”. Capire non vuol dire condividere, lo scrivo per chi avesse dubbi sulla mia collocazione.

 

Quello che capisco meno è lo scarsissimo interesse da parte di media, osservatori/trici, ricercatori/tri e chi più ne ha più ne metta, sulla questione chiave, e cioè: perché vengono in questi ultimi anni e non prima, anni 60 e 70.

 

Porci le domande giuste è fondamentale per indirizzare l’analisi e, successivamente, le proposte d’azione. Senza aver posto le basi giuste, secondo me si finisce solo a far confusione e polemica da bar sport.

 

Non che, avendo posto le domande fondamentali, ne discendano delle risposte facili, ma se non altro il quadro di riferimento diventa più chiaro e può servire per cercare alleanze politiche con altre forze interessate al problema.

 

Scrivo queste righe perché, ovviamente, un’idea sul perché questo succeda in questi ultimi, diciamo, due decenni, e non prima, ce l’ho.

 

I dettagli di cosa sia successo dagli anni 60 in poi, le ho spiegate nel libro La crisi agraria ed eco-genetica spiegata ai non-specialisti, pubblicato da Meltemi finale del 2020. La storia in realtà nasce dalla fine della seconda guerra mondiale quando i paesi occidentali uscivano dalla guerra con le pezze al culo e con un problema di fame evidente. A questo problema si sommava il rischio vero, da parte americana, che questo malessere potesse spingere la gente verso i partiti comunisti nazionali, come era il caso in Italia, e quindi spostare dei delicati equilibri geo-politici Est-Ovest.

 

Al di là del Piano Marshall, gli americani portarono da noi tecniche e tecnologie, nonché sementi e prodotti chimici, da loro prodotti e che avevano permesso un balzo nella produzione e produttività della loro agricoltura familiare. Essendo le condizioni agro-climatiche dell’Europa occidentale molto simili alle americane, il trapianto funzionò benissimo, tanto che, in soli 15 anni, i paesi europei dell’ovest (embrione della futura UE) avevano colmato il deficit alimentare e iniziavano a proporsi sul mercato mondiale via una nascente agro-industria alimentare.

 

Gli americani avevano ovviamente qualche anno di vantaggio, ma la battaglia per la supremazia dei mercati disponibili (e quelli che si potevano aprire, in un modo o nell’altro) iniziò subito e non si è mai arrestata. Tutti i grandi blocchi occidentali (americani, europei, giapponesi, australiani…) fecero lo stesso gioco di promuovere il libero mercato a casa degli altri, mentre aumentavano le protezioni, via sussidi e altre misure sanitarie, delle loro agricolture nazionali. 

 

La quantità di soldi messa sul tappeto è stata e continua ad essere, enorme: tra i 560 e i 700 miliardi di dollari l’anno per le sovvenzioni.

 

Di fronte, c’erano i nuovi paesi indipendenti, in primis, per quanto ci riguarda, quelli africani.

 

Per vincere anche quei mercati, gli americani provarono ad esportare anche al Sud la loro ricetta che aveva così ben funzionato a casa nostra. Ma i suoli erano diversi, le condizioni climatiche lo stesso, per cui sementi, concimi, pesticidi e macchine agricole non provocarono nessun “sviluppo”, anzi.

 

Da parte loro, i governi dei nuovi paesi indipendenti, confermando la loro ignoranza totale del mondo agricolo, e una avversione anche ideologica verso le radici di un mondo comunitario, riuscirono ad accelerare la crisi agricola. Quando poi si sommarono gli interventi della Banca mondiale, via macro-progetti irrigui, la strada verso il disastro era già tracciata.

 

Mancava solo l’ondata neoliberale, inaugurata ufficialmente con l’arrivo della coppia Thatcher-Reagan nel 1980, che cambiò il paradigma economico, imponendo il libero mercato in tutti i paesi del Sud.

 

La rovina delle agricolture dei paesi del Sud era oramai sicura, nulla poteva fermarla.

 

Ma si poteva fare peggio, seguendo l’adagio della legge di Murphy. E così fu.

 

La necessità del capitale finanziario di trovare nuove possibilità di investimento, associato agli effetti dei programmi di aggiustamento strutturale (che avevano tagliato servizi basici come salute, educazione e appoggio tecnico agli agricoltori), nonché la ricerca spasmodica e crescente delle risorse del suolo (foreste) e sottosuolo (petrolio, diamanti, terre rare e tutto il resto), divenne, dai primi anni 2000 in avanti, una vera corsa verso le terre.

 

La migrazione, di fronte a governi corrotti e incapaci, era la sola via possibile. Ma nel casino crescente, aumentarono anche i conflitti, quasi tutti legati all’accesso e controllo delle risorse naturali). Conflitti che tutti i paesi produttori di armi (molti dei quali localizzati nel Nord del mondo) hanno sempre sobillato e finanziato, per la semplice ragione che, attraverso i conflitti aumentano i debiti per cui, chiunque vinca, alla fine dovrà accettare la tutela politica ed economico-finanziaria di chi gli ha prestato i soldi.

 

Quindi, le ondate di migrazione non avevano ragione di avvenire prima che si creassero le condizioni adeguate. Noi occidentali abbiamo fatto del nostro meglio (e continuiamo a farlo) per distruggere quelle agricolture e quell’ambiente. 

 

Il fatto che, per il momento, gran parte delle migrazioni sia all’interno dell’Africa, e solo la punta dell’iceberg arrivi da noi, non deve farci sorridere troppo.

 

I partiti politici di sinistra, in tutta Europa, non hanno ancora capito cosa sia successo al mondo agricolo nostrano, con la scomparsa dei contadini e la trasformazione di chi resta in operai sul modello dell’operaio-massa descritto da Tronti agli inizi degli anni 60. A questo si aggiunga che non hanno capito che approvando la convenzione di Kyoto e i meccanismi compensatori, hanno contribuito ad accelerare la crisi del Sud e ancor meno capiscono cosa stia succedendo con le ruberie del materiale genetico in corso in tutti i Sud del mondo.

 

Detto questo, a me sta bene che qualcuno si preoccupi dei migranti quando arrivano. Ma mi interesserebbe di più se ci fosse dapprima una comprensione di cosa sta succedendo e perché, nonché di chi siano gli attori, anche a sinistra, che hanno contribuito a questo, dopodiché cominciare a riflettere su cosa potremmo fare, assieme.


Questo è quanto penso, dopo averci lavorato su questi temi dal lontanissimo 1983. Sono ovviamente aperto e interessato a discuterne.

sabato 13 maggio 2023

2023 L17: Andrée A. Michaud - Bondrée

 


Payot et Rivages, 2016

À l'été 67, une jeune fille disparaît dans les épaisses forêts entourant Boundary Pond, un lac aux confins du Québec rebaptisé Bondrée par un trappeur enterré depuis longtemps. Elle est retrouvée morte, sa jambe déchirée par un piège rouillé. L'enquête conclut à un accident : Zaza Mulligan a été victime des profondeurs silencieuses de la forêt. Mais lorsqu'une deuxième adolescente disparaît à son tour, on comprend que les pièges du trappeur ressurgissent de la terre et qu'un tueur court à travers les bois de Bondrée.

Une écriture raffinée au service d'atmosphères angoissantes et de subtiles explorations psychologiques, dans la plus pure tradition de "Twin Peaks" de David Lynch.
« Le thriller littéraire existe, Andrée Michaud en est la preuve. Créatrice d’ambiance exceptionnelle, elle joue avec la langue, les mots et les consonances dans ce huis clos chaud et humide où une foule de personnages se battent avec leurs démons. » (La Presse, Québec)

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Forse il primo thriller canadese che leggo. Piaciuto assai.

giovedì 11 maggio 2023

10 anni di vita


 Quasi me ne dimenticavo, per cui sono corso a prendere una bottiglia di champagne per festeggiare questi (primi) dieci anni di vita in più. Fine febbraio 2013, in missione a Nairobi, stanco da non reggermi in piedi tanto che i miei amici Paolo e Marina mi avevano proposto di andare da un medico. Mancavano pochi giorni alle elezioni, che si preannunciavano foriere di violenza tra i due contendenti in campo.

 

Preferii attendere, per non correre il rischio di essere bloccato in un ospedale kenyano, lontano da casa e con eventuali ordini di evacuazione per il personale UN. Atterrai a Fiumicino non reggendomi in piedi. Il giorno dopo andai subito dal medico che mi fece fare degli esami del sangue in urgenza e, una volta ricevuti i risultati, mi chiamò per dirmi di andare a casa sua nel pomeriggio. Era strano, mai prima di allora Delfino mi aveva detto una cosa del genere: si annunciavano guai.

 

Il discorso fu limpido: la situazione è molto grave, bisognerebbe riuscire a farsi ricoverare in urgenza, domani mattina se possibile. Di più non mi disse quel giorno. Fu solo quando lo rividi, tempo dopo, che mi disse che, visti gli esami, difficilmente ci saremmo rivisti, perché sembrava proprio una leucemia.

 

Grazie al dottor Abu Nassif, che ringrazio ogni anno nelle mie preghiere laiche, venni ricoverato nella clinica dove lavorava. I valori ematici scendevano, la preoccupazione saliva e il peggio era che non capivano cosa potesse essere. Poi un giorno gli venne in mente che una collega svizzera della FAO, molti anni prima, quando era ancora un giovane medico, aveva mostrato sintomi simili. Corse a cercare i vecchi libri universitari, per verificare l’ipotesi che gli frullava in testa.

 

Tombola. Per una ragione ancor oggi oscura, non avevo più B12 e a nulla sarebbe servito farmi mangiare bistecche di cavallo o darmi delle pastiglie. Venne di corsa in camera mia, era notte oramai, e mi svegliò dicendomi: Sappiamo cos’è. Una anemia perniciosa!

 

Il problema, da allora, è cronico. Iniezioni di B12 per rimettermi in piedi, con cadenza poco più che mensile, altrimenti mi sgonfio, come le ruote della mia R4.

 

Una soluzione semplice per un problema che, anche lui, considerava potesse essere fatale, dato il quadro clinico.

 

La paura è stata tanta, ma col tempo tendo a dimenticare e anche stavolta, anche se son passati dieci anni, me ne sono ricordato in ritardo. 

 

2013, un anno bastardo, perché oltre a quel problema, mi ritrovai all’ospedale ancora una volta a maggio, causa una infezione rimediata durante una missione ad Haiti. Non entro nei dettagli, ma anche lì, il professore della Qui Si Sana, non credeva ai propri occhi quando vide in che condizioni ero messo.

 

Adesso mi sento bene, senza pensare ad altre rogne arrivate nel frattempo, per cui, stasera, si festeggia.