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domenica 23 giugno 2013

Brasile: panen et circenses, fine del gioco?



Ho appena postato una serie di link ad articoli riguardanti alcuni degli aspetti lasciati indietro nell’agenda del governo attuale (e quello precedente) in Brasile: questione agraria, popoli indigeni e codice forestale.

Questo per ricordare che la rabbia covava sotto le ceneri già da qualche tempo: le speranze che i governi Lula e Roussef avevano suscitato, non si stanno mantenendo e, poco a poco, le prime crepe si aprono. 

Forse è troppo presto per dire se la politica del panen et circenses è arrivata alla fine, in Brasile come altrove, ma almeno i segnali di reazione del corpo sociale cominciano a vedersi.

La crescita economica degli ultimi anni, in Brasile come in Turchia, non riesce a nascondere un dato di fatto: la distribuzione è sempre asimmetrica e a un certo punto la rabbia tende ad emergere. Più violenta quando si vuol profittare di questa crescita per imporre una svlta religiosa neoconservatrice, un ritorno al passato, come sta provando a fare Erdogan in Turchia, ma ugualmente massiccia quando, dopo anni di promesse, ci si accinge ad accellerare sulla via del turbocapitalismo come nel caso brasiliano.

Pochi hanno tanto e tanti hanno niente. Questo è stato lo stigma di gran parte dei paesi latinoamericani, e su questo si erano esercitati eserciti di sociologi (ricordiamo il giovane Fernando Henrique Cardoso, che poi perse la memoria una volta arrivato alla Presidenza della Repubblica), economisti e politologi. Su questi tema la sinistra aveva fatto fortuna, creando le proprie vittorie elettorali a venire sulla base di promesse di cambi strutturali. La storia ci ricorda che di questo non è rimasto nulla. Tutti lì a vivacchiare, dentro un modello di società ingiusto ma che nessuno osa provare a cambiare una volta che arriva nella stanza dei bottoni.

Ad essere sinceri uno ci provò, qui in Europa, e non era nemmeno un rivoluzionario. Mmitterand, eletto nel 1981, provò ad imporre ai mercati il programma comune della sinistra. Ebbe più fortuna di Allende, che oltre al boicottaggio organizzato subì anche un golpe. A Mitterand bastarono i mercati per fermarne l’impeto riformista. Il 1983 sarà ricordato nella storia come l’anno quando i socialisti (e i loro alleati comunisti) francesi dovettero capitolare, alzare bandiera bianca e adeguarsi. Vinse l’andreottismo in salsa parigina (meglio tirare a campare che tirare le cuoia ricordava l’arzillo Giulio all’epoca). Provate oggi a leggere le dichiarazioni e le azioni dei governi socialisti francesi, degli italiani non parlo più, per vedere se trovate ancora un filo di quei sogni di allora. La Francia sta un passo più avanti del Brasile, difatti sta già preparando l’avvento dell’onda blu Marina, quella che rischia di portare la figlia del fascista Le Pen a battersi al secondo turno per le prossime presidenziali. Le europee dell’anno prossimo mostreranno i primi segnali pubblici, ma oramai la nave ha lasciato gli ormeggi, e nel nulla del fare governativo, la crisi avanza come un can cro e la gente, abbandonata, si gira a destra, quella estrema.

In Brasile non siamo ancora a questi livelli: sia perché i partiti conservatori non hanno nessun lider nazionale, troppo divisi tra loro quasi fossero il partito di Sarkozy, ma anche perché c’è ancora un appoggio popolare, una inerzia tale che alle elezioni porta a votare per il partito dei lavoratori. L’alternativa oramai, come qui da noi, è non andare a votare, ma sappiamo bene che è una non scelta.

Resta da capire il perché inevitabilmente le forze progressiste una volta arrivate in alto, dimentichino sistematicamente le promesse fatte. Forse aveva ragione anche in questo la volpe andreottiana: le promesse riguardano solo quelli che ci credono e non chi le fa. Più seriamente (ma non troppo), ci tocca voltarci ancora una volta ai Guignols de l’Info, dove il presidente della World Company, con le fattezze di Stallone, ci spiega che l’errore di Roussef è stato quello di lasciar andare all’università i giovani brasiliani. “Più li lasci studiare più pensano e più vengono a rompere le scatole”, questo il succo del discorso. “Guardate da noi, sottinteso, in America, dove le università sono sempre più care così ci vanno in pochi, e il resto guarda la televisione così li indottrianiamo per bene”.

Per quanto riguarda la televisione non è che si scherzi in Brasile, e nemmeno quanto a qualità dei giornali. Ma oramai i giovani studiano, maledetti loro, e guardano altre fonti informativi sui network sociali; si organizzazno e quando ne hanno le scatole piene eccolì lì, a protestare.

Il fatto che abbiano cominciato a fischiare la Presidente, e che lei abbia schierato l’esercito fuori dallo stadio ieri sera, conferma che anche il Brasile sta diventando un paese normale, una cosa tipo l’Italia. Scherzo ovviamente, e sono preoccupato, ma non tanto per le manifestazioni, che sono un segnale che il corpo sociale è vivo, ma quello che mi preoccupa è questa incapacità delle forze progressiste di portare avanti una agenda minimamente di sinistra. Insomma, il livello di condizionamento a cui siamo sottoposti è molto più forte di quello che scopriamo un po’ ogni giorno. I datagate e tutte le altre storie mafiose non sono nulla, la punta di un iceberg dove la base vera è rappresentata dal Dio mercato, dietro il quale si muovono forze capaci di fare e disfare governi nello spazio di un click.

Siamo alla speranza, non più alla certezza, che qualcosa cambi: siamo come i pesci rossi che girano in tondo alla ricerca di una via d’uscita, che non può esserci. Ecco, almeno noi pensiamo che sia ancora possibile, per questo i nostri cuori sono con i giovani inpiazza, per questo lottiamo per i diritti dei popoli indigeni, delle comunità locali, per la riforma agraria… un giorno riusciremo a farcela… o almeno lo spero.

Ci hanno imposto la nuova parola d’ordine di questo decennio, che non è austerità, quella l’avevamo già dagli anni settanta. Ogni tanto bisogna rinnovarsi e adesso tocca alla “buona governanza” o governanza responsabile. Cioè, state calmi, siate responsabili e non disturbate il manovratore (o manovatrice). 

Ovviamente sono parole d’ordine che arrivano dal nord e scendono al sud, imponendosi pian piano senza troppe difficoltà. Chi le appoggia sono quei paesi virtuosi dei quali abbiamo scoperto il datagate, oppure quell’altro che dopo cinquant’anninei quali ha provato di tutto per negare la verità, nascondere le informazioni è stato costretto alla fine a riconoscere i massacri compiuti quando era potenza coloniale (vedere l’articolo dello Star di Nairobi sulle compenzasioni, minime, riconosciute dagli inglesi ai Mau Mau), e molti altri dei paesi cosiddetti sviluppati come il nostro. Parlare di governanza nelle campagne vuol dire evitare di parlare delle cose che disturbano, del codice forestale (primo firmatario il deputato comunista, sì avete capito bene, comunista, Aldo Rebelo, occsionalmente promosso ministro del governo Roussef)  che favorisce la lobby agrarista nel parlamento brasiliano, non parlare più della riforma agraria o dei diritti calpestati ogni giorno dei popoli indigeni.

Stiamo calmi, andiamo a comprare il giornale per sapere cosa dobbiamo pensare. Buona domenica.  

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