Sto oramai
perdendo la speranza. Da tempo stiamo provando a parlare con settori impresariali
“progressisti”, a parole ben intenzionati e sensibili rispetto ai drammi del
mondo ed in particolare al fenomeno dell’accaparramento delle terre delle comunità
locali, indigene e quanto altro. Cerchiamo di spiegar loro che esistono leggi e
saperi centenari che portano ad usare e soprattutto a gestire le risorse
naturali in un modo diverso dal nostro attuale, piú equilibrato. Inoltre
proviamo a spiegare loro che in certi paesi esistono anche politiche e leggi
che, anche se non troppo rispettate dai loro politici, riconoscono dei diritti
consuetudinari su quei territori. Questo non vuol dire proprietà privata e
nemmeno che nessun altro possa entrare lí. Semplicemente vuol dire che bisogna
bussare alla porta con gentilezza, chiedere permesso, e soprattutto discutere
con loro e col governo quel che si vuol proporre e fare. La gentilezza, la
cortesia, il rispetto degli altri, sono le basi del contratto sociale. Il
passaggio al rispetto dei diritti diventa quasi una ovvietà nel momento in cui
riconosciamo gli Altri come parti di noi stessi.
Ma il discorso
non passa. Obnubilati dal desiderio di fare soldi, di portare la “modernità” tecnologica,
credendo in cuor loro in una assiomatica superiorità del nostro modo di vivere,
le loro risposte, anche quelle bene intenzionate, battono sempre su un punto: da
loro ci sono tante terre vuote che, con i nostri mezzi, potrebbero assicurare
la sicurezza alimentare di cui il mondo ha bisogno.
Provare a
spiegare loro che non è cosí, che non ci sono terre “vuote” ma che si tratta di
sistemi di produzione diversi dai nostri e dove i diritti esistono, proprio non
passa.
Per questa
ragione ho pensato, nella mia deriva depressiva, che forse l’aggeggio che
meglio di altri potrebbe aiutarci tutti a capire che su quelle terre ci sono
persone che ci vivono e ci lavorano, sarebbe quella di offrire loro dei
giubbetti catarifrangenti ad alta visibilità. Cosi magari anche con le foto
satellitari riusciranno a farsi vedere e gli impresari capiranno che la sotto c’è
sempre un cuore che batte.
Bellissima provocazione e idea di fondo non affatto peregrina!
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