La domanda che mi pongo da un po’ di tempo è la seguente: Dove sono sparite le
riforme agrarie appoggiate, orientate, stimolate o supportate dal mercato?
Eravamo un po’ più giovani, quasi una ventina di anni fa,
quando apparse sulla scena agraria il mitico MERCATO. Non il calciomercato,
semplicemente il mercato, quello che, nelle opinioni dei sostenitori, avrebbe
risolto i problemi di concentrazione della terra nelle poche mani di sempre. Il
Mercato con la M maiuscola era LA soluzione ai problemi agrari del mondo
intero. Non state lì a chiedervi da dove fosse venuta questa idea: non credo
abbiate bisogno di suggerimenti così banali. Noi scettici eravamo stati
spazzati via dall’ondata dei giovani arrembanti e dagli specialisti
latinoamericani del voltagabbana, quelli che da giovani facevano i
rivoluzionari della riforma agraria e poi diventati adulti e presi dei posti di
responsabilità nazionali ed internazionali saltarono come un sol uomo sul carro
vincente. Il mercato della terra.
Con qualche riserva, anche il nostro capo suggerì di fare un
giro su quella giostra. Orgaizzammo così alcuni studi in paesi latinoamericani
dove le sirene avevano suonato fin da subito: Messico, Ecuador e Colombia.
Andammo a vedere, discutemmo e pubblicammo i risultati. Delle Università
nazionali e/o delle grosse e reputate ONG nazionali ci accompagnarono in quegli
studi. Le risposte che trovammo furono abbastanza ovvie, direi. Il mercato era
segmentato e funzionava bene fra ricchi, eventualmente funzionava bene dal
sotto in su, cioè estraendo altra terra ai piccoli contadini, ma non funzionava
assolutamente nel senso inverso, cioè come redistributore di terre.
Dato che noi contavamo meno di zero, l’ondata mondiale andò
avanti, e dal semplice mercato delle terre arrivò la versione fashion: le
riforme agrarie via il mercato. La ragione era molto semplice: i movimenti
contadini nelle Filippine e nel Brasile erano riusciti ad imporre il tema della
riforma agraria nelle agende nazionali, e bisognava correre ai ripari, per
evitare che queste pressioni sociali che chiedevano alle istituzioni pubbliche
di impegnarsi su questi temi, potessero andare a buon fine.
La riforma agraria via il mercato è stato un prodotto che si
è cercato di vendere a tutti i costi: dalla Colombia al Brasile, dal Sudafrica
alle Filippine per finire poi nell’imbottigliamento centroamericano. Gli
specialisti, uno in particolare, di quella organizzazione che conosciamo bene,
si dettero da fare per vendere la mercanzia, col solito trucco delle tre carte:
guardate bene dove la metto, sotto qui, o di là.. insomma quando si andava a
cercare i risultati positivi di queste promesse, non si trovava mai nulla. Ci
andammo anche noi a fare il nostro compitino, nel nordest brasiliano, nello
Stato del Cearà, ma i risultati confermarono le stesse ovvietà precedenti.
Si continuò così per anni, fino ad arrivare a nominare
questi programmi come Community Based, cioè come se le comunità contadine
avessero chiesto loro di fare venire il mercato per fare quelle riforme agrarie
che le elites politiche rifiutavano di portare avanti.
Passata la tempesta dei movimenti sociali, che pian piano
cominciarono a scendere a più miti pretese, anche il sogno delle riforme di
mercato cominciò ad appassire. Non c’era più bisogno di spingere tanto su
quell’acceleratore, che tanto non ci credeva nessuno ma soprattutto non c’era
più nessuno che facesse pressione sociale per qualcosa di diverso.
I quattro gatti che eravamo rimasti, impacchettatici ben
bene dopo la Conferenza di Porto Alegre, rimanemmo fra i pochi a ricordare
queste tristi verità: il mercato non ha mai risolto un solo problema per quegli
attori che ne sono sistematicamente esclusi. Le asimmetrie di potere erano
forti prima e sono ancora più forti adesso. Di riforme agrarie non si sente più
parlare, tanto oramai la moda è passata su altri temi, adesso ci si trastulla
con la governanza (magari bisognerebbe chiedere a Daniele Silvestri di farne un’aria
tipo La Paranza…vediamo: la governanza è una danza, che si balla sull’isola di
Ponza, dove senza concorrenza, seppe imporsi a tutta la cittadinanza..).
La memoria storica non interessa nessuno, o quasi. Per colpa
del mio professore francese, io insisto nel ricordare queste cose. Nella vita
c’è chi sta da una parte e chi dall’altra. I fautori del mercato e delle
riforme agrarie via mercato stanno seduti da un’altra parte, la dove non si
trovano gli esclusi, gli indigeni, i pastori e gli altri piccoli attori qusi
senza speranza. Noi stiamo invece seduti da quella parte e continueremo a
ripetere lo stesso messaggio: più organizzazione sociale per fare più
pressione, partire dai diritti collettivi per riconoscere anche quelli
individuali; rafforzare le istituzioni dello Stato come ordinatori del
territorio: non lasciare i beni comuni in mano al mercato e no alla
privatizzazione. Vogliamo più Stato, ma uno Stato diverso come dicevamo a Porto
Alegre, uno Stato aperto al dialogo, alla collaborazione.
Lo diciamo ancora una volta, adesso che stiamo cercando di
far ripartire uno di questi momenti di riflessione internazionale su questi
temi. A futura memoria.
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