Arrivo a Bogotà avendo fra le mani un libro di un amico di
lunga data, che tratta dell’esproprio delle terre ai contadini e popoli
indigeni del paese, nel quadro di quella che si è soliti chiamare la Violenza.
Le interviste con alcuni dei lider delle Autodefensa, in
particolare i fratelli Castano, morti tutti e due nel frattempo, rendono bene
l’idea del medio evo nel qualde si dibatte questo paese, così ricco e così
povero.
Uno Stato centrale debole, che non è mai riuscito ad
affermarsi completamente tanto che, ancora oggi, si dice che il perimetro della
Nazione sia più grande el perimetro dello Stato, a significare quanto poco sia
sotto il controllo del potere centrale. Vassalli e valvassori locali si sono
erti a potere statale, attraverso il controllo della violenza. Paramilitari e
narcos da un lato, varie guerriglie dall’altro, un po’ di militari e di polizia
per completare il quadro, il tutto in un mixer di violenza e ideologia (da
tutti i lati) dove gli unici a rimetterci sono stati da sempre i poveracci del
campo. Sono oltre settant’anni che la storia va avanti, con alti e bassi, ma
con l’unico risultato sicuro che oggi la terra è più concentrata in poche mani
di quanto non fosse agli inizi degli anni 60. Governi deboli e spesso collusi
col malaffare, un’incapacità di controllare i militari e la polizia e,
ovviamente, uno zero assoluto rispetto ai potentati locali che regnano in
signori incontrastati su terre che alla fine nemmeno sanno usare.
Fanno allevamento bovino, cioè l’attività che richiede meno
capacità impresariale e meno capitale. Tanto lo scopo principale era di lavare
denaro sporco per cui, anche pagando care le terre, dato che poi non ci pagano
tasse sopra, a quel punto anche non far nulla va bene lo stesso. Una classe di
latifondisti prima, soppiantati in molti casi dai narcos che hanno approfittato
della violenza della guerra civile per mettere le mani su immense estensioni
territoriali. Non riescono ancora ad entrare negli altri settori produttivi,
per cui si parcheggiano lì, in attesa di, pian piano, essere accettati nei
salotti buoni. Nel frattempo le guerriglie si esauriscono, ridotte oramai a
bande di banditi senza arte ne parte, trafficanti come i narcos che dicono di
combattere. Violenza e paura hanno cacciato via milioni di colombiani dalle
loro campagne e adesso tutte le città sono intasate di bolsoni di povertà
indicibile. I movimenti sociali sono stati laminati, risucchiati in un’ottica
di violenza dove le loro aspirazioni non trovavano posto, ne da una parte ne
dall’altra, sorpassate da esigenze di guerra guerreggiata. Oggi non esiste un
movimento nazionale, una oprganizzazione sociale capace di rappresentare questi
settori, lo Stato si barcamena con promesse di rimetter mano alla questione
agraria ma, arrivati oramai all’ultimo anno del Presidente uscente, i risultati
non si vedono.
Alejandro nel suo libro ricorda che non può esserci via
d’uscita dalla violenza senza la fondazione di nuove identità e diritti
collettivi per ridefinire il quadro dei rapporti sociali con mezzi non
violenti. Senza qusta ricostruzione sociale, di cui non si vede l’ombra a dire
il vero, la violenza guerrigliera potrà anche finire, per trasformarsi in
semplice banditismo, ancor più difficile da controllare. Nel frattempo, questo
sistema agrario che elimina lavoro e non produce nulla a parte un po’ di carne,
rischia solo di aumentare ancor di più le tensioni urbane a cui sono sottoposte
oramai non più solo le classi medie ma anche quelle stesse classi ricche che
fra poco dovranno emigrare se vogliono godersi in pace il frutto delle loro
rapine.
Chiudo ricordando
alcune riflessioni di Alejandro: “El requisito de la paz es que el Estado
recupere su soberanía como responsable del interés general en la administración
del territorio; que proteja la propiedad legitima y recupere para la nación la
ilegitima; que distribuya la tierra a los campesinos; que proteja las reservas
naturales, los territorios indígenas y negros, y que aumente la productividad
agraria y la eficiencia de las comunidades y del Estado local”.
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