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domenica 3 novembre 2013

Colombia, un viaggio nel tempo



Arrivo a Bogotà avendo fra le mani un libro di un amico di lunga data, che tratta dell’esproprio delle terre ai contadini e popoli indigeni del paese, nel quadro di quella che si è soliti chiamare la Violenza.

Le interviste con alcuni dei lider delle Autodefensa, in particolare i fratelli Castano, morti tutti e due nel frattempo, rendono bene l’idea del medio evo nel qualde si dibatte questo paese, così ricco e così povero.

Uno Stato centrale debole, che non è mai riuscito ad affermarsi completamente tanto che, ancora oggi, si dice che il perimetro della Nazione sia più grande el perimetro dello Stato, a significare quanto poco sia sotto il controllo del potere centrale. Vassalli e valvassori locali si sono erti a potere statale, attraverso il controllo della violenza. Paramilitari e narcos da un lato, varie guerriglie dall’altro, un po’ di militari e di polizia per completare il quadro, il tutto in un mixer di violenza e ideologia (da tutti i lati) dove gli unici a rimetterci sono stati da sempre i poveracci del campo. Sono oltre settant’anni che la storia va avanti, con alti e bassi, ma con l’unico risultato sicuro che oggi la terra è più concentrata in poche mani di quanto non fosse agli inizi degli anni 60. Governi deboli e spesso collusi col malaffare, un’incapacità di controllare i militari e la polizia e, ovviamente, uno zero assoluto rispetto ai potentati locali che regnano in signori incontrastati su terre che alla fine nemmeno sanno usare.

Fanno allevamento bovino, cioè l’attività che richiede meno capacità impresariale e meno capitale. Tanto lo scopo principale era di lavare denaro sporco per cui, anche pagando care le terre, dato che poi non ci pagano tasse sopra, a quel punto anche non far nulla va bene lo stesso. Una classe di latifondisti prima, soppiantati in molti casi dai narcos che hanno approfittato della violenza della guerra civile per mettere le mani su immense estensioni territoriali. Non riescono ancora ad entrare negli altri settori produttivi, per cui si parcheggiano lì, in attesa di, pian piano, essere accettati nei salotti buoni. Nel frattempo le guerriglie si esauriscono, ridotte oramai a bande di banditi senza arte ne parte, trafficanti come i narcos che dicono di combattere. Violenza e paura hanno cacciato via milioni di colombiani dalle loro campagne e adesso tutte le città sono intasate di bolsoni di povertà indicibile. I movimenti sociali sono stati laminati, risucchiati in un’ottica di violenza dove le loro aspirazioni non trovavano posto, ne da una parte ne dall’altra, sorpassate da esigenze di guerra guerreggiata. Oggi non esiste un movimento nazionale, una oprganizzazione sociale capace di rappresentare questi settori, lo Stato si barcamena con promesse di rimetter mano alla questione agraria ma, arrivati oramai all’ultimo anno del Presidente uscente, i risultati non si vedono.

Alejandro nel suo libro ricorda che non può esserci via d’uscita dalla violenza senza la fondazione di nuove identità e diritti collettivi per ridefinire il quadro dei rapporti sociali con mezzi non violenti. Senza qusta ricostruzione sociale, di cui non si vede l’ombra a dire il vero, la violenza guerrigliera potrà anche finire, per trasformarsi in semplice banditismo, ancor più difficile da controllare. Nel frattempo, questo sistema agrario che elimina lavoro e non produce nulla a parte un po’ di carne, rischia solo di aumentare ancor di più le tensioni urbane a cui sono sottoposte oramai non più solo le classi medie ma anche quelle stesse classi ricche che fra poco dovranno emigrare se vogliono godersi in pace il frutto delle loro rapine.

Chiudo ricordando alcune riflessioni di Alejandro: “El requisito de la paz es que el Estado recupere su soberanía como responsable del interés general en la administración del territorio; que proteja la propiedad legitima y recupere para la nación la ilegitima; que distribuya la tierra a los campesinos; que proteja las reservas naturales, los territorios indígenas y negros, y que aumente la productividad agraria y la eficiencia de las comunidades y del Estado local”.

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