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martedì 21 ottobre 2014

Myanmar 3: I nipotini di U Thant



Ero piccolo allora, credo quinta elementare, quando sentii per la prima volta parlare delle Nazioni Unite. Mi ricordo ancora adesso il nome, il birmano U Thant, per la semplice ragione che noi ( ma non credo fossimo né i primi né gli unici in Italia)  ci inventammo la battuta sui nomi dei suoi figli (utantuno, utantadue…). 

Adesso però che sono qui nel suo paese, scopro con piacere che si è trattato di un personaggio più interessante di quanto pensassi (e meno sapessi). Non solo perché rinunciò ad essere ricandidato per un ennesimo mandato, ma proprio per la sua storia personale. Come ci racconta wiki, “rimasto orfano di padre a quattordici anni, visse insieme ai tre fratelli un'adolescenza caratterizzata da ristrettezze economiche. 

All'università, dove studiava storia, conobbe il futuro presidente U Nu (ed eccoci ancora qua con i numeri – chiaro che se questo si chiamava Unu, il suo futuro era scritto nei numeri, per cui sarebbe stato Onu) che lo incluse nel proprio entourage politico. Venne eletto dopo che il Segretario generale in carica, Dag Hammarskjöld, era stato ammazzato con un incidente aereo cammuffato. Si trovò in mezzo a una serie di grosse crisi, a cominciare da quella mediorentale con Nasser, per finire poi col Vietnam. Alla sua morte, la giunta militare rifiutò di tributargli l’onore di funerali di Stato. C’è ancora tempo per rifarsi, se il governo attuale lo vuole.

Era un’epoca quando la Birmania era il primo esportatore mondiale di riso. Difficile da crederlo vedendo lo stato della sua agricoltura oggi. Dicono che il paese abbia i suoli più fertili del mondo (sarei curioso di vedere le analisi, dato che anche nella valle centrale del Cile non scherzano con tassi di materia organica del 16%!), il che spiega bene perché gli inglesi ci tenessero tanto a queste terre.

Adesso che i nipotini di U Thant hanno iniziato un inaspettato processo di apertura, tutti si prendono a sognare: tornare a diventare il granaio dell’Asia, innanzitutto, ma più in generale sognano un futuro molto migliore del presente, dove una parte molto importante della popolazione vive sotto la soglia di povertà.

Certo, l’apertura decretata nel 2012 ha avuto un effetto benefico immediato nelle casse dello Stato: il debito pubblico è stato tagliato della metà dai paesi membri del Club di Parigi (per capirci, il risparmio immediato è di 6 miliardi di dollari, nonché una rinegoziazione del restante su 15 anni con 7 anni di bonus). Le previsioni del FMI sono diventate incoraggianti per cui adesso tutti i semafori sono al verde: le possibilità di buoni affari si annunciano numerose, per cui il paese rischia di diventare un Eldorado asiatico nei prossimi anni (anche se qualcuno si preoccupa di mettere in guardia: www.info-birmanie.org. La taglia del paese non permette di sperare faccia da traino per tutta la regione, ma resta comunque sufficiente per mettere di buon umore molti appartenenti alla business community.

Gli scenari futuri positivi per alcuni lo sono potenzialmente meno per altri. Si hanno notizie di accaparramenti di terre con denunce di accelerazioni dal momento dell’apertura, cosa che agita molto il mondo delle organizzazioni non governative. Il governo cerca di correre ai ripari, proponendo una politica ed una legge che finalmente riconosca i diritti consuetudinari delle comunità locali. Se ne discute adesso per cui sarà importante vedere come questo si tradurrà in pratica. Certo, in teoria dovrebbe essere nell’interesse di tutti che le occasioni di business (molte saranno centrate sulle risorse naturali) siano non solo negoziate col governo centrale ma con le autorità locali nonché con gli aventi diritto storicamente insediati, il tutto tenendo conto della necessaria preservazione ambientale. Insomma bisognerà darsi da fare subito per evitare che la land rush non arrivi anche qui come altrove. Vedremo quando inizieremo a lavorare sul terreno.

Altri settori sono in pieno boom, come quello turistico, che ha visto raggiungere e superare la soglia del milione di persone nel 2012, tre volte di più che l’anno precedente. Anche qui si misura con mano la necessità di andare con il ritmo giusto. Il paese non sembra avere ancora delle capacità ricettive ad alto livello, anche se le principali monete internazionali sono oramai accettate in tanti posti (magari più il dollaro…). I trasporti restano quello che sono, cioè precari e insufficenti, internet è ancora un terno al lotto e il traffico sta diventando rapidamente come quello delle altre capitali regionali, cioè caotico ed imprevedibile.

Insomma, un paese interessante, con le sue contraddizioni ma anche, in questo momento storico, un paese dove chi fa un lavoro come il mio, deve esserci.

Ultime sensazioni, ricordi ed immagini prima di andare all’aeroporto: fra le tante aperture, grazie a Dio non c’è ancora né MacDonald né Starbucks. La coca-cola si trova, ma bisogna proprio chiederla, altrimenti qui vanno con altre bevande (confermo che la birra locale è molto buona). Per strada tante donne di tutte le età hanno le guance colorate di bianco, a prima vista sembra come quando ci si mette una botta di Nivea e ne resta un po’ da spalmare…, credo si chiami thanaka, una crema che usano per proteggersi dal sole (in questo periodo siamo quasi in inverno per cui anche se a noi sembra un caldo umido insopportabile, il peggio viene più tardi). Gli uomini sono, per la maggior parte, con il longyi, la gonna che arriva quasi fino alle caviglie. Ultimo ricordo, i denti rossi (prodotto dalla noce di Betel) di un venditore di bibite al mercato.

Scappo perché l’autista dice che col traffico non si sa mai.

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