Ero piccolo allora, credo quinta elementare, quando sentii
per la prima volta parlare delle Nazioni Unite. Mi ricordo ancora adesso il
nome, il birmano U Thant, per la semplice ragione che noi ( ma non credo
fossimo né i primi né gli unici in Italia) ci inventammo la battuta sui nomi dei suoi
figli (utantuno, utantadue…).
Adesso però che sono qui nel suo paese, scopro
con piacere che si è trattato di un personaggio più interessante di quanto
pensassi (e meno sapessi). Non solo perché rinunciò ad essere ricandidato per
un ennesimo mandato, ma proprio per la sua storia personale. Come ci racconta
wiki, “rimasto orfano di padre a quattordici anni, visse insieme ai tre
fratelli un'adolescenza caratterizzata da ristrettezze economiche.
All'università, dove studiava storia, conobbe il futuro presidente U Nu (ed eccoci
ancora qua con i numeri – chiaro che se questo si chiamava Unu, il suo futuro
era scritto nei numeri, per cui sarebbe stato Onu) che lo incluse nel proprio entourage
politico. Venne eletto dopo che il Segretario generale in carica, Dag Hammarskjöld, era stato ammazzato con un
incidente aereo cammuffato. Si trovò in mezzo a una serie di grosse crisi, a cominciare
da quella mediorentale con Nasser, per finire poi col Vietnam. Alla sua morte,
la giunta militare rifiutò di tributargli l’onore di funerali di Stato. C’è ancora
tempo per rifarsi, se il governo attuale lo vuole.
Era un’epoca quando la Birmania era il primo esportatore
mondiale di riso. Difficile da crederlo vedendo lo stato della sua agricoltura
oggi. Dicono che il paese abbia i suoli più fertili del mondo (sarei curioso di
vedere le analisi, dato che anche nella valle centrale del Cile non scherzano
con tassi di materia organica del 16%!), il che spiega bene perché gli inglesi ci
tenessero tanto a queste terre.
Adesso che i nipotini di U Thant hanno iniziato un
inaspettato processo di apertura, tutti si prendono a sognare: tornare a
diventare il granaio dell’Asia, innanzitutto, ma più in generale sognano un
futuro molto migliore del presente, dove una parte molto importante della
popolazione vive sotto la soglia di povertà.
Certo, l’apertura decretata nel 2012 ha avuto un effetto
benefico immediato nelle casse dello Stato: il debito pubblico è stato tagliato
della metà dai paesi membri del Club di Parigi (per capirci, il risparmio
immediato è di 6 miliardi di dollari, nonché una rinegoziazione del restante su
15 anni con 7 anni di bonus). Le previsioni del FMI sono diventate
incoraggianti per cui adesso tutti i semafori sono al verde: le possibilità di
buoni affari si annunciano numerose, per cui il paese rischia di diventare un
Eldorado asiatico nei prossimi anni (anche se qualcuno si preoccupa di mettere
in guardia: www.info-birmanie.org. La taglia
del paese non permette di sperare faccia da traino per tutta la regione, ma
resta comunque sufficiente per mettere di buon umore molti appartenenti alla
business community.
Gli scenari futuri positivi per alcuni lo sono
potenzialmente meno per altri. Si hanno notizie di accaparramenti di terre con
denunce di accelerazioni dal momento dell’apertura, cosa che agita molto il
mondo delle organizzazioni non governative. Il governo cerca di correre ai
ripari, proponendo una politica ed una legge che finalmente riconosca i diritti
consuetudinari delle comunità locali. Se ne discute adesso per cui sarà
importante vedere come questo si tradurrà in pratica. Certo, in teoria dovrebbe
essere nell’interesse di tutti che le occasioni di business (molte saranno
centrate sulle risorse naturali) siano non solo negoziate col governo centrale
ma con le autorità locali nonché con gli aventi diritto storicamente insediati,
il tutto tenendo conto della necessaria preservazione ambientale. Insomma
bisognerà darsi da fare subito per evitare che la land rush non arrivi anche
qui come altrove. Vedremo quando inizieremo a lavorare sul terreno.
Altri settori sono in pieno boom, come quello turistico, che
ha visto raggiungere e superare la soglia del milione di persone nel 2012, tre
volte di più che l’anno precedente. Anche qui si misura con mano la necessità
di andare con il ritmo giusto. Il paese non sembra avere ancora delle capacità
ricettive ad alto livello, anche se le principali monete internazionali sono
oramai accettate in tanti posti (magari più il dollaro…). I trasporti restano
quello che sono, cioè precari e insufficenti, internet è ancora un terno al
lotto e il traffico sta diventando rapidamente come quello delle altre capitali
regionali, cioè caotico ed imprevedibile.
Insomma, un paese interessante, con le sue contraddizioni ma
anche, in questo momento storico, un paese dove chi fa un lavoro come il mio,
deve esserci.
Ultime sensazioni, ricordi ed immagini prima di andare all’aeroporto:
fra le tante aperture, grazie a Dio non c’è ancora né MacDonald né Starbucks.
La coca-cola si trova, ma bisogna proprio chiederla, altrimenti qui vanno con
altre bevande (confermo che la birra locale è molto buona). Per strada tante
donne di tutte le età hanno le guance colorate di bianco, a prima vista sembra
come quando ci si mette una botta di Nivea e ne resta un po’ da spalmare…,
credo si chiami thanaka, una crema che usano per proteggersi dal sole (in
questo periodo siamo quasi in inverno per cui anche se a noi sembra un caldo
umido insopportabile, il peggio viene più tardi). Gli uomini sono, per la
maggior parte, con il longyi, la gonna che arriva quasi fino alle caviglie.
Ultimo ricordo, i denti rossi (prodotto dalla noce di Betel) di un venditore di
bibite al mercato.
Scappo perché l’autista dice che col traffico non si sa mai.
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