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domenica 9 novembre 2014

Trentanni di sforzi ed illusioni



Faccio conto tondo, fra quelli passati prima all’OCSE, i 25 passati in questa organizzazione e il periodo iniziale che nel 1983 mi portò in Nicaragua. Un periodo abbastanza lungo per cercare di far quattro conti, con se stessi e con quello che ho potuto vedere in giro per il mondo.

Eravamo giovani ed illusi allora, quando i Radicali lanciarono l’idea di una Legge per la Fame nel Mondo. Idea interessante, frutto di quel voler far qualcosa per gli altri, per tutti, soprattutto quelli più deboli, che caratterizzò il periodo d’oro dei radicali. Una Legge che voleva mettere soldi, molti soldi a disposizione della Cooperazione allo Sviluppo. Lo “sviluppo” era visto come una questione di soldi da sborsare per progetti che avrebbero portato delle buone pratiche nel sud e contribuire così al miglioramento delle condizioni di vita dei poveri del sud.

Ci sono voluti anni per capire che le cose erano più complicate e che, come era stata concepita, la Cooperazione allo Sviluppo, che sia italiana, francese o americana di fatto non serve assolutamente a nulla anzi, contribuisce a peggiorare le situazioni reali dei paesi del sud.

La Cooperazione all’inizio era una agenzia indipendente, staccata dai desiderata della politica estera, com’era invece in gran parte degli altri paesi. Purtroppo anche quella piccola libertà è poi stata tolta e la Cooperazione è diventata come tutte le altre, un ulteriore braccio delle politiche estere dei paesi del nord, più recentemente copiata anche dai paesi del sud, Cina, Brasile etc.

Quindi non si fa cooperazione per aiutare i paesi del Sud e le loro popolazioni, ma per aiutare le nostre politiche estere nei paesi che sono prioritari per noi del nord. Di fatto si tratta di un meccanismo parallelo alle “missioni di pace” dove mandiamo regolarmente i nostri soldati.

I paesi del sud restituiscono più soldi di quanti ne ricevano annualmente, e questo va avanti da parecchio tempo. Ma la questione va ben al di là dei soldi. Riguarda innanzitutto il grado di libertà che questi paesi hanno (o meglio, non hanno) nello scegliere le “loro” politiche e, ancora più su, le “loro” classi dirigenti. 

Quelle che sono al potere, dall’indipendenza di gran parte di loro, sono state o scelte direttamente o indirettamente (non necessariamente come individui, ma come rappresentanti di interessi di parte) dai paesi del nord e dalle loro istituzioni finanziarie. Per servire esattamente quegli interessi che una vera indipendenza e autonomia sarebbero stati in pericolo.

Agli inizi degli anni 90 c’era stato un sussulto di “democrazia”, per cui i paesi del nord avevano obbligato quelli del sud, in particolare gli africani (quelli stessi che nel decennio precedente erano stati legati mani e piedi attraverso i programmi di aggiustamento strutturale) a passare per un esame di elezioni “libere” in modo che quei governi potessero essere legittimati nelle urne. La febbre è durata poco, ed oggi ce ne siamo già scordati.

Abbiamo continuato a decidere noi l’accesso e l’uso delle loro risorse naturali, per anni e anni, senza mai preoccuparci realmente delle condizion di vita, materiali e politiche, di quei popoli. Si rispettava così la sovranità nazionale e si continuava a credere che con la crescita economica ci sarebbe stato un effetto di gocciolamento anche verso i più poveri per cui tutti ci avrebbero guadagnato.

La cooperazione serviva questi scopi: quella finanziaria serviva a mantenerli legati a noi, attraverso i presti della Banca e del Fondo, a condizioni sempre imposte dal nord in nome dei sacrosanti principi della ortodossia economica. Quella tecnica serviva essenzialmente a mostrare ai nostri concittadini che eravamo dei bravi cristiani e che aiutavamo i fratelli che soffrivano.

Lo abbiamo visto adesso con l’ebola: strutture sanitarie del sud distrutte dai programmi di aggiustamento strutturale, medici ed infermieri della cooperazione internazionale assaltati nei villaggi perché creduti colpevoli di esser loro a propagare il virus (e i commenti erano: ma come è possibile che siano così ignoranti? Facile: i programmi di aggiustamento strutturale hanno distrutto anche i servizi educativi in quei paesi). Poi guardiamo i grandi risultati, il livello macro: non c’è un paese che abbia migliorato le proprie condizioni grazie alla cooperazione del nord. Di fatto si tirano fuori solo quelli che sono abbastanza grossi da poter alzare la voce, il Brasile, la Cina e pochi altri. Ma anche loro restano sotto il controllo economico e finanziario del nord e se vogliono entrare a far parte del gruppo, allora devono accettare le regole imposte da organismi nei quali non hanno ancora voce in capitolo anche se, a volte, ne controllano il posto di comandante, come alla OMC.

Una constatazione amara, ma questo non vuol dire che ci sia tutto da buttar via. Uno sforzo enorme resta da fare per far capire ai cittadini del nord cosa significhi quella cooperazione che stanno finanziando con le loro tasse. E’ come la storia del “gender”: non serve parlarne a consessi di donne, bisogna parlarne anche e soprattutto agli uomini. Stessa storia qui: la cooperazione va spiegata al nord per poterla cambiare e che possa un giorno essere strumento indipendente di aiuto ai popoli che ne hanno bisogno.

Il tema molto di moda adesso è la governanza. Si è deciso che il mondo soffre di cattiva governanza e quelli del sud ancora di più. Perfetto. Peccato che quelle istituzioni che si sono salvate dagli aggiustamenti strutturali siano le stesse che non ricevono fondi dai governi dato che non ne hanno e che preferiscono mettere i pochi soldi che hanno nell’acquisto di armi da guerra (ricordo che l’essenziale dell’industria bellica sta nel nord economico del mondo). Istituzioni deboli, che andrebbero rafforzate. Giusto, ma allora ci sono punti centrali: il primo riguarda il fatto che questo è un problema tanto del nord come del sud. Dalla Norvegia (con i maltrattamenti al popolo Sami) al Botswana (per le stesse ragioni, contro i popoli Bushmen). Ci siamo anche noi in mezzo, italiani brava gente. Abbiamo istituzioni a pezzi, e cosa ci viene detto: di tagliare fondi, di qua e di là. Quindi per rafforzare delle istituzioni seriamente, bisognerebbe innanzitutto risanare la Banca e il Fondo, e poi appoggiare quei pochi paesi indipendenti del sud, come lo era il Burkina Faso di Tomas Sankara, e slegare la cooperazione dagli interessi della politica estera. Rimettere al centro la gente e non gli interessi. 

Lungo cammino, ma è importante tracciare la via per chi verrà dopo di noi.

1 commento:

  1. Dopo aver letto questo post mi torna prepotentemente in mente un libro che ho letto: La carità che uccide. Un libro scritto da un'africana. Vi riporto il link.

    http://www.scrittidafrica.it/index.php?option=com_content&view=article&id=164:una-riflessione-sul-testo-qla-carita-che-uccideq-di-dambisa-moyo-rizzoli-2009-di-habte-weldemariam&catid=52:approfondimenti&Itemid=57

    Credo che parli da solo.

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