Faccio conto tondo, fra quelli passati prima all’OCSE, i 25
passati in questa organizzazione e il periodo iniziale che nel 1983 mi portò in
Nicaragua. Un periodo abbastanza lungo per cercare di far quattro conti, con se
stessi e con quello che ho potuto vedere in giro per il mondo.
Eravamo giovani ed illusi allora, quando i Radicali
lanciarono l’idea di una Legge per la Fame nel Mondo. Idea interessante, frutto
di quel voler far qualcosa per gli altri, per tutti, soprattutto quelli più
deboli, che caratterizzò il periodo d’oro dei radicali. Una Legge che voleva
mettere soldi, molti soldi a disposizione della Cooperazione allo Sviluppo. Lo “sviluppo”
era visto come una questione di soldi da sborsare per progetti che avrebbero
portato delle buone pratiche nel sud e contribuire così al miglioramento delle
condizioni di vita dei poveri del sud.
Ci sono voluti anni per capire che le cose erano più
complicate e che, come era stata concepita, la Cooperazione allo Sviluppo, che
sia italiana, francese o americana di fatto non serve assolutamente a nulla
anzi, contribuisce a peggiorare le situazioni reali dei paesi del sud.
La Cooperazione all’inizio era una agenzia indipendente,
staccata dai desiderata della politica estera, com’era invece in gran parte
degli altri paesi. Purtroppo anche quella piccola libertà è poi stata tolta e
la Cooperazione è diventata come tutte le altre, un ulteriore braccio delle
politiche estere dei paesi del nord, più recentemente copiata anche dai paesi del
sud, Cina, Brasile etc.
Quindi non si fa cooperazione per aiutare i paesi del Sud e
le loro popolazioni, ma per aiutare le nostre politiche estere nei paesi che
sono prioritari per noi del nord. Di fatto si tratta di un meccanismo parallelo
alle “missioni di pace” dove mandiamo regolarmente i nostri soldati.
I paesi del sud restituiscono più soldi di quanti ne
ricevano annualmente, e questo va avanti da parecchio tempo. Ma la questione va
ben al di là dei soldi. Riguarda innanzitutto il grado di libertà che questi
paesi hanno (o meglio, non hanno) nello scegliere le “loro” politiche e, ancora
più su, le “loro” classi dirigenti.
Quelle che sono al potere, dall’indipendenza
di gran parte di loro, sono state o scelte direttamente o indirettamente (non
necessariamente come individui, ma come rappresentanti di interessi di parte)
dai paesi del nord e dalle loro istituzioni finanziarie. Per servire
esattamente quegli interessi che una vera indipendenza e autonomia sarebbero
stati in pericolo.
Agli inizi degli anni 90 c’era stato un sussulto di “democrazia”,
per cui i paesi del nord avevano obbligato quelli del sud, in particolare gli
africani (quelli stessi che nel decennio precedente erano stati legati mani e
piedi attraverso i programmi di aggiustamento strutturale) a passare per un
esame di elezioni “libere” in modo che quei governi potessero essere
legittimati nelle urne. La febbre è durata poco, ed oggi ce ne siamo già
scordati.
Abbiamo continuato a decidere noi l’accesso e l’uso delle
loro risorse naturali, per anni e anni, senza mai preoccuparci realmente delle
condizion di vita, materiali e politiche, di quei popoli. Si rispettava così la
sovranità nazionale e si continuava a credere che con la crescita economica ci
sarebbe stato un effetto di gocciolamento anche verso i più poveri per cui
tutti ci avrebbero guadagnato.
La cooperazione serviva questi scopi: quella finanziaria
serviva a mantenerli legati a noi, attraverso i presti della Banca e del Fondo,
a condizioni sempre imposte dal nord in nome dei sacrosanti principi della
ortodossia economica. Quella tecnica serviva essenzialmente a mostrare ai
nostri concittadini che eravamo dei bravi cristiani e che aiutavamo i fratelli
che soffrivano.
Lo abbiamo visto adesso con l’ebola: strutture sanitarie del
sud distrutte dai programmi di aggiustamento strutturale, medici ed infermieri della
cooperazione internazionale assaltati nei villaggi perché creduti colpevoli di
esser loro a propagare il virus (e i commenti erano: ma come è possibile che
siano così ignoranti? Facile: i programmi di aggiustamento strutturale hanno
distrutto anche i servizi educativi in quei paesi). Poi guardiamo i grandi
risultati, il livello macro: non c’è un paese che abbia migliorato le proprie
condizioni grazie alla cooperazione del nord. Di fatto si tirano fuori solo
quelli che sono abbastanza grossi da poter alzare la voce, il Brasile, la Cina
e pochi altri. Ma anche loro restano sotto il controllo economico e finanziario
del nord e se vogliono entrare a far parte del gruppo, allora devono accettare
le regole imposte da organismi nei quali non hanno ancora voce in capitolo
anche se, a volte, ne controllano il posto di comandante, come alla OMC.
Una constatazione amara, ma questo non vuol dire che ci sia
tutto da buttar via. Uno sforzo enorme resta da fare per far capire ai
cittadini del nord cosa significhi quella cooperazione che stanno finanziando
con le loro tasse. E’ come la storia del “gender”: non serve parlarne a
consessi di donne, bisogna parlarne anche e soprattutto agli uomini. Stessa
storia qui: la cooperazione va spiegata al nord per poterla cambiare e che
possa un giorno essere strumento indipendente di aiuto ai popoli che ne hanno
bisogno.
Il tema molto di moda adesso è la governanza. Si è deciso
che il mondo soffre di cattiva governanza e quelli del sud ancora di più.
Perfetto. Peccato che quelle istituzioni che si sono salvate dagli
aggiustamenti strutturali siano le stesse che non ricevono fondi dai governi
dato che non ne hanno e che preferiscono mettere i pochi soldi che hanno nell’acquisto
di armi da guerra (ricordo che l’essenziale dell’industria bellica sta nel nord
economico del mondo). Istituzioni deboli, che andrebbero rafforzate. Giusto, ma
allora ci sono punti centrali: il primo riguarda il fatto che questo è un
problema tanto del nord come del sud. Dalla Norvegia (con i maltrattamenti al
popolo Sami) al Botswana (per le stesse ragioni, contro i popoli Bushmen). Ci
siamo anche noi in mezzo, italiani brava gente. Abbiamo istituzioni a pezzi, e
cosa ci viene detto: di tagliare fondi, di qua e di là. Quindi per rafforzare
delle istituzioni seriamente, bisognerebbe innanzitutto risanare la Banca e il
Fondo, e poi appoggiare quei pochi paesi indipendenti del sud, come lo era il
Burkina Faso di Tomas Sankara, e slegare la cooperazione dagli interessi della
politica estera. Rimettere al centro la gente e non gli interessi.
Lungo
cammino, ma è importante tracciare la via per chi verrà dopo di noi.
Dopo aver letto questo post mi torna prepotentemente in mente un libro che ho letto: La carità che uccide. Un libro scritto da un'africana. Vi riporto il link.
RispondiEliminahttp://www.scrittidafrica.it/index.php?option=com_content&view=article&id=164:una-riflessione-sul-testo-qla-carita-che-uccideq-di-dambisa-moyo-rizzoli-2009-di-habte-weldemariam&catid=52:approfondimenti&Itemid=57
Credo che parli da solo.