Titolo provocatorio, lo so. Ma quando mi guardo intorno, e questo da qualche decennio, ho come l’impressione che l’ALTRO non piaccia a nessuno. Non solo agli elettori della Lega per capirci.
Sono anni che cerco di ricordare come i paesi scandinavi, quelli sempre portati come esempio di buona governanza, di socialismo democratico, progressisti etc. etc. sono quegli stessi che, da sempre, negano i diritti del popolo Sami, un popolo che occupava il proprio territorio da tempi ancestrali e che, ancora oggi, viene trattato come gli Indios del Sudamerica. Il razzismo dei norvegesi, svedesi, finlandesi senza contare, ovviamente, i russi, nei confronti di questo popolo migrante, con una lingua e una cultura propria, dovrebbe far riflettere due volte prima di ergerci a difensori di una brezza democratica che, semplicemente, non ci appartiene.
Vogliamo poi parlare del colonialismo inglese? Non vado nemmeno tanto lontano, nelle colonie asiatiche o africane, perché poi i miei lettori direbbero: sì ma sono paesi lontani, anche noi italiani ne abbiamo fatte di cotte e di crude in Africa (oibò, è proprio vero). Quindi ricordo solo il caso dell’Irlanda, così da far capire l’odio profondo che gli irlandesi hanno nei confronti degli inglesi. Invito a leggere “Irlanda: una storia di oppressione e di sfruttamento” (http://www.cpafisud.org/images/upload/Irlanda1996.pdf) dove si racconta in dettaglio come “fin dal XV secolo la politica inglese nei confronti della sua prima colonia si fonda sull'annientamento culturale e sullo sfruttamento economico delle risorse”. Come sempre dietro tutto ciò esisteva lo stesso interesse degli scandinavi per le terre e le risorse naturali delle popolazioni locali. Quindi, siccome in Irlanda c’era parecchia gente, la prima cosa che gli inglesi hanno fatto è stato di organizzare “lo spostamento di milioni di persone. Questo spostamento è avvenuto attraverso l'espropriazione delle terre e la creazione di numerosissime leggi che difendevano i privilegi della minoranza protestante (il cattolicesimo è stato fuorilegge per 200 anni)”. A questo va aggiunto quello che un giornale notoriamente di sinistra, l’Avvenire, chiama il “genocidio negato” (https://www.avvenire.it/agora/pagine/fame-a-dublino-il-genocidio-negato): “La Grande Carestia irlandese, la gigantesca catastrofe che colpì l’isola tra il 1845 e il 1852, fu in realtà un atto di genocidio compiuto dagli inglesi per motivi opportunistici.”
Lasciamo stare l’Inghilterra, e guardiamo più vicino a casa nostra: la guerra nell’ex-Jugoslavia e le pulizie etniche che ne sono seguite, in Serbia, Kossovo, Croazia, Bosnia-Herzegovina, solo per dire alcuni dei paesi coinvolti. Negli ultimi due, Croazia e Bosnia, l’idea della purificazione della razza, concetto che, grazie al compianto Cavalli-Sforza, sappiamo essere una pura invenzione culturale senza nessuna base genetica, l’idea delle purificazione dicevo, va avanti, con pericolose accelerazioni in questi ultimi tempi D’altronde la fama degli Ustascia di Ante Pavelic non si è mai persa in quelle terre, e il fascismo violento di quei tempi è pronto a tornare di moda.
Senza tornare a ricordare quello che noi europei abbiamo combinato nei confronti delle popolazioni locali nelle “nostre” colonie, cosa di cui ancora oggi dovremmo vergognarci noi francesi, spagnoli, portoghesi, tedeschi, olandesi, belgi e italiani, trattamenti inumani durati secoli, mica bruscolini come direbbe Totò, guardiamo un po’ altrove. In questi giorni è di moda la Birmania che, in ideale ranking fra i paesi più razzisti, in questi mesi è sicuramente sul podio. Un razzismo ufficialmente con base religiosa, quando in realtà basta scavare un po’ e ritorna fuori l’eterno problema legato alle terre e alle risorse naturali. Invito a leggere l’ottimo articolo di Emanuele Giordana sulla persecuzione dei Rohingya (http://www.iltascabile.com/societa/la-persecuzione-dei-rohingya/). Probabilmente sul posto più alto del podio troveremmo Israele con la nuova legge degna del Sudafrica razzista http://www.altrenotizie.org/esteri/4605-il-razzismo-di-israele.html). Che dietro la politica del premier Netanyahu ci sia un intento di appropriazione dell’acqua e delle terre palestinesi, in modo da farle colonizzare e legalizzare in nome di famiglie ebree, questo è chiaro anche ai sassi.
Se poi guardiamo gli arabi, non è che stiamo meglio: il nostro “alleato” Arabia Saudita (quello che bombarda autobus e scuole, ammazzando decine e decine di bambini nello Yemen) ha messo in atto una politica di espulsione di massa colpendo milioni di lavoratori “illegali”
Vabbè, basta Africa anche perché difficilmente troveremmo un paese che non sia razzista nei confronti di qualche vicino. Prima di cambiare continente voglio però ricordare il caso dei Pigmei, tipico popolo che oggi consideriamo come transfrontaliero dato che il territorio dove vivono da sempre e che copre intere regioni spartite fra vari paesi (Repubblica Centrafricana (CAR), la Repubblica Democratica del Congo (RDC), il Ruanda, l'Uganda e il Camerun) non gli è mai stato riconosciuto. Chi ci racconta di questo massacro sistematico è addirittura Il Sole24 Ore (http://www.ilsole24ore.com/art/SoleOnLine4/Tempo%20libero%20e%20Cultura/2010/03/Pigmei-tragedia-popolo-foresta.shtml)
https://www.elpais.com.uy/informacion/institucion-ddhh-advierte-riesgo-xenofobia-sociedad.html) mi suggeriscono di rivedere i miei sogni.
1. Hong Kong. All'ex colonia britannica in territorio cinese va la maglia nera del paese più "intollerante" del pianeta. Il 71.8 per cento degli intervistati ha dichiarato che rifiuterebbe di vivere vicino a persone di "una razza differente" da quella della propria famiglia.
2. Bangladesh. Subito dopo l'ex colonia britannica in territorio cinese, i più razzisti sono gli abitanti del Bangladesh. Il 71.7 per cento non vuole avere rapporti con gente di "razze" diverse dalla propria.
3. Giordania. Terzo classificato è il piccolo regno di Giordania, dove i razzisti si attestano al 51.4 per cento. Basti pensare che la Giordania è meta di migliaia di palestinesi che raggiungono il Regno per poter studiare e lavorare, ma - nonostante siano apparentemente integrati nella società - non possono frequentare determinati corsi di laurea (come medicina e fisica), non possono diventare insegnanti e non possono acquistare beni immobili (case e terreni).
4. India. Chiude il gruppo dei fab four dell'intolleranza l'elefante indiano, con il 43.5 per cento di tasso di razzismo. In questo caso, il fattore culturale è determinante e la struttura castale della società, con sanzioni molto dure per chi entra in contatto con individui "impuri", determina una ferrea gerarchia razzista che affonda le sue radici nella notte dei tempi e che per questo motivo è molto difficile da scardinare.5. Egitto. Il paese delle Piramidi è tra i più razzisti del continente africano, assieme alla Nigeria. Il tasso di intervistati che si rifiuta di stare vicino a razze diverse si aggira tra il 30 e il 39.9 per cento. Nonostante l'ampio numero di immigrati dai paesi del sud-est asiatico che in Egitto (come in Nigeria) offrono le proprie capacità professionali per diversi generi di attività, il razzismo dei pronipoti dei faraoni sembra non essersi minimamente attenuato. I razzisti d'Egitto sono in compagnia della medesima percentuale in Arabia Saudita, Iran, Vietnam, Indonesia e Corea del Sud.
6. Algeria e Marocco. Un gradino sotto l'Egitto troviamo altri due Paesi dell'Africa del Nord, in cui il tasso di razzismo si attesta tra il 20 e il 29.9 per cento. La storia di Algeria e Marocco indubbiamente segna le risposte degli intervistati. Il Marocco, in quanto Regno, tende a essere strutturalmente chiuso alle etnie provenienti da altri Paesi e l'Algeria, straziata da lunghi anni di guerra, oggi rappresenta un caleidoscopio identitario, nel quale ogni comunità tende a non mescolarsi pur di preservare la propria esistenza.
7. Francia. A sorpresa Parigi si attesta tra i Paesi europei dove il razzismo si fa maggiormente sentire. Secondo i dati di World Value Survey, il 22.7 per cento dei francesi si augura di non avere un vicino di casa di "razza diversa". La Francia rientra così nel gruppo di quei Paesi con tasso di razzismo tra il 20 e il 29.9 per cento, in compagnia di Turchia, Bulgaria, Mali, Zambia, Thailandia, Filippine e Malesia.
8. Italia. Nel nostro Paese il tasso di razzisti oscilla tra il 10 e il 14.4 per cento. Una percentuale minima, che colloca l'Italia sul fondo della classifica mondiale sul razzismo come Paese sostanzialmente tollerante. In compagnia di Roma troviamo la Finlandia e poi Polonia, Ucraina, Grecia, Repubblica Ceca e Slovacchia. Poco più razzisti del gruppo dell'Italia solo Il Venezuela, la Russia e la Cina, con un tasso di intolleranza tra il 15 e il 19.9 per cento.9. Germania e Giappone. Sono i capifila del gruppo dei penultimi in classifica, in compagnia di Cile, Perù, Messico, Spagna, Belgio, Bielorussia, Croazia, Pakistan e Sudafrica. A Tokyo e Berlino il tasso di risposte razziste si attesta tra il 5 e il 9.9 per cento, nonostante tutte le ricerche condotte precedentemente avessero evidenziato soprattutto in Giappone la tendenza a un razzismo di base, non solo verso l'esterno (Cina e Coree), ma anche verso l'interno, nei confronti dei giapponesi con la pelle più o meno scura.
10. Stati Uniti e Gran Bretagna. Sono i paesi meno razzisti del mondo, assieme a Canada, Brasile, Argentina, Colombia, Guatemala, Svezia, Norvegia, Lettonia, Australia e Nuova Zelanda. Il loro tasso di intolleranza è tra lo 0 e il 4.9 per cento. Cifre definite "fisiologiche" dai ricercatori olandesi, che evidenziano come i Paesi del "nuovo Continente" (le Americhe), eccezion fatta per il Venezuela, tendono a essere largamente tolleranti nei confronti delle etnie diverse e si aggiudicano la palma di luoghi meno razzisti del mondo.
Insomma, sembra proprio che la paura dell’altro, che genera xenofobia e razzismo lo si trovi dappertutto. Questo non vuol dire che, se così fan tutti, allora dobbiamo scoraggiarci e lasciar perdere. Al contrario, se si vuol progredire o “curarsi” da un male, bisogna innanzitutto conoscerlo, studiarlo. Come ho fatto notare nei casi che ho citato all’inizio, spesso e volentieri dietro la maschera razzista, prima ancora della “paura” dell’altro, c’è una volontà politica di accaparrarsi i beni degli altri, spesso (ma forse lo vedo per deformazione professionale) concentrati nel tema terre e risorse naturali. Sono lì, nel potere e nella bramosia di ancor più potere le fonti primigenie di quei problemi.
Abbiamo quindi problematiche diverse e livelli diversi, da capire ma anche da affrontare. Resta il fatto che il cammino verso gli altri è un cammino lungo e difficile, che inizia dentro noi stessi e che va portato avanti tutta la vita e poi continuato nelle generazioni successive. La questione di fondo è di arrivare a riconoscere le diversità, accettarle e costruire su queste. L’essere umano non sarebbe progredito se avesse eliminato gli altri. Tutti gli studi genetici ci confermano che l’homo sapiens che siamo è frutto di meticciati e non di purezza.
L’educazione quindi è il primo antidoto, a cui va aggiunta la lettura, sana e continua, critica e diversa, per continuare a stare al passo con l’evoluzione del mondo. Siamo noi stessi che dobbiamo imparare a “stare” con l’altro, ad accettare idee, culture, musiche e cucine diverse. Certo, siccome tutto è un divenire, per fortuna certe idee si modificano, molto lentamente, e quindi una cultura dell’uguaglianza inizia, con molti stenti, a farsi avanti. Una uguaglianza di diritti e di doveri, che tocca tutti gli esseri umani. Imparare a parlarsi, a dialogare è quindi necessario, almeno finché pretendiamo di vivere su questa unica terra che condividiamo.
Ricordiamoci poi che esiste un problema di potere, anzi di asimmetrie di potere che fanno sì che chi sta in alto usa tutti gli strumenti a disposizione, fra cui la religione, la xenofobia e il razzismo, per fregare chi sta sotto e depredarlo. Anche lottando contro questi poteri si lotta contro il razzismo, ma va anche tenuto ben chiaro in mente che non esisterà mai un essere umano che, lasciato solo con un potere in mano, difenderà naturalmente chi ne ha meno. Bisogna sempre che esistano meccanismi che impediscano questo accentramento di potere: e ritorno quindi alla scuola, e all’educazione civica che anche noi nel nostro quotidiano dobbiamo fare e farci a noi stessi.
La xenofobia e il razzismo non li elimineremo mai completamente, ma nemmeno dobbiamo arrenderci ad accettarli come ineluttabili. Proprio perché sono oramai diffusi dappertutto, è da noi, dal nostro piccolo che dobbiamo iniziare a cambiare. Possiamo anche buttar fuori Salvini, ma non sarà quello che cambierà come io vedo e mi relaziono col mio vicino. Dalle piccole cose possono crescere grandi cambiamenti, purché iniziamo questo cammino.