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venerdì 24 luglio 2020

EoF Villaggio: Agricoltura e Giustizia - Riassunto webinar 3 Towards Digital Neo-Colonialism


 

Colonialismo: l'occupazione e lo sfruttamento territoriale realizzati con la forza dalle potenze europee ai danni di popoli ritenuti arretrati o selvaggi (Enciclopedia Treccani).

 

Per capire da dove venga il terzo stadio dell’attacco (il neo-colonialismo digitale) possiamo iniziare dal 1992, al momento della realizzazione del Summit della Terra a Rio de Janeiro. Eravamo ancora in quella che chiamo l’era dei sogni, convinti come eravamo che, finita la guerra fredda, fosse iniziata la costruzione di un mondo diverso, più pacifico e tollerante. La vittoria che si preparava per i democratici guidati da Bill Clinton era un segnale di cambiamento di rotta, mentre per noi europei, la firma del trattato di Maastricht ci faceva diventare “europei” a tutti gli effetti (o almeno così credevamo) e, più a Sud, un accordo di pace metteva fine alla lunga guerra civile in Mozambico.

 

Dimenticavamo, o non volevamo vedere, che tutto questo era solo apparenza. Eppure l’invasione dell’Iraq datava solo dell’anno precedente, così come la dissoluzione della Jugoslavia (1990) e l’inizio delle varie guerre locali (Slovenia, 1991; Croazia, 1991-1995; Bosnia-Herzegovina 1992-1995), la guerra tra Armenia e Azerbaigian (1992) e la guerra civile che continuava in Algeria. E così, mentre in Italia le stragi di Capaci e di Via d’Amelio eliminano i giudici Falcone e Borsellino, fieri antagonisti del potere mafioso; l’anno si chiude con una nuova operazione militare americana in Somalia.

 

Tutto questo per dire che, come spesso accade, vedevamo quello che volevamo vedere (o, forse, quello che i media dominanti avevano imposto come la narrativa ufficiale).

 

Il Summit della Terra vide la firma della Convenzione sulla Biodiversità (erano ancora anni in cui si parlava di biodiversità e non di servizi ecosistemici come vi spiegavo nel webinar precedente), con 3 obbiettivi dichiarati:

-       La conservazione della diversità biologica

-       L’uso sostenibile dei suoi componenti e

-       La giusta ed equa divisione dei benefici dell'utilizzo di queste risorse genetiche, compreso attraverso un giusto accesso alle risorse genetiche ed attraverso un appropriato trasferimento delle tecnologie necessarie.

La CBD darà una spinta importante a un processo che, nato internamente alla FAO grazie alla mente e allo sforzo di “Pepe” Esquinas, sarebbe diventato, nel 2001, il Trattato Internazionale sulle Risorse Fitogenetiche per l’Alimentazione e l’Agricultura. 

Ci sarebbero voluti anni per farlo ratificare dai vari governi, ma intanto alcuni principi innovativi fecero il loro ingresso dalla porta principale, affermando in particolare che il contributo passato, presente e futuro degli agricoltori di tutte le regioni del mondo, in particolare di quelli dei centri di origine e di diversità, alla conservazione, al miglioramento e alla messa a disposizione di queste risorse, è alla base dei diritti degli agricoltori.

Sarà anche grazia a questa scia di “diritti” che nel 2004, dopo lunghe e difficoltose negoziazioni, vennero approvate le Linee Guida per il Diritto all’Alimentazione. Si trattava di una proposta, originatasi nel seno delle organizzazioni della società civile, portate alla FAO ove furono negoziate in uno spirito collaborativo che venne salutato da tutti come un metodo molto innovativo. 

Due anni dopo, grazie alla spinta di due soli paesi, Filippine e Brasile, e con il pieno appoggio del Direttore Generale della FAO, venne approvata e poi realizzata la Conferenza Internazionale sulla Riforma Agraria a Porto Alegre, nel marzo del 2006. Continuava così questo periodo positivo quando sembrava fosse possibile incidere realmente nelle agende internazionali legate alle risorse naturali.

Ultimo, ma non meno importante, fu il protocollo di Nagoya del 2010 che doveva specificare meglio il meccanismo dell’Access and Benefit Sharing, entrato in vigore nel 2014: il vero punto chiave di tutti gli sforzi precedenti, perché si andava a discutere di come suddividere, concretamente, i benefici realizzati sulle risorse naturali di cui le comunità contadine, indigene, pastorili e della pesca erano i primi mantenitori e miglioratori, sopra i quali i governi rivendicavano il loro diritto esclusivo di negoziare nei trattati internazionali e, dall’altra parte, quel settore privato che voleva accedere a quelle risorse, usarle e patentarle per i propri benefici.

Insomma, tutto sembrava andare in una direzione più democratica, eppure ho deciso di chiamare il decennio iniziato nel 2010 come l’era delle disillusioni, e non solo per la crisi finanziaria iniziata nel 2007 negli Stati Uniti.

Il segnale più evidente fu la conferenza di Rio+20, per “celebrare” i 20 anni del Summit sulla Terra. Se il primo era stato un summit di capi di stato e di governo, con alcune rappresentazioni della società civile e del settore privato, quello del 2012 fu esattamente il contrario: più di 2700 rappresentanti del settore privato invasero Rio per guidare, da dentro e da fuori, il Summit che mostrò, in tutta la sua evidenza, “the corporate capture of the UN by the private sector”.

Nelle dichiarazioni conclusive, Banche, Politici e Multinazionali si esprimevano con lo stesso linguaggio riguardo all’ambiente. Come avevo spiegato nel webinar precedente, fin dal 2005 era stata lanciata la nuova “religione” dei servizi ecosistemici, cioè la messa sul mercato dell’ambiente. Il passo successivo era stato quello di certificarlo ai più alti livelli: a questo servì la Rio+20! Il meccanismo fu quello del World Business Council for Sustainable Development (WBCSD), le cui basi furono poste fin dal Summit sulla Terra, e che oramai raggruppa 200 fra le principali multinazionali mondiali. Considerato come uno dei forum più influenti a livello mondiale (il che non dovrebbe sorprendere nessuno), è considerato come uno dei principali responsabili delle resistenze del settore privato a qualsiasi politica diretta ad occuparsi del Climate Change.

 

Il problema centrale di cui doveva occuparsi la Rio+20 era quello del meccanismo di Access and Benefit Sharing, in modo da avere regole chiare da far applicare a livello mondiale. 

 

Lo schema è riassunto in questa slide:

 1. Prior Inform Consent is requested and obtained, resulting in a

2. Permit that is issued and, immediately after,

3. Published in the ABS Clearing House

4. The Clearing House generates an internationally recognized certificate of compliance (IRCC), which includes a unique identifier for tracking. 

5. Now, genetic resources can be used

6….

7. Finally, the checkpoint communicates information to the national authorities.

 

Il principio quindi è chiaro e semplice in teoria: per accedere alle risorse genetiche bisogna chiedere ed ottenere un permesso.  Il punto è che le risorse genetiche, in pratica si traducono con delle sequenze genetiche, cioè di informazioni che possono essere digitalizzate. Ecco quindi dove si è concentrate la lobby del settore private: considerare la Digital Sequence Information (DSI) come una cosa diversa dal materiale genetico, che ricade sotto la CBD. Secondo loro, la CBD si riferisce chiaramente e solamente al “materiale genetico” e non alle informazioni astratte.  Espandere la CBD per includere anche questa specifica, necessiterebbe la riapertura di negoziazioni globali sull’intera Convenzione. 

 

Gli effetti pratici diventano quindi evidenti: se io prendo la sequenza di informazione di un certo materiale, e la riutilizzo per ricombinarla e farne altri prodotti derivati, non ricado sotto la CBD e quindi non devo applicare l’ABS. 

 

Al contrario, tanto le comunità contadine come i paesi depositari di questo materiale genetico volevano che la DSI fosse inclusa nella CBD, ma su questo si sta ancora discutendo. Le speranze sono però limitate.

 

Per essere più specifici, ricordiamo che il DSI può essere ottenuto in 3 modi diversi:

1.     Il primo è quello attraverso il meccanismo indicato precedentemente, che traduce l’ABS in pratica;

2.     Il secondo è quello (in corso) della biopirateria (cioè andare nelle zone ad alta biodiversità, scannerizzare il materiale direttamente sul posto – quindi senza portarlo via, e poi farne un upload su base dati delle case madri per ricombinarlo. Il tutto senza chiedere niente a nessuno e senza pagare nulla.

3.     Il terzo è quello di usare le banche del gene.

 

Il settore privato chiaramente non è interessato alla prima strada (chiedere permessi e dover condividere I benefici). Il secondo ufficialmente è fuorilegge, anche se rappresenta un problema crescente … quindi resta la terza via …

 

La strategia globale, che stiamo cominciando a capire, parte da quella che è stata chiamata la Food Action Alliance. In pratica la nuova narrativa, dopo averci convinti che la gestione delle risorse naturali andava fatta attraverso il mercato (ricordate il webinar precedente?), ha fatto un secondo passo per chiarire quanto sia fondamentale il ruolo del settore privato (non le piccole aziende, ma le grandi Corporations) (a questo è servito Rio+20) e il terzo era di promuovere la alleanza mondiale fra questo settore privato e le Nazioni Unite (le cui agende politiche erano già state largamente influenzate da parecchi anni in favore di queste Corporations – ultima, ma non meno importante, le conosciute Direttive Volontarie per la Buona Governanza della Terra nel 2012).

 

Questo nuovo passo avanti è stato promosso dal Forum di Davos che si è assunto l’onere (e l’onore) di  promuovere questa FAA, a cui sono state associate alcune Big NGOs (le BINGOs), il tutto con una agenda di lobbying in 3 punti:

-       Promuovere un Summit Mondiale sui Sistemi Alimentari (World Food Systems Summit) (e per farlo hanno atteso il momento del passaggio tra l’ex-Direttore generale della FAO, il brasiliano Graziano e il nuovo, cinese: in questo interregno hanno potuto manovrare perché il WFFS fosse realizzato a New York e non a Roma, presso la FAO, come sarebbe stato logico, in questo modo riducendo anche la possibile influenza cinese); lo scopo di questo WFFS, originalmente previsto per l’anno prossimo, è di registrare un cambio maggiore nel sistema multilaterale delle Nazioni Unite, privilegiando il rapporto con il settore privato (quello del WBCSD di fatto) a scapito dei governi legittimi.

-       Il secondo asse di lavoro riguarda la riforma del sistema dei Centri di Ricerca Agricola (CGIAR) in modo da prenderne il controllo (con sovvenzioni ingenti e mirate). La questione chiave qui è che il CGIAR controlla le banche del gene di cui parlavo prima a proposito del DSI… capito il trucco?

-       Ultimo, ma già in atto da tempo, prendere il controllo dei Big Data attraverso la creazione di un Consiglio Internazionale per il Digitale (per gestire l’enorme massa di dati relativi al DNA digitale e al DSI).

In sintesi:

Il Summit costituisce il quadro di riferimento,

CGIAR il sistema di delivery e i

BIG DATA il prodotto finale.

 

Un’applicazione concreta riguarda la famosa lotta alla malaria, portata avanti dalla Fondazione di Bill e Melina Gates che vorrebbe a tutti i costi trovare una soluzione farmaceutica al problema. Peccato che ne esista probabilmente una, naturale, e che questa costituisca il granellino di sabbia che Big Pharma (con le sue ramificazioni fin dentro alle Nazioni Unite) vuole eliminare per non bloccare i suoi disegni.

 

       Da 2000 anni si coltiva in Cina una pianta, la Artemisia annua, che si è dimostrata avere effetti estremamente positivi nella lotta alla malaria. Ampiamente utilizzata dai Vietcong durante la guerra del Vietnam, ha iniziato ad essere coltivata in Africa, assieme alla sua varietà̀ locale Artemisia afra, pianta endemica, autoctona e conosciuta dalle popolazioni indigene. Tutto questo non è piaciuto ai giganti farmaceutici che da decenni hanno deciso che la lotta alla malaria vada fatta attraverso prodotti di sintesi dei loro laboratori. 

 

       Bill Gates con il suo proposito di trovare un vaccino nel giro di una generazione. I prodotti di sintesi sono stati cercati nell’Artemisia annua, isolandone un componente, poi brevettato. Una serie di trattamenti specifici, detti ACT, 

 

       le prove fatte usando la pianta dell’Artemisia, sia la annua che la afra, per farne delle infusioni, stanno dando dei risultati molto più̀ positivi, senza effetti secondari e soprattutto può̀ essere prodotta direttamente da tutti i contadini perché́ gli basterebbe tenere qualche pianta vicino casa per farne dei trattamenti preventivi in infusione. 

       A livello internazionale, le pressioni fatte sulla OMS hanno portato quest’ultima a dichiarare che l’Artemisia non è raccomandabile per la lotta alla malaria, così confermando chi co-manda davvero in questa agenzia 

=

 

Considerazioni finali:

 

Vandana Shiva ci ricorda che la società̀ israeliana Evogene ha brevettato un programma informatico per la lettura del genoma delle piante, firmando un accordo con Monsanto concedendogli i diritti esclusivi su tutta una serie di geni da loro identificati. Un lavoro simile sulla mappatura digitale del patrimonio genetico delle sementi tradizionali lo sta facendo un’altra società̀, DivSeek e sicuramente non sono le sole aziende in questo promettente mercato. Una strada parallela, ma che mira allo stesso obiettivo, è stata intrapresa da Syngenta per vendere l’accesso ai dati genetici sequenziati delle sementi tradizionali provenienti dalle banche dei geni internazionali (il cui controllo è uno degli obiettivi della nuova colonizzazione). Passando attraverso il DNA digitale si salta quindi tutto quanto riguarda diritti e condivisione dei benefici che resteranno così solo nelle mani dell’industria farmaceutica. Ecco perché́ il controllo del DNA digitale diventa la chiave del futuro, sia per chi vuol combattere la bio-pirateria, sia per chi voglia sfruttare ancor di più̀ le potenzialità̀ offerte dalle ricombinazioni e modificazioni (farmaci ma anche OGM) 

 

Adesso il Covid, e poi?

 

       i focolai del virus, la cui origine è stata localizzata in varie specie di pipistrelli, sono più̀ frequenti nelle zone dell’Africa centrale e occidentale che hanno recentemente subito processi di deforestazione. La FAO da parte sua aveva già̀ segnalato questo legame nel 2006, con un articolo apparso nella rivista Unasylva 

       Il rischio di insorgenza di malattie non aumenta solo per la perdita degli habitat, ma anche per il modo in cui questi vengono rimpiazzati. Con lo scopo di soddisfare una domanda crescente di carne è stata disboscata una superficie equivalente a quella del continente africano per allevare animali da destinare al macello. Alcuni di questi vengono poi commercializzati illegalmente o venduti sui mercati degli animali vivi. Lì, delle specie che probabilmente in natura non si sarebbero mai incrociate vengono tenute in gabbia fianco a fianco e i microbi possono tranquillamente spostarsi da una all’altra. Questo tipo di sviluppo, che ha già̀ prodotto il Coronavirus della Sars nei primi anni 2000, potrebbe essere all’origine del Covid-19 attuale.

 

 

-        

          

 

 

 

 

 

 

 

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