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mercoledì 10 febbraio 2021

Draghi: un po' di memoria storica

 

 

Montepaschi-Antonveneta, spunta il documento che incastra Mario Draghi

 

Chissà che avrà pensato, dopo essersi sgolato per prevenire, inutilmente, l'apocalisse. Chissà che carriera avrà fatto (o forse non avrà fatto) il dottor "A. Minnella", zelante direttore della Filiale 221 della Banca d' Italia a Padova. Il quale, nel marzo del 2007, avvertì con una minuziosissima ispezione/perizia i suoi capi a Roma che Banca Antoveneta era un'istituto appestato, in preda a un coma irreversibile, che non valeva nulla. E quante volte si sarà chiesto, il solerte e onestissimo funzionario, per quale motivo fosse sparito, ingoiato in qualche scrivania di palazzo Koch quel suo prezioso e riservatissimo documento che avrebbe potuto evitare il «peccato originale»? Ovvero l'acquisto di Antoveneta ad opera del Monte dei Paschi di Siena per 9 miliardi - che poi si sarebbero rivelati 17: l'operazione che fu l' inizio della devastazione del Monte e dell' intero sistema bancario italiano? Oggi l' avvocato cassazionista Paolo Emilio Falaschi, legale di un centinaio di piccoli e medi azionisti fregati dal Monte, tira fuori dalla sacche della burocrazia quel documento, che, in duro gergo bancario, parla ripetutamente dei vizi di una banca inavvicinabile: «persistenza di rilevanti criticità nei profili tecnici e l' involuzione del posizionamento competitivo», «accentuata problematicità che richiede immediate iniziative dei responsabili aziendali», «squilibrio economico», «sostenibilità a rischio». Avverte, il Minnella, che «la natura e la portata degli interventi necessitano di attento monitoraggio». E tutti noi ci chiediamo perchè diavolo di quello stesso documento (n. 254248 del 9/3/2007, «oggetto: situazione azinedale»), nonostante fosse arrivato, protocollato, a Palazzo Koch, non si sia tenuto conto. Anzi. Un anno dopo, con autorizzazione del 17/3/2008, lo stesso allora governatore di Bankitalia, Mario Draghi, benedì la nefasta operazione Monte-Antonveneta. Tra l' altro, il documento padovano era talmente completo che riconosceva- neppure tanto indirettamente- il disastro di Antonveneta nonostante i «parametri economici» della banca veneta fossero buoni, perchè sostenuti proprio da un prestito-monstre di quasi 9 miliardi alla stessa Antonveneta da parte degli olandesi di Abn Amro. Prestito che la banca olandese volle, ovviamente, ripagato, con le conseguenze che conosciamo. E dunque, Bankitalia grazie all' ispezione di cui sopra era al corrente - anche se l'avrebbe in seguito negato- pure del debito gravosissimo con Abn Amro. Insomma, lo scritto del mitico dottor Minnella è la prova documentale che i vertici di Palazzo Koch sapevano dall' inizio dell' enorme rischio per la banca senese e per il sistema. Lo sapevano il governatore Draghi, il direttore generale Saccomanni e la responsabile della Vigilanza Anna Maria Tarantola; divenuti col tempo, rispettivamente, presidente della Bce, ministro dell'Economia e presidente della Rai. Poi certo, confermò il tutto un rapporto del Nucleo Speciale di polizia valutaria della Guardia di Finanza; e ci fu un'operazione di fusione colossale avviata senza la necessaria due diligence; e scattarono i processi in falso in bilancio e ostacolo alla vigilanza. Ma tutto fu taciuto anche perché sin dai tempi mussoliniani della banca centrale italiana, i nostri istituti di credito non potevano e non dovevano fallire. Ora il tema torna di stretta attualità, dato che la Commissione di Vigilanza sulle banche, nello scontro feroce ed inedito fra Consob e Palazzo Koch, indirettamente cita Draghi e gli anni di una vigilanza -diciamo- non troppo attenta e dai poteri di controllo inesercitati: tutta roba che tanti lutti addusse agli italici consumatori. Tra l'altro la stessa Commissione presieduta da Casini - martedì prossimo la nuova seduta - discuterà l'ipotesi di convocare gli ex vertici di Mps Alessandro Profumo e Giuseppe Mussari. Profumo, attuale amministratore delegato di Leonardo, assieme all' ex presidente Mps Fabrizio Viola, è già indagato dalla procura di Milano per ostacolo alla vigilanza. E per i i famigerati 5 miliardi derivati all' origine del dissesto del gruppo nei bilanci della banca tra il 2012 e il 2014 e nella semestrale al 30 giugno 2015 (senza i quali non ci sarebbe stato l'aumento di capitale di 8 miliardi) il gip Cristofano per i suddetti due amministratori ha disposto l'imputazione coattiva per false comunicazioni sociali e manipolazione del mercato (aggiottaggio), accogliendo l’opposizione all'archiviazione dell'avvocato Falaschi. Dice Falaschi: «Per la Procura le cause del dissesto di Mps non erano "esogene", ma "endogene" a Mps, cioè relative a mala gestione. E la mala gestione è individuata sia nell' acquisto di Antonveneta a prezzo spropositato che e alla pessima gestione dei crediti deteriorati che ora stanno svendendo per quattro palanche. Vedi il caso Sorgenia De Benedetti...». Ma qui si apre un altro capitolo. 

Matteo Legnani 19 novembre 2017 – Liberoquotidiano.it

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Mario Draghi ha distrutto Mps, e scatenato la Crisi. Una lettera lo incastra

La lettera porta la data del 17 marzo 2008, e ha la firma dell’allora governatore della Banca di Italia, Mario Draghi. Oggetto: “banca Monte dei Paschi di Siena- Acquisizione della partecipazione di controllo nella Banca Popolare Antoniana Veneta”. E’ l’origine di tutti i guai dell’istituto senese che ancora una volta è appeso per salvare se stesso, e le migliaia e migliaia di depositanti e risparmiatori. L’esistenza di quella lettera era nota, e la sua versione integrale (3 pagine) è stata acquisita anche in due processi che riguardavano l’istituto senese, a Siena e Roma, e in entrambi i casi, i pubblici ministeri hanno escluso ogni responsabilità penale della banca centrale italiana, e dello stesso attuale presidente della Bce, Draghi. Un avvocato che agisce come socio di Mps, Paolo Emilio Falaschi, ha però impugnato quella decisione e ancora sta provando ad ottenere da un tribunale un provvedimento che certifichi l’invalidità di quella autorizzazione di Draghi, e il conseguente annullamento dell’acquisto di Antonveneta che è all’origine anche degli attuali guai.

Mai ci riuscisse, e Mps si vedesse restituire i 17 miliardi di euro che complessivamente era costata quella operazione, certo tutti i problemi senesi verrebbero risolti come d’incanto e l’intervento dello Stato non sarebbe più necessario. La strada è sicuramente in salita, però non così strampalata perché quella lettera di Draghi si unisce a un documento della vigilanza della banca centrale successivo a una ispezione ad Antonveneta di poco precedente (il 9 marzo 2007), in cui venivano espressi dubbi sulla solidità patrimoniale della banca che avrebbe da lì a poco comprato Mps e si segnalava fra i motivi un prestito di 7,9 miliardi di euro in essere con gli olandesi di Abn Amro. E’ proprio quella la cifra alla base delle azioni giudiziarie intentate, perché avrebbe portato il costo complessivo dell’acquisto di Antonveneta per Mps a 17 miliardi di euro. Invece l’allora governatore della Banca di Italia scrisse- pur conoscendo quei 7,9 miliardi di debito con gli olandesi- “l’acquisizione del complesso aziendale riferito ad Antonveneta comporterà un costo di 9 miliardi di euro, l’esborso effettivo sarà maggiorato del controvalore della vendita di Interbanca, che comporterà un aumento della liquidità di Antonveneta di pari importo”. Ma anche il passaggio successivo di Draghi desta qualche sorpresa rispetto alla tradizionale prudenza della Banca di Italia. Perché spiega come Mps avrebbe trovato quei 9 miliardi necessari all’operazione: “un aumento di capitale per 6 miliardi (di cui 1 miliardo con esclusione del diritto di opzione), l’emissione di strumenti ibridi e subordinati per complessivi 2 miliardi e il ricorso a un finanziamento ponte per 1,95 miliardi da rimborsare anche mediante cessione di assets non strategici”.

Non solo Draghi descrive quel tipo di reperimento dei fondi, ma ne sposa la ratio, subordinando espressamente l’acquisto di Antonveneta “alla preventiva realizzazione delle misure di rafforzamento patrimoniale programmate, con specifico riguardo agli interventi di aumento di capitale e di emissione di strumenti ibridi e subordinati, in osservanza delle vigenti disposizioni normative in materia di patrimonio di vigilanza”. Attenzione, siamo nel 2008. Quindi proprio nel momento dell’esplosione della crisi finanziaria in tutto il mondo legata proprio all’emissione di quegli “strumenti ibridi e subordinati” che vengono raccomandati da chi aveva istituzionalmente la tutela della “sana e prudente gestione” delle banche italiane. Ed è proprio quel passaggio che fa insorgere Elio Lannutti, presidente dell’Adusbef che si chiede ora “ Perché Bankitalia e Draghi favorirono quella rischiosa operazione, nonostante conoscessero dalle ispezioni, che MPS non avesse i conti in ordine dopo l’acquisto di Banca 121 (ex Banca del Salento) ad un prezzo proibitivo, lo scandalo di May Way e For You?” Secondo Lannutti “Draghi non era uno sprovveduto: oltre che Governatore di Bankitalia, era presidente del Financial Stability Forum, un organismo internazionale nato nel 1999 su iniziativa dei Ministri finanziari e dei Governatori delle Banche centrali del G7, per promuovere la stabilità finanziaria internazionale e ridurre i rischi del sistema finanziario”. Il numero uno di Adusbef si fa una domanda maliziosa: “Draghi autorizzò quella rischiosissima operazione con Antonveneta per non pregiudicare gli appoggi politici del PD e di ambienti di Forza Italia (allora al governo) tutti legati a Mps nel groviglio armonioso del ‘sistema Siena, visto che avrebbero potuto ostacolare le proprie ambizioni alla presidenza della Bce?”

20/12/2016 Economicomensile.it

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La nevrosi “popolare” che Draghi ci lascia in eredità

La nevrosi “popolare” che Draghi ci lascia in eredità

 

Nella complessa eredità che il governatore Mario Draghi si lascia alle spalle – oggi è arrivata la sua nomina ufficiale alla presidenza della Bce – c’è la spinosa questione della riforma banche popolari. Una questione irrisolta e sempre più incancrenita che tocca un centinaio di banche di tipo cooperativo (dove si vota “democraticamente” per testa, una testa un voto, e non per quote di capitale possedute) con un milione e 200mila soci, 11 milioni di clienti e una quota del mercato bancario nazionale pari a circa un quarto del totale.

Di riforma delle Popolari, specialmente di quelle che negli ultimi quindici anni da piccole banche locali sono cresciute fino diventate grandi gruppi nazionali, si discute da un decennio. Tutto è stato bloccato dalla potentissima resistenza lobbistica della categoria ma anche dall’inerzia/incapacità del legislatore (il Parlamento) e del regolatore (la Banca d’Italia) di avviare un serio dibattito sulle finalità strategiche di questo tipo di banche, prima ancora che sulle regole di governo. Su questo si è creato un grande equivoco che confonde una riforma di rinnovamento, concepita per ritrovare la “mission” storica di banche popolari al servizio al territorio e ai clienti-soci, con una riforma di trasformazione, pensata per accompagnare in modo più o meno graduale l’evoluzione verso il modello della banca-società per azioni.

 Draghi è stato per sei anni governatore della Banca d’Italia. Non è pignoleria ricordare che gli scandali che bancari che avevano investito l’istituzione prima del suo arrivo, a fine 2005, vedevano come protagoniste una banca popolare, la Popolare di Lodi, e una ex popolare che era stata trasformata in società per azioni pochi anni prima, la Antonveneta. Questo per dire della centralità che la questione aveva, o avrebbe dovuto avere, nel mandato del neo banchiere centrale chiamato a succedere ad Antonio Fazio.

A conclusione del mandato, però, il lascito di Draghi assomiglia a una nevrosi collettiva per inerzia da riforme. Parafrasando Freud, si può dire che l’incapacità di trovare uno sbocco alle pulsioni di sviluppo ha generato alcune fissazioni, di cui il regolatore sembra soffrire quanto i regolati. Per la rilevanza istituzionale e mediatica che ha assunto in questi giorni, la più infantile di queste fissazioni è quella delle deleghe di voto: siccome la gran parte dei soci non va in assemblea, e questo comporta un insano consolidamento delle posizioni di potere esistenti, si pensa che la cura stia nell’aumentare i voti che ciascun socio può esercitare a nome di altri soci. 

Lorenzo Dilena Linkiesta, 24/06/2011

 

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Dossier: La svendita dell'Italia decisa nel 1992 sul panfilo Britannia

http://informatitalia.blogspot.it
giovedì 6 giugno 2013

 

Il sacco d’Italia. Articolo dedicato a Mario Draghi (Mr. Britannia)

 

Era il 1992, un anno decisivo per la recente storia italiana.

All’improvviso un’intera classe politica dirigente crollava sotto i colpi delle indagini giudiziarie. Da oltre quarant’anni era stata al potere. Gli italiani avevano sospettato a lungo che il sistema politico si basasse sulla corruzione e sul clientelismo. Ma nulla aveva potuto scalfirlo.

Né le denunce, né le proteste popolari né i casi di connivenza con la mafia, che di tanto in tanto salivano alla cronaca, immaginiamoci un semplice mariuolo alla Mario Chiesa.

 

Ma ecco che, improvvisamente, il sistema crollava.

Mentre l’attenzione degli italiani era puntata sullo scandalo delle tangenti, il governo italiano stava prendendo decisioni importantissime per il futuro del paese.

 

Con l’uragano di “Tangentopoli” gli italiani credettero che potesse iniziare un periodo migliore per l’Italia

 

Ma in segreto, il governo stava attuando politiche che avrebbero peggiorato il futuro del paese.

Numerose aziende saranno svendute, persino la Banca d’Italia sarà messa in vendita.

La svendita venne chiamata “privatizzazione”.

 

E ancora.Nel maggio del 1992, Giovanni Falcone venne ucciso dalla mafia. Egli stava indagando sui flussi di denaro sporco, e la pista stava portando a risultati che potevano collegare la mafia ad importanti circuiti finanziari internazionali.

 

Su Falcone erano state diffuse calunnie che cercavano di capovolgere la realtà di un magistrato integro. Probabilmente, le tecniche d’indagine di Falcone non piacevano a certi personaggi con cui il governo italiano ebbe a che fare quell’anno.

 

L’omicidio di un simbolo dello Stato così importante come Falcone, significava qualcosa di nuovo. Erano state toccate le corde dell’élite di potere internazionale.

 

Ciò è stato intuito anche da Charles Rose, Procuratore distrettuale di New York, che notò la particolarità degli attentati (anche Borsellino 19 luglio): “Neppure i boss più feroci di Cosa Nostra hanno mai voluto colpire personalità dello Stato così visibili come era Giovanni, perché essi sanno benissimo quali rischi comporta attaccare frontalmente lo Stato. Quell’attentato terroristico è un gesto di paura… Credo che una mafia che si mette a sparare ai simboli come fanno i terroristi… è condannata a perdere il bene più prezioso per ogni organizzazione criminale di quel tipo, cioè la complicità attiva o passiva della popolazione entro la quale si muove”.

 

Quell’anno l’élite anglo-americana voleva rendere l’Italia un paese completamente soggiogato e dominato dal potere finanziario.

 

2 giugno del 1992, panfilo Britannia, in navigazione. A bordo c’erano alcuni appartenenti all’élite di potere anglo-americana, e i grandi banchieri a cui si rivolgerà il governo italiano durante la fase delle privatizzazioni (Merrill Lynch, Goldman Sachs e Salomon Brothers).

 

In quella riunione si decise di acquistare le aziende italiane e la Banca d’Italia, e come far crollare il vecchio sistema politico per insediarne un altro, completamente manovrato dai nuovi padroni. A quella riunione parteciparono anche diversi italiani, tra i quali Mario Draghi, allora direttore delegato del ministero del Tesoro, il dirigente dell’Eni Beniamino Andreatta e il dirigente dell’Iri Riccardo Gall.

 

Gli intrighi decisi sulla Britannia avrebbero permesso agli anglo-americani di mettere le mani sul 48% delle aziende italiane.

 

La stampa martellava su “Mani pulite”, facendo intendere che da quell’evento sarebbero derivati grandi cambiamenti. Un grande cambiamento in effetti ci fu.

 

I banchieri angloamericani erano venuti a “fare la spesa”, ossia a comprarsi i gioielli dell’industria pubblica italiana a buon mercato. In lire svalutate lorsignori comprarono i gioielli dell’industria italiana, IRI in testa.

 

Insomma, una strategia concertata.

Cominciò il Fondo Monetario Internazionale (altro organismo che mette sul lastrico interi paesi) che, come aveva fatto da altre parti, voleva privatizzare selvaggiamente e svalutare la nostra moneta, per agevolare il dominio economico-finanziario dell’élite. La Standard & Poor’s declassò il debito italiano.

 

L’incarico di far crollare l’economia italiana venne dato a George Soros, un cittadino americano che tramite informazioni ricevute dai Rothschild, con la complicità di alcune autorità italiane, riuscì a far crollare la nostra moneta e le azioni di molte aziende italiane. A causa di questi attacchi, la lira perse il 30% del suo valore, e anche negli anni successivi subì svalutazioni. Le reti della Banca Rothschild, attraverso il direttore Richard Katz, misero le mani sull’Eni, che venne svenduta. Il gruppo Rothschild ebbe un ruolo preminente anche sulle altre privatizzazioni, compresa quella della Banca d’Italia. C’erano stretti legami fra il Quantum Fund di George Soros e i Rothschild. Ma anche numerosi altri membri dell’élite finanziaria anglo-americana, come Alfred Hartmann e Georges C. Karlweis, furono coinvolti nei processi di privatizzazione delle aziende e della Banca d’Italia.

 

Qualche anno dopo la magistratura italiana procederà contro Soros, ma senza alcun successo.

Su Soros indagarono le Procure della Repubblica di Roma e di Napoli, che fecero luce anche sulle attività della Banca d’Italia nel periodo del crollo della lira. Soros venne accusato di aggiotaggio e insider trading, avendo utilizzato informazioni riservate che gli permettevano di speculare con sicurezza e di anticipare movimenti su titoli, cambi e valori delle monete.

 

Nel giugno 1992 si era intanto insediato il governo di Giuliano Amato. Si trattava di un personaggio in armonia con gli speculatori che ambivano ad appropriarsi dell’Italia. Infatti, Amato, per iniziare le privatizzazioni, si affrettò a consultare il centro del potere finanziario internazionale: appunto le tre grandi banche di Wall Street, Merrill Lynch, Goldman Sachs e Salomon Brothers.(strano che il braccio destro di Craxi,uscìsse indenne dalla bufera mani pulite.Il non poteva non sapere per lui non valeva)

 

Appena salito al potere, Amato trasformò gli Enti statali in Società per Azioni, valendosi del decreto Legge 386/1991, in modo tale che l’élite finanziaria li potesse controllare, e in seguito rilevare.

Il 31 luglio 1992 viene abolita la scala mobile.Il 9 settembre il governo chiede al Parlamento di approvare una legge delega che gli consenta di cancellare spese, aumentare tasse, bloccare i salari pubblici ogni volta che la Banca d’Italia dichiari l’emergenza economica.

Il 13-17 settembre,si è in piena crisi : svalutazione della lira e successiva uscita dallo SME, il sistema monetario europeo. Per arginarla il governo Amato è costretto a varare una legge finanziaria da 100.000 miliardi (aumento dell’età pensionabile, aumento dell’anzianità contributiva, blocco dei pensionamenti, minimum tax, patrimoniale sulle imprese, prelievo sui conti correnti bancari, introduzione dei ticket sanitari, tassa sul medico di famiglia, imposta comunale sugli immobili (Ici), blocco di stipendi e assunzioni nel pubblico impiego, privatizzazioni ecc..)

 

A fine anno l’ineffabile Scalfaro annuncia “un nuovo rinascimento”. Roba da non credere!!!

Come già accennato, a seguito dell’attacco speculativo contro la lira e della sua successiva svalutazione, le privatizzazioni sarebbero state fatti a prezzi stracciati, a beneficio della grande finanza internazionale e a discapito degli interessi dello stato italiano e dell’economia nazionale e dell’occupazione. L’agenzia stampa EIR (Executive Intelligence Review) ha denunciato pubblicamente questa sordida operazione alla fine del 1992 provocando una serie di interpellanze parlamentari e di discussioni politiche che hanno avuto il merito di mettere in discussione l’intero procedimento di privatizzazione.

 

Il 28 giugno 1993, il Movimento Solidarietà svolse una conferenza a Milano, in cui rese nota a tutti la riunione sul Britannia e quello che ne era derivato

 

I complici italiani furono il ministro del Tesoro Piero Barucci, l’allora Direttore di Bankitalia Lamberto Dini e l’allora governatore di Bankitalia Carlo Azeglio Ciampi. Altre responsabilità vanno all’allora capo del governo Giuliano Amato e al Direttore Generale del Tesoro Mario Draghi. Alcune autorità italiane (come Dini) fecero il doppio gioco: denunciavano i pericoli ma in segreto appoggiavano gli speculatori.

 

Amato aveva costretto i sindacati ad accettare un accordo salariale non conveniente ai lavoratori, per la “necessità di rimanere nel Sistema Monetario Europeo”, pur sapendo che l’Italia ne sarebbe uscita a causa delle imminenti speculazioni.

 

Gli attacchi all’economia italiana andarono avanti per tutti gli anni Novanta, fino a quando il sistema economico- finanziario italiano non cadde sotto il completo controllo dell’élite finanziaria.

Nel 1996, il governatore della Banca d’Italia, Antonio Fazio, riferiva che l’Italia non poteva far nulla contro le correnti speculative sui mercati dei cambi, perché “se le banche di emissione tentano di far cambiare direzione o di fermare il vento (delle operazioni finanziarie) non ce la fanno per la dimensione delle masse in movimento sui mercati rispetto alla loro capacità di fuoco”.

Denuncia dell’élite internazionale, e getto della spugna, ritenendo inevitabili quegli eventi. Era in gioco il futuro economico-finanziario del paese, ma nessuna autorità italiana pensava di poter fare qualcosa contro gli attacchi destabilizzanti dell’élite anglo-americana.

 

Anche negli anni successivi, avvennero altre privatizzazioni, senza regole precise e a prezzi di favore. Pensate che l’Italia conquistò il record mondiale delle privatizzazioni: sui 460 miliardi di dollari del giro d’affari planetario di questo business negli anni ’90, circa 100 miliardi di dollari erano imputabili a noi.

 

La vendita Telecom fu l’operazione più grossa mai conclusa in Europa

Nel settore del gas e dell’elettricità apparvero numerose aziende private, oggi circa 300.

Dal 24 febbraio del 1998, anche le Poste Italiane diventarono una S.p.a. In seguito alla privatizzazione delle Poste, i costi postali sono aumentati a dismisura e i lavoratori postali vengono assunti con contratti precari. Oltre 400 uffici postali sono stati chiusi, e quelli rimasti aperti appaiono come luoghi di vendita più che di servizio.

 

Le nostre autorità giustificavano la svendita delle privatizzazioni dicendo che si doveva “risanare il bilancio pubblico”, ma non specificavano che si trattava di pagare altro denaro alle banche, in cambio di banconote che valevano come la carta straccia. A guadagnare sarebbero state soltanto le banche e i pochi imprenditori già ricchi (Benetton, Tronchetti Provera, Pirelli, Colaninno, Gnutti e pochi altri).

 

Si diceva che le privatizzazioni avrebbero migliorato la gestione delle aziende, ma in realtà, in tutti i casi, si sono verificati disastri di vario genere, e il rimedio è stato pagato dai cittadini italiani.

 

Le nostre aziende sono state svendute ad imprenditori che quasi sempre agivano per conto dell’élite finanziaria, da cui ricevevano le somme per l’acquisto. La privatizzazione della Telecom avvenne nell’ottobre del 1997. Fu venduta a 11,82 miliardi di euro, ma alla fine si incassarono soltanto 7,5 miliardi.

 

La società fu rilevata da un gruppo di imprenditori e banche., e al Ministero del Tesoro rimase una quota del 3,5%. Il piano per il controllo di Telecom aveva la regia nascosta della Merril Lynch, del Gruppo Bancario americano Donaldson Lufkin & Jenrette e della Chase Manhattan Bank.

Dopo dieci anni dalla privatizzazione della Telecom, il bilancio era disastroso sotto tutti i punti di vista: oltre 20.000 persone sono state licenziate, i titoli azionari hanno fatto perdere molto denaro ai risparmiatori, i costi per gli utenti sono aumentati e la società è in perdita.

La privatizzazione, oltre che un saccheggio, veniva ad essere anche un modo per truffare i piccoli azionisti.

 

La Telecom, come molte altre società, ha posto la sua sede in paesi esteri, per non pagare le tasse allo Stato italiano.

 

Oltre a perdere le aziende, gli italiani sono stati privati anche degli introiti fiscali di quelle aziende. La Bell, società che controllava la Telecom Italia, aveva sede in Lussemburgo, e aveva all’interno società con sede alle isole Cayman, che, com’è noto, sono un paradiso fiscale.

Mettere un’azienda importante come quella telefonica in mani private significa anche non tutelare la privacy dei cittadini, che infatti è stata più volte calpestata, com’è emerso negli ultimi anni.

Anche per le altre privatizzazioni, Autostrade, Poste Italiane, Trenitalia ecc., si sono verificate le medesime devastazioni: licenziamenti, truffe a danno dei risparmiatori, degrado del servizio, spreco di denaro pubblico, cattiva amministrazione e problemi di vario genere.

La famiglia Benetton è diventata azionista di maggioranza delle Autostrade. Il contratto di privatizzazione delle Autostrade dava vantaggi soltanto agli acquirenti, facendo rimanere l’onere della manutenzione sulle spalle dei contribuenti.

 

Nonostante i disastri delle privatizzazioni, le nostre autorità governative sono disposte ad utilizzare denaro pubblico per riparare ai danni causati dai privati.

 

Dietro tutto questo c’era l’élite economico finanziaria (Morgan, Schiff, Harriman, Kahn, Warburg, Rockfeller, Rothschild ecc.) che ha agito preparando un progetto di devastazione dell’economia italiana, e lo ha attuato valendosi di politici, di finanzieri e di imprenditori.

Nascondersi è facile in un sistema in cui le banche o le società possono assumere il controllo di altre società o banche. Esemplare il caso Parmalat e Cirio.

 

Queste aziende hanno truffato i risparmiatori vendendo obbligazioni societarie con un alto margine di rischio. La Parmalat emise bonds per un valore di 7 miliardi di euro, e allo stesso tempo attuò operazioni finanziarie speculative, e si indebitò. Per non far scendere il valore delle azioni (e per venderne altre) truccava i bilanci.

 

Le banche nazionali e internazionali sostenevano la situazione perché per loro vantaggiosa, e l’agenzia di rating, Standard & Poor’s, si è decisa a declassare la Parmalat soltanto quando la truffa era ormai nota a tutti.

 

Alla fine, questi complici della truffa non han pagato praticamente nulla,con tanti saluti alla giustizia italiana

 

Grazie alle privatizzazioni, un gruppo ristretto di ricchi italiani ha acquisito somme enormi, e ha permesso all’élite economico-finanziaria anglo-americana di esercitare un pesante controllo, sui cittadini, sulla politica e sul paese intero.

 

Agli italiani venne dato il contentino di “Mani Pulite”, che si risolse con numerose assoluzioni e qualche condanna a pochi anni di carcere. Un polverone che è servito solo a consentire il saccheggio e a rimuovere un sistema politico che lo ostacolava o comunque non in linea con i desiderata angloamericani.

 

Il nostro paese è oggi controllato realmente da un gruppo di persone, che impongono, attraverso istituti propagandati come “autorevoli” (Fondo Monetario Internazionale e Banca Centrale Europea), di privatizzare quello che ancora rimane e di attuare politiche non convenienti alla popolazione italiana. I nostri governi operano nell’interesse di questa élite, e non in quello del paese.

 

Questo, a grandi linee, è quanto veramente successo in quel 1992 che ha cambiato in peggio tutta la storia italiana. Il resto sono solo chiacchiere di stampa e politica, entrambe asservite, buone solo per la credulità del parco buoi, quello che in fondo paga sempre per tutti.

 

Uno dei pochi articoli di giornale di quell’anno che parla del convegno sul Britannia, lo presenta ovviamente quasi come un convegno istruttivo o stage per giovani managers!!!.

 

3 giugno 1992 -http://archiviostorico.corriere.it/1992/giugno/03/Inglesi_cat-tedra_privatizzazioni_fate_come_co_0_92060319034.shtml

 

A distanza di tempo, stessa cosa per il Club Bilderberg.

Libertà dalla stampa!!!!

 

Ci vuole in cieco per non vedere come tutti gli avvenimenti di quell’anno non siano in qualche modo collegati.Troppe coincidenze,e tutte nella stessa direzione.

 

Resta il fatto, che Draghi tenne un discorso a quella riunione, in cui disse esplicitamente che il principale ostacolo ad una “riforma” del sistema finanziario in Italia era rappresentato dal sistema politico.

 

Guarda caso, dopo la crociera sul Britannia partì l’attacco speculativo contro la lira e l’uragano di Mani Pulite che proprio quel sistema politico abbatté.

 

Certo è che lo svegliarsi improvviso della magistratura, che per anni aveva ignorato e insabbiato, sembra sia avvenuta proprio in un momento opportuno per fare “PiazzaPulita” di una classe politica con velleità italiote, e per ottenere le “ManiLibere” di fare entrare i governi dei “tecnici”, gli amici della Goldman e soci.

 

E qua, consentiteci anche di tirar in ballo il tanto vituperato Craxi.

Di sicuro un Craxi, per quanto corrotto, non avrebbe mai siglato un patto così scellerato, quello di svendere tutto il comparto nazionale produttivo del paese,lui che tenne testa agli americani nella vicenda dell’Achille Lauro, negando loro l’accesso al nostro territorio per attaccare i sequestratori della nave, e portando avanti le trattative con i terroristi nonostante il veto del presidente Reagan,sempre lui che negò agli Usa la base di Sigonella.

 

E, infatti, proprio qualche anno prima Craxi era stato duramente criticato dagli ambienti angloamericani,quegli stessi che non si privano mai d’interferire nella nostra politica interna per salvaguardare i loro interessi.

 

Chi tocca i fili Usa muore!

Ed è bene anche ricordare al solito popolo cornuto,mazziato e festante, che quando Craxi in Parlamento (mica ad annozero) invitò in pratica ad alzarsi chi non avesse preso tangenti,nessun prode mezzacartuccia italiota si alzò.

 

Questo tanto per fare un po’ di storia che le ipocrite tricoteuses attuali dimenticano.

Con l’aiuto della stampa iniziò una campagna martellante per incutere il timore nel popolo italiano di “non entrare in Europa”, manco non fossimo stati tra i Sei paesi fondatori…

 

Una campagna a cui presero parte attva “The Economist” e “Financial Times,fogli al servizio dei saccheggiatori.Ora come allora.

 

Te la raccomando la stampa inglese e i soliti fessi,o molto interessati,laudatores nostrani!

E questa è ormai storia, tant’è vero che sull’episodio del “panfilo Britannia” vi furono anche alcune interrogazioni parlamentari rimaste naturalmente senza risposta.

Fu l’inizio dell’era dei governi tecnici, dopo 40 anni di regime DC, con il “tecnico” Ciampi, il tecnico Amato, il tecnico Prodi.

 

Il governo doveva, a tutti i costi essere “tecnico”, pur di non fare arrivare al potere neanche un’idea, che fosse tale e che lo fosse per il bene del paese.

 

In questo “bene ” invece rientrò l’allontanamento di Enrico Cuccia,Mediobanca,che si oppose alla svendita diSme caldeggiata da Prodi.Si è poi visto come é finito questo colosso alimentare.

Lo stesso Prodi, che dal 1990 al 1993 fu consulente della Unilever e della Goldman Sachs, quando nel maggio del 1993 ritornò a capo dell’IRI riuscì a svendere la Cirio Bertolli alla Unilever al quarto del suo prezzo. Indovinate chi furono gli advisors!

 

Uomini della Goldman, che vi hanno lavorato sono, oltre a Costamagna e Prodi, Monti (catapultato alla carica di Commissario), Letta, Tononi e naturalmente Draghi. Sicuramente ce ne sono altri; molti nostri uomini politici se non hanno lavorato per la Goldman, lavoravano per l’FMI, come Padoa Schioppa, presidente della BEI, Banca europea per gli Investimenti

 

La classe dei tecnici, fedeli servitori delle banche e dei circoli finanziari angloamericani, il cui motto era “privatizzare per saccheggiare”. Quella della condizione di tecnicità per accedere al potere fu un imperativo talmente tassativo, da riuscire nell’intento di dividere il PCI, con una fetta che divenne sempre più “tecnica”, sempre più British, sempre più amica delle banche, sempre più PD.

 

Il premio di tutta questa svendita, prevista per filo e per segno, fu la nostra “entrata in Europa”, ovvero la cessione della nostra già minata sovranità monetaria dalla Banca d’Italia alla Banca centrale europea, per una moneta, l’euro che, con il tasso iniz iale di cambio imposto e troppo elevato, è all’origine di tante attuali sciagure.

 

Queste sono informazioni che dovrebbero essere divulgate e spiegate in lungo e in largo dalla stampa, ma che invece ha sempre occultato.

 

Le anime belle e buone parleranno di complottismo, che vediam congiure dappertutto…"

 

Fonte dell'articolo:

http://www.blog.art17.it/2011/07/07/il-sacco-ditalia-articolo-dedicato-a-mario-draghi-mr-britannia/

 

            

 

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