Un documentario visto recentemente su Youtube mi ha stimolato queste righe. Sono giorni nei quali si dibatte, in maniera molto accalorata, sulla natura genocidaria di quanto Israele sta facendo contro la popolazione civile della striscia di Gaza. Le opinioni pubbliche si dividono, convinte ci sia un fronte progressista contro uno conservatore.
Magari fosse così semplice.
Saranno gli anni, o le raccomandazioni di professori e di un fratello che da sempre lavora sulla Memoria, ma anch’io prima di buttarmi nella contenda mi guardo indietro.
E allora penso a quanto fecero i turchi contro gli armeni, il primo genocidio/olocausto (anche se alla Turchia non piace ricordarlo) dell’era moderna. Un milione e mezzo di morti, che ancora oggi chiedono giustizia. Poi ci pensò il comunista Stalin, con l’holodomor compiuto in Ucraina nel 1993 che causò 5 milioni di morti secondo la storica americana Anne Applebaum. Per quanto riguarda quest’ultimo, è da ricordare che il gruppuscolo di Marco Rizzo, che pretende essere il vero continuatore del Partito Comunista (mantenendone il nome), ancora oggi continua a negare che sia mai occorso tale genocidio (https://ilpartitocomunista.it/holodomor-la-storia-al-servizio-della-propaganda/).
Poi arrivò Hitler e, grazie ai suoi crimini contro il popolo ebraico (ma non solo, zingari e omosessuali sono finiti nell’oblio della storia assieme a tutti gli oppositori politici passati nelle camere a gas), si arrivò a coniare il termine “genocidio” definito, nelle carte ONU, come «gli atti commessi con l'intenzione di distruggere, in tutto o in parte, un gruppo nazionale, etnico, razziale o religioso».
In epoca più recente, altri genocidi sono stati commessi: oltre tre milioni di cambogiani inermi furono eliminati nella seconda metà degli anni 70 (ricordate il film “The Killing Fields” – in italiano “Le urla del silenzio”?) dal regime di Pol Pot e i suoi Khmer rossi, seguaci del Partito Comunista della Kampuchea. I racconti entusiastici della stampa progressista francese (http://www.ciremm.org/wp-content/uploads/2015/06/Pages-de-PUB-Cambodge-le-génocide-effacé-pierre.pdf) ci lasciano ancora oggi con un gran amaro in bocca.
Per restare nella regione, ci sarebbe anche il massacro, da molti definito “genocidio” realizzato dal presidente/dittatore Suharto nei confronti di oppositori, militanti del Partito Comunista, con mezzo milione di vittime.
Il “grande balzo in avanti del “compagno” Mao, con i suoi 30 milioni di morti (media tra i valori di 15 e 55 riportati dai media), avrebbe meritato il primo posto ma, tecnicamente, non si può considerare come genocidio, ma solo un disastro economico (e poi vatti a fidare degli economisti …).
Il genocidio ruandese, col suo milione di morti, viene ricordato perché si è svolto sotto i nostri occhi. Il fatto che fosse un presidente socialista, il tanto amato Mitterand, ad appoggiare politicamente e militarmente, i genocidari, è una ferita che brucia ancora e che molti, a sinistra, hanno delle difficoltà ad accettare (https://www.mediapart.fr/journal/france/060621/le-genocide-des-tutsis-au-rwanda-et-l-honneur-perdu-de-la-gauche-en-france).
Ed eccoci ai nostri giorni: per alcuni Israele sta portando avanti un genocidio, per altri è solo una legittima difesa. Resta il fatto che l’accusa di genocidio è stata formulata, su richiesta del Sudafrica, davanti alla Corte Penale Internazionale, dando una visibilità nuova a questa parola.
Ebbene, allora chiediamoci se il genocidio è di destra o, anche, di sinistra. Le evidenze storiche sono abbastanza chiare, per cui secondo me non c’è dibattito. Ma la questione potrebbe essere guardata anche da un altro angolo, quello di genere. Che lo si voglia o no, tutte queste efferatezze, compreso il grande balzo in avanti, sono stati commessi da uomini che si credevano al di sopra di tutto e di tutti. La logica del dominio, nata col patriarcato, si estrinseca quasi sempre nella violenza fatta agli altri (e alle altre). Dominare, sottomettere in casa, nella comunità, nello Stato o ancora più su, tutto quello che loro decidono essere di qualità inferiore: la donna, il diverso, il nero, l’arabo, l’ebreo e avanti così.
Magari penserete che ritorno sempre a battere sullo stesso tema, ed in effetti è così. Se vogliamo realmente credere che un mondo diverso, e migliore, si possa costruire, questo va pensato a partire dalle piccole cose, dai piccoli spazi, cioè da dentro i nostri rapporti interpersonali.
Lottare contro il patriarcato serve per ridurre le asimmetrie di potere, far capire agli uomini che devono uscire dalla logica del dominio, (sugli altri esseri umani e sulla natura), abbassare la cresta ed entrare in una logica di empatia, di un cammino verso gli altri che non significa altro che rispettare la diversità e la differenza, per imparare, con calma, pazienza e costanza, che solo così avremo un futuro. Altrimenti, quale che sia il nostro colore politico, aspettiamo il prossimo genocidio e poi facciamo finta di esserne sorpresi.
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