Di segnali ne riceviamo tutti i giorni. L’altra sera, a cena con amici, si parlava delle scuole, delle difficoltà da parte degli insegnanti di fronte a una platea di giovani sempre meno interessati allo studio, più ignoranti e, peggio, quasi contenti del loro status. Salando poi di palo in frasca si era andati sull’elezione di Trump e allora, apriti cielo!
La notte mi ha portato a cercar di legare i vari pezzetti che pian piano andavano accumulandosi da parecchio tempo e l’immagine che ne è venuta fuori è quella di una società, l’occidentale, in decadenza, senza che sia chiaro all’orizzonte cosa la rimpiazzerà.
Eric Hobsbawm nell’Età degli Imperi (1875-1914) e nel successivo Il Secolo breve, ci ha descritto molto bene com’era la nostra società occidentale alla fine di quel periodo storico dominato dai grandi imperi e cosa ne è venuto fuori, come tentativo di dare un senso nuovo al mondo dopo il grande conflitto (lui vedeva la prima e la seconda guerra mondiale come un unico conflitto in due tempi) che aveva portato a molti milioni di morti. L’anelito alla democrazia era sembrato un sogno condivisibile da gran parte del mondo. Un sogno che si portava dietro l’inevitabile movimento di decolonizzazione e di varie rivolte e rivoluzioni in giro per il mondo, così da dare una speranza agli oppressi, poveri e affamati.
La sinistra dal canto suo aveva messo in campo, grazie alla rivoluzione dei soviet, di cui si sapeva ben poco in realtà, un sogno dell’uomo nuovo, di una società più giusta e migliore di quella capitalista. Insomma, aveva dato agli sfruttati una visione, una “mission” diremmo oggi. Noi occidentali fummo soggiogati dal pacchetto di benefit che arrivarono con gli americani: dalla coca-cola alle lavatrici, dalle gomme da masticare ai blue-jeans e, in cima a tutto, dalla musica, rock, country, blues…
Insomma, vedemmo quello che volevamo vedere e cioè che con la “democrazia” stavamo tutti meglio. Non vedevamo la segregazione dei neri, le donne confinate a casa, l’imperialismo americano che voleva sostituire quello inglese precedente e così via.
Siamo cresciuti così, in tutta Europa e in molti altri paesi. Sognando California, ma anche Parco Lambro, la “libertà” di ribellarsi, le battaglie che si cominciavano a vincere, tipo il divorzio e l’aborto. La mia generazione, quella del 60, è cresciuta nel boom, qualsiasi cosa questo volesse dire, ma soprattutto ha cominciato a chiudere le porte che i nostri fratelli e sorelle maggiori avevano aperto sul resto del mondo. Ecco perché l’arrivo dell’onda neoliberale e individualista da noi è diventata l’epoca della “Milano da bere”, con gioia ci siamo buttati in questo mondo di balocchi disinteressandoci di cosa succedeva in giro per il mondo. Nemmeno le crisi del petrolio ci avevano fatto aprire gli occhi: come si dice, non c’è miglior cieco di chi non vuol vedere.
Gli anni sono passati e la realtà ha cominciato a farsi strada nelle nostre teste, o almeno in alcune di esse. Caduto il muro di Berlino, sciolta l’Unione Sovietica, tutto sembrava andare per il meglio. Ma non era così. L’individualismo neoliberale ci ha fatto marcire dal didentro, poco a poco. Le notizie che ci arrivavano da Est e poi dai paesi “rivoluzionari” ci hanno fatto capire quanto illusoria fosse la strada del socialismo tradotto in politiche pubbliche. Queste sinistre al potere hanno ucciso il sogno, direi peggio di quanto abbia fatto il capitalismo, l’imperialismo e la mondializzazione. Quelli sapevamo essere i “nemici”, ma almeno credevamo ci fosse un’alternativa. Adesso è evidente per moltissime persone che questa alternativa non esiste più. Vedi Cuba, Venezuela, Nicaragua, paesi che ci avevano fatto sognare, oppure la Cina e l Vietnam che, per i nostri fratelli maggiori, indicavano la strada del Sol dell’avvenire.
Il marciume lasciatoci dal neoliberalismo individualista lo abbiamo visto con le televisioni di Berlusconi e quelle che lo hanno seguito. L’ignoranza è diventata la nuova religione, il “fancazzismo” un modo di vivere, mentre pian piano nuove generazioni di affamati scappavano da casa loro e venivano a cercar rifugio e lavoro, quei lavori che nessuno vuol più fare, qui da noi.
Siamo diventati insensibili, ignoranti e razzisti. Abbiamo un ministro come Salvini perché l’abbiamo voluto, lui è uno di noi, non un marziano venuto dallo spazio.
Se poi guardiamo alla casa madre, l’America, di quella che noi abbiamo sognato, all’epoca di “American Graffiti” e “Happy Days” non è rimasto più nulla se non una violenza fuori controllo, una ignoranza spaventosa e un popolo che, per paura di tutto, potrebbe attaccare tutti. Trump, anche lui, è un risultato storico di un’America profonda, che era già così un secolo fa. Ricordiamo che l’eugenismo, la teoria che bisognava eliminare gli individui “inferiori”, per malattie, razza o altro, lo avevano teorizzato gli americani a inizio del XX° secolo. Pian piano la nebbia si sta diradando e ci accorgiamo che quella “democrazia” non ha messo radici e che quello che ci si prospetta è, probabilmente, un’era di tumulti, dove non si vede all’orizzonte un sogno, una visione che possa mettere assieme i cocci di un mondo “progressista” in disarmo.
Vacue parole d’ordine come Pace suonano vuote per chi abbia un po’ di memoria storica. La domanda sorge spontanea, di fronte alla paura che incombe sulle frange popolari del mondo intero: cosa fare per rimettere in piedi una speranza per un mondo diverso e migliore?
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