Ieri sera ho visto in anteprima Vermiglio, il film di cui tanto si parla, realizzato da Maura Delpero e ambientato nel villaggio dello stesso nome.
Dico subito che mi ha lasciato molto perplesso, ma non tanto per il film, abbastanza ben fatto anche se con una parte finale abbozzata che non si capisce proprio se non si va a leggere le presentazioni sui giornali. La sorella che si fa suora l’ho capita solo dopo aver letto i giornali e la stessa idea di Lucia di andare al Sud, così, senza arte né parte, solo per non trovare nulla, non mi è parsa una fine chiara.
Ma il punto è la domanda implicita che sorge dopo aver visto il film. Leggendo i giornali si capisce che l’ambientazione è verso la fine della seconda guerra mondiale, ma poi, vedendo come vivevano le famiglie, vien da pensare che potevamo essere anche 100 anni prima e non sarebbe cambiato nulla. Una famiglia patriarcale dove il capo, cioè il “paròn”, fa da maestro elementare a qualche abitante del villaggio e poi, per il resto del tempo, non fa una beata minchia, a parte andare all’osteria a bere e leggere il giornale. Sto patriarca, che non capisce nemmeno i suoi figli, vuol comandare secondo leggi immutabili nei secoli, cosa che gli permette di usare ed abusare della moglie, fino a farle fare figli come conigli.
Il resto della famiglia non ha diritto di parlare, zitti e avanti a lavare i panni con l’acqua fredda, a passare il tempo grattando dei pezzi di legno per cercare di tirarne fuori degli oggetti tipo soprammobili, ogni tanto mungono la vacca per avere il latte per la colazione e basta. Non vedi nessuno che lavori realmente, a parte la madre che deve occuparsi di tutta la marmaglia e non può dire nulla al paròn, cioè non può “mancargli di rispetto” perché l’ordine immutabile è quello. Quello che dice lui è legge e non si discute. La domanda, dicevo, è semplice: ma come è stato possibile che in un paio di decenni si sia passati, nel Trentino ma anche in parte dell’Italia, da condizioni medioevali a una prosperità diffusa? Non certo per merito di questi maschi patriarcali.
Peccato che la regista si sia accontentata di fare una foto del passato, rendendolo così edulcorato che ci sarà sicuramente qualcuno che dirà: ah, i bei tempi di una volta!
Almeno la Cortellesi, nella sua ingenuità, ha centrato la fine sulla questione del diritto al voto, e questo ci può stare. Qui invece siamo nella visione della povera sedotta e abbandonata dal bigamo che, per sopravvivere, deve mettere in orfanotrofio la propria figlia ed andarsene a far la serva dai ricchi.
Onestamente, speravo di meglio.
Nessun commento:
Posta un commento