Editions de l'Olivier, 2010
En 2009, Florence Aubenas part pour Caen et s'inscrit au chômage, avec
un bac pour tout bagage et sans révéler qu'elle est journaliste. À Pôle
Emploi, on lui propose de saisir sa chance : devenir agent de propreté
dans des entreprises. Le Quai de Ouistreham est le récit saisissant de
cette plongée dans le monde de la précarité. Un monde où on ne trouve
plus d'emploi, mais des « heures ».
Cominciamo l'anno nuovo con un proposito dichiarato: aumentare il numero di autrici femminili. Per questa ragione, passando alla Feltrinelli prima e alla Fnac poi la scelta è caduta su nuovi libri e nuovi autori. Florence Aubenas è uno di quelli. Devo ammettere aver comprato il libro più a causa della fama che si era fatta come ostaggio che per aver letto qualcosa di suo prima di adesso. Il libro che mi è saltato agli occhi è questo qui: supervendite in Francia, elogiato da tutti i grandi giornali del paese. Insomma, ci sarebbe tutto per piacere. Arrivato alla fine, devo ammettere avere qualche difficoltà di aggiungermi al coro. Nulla da dire sullo sforzo fatto dalla giornalista: 6 mesi di immersione totale rappresentano un vero tentativo di capire dal di dentro, di non restare alla superficie dei problemi. Ma, una volta letta la recitazione delle difficoltà lavorative e umane dei vari personaggi, si resta, a mio avviso, con un sentimento di amaro in bocca, di qualcosa di incompiuto. Le storie che si raccontano sono quelle che sentiamo attorno a noi, solo cambia l'ambientazione. I trucchi dello Stato per far scendere i dati reali sulla disoccupazione, anche quelli sono cose conosciute, ma in fin dei conti questa storia non è sulla difficoltà del trovar lavoro, è soprattutto sul difficile rapporto che si crea con le istituzioni dello Stato che sembrano essere il solo mezzo per cercare lavoro. Letto con un occhio non francese, è evidente la stranezza del rapporto che si è creato oramai in Francia fra mercato del lavoro-istituzioni dello Stato e disoccupati: il libro racconta solo e sempre storie di persone che cercano lavoro solo e sempre via il sistema statale, in modo da avere accesso ai vari contributi che, in un modo o nell'altro, fanno parte del sistema francese. In nessun momento nessuno degli attori del libro si pone il problema di andar a cercare lavoro da soli, tutto succede dentro la stanza del Pole Emploi. Diventa così un racconto parziale, che nulla ci dice di chi sta fuori da questo sistema e deve sopravvivere nel mondo reale, senza il salvagente statale che, ricordiamolo, non è per tutti. In fin dei conti il libro racconta storie di lavori precari, ma non di "senza" lavoro. Esiste sempre uno Stato che, dientro pretese apparentemente assurde, alla fine fa arrivare un assegno, insufficiente sicuramente, ma sempre meglio del nulla di chi sta fuori dal sistema. Scoprire questo tipo di lavoro precario, e raccontarlo in prima persona, è il senso di questo reportage. Ma tutto si ferma lì, non si esce da questo racconto locale per darci una lettura, una interpretazione, di parte magari, da parte dell'autrice, sul senso di questo sforzo. resta così questa impressione di un racconto/reportage per il gusto del racconto fine a se stesso. Solo un blog ho trovato che non si univa al coro degli entusiasti: ve lo raccomando
http://fibromaman.blogspot.it/2011/09/florence-aubenas-le-quai-de-ouistreham.html
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