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lunedì 4 febbraio 2013

Senza lavoro ma non senza energia ...



Marco Panara é un bravo giornalista che ritrovo con piacere nel supplemento Affari e Finanza del lunedì di Repubblica. L’articolo di questa settimana (Se la ripresa non porterà piú lavoro) fa il punto delle discussioni tenutesi a Davos dove erano riuniti le migliori teste d’uovo del capitalismo liberale.
E’un articolo chiaro, utile da leggere ma soprattutto da ricordare a memoria futura, quando la situazione nelle strade e piazze di mezzo mondo comincerà ad infuocarsi. Non che Panara sia un apprendista stregone né che sia il solo a gridare al lupo: vari altri lo hanno fatto o lo stanno facendo. 

Uso questo articolo per ricordare una volta di piú il baratro che abbiamo davanti. 
Il paragrafo chiave è il seguente: “Siamo forse arrivati al cuore del problema. C’era un modello di sviluppo costruito sulla finanza e sui debiti, che ci ha portato alla crisi. Ora la crisi è passata ma quel modello non è piú riproponibile e non ne abbiamo uno di scorta”(enfasi aggiunta).
A Davos, come riassume Panara, “la ricetta […] capace di riassorbire i milioni di disoccupati che aspettano lavoro, non l ha tirata fuori nessuno”.

Questo è il quadro, realistico, attuale. Siamo impantanati in un sistema economico dove sempre di piú il capitale sostituisce il lavoro, via tecnologie sempre piú dipendenti da materie prime che manco conoscevamo (basti pensare al litio, senza il quale non vanno avanti televisori, telefoni e, fra poco, anche le autovetture di nuova generazione).Un modello di questo tipo (che non chiamo piú “di sviluppo”perché in effetti non sviluppa assolutamente nulla, costringe a tenere sotto un controllo ferreo quei posti dove si trovano le risorse strategiche, creando di fatto delle zone di sospensione dei diritti e dove tutto è possibile in funzione del bene superiore che non è il miglioramento delle condizioni di vita della gente (locale) ma il mantenimento del controllo sulle risorse (vedasi l’intervento militare dei francesi in Mali per proteggere le miniere di Areva, 30% dell’uranio necessario a far andare avanti le centrali nucleari francesi (http://iphone.france24.com/en/20130125-france-niger-uranium-areva-special-forces-mali-security-special-forces). Dicevo, un modello che elimina lavoro, attraverso una successione di passaggi di riduzione progressiva dei salari fino alla riabilitazione del lavoro schiavo (come mi è capitato anni fa di ascoltare in Brasile da parte di grandi produttori agricoli nello stato del Pará) (http://jusclip.com.br/trabalho-escravo-ruralistas-vao-tentar-esvaziar-sessao-ou-votar-contra-pec/).

Un modello del genere, cominciato nell’economia ideologica neoliberale, con gli apostoli politici Reagan e Thatcher e spinti dalla scuole di Milton Friedman, ha decollato mettendo al tappeto ogni avversario vicino o lontano (non solo il Comunismo; ricordiamoci le tante prediche inascoltate da parte di Papa Wojtyla contro questo modello) e trasferendosi nelle alte sale della finanza e dei derivati, surrogati e surgelati. Corollario di questa finanziarizzazione è stato lo spostamento dei centri di comando dallo Stato Nazione e sue istituzioni, a nuove forme di governante, privatizzate, in mano a Corporates, Transanazionali etc. che non rispondono a nessun criterio democratico, non essendo stati eletti.

Possiamo anche aggiungere che questo passaggio di scala e di dimensione si da dando in un periodo quando, parzialmente per colpa di questo modello, le risorse naturali di base (terra, acqua) si stanno riducendo sempre di piú e, combinando con una demografia in crescita, ci prospettano degli scenari accelerati di crisi.

La questione relativa alla tenuta sociale di fronte  a un periodo lungo di non crescita, di un ulteriore impoverimento delle famiglie, di distruzione di altri posti di lavoro, di aumento ancora delle disuguaglianze si pone oramai come centrale, tanto al Nord come nel Sud del mondo. Dire, come fa Panara, che non abbiamo un modello di ricambio, è corretto se si riferisce alle visioni limitate di quella classe sociale che governa attualmente. Non hanno interesse a pensare a qualcosa di diverso perché questo sistema porta acqua al loro mulino. Ma fuori da quelle stanze sono in tanti a pensare e a voler costruire qualcosa di diverso, senza che sia necessariamente una rivoluzione. Una agenda di base su cui sia possibile unire cittadinanze del Nord e del Sud, esiste giá: si chiama Rights Based Approach. Ripartire dai diritti e non dalle furberie, per ricostruire spazi dove si possa limitare il potere sconfinato di queste Corporates e si possa cominciare a ridisegnare i contorni dello Stato Nazione alla luce di un necessario ripensamento. i limiti di questo concetto sono oramai preda di un processo erosivo sia dall’alto che dal basso: dall’alto perché la necessità di una massa critica superiore per poter difendere i propri diritti e visioni a scala mondiale fa sí che lo Stato Nazione deve essere immaginato come elemento federato all’interno di un quadro maggiore, l’Unione Europea, che deve finalmente prendere in mano l’agenda politica. Dal basso perché oramai sempre di piú il concetto di riconoscimento, di comunità sta facendo presa su gruppi ampli di popolazione che richiedono nuove forme di rappresentatività.

Le risultanze dell’articolo di Panara sono le seguenti: (i) ricordatevi che il temporale sta arrivando; (ii) ricordatevi anche che chi guida non ha nessuna ricetta per portarci su una strada migliore. Ecco, a tutto questo, che significa accendere una luce rossa sui prossimi scontri sociali che si accenderanno nei paesi del Nord come del Sud, vorrei solo aggiungere che si puó avere una risposta diversa alla terza affermazione (non esiste un modello di scorta); per maggiori dettagli date una scorsa a questi siti: http://www.letteradeglieconomisti.it/; http://www.facebook.com/atterres; http://www.facebook.com/SoggettoPoliticoNuovo, solo per citare i primi che mi vengono a portata di mouse….

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