Marco Panara é un
bravo giornalista che ritrovo con piacere nel supplemento Affari e Finanza del lunedì
di Repubblica. L’articolo di questa settimana (Se la ripresa non porterà piú
lavoro) fa il punto delle discussioni tenutesi a Davos dove erano riuniti le
migliori teste d’uovo del capitalismo liberale.
E’un articolo
chiaro, utile da leggere ma soprattutto da ricordare a memoria futura, quando
la situazione nelle strade e piazze di mezzo mondo comincerà ad infuocarsi. Non
che Panara sia un apprendista stregone né che sia il solo a gridare al lupo:
vari altri lo hanno fatto o lo stanno facendo.
Uso questo articolo per ricordare
una volta di piú il baratro che abbiamo davanti.
Il paragrafo
chiave è il seguente: “Siamo forse arrivati al cuore del problema. C’era un
modello di sviluppo costruito sulla finanza e sui debiti, che ci ha portato
alla crisi. Ora la crisi è passata ma quel modello non è piú riproponibile e non
ne abbiamo uno di scorta”(enfasi aggiunta).
A Davos, come
riassume Panara, “la ricetta […] capace di riassorbire i milioni di disoccupati
che aspettano lavoro, non l ha tirata fuori nessuno”.
Questo è il
quadro, realistico, attuale. Siamo impantanati in un sistema economico dove
sempre di piú il capitale sostituisce il lavoro, via tecnologie sempre piú
dipendenti da materie prime che manco conoscevamo (basti pensare al litio,
senza il quale non vanno avanti televisori, telefoni e, fra poco, anche le
autovetture di nuova generazione).Un modello di questo tipo (che non chiamo piú
“di sviluppo”perché in effetti non sviluppa assolutamente nulla, costringe a
tenere sotto un controllo ferreo quei posti dove si trovano le risorse
strategiche, creando di fatto delle zone di sospensione dei diritti e dove
tutto è possibile in funzione del bene superiore che non è il miglioramento
delle condizioni di vita della gente (locale) ma il mantenimento del controllo
sulle risorse (vedasi l’intervento militare dei francesi in Mali per proteggere
le miniere di Areva, 30% dell’uranio necessario a far andare avanti le centrali
nucleari francesi (http://iphone.france24.com/en/20130125-france-niger-uranium-areva-special-forces-mali-security-special-forces).
Dicevo, un modello che elimina lavoro, attraverso una successione di passaggi
di riduzione progressiva dei salari fino alla riabilitazione del lavoro schiavo
(come mi è capitato anni fa di ascoltare in Brasile da parte di grandi
produttori agricoli nello stato del Pará) (http://jusclip.com.br/trabalho-escravo-ruralistas-vao-tentar-esvaziar-sessao-ou-votar-contra-pec/).
Un modello del
genere, cominciato nell’economia ideologica neoliberale, con gli apostoli
politici Reagan e Thatcher e spinti dalla scuole di Milton Friedman, ha
decollato mettendo al tappeto ogni avversario vicino o lontano (non solo il
Comunismo; ricordiamoci le tante prediche inascoltate da parte di Papa Wojtyla
contro questo modello) e trasferendosi nelle alte sale della finanza e dei
derivati, surrogati e surgelati. Corollario di questa finanziarizzazione è stato
lo spostamento dei centri di comando dallo Stato Nazione e sue istituzioni, a
nuove forme di governante, privatizzate, in mano a Corporates, Transanazionali
etc. che non rispondono a nessun criterio democratico, non essendo stati
eletti.
Possiamo anche
aggiungere che questo passaggio di scala e di dimensione si da dando in un
periodo quando, parzialmente per colpa di questo modello, le risorse naturali
di base (terra, acqua) si stanno riducendo sempre di piú e, combinando con una
demografia in crescita, ci prospettano degli scenari accelerati di crisi.
La questione
relativa alla tenuta sociale di fronte a
un periodo lungo di non crescita, di un ulteriore impoverimento delle famiglie,
di distruzione di altri posti di lavoro, di aumento ancora delle disuguaglianze
si pone oramai come centrale, tanto al Nord come nel Sud del mondo. Dire, come
fa Panara, che non abbiamo un modello di ricambio, è corretto se si riferisce
alle visioni limitate di quella classe sociale che governa attualmente. Non
hanno interesse a pensare a qualcosa di diverso perché questo sistema porta
acqua al loro mulino. Ma fuori da quelle stanze sono in tanti a pensare e a
voler costruire qualcosa di diverso, senza che sia necessariamente una
rivoluzione. Una agenda di base su cui sia possibile unire cittadinanze del
Nord e del Sud, esiste giá: si chiama Rights Based Approach. Ripartire dai
diritti e non dalle furberie, per ricostruire spazi dove si possa limitare il
potere sconfinato di queste Corporates e si possa cominciare a ridisegnare i
contorni dello Stato Nazione alla luce di un necessario ripensamento. i limiti
di questo concetto sono oramai preda di un processo erosivo sia dall’alto che
dal basso: dall’alto perché la necessità di una massa critica superiore per
poter difendere i propri diritti e visioni a scala mondiale fa sí che lo Stato
Nazione deve essere immaginato come elemento federato all’interno di un quadro
maggiore, l’Unione Europea, che deve finalmente prendere in mano l’agenda
politica. Dal basso perché oramai sempre di piú il concetto di riconoscimento,
di comunità sta facendo presa su gruppi ampli di popolazione che richiedono
nuove forme di rappresentatività.
Le risultanze
dell’articolo di Panara sono le seguenti: (i) ricordatevi che il temporale sta
arrivando; (ii) ricordatevi anche che chi guida non ha nessuna ricetta per
portarci su una strada migliore. Ecco, a tutto questo, che significa accendere
una luce rossa sui prossimi scontri sociali che si accenderanno nei paesi del
Nord come del Sud, vorrei solo aggiungere che si puó avere una risposta diversa
alla terza affermazione (non esiste un modello di scorta); per maggiori
dettagli date una scorsa a questi siti: http://www.letteradeglieconomisti.it/;
http://www.facebook.com/atterres;
http://www.facebook.com/SoggettoPoliticoNuovo,
solo per citare i primi che mi vengono a portata di mouse….
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