La vittoria del Leave meritava di essere festeggiata, e per
varie ragioni.
La prima riguarda banalmente la fine di un trattamento di
favore ai britannici, cosa che ci costa la bellezza di 6 miliardi di Euro che
Bxl rimanda indietro in virtù dei recenti accordi di febbraio. 1,2 sono pagati dagli italiani e 1,4 dagli
spagnoli. Miliardi, non bruscolini.
Secondo elemento da considerare è l’atteggiamento tenuto da
quando sono entrati, contrari a qualsiasi tentativo di costruire una europa
politica che andasse al di là del semplice mercato libero. Il grande spazio
commerciale è da sempre il sogno del capitale, finanziario e industriale, e
questo cozza con tutta l’agenda di
diritti che avremmo potuto costruire per far sì che il sogno europeo di
Spinelli e gli altri, diventasse realtà. E qui arriviamo al punto cruciale. Da
tempo mi sforzo di far capire, anche nella organizzazione per cui lavoro, l’importanza
delle percezioni. Siamo talmente oppressi da informazioni di tutti i tipi, in
quantità mostruose che, come dice l’adagio, troppa informazione uccide l’informazione.
E quindi ci si fida sempre di più delle proprie percezioni. Qui non conta
discutere se siano giuste o sbagliate. Quel che conta è che il voto popolare a
favore dell’uscita conferma quanto da tempo si va dicendo sull’incapacità dell’Europa
di crescere e diventare un sogno positivo per i milioni di appartenenti.
Al contrario, la percezione crescente, ovviamente
accellerata dall’inizio della crisi finanziaria del 2008, è che la sola
preoccupazione di chi sta ai comandi sia di salvare le banche e tutti quelli
che stanno in prima classe, lasciando che la seconda classe (la classe media)
si impoverisca e ritorni a far parte della terza classe che sta affondando
sempre più velocemente.
Questa sensazione ce l’abbiamo tutti, inutile nascondercelo.
E dato che il 75% delle leggi nazionali riguardano l’applicazione di direttive
europee, è ovvio che alla fine ci si incazzi sia con chi ci governa, una classe
politica di una mediocrità assoluta, ma anche e soprattutto con il simbolo dei
simboli, cioè Bruxelles.
Che poi le prime reazioni dopo la proclamazione del voto
siano state l’idea di rifare il referendum scozzese, per staccarsi dall’Inghilterra
e chiedere di aprire un negoziato per far sì che la Scozia entri nell’Unione, e
il segnale mandato dal Sin Feinn di una possibile apertura della discussione
sulla unificazione dell’Irlanda, beh questi sono ulteriori elementi per cui
valga la pena festeggiare.
Capiamoci bene: sono contento che l’ Inghilterra, questa
Inghilterra, esca, ma sono ancor più contento per il segnale che manda agli
altri paesi membri. Il rifiuto inglese, che ovviamente ha molte ragioni, può e
deve – a mio giudizio - essere letto come un rifiuto di un modello che ci è
stato imposto dal capitale, dove l’essere umano non conta più nulla, può
tornare ad essere uno schiavo, e quel che importa è far fare sempre più soldi
ai più ricchi. Un modello che da noi significa lo smantellamento dello stato di
diritto, sempre con le stesse inevitabili giustificazioni mercantili, un lavoro
sporco che viene fatto fare a governi di centro sinistra in molti casi, in modo
che sia chiaro che non c’è spazio per modelli alternativi. E allora la gente
comincia a dire basta.
Il voto dell’altro ieri si lega a filo doppio alla questione
della immigrazione e dei crescenti conflitti che abbiamo davanti casa nostra. I
milioni di rifugiati hanno già votato, e continuano a farlo ogni giorno, con le
loro gambe. Fuggono da paesi dove impera la versione estrema del modello che ci
hanno imposto anche a casa nostra: libertà di capitali, zero diritti e ognuno
per sè. A Roma, Parigi, Berlino, Bruxelles non l’hanno voluto capire, e difatti
le risposte ridicole dei vari paesi membri sono state risposte di paura, di
chiuderci in casa, tirar su muri. Bene, adesso abbiamo visto cosa succede
quando si abbandona il mondo della politica e la si lascia in mano ai banditi
di Wall Street. Cominciamo forse a capire che a quei banditi interessa solo il
far soldi per i cavoli loro, sbranandosi come lupi se necessario, ma sempre
pronti a fare gruppo contro il resto del mondo. Il famoso slogan di OccupyWS,
1% contro il 99%... è sempre lì, valido come non mai. L’un per cento comanda,
ma a forza di tirare la corda, il 99 restante comincia a reagire. Questo è un
primo passo, al quale ne seguiranno altri se continuiamo a non far Politica con
la P maiuscula.
Non si tratta di piccoli aggiustamenti, perchè questi solo
potranno postergare una crisi maggiore. Bisogna riprendere in mano l’ABC del
rapporto umano, che si tratti dell’Europa ma, ovviamente, va al di là dei
nostri confini. Quello che bisognerebbe fare è abbatsanza semplice, nella sua
complessità. Ridurre lo spazio dei mercati, metterli sotto stretto controllo di
istituzioni demcoratiche, e ridare una centralità a quelle istituzioni
democratiche, nazionali o sovranazionali che possano guidare questi fenomeni. Ripartire
dall’essere umano, dal patto sociale che ci lega, vuol dire cambiare le caste
politiche che abbiamo fatto eleggere nei paesi del sud per proteggere i nostri
interessi, vuol dire cacciar via la massa di incompetenti che ci guidano
attualmente, e ridare spazio a meccanismi popolari, magari anche da inventare,
perchè dobbiamo ripercorrere all’indietro una strada che ci porti lontano dall’individualismo
sfrenato, per ricercare un senso comunitario dell’essere umano, che diventa
quindi essere sociale, parte di una natura non da depredare ma con cui
convivere, nel rispetto mutuo.
Qualcuno queste cose
le ha scritte, per cui non mi sento solo. Diverso il discorso sulla fattibilità
di tutto ciò, soprattutto pensando che le nostre sorti siano nelle mani di
questi governanti. Ma siccome non voglio dar ragione a George Soros che
considera questo voto come l’inizio dell ineluttabile fine dell’Unione Europea,
chiudo dicendo che ce la possiamo fare, una volta di più ricominciando a far
società dai nostri luoghi di vita e lavoro. Riapprendere ad andare verso gli
altri, cercare assieme modi di con-vivere e di crescita, non solo economica, ma
anche ecologica e spirituale. I cambiamenti che si sono manifestati anche nelle
nostre recenti elezioni, al di là dei pregi e difetti dei nuovi eletti, sono un
altro segnale che il cambiamento va iniziato dal basso. Sarà difficile, sarà
lungo, ma non è che possiamo restare qua ad aspettare che un futuro migliore ci
piova dal cielo. Guardando fuori dalla finestra, con un cielo così limpido, non
credo sarà oggi che scenderà la manna dal cielo. Quindi, sotto, tocca a tutti noi.