lunedì 29 agosto 2016
2016 L37: Sophie Hénaff - Poulets Grillés
LE LIVRE DE POCHE (2016)
Le 36 quai des Orfèvres s’offre un nouveau patron. Faire briller les statistiques en placardisant tous ceux qu’on ne peut pas virer et qui encombrent les services : tel est le but de la manœuvre.
Nommée à la tête de ce ramassis d’alcoolos, de porte-poisse, d’homos, d’écrivains et autres crétins, Anne Capestan, étoile déchue de la Judiciaire, a bien compris que sa mission était de se taire. Mais voilà, elle déteste obéir et puis… il ne faut jamais vendre la peau des poulets grillés avant de les avoir plumés !
Un polar original, nerveux, et désopilant.
Lettura estiva molto consigliata...
2016 L36: Naïri Nahapétian - Qui a tué l'ayatollah Kanuni ?
LIANA LÉVI (2009)
Téhéran, juin 2005, veille de l élection de Mahmoud Ahmadinejad. L ayatollah Kanuni, un juge tout-puissant qui préside depuis 25 ans à la répression des opposants iraniens, est retrouvé assassiné dans son bureau du Palais de justice. S agit-il d une revanche des Moudjahedin du peuple? Ou bien est-ce un nouveau règlement de comptes entre mollahs? Malgré eux, trois personnages se trouvent mêlés à cette affaire. Narek Djamshid, qui, après avoir quitté l Iran enfant avec son père pour se réfugier à Paris, rentre pour la première fois dans ce pays. Leila Tabihi, une « féministe islamique » qui tente en vain de se présenter aux élections présidentielles depuis des années. Mirza Mozaffar, ancien politicien, homme public en déclin, mais membre toujours fringuant de la jet set téhéranaise et don juan infatigable. Ces trois points de vues sur l Iran structurent ce roman qui nous fait découvrir que les mollahs sont des hommes d affaires comme les autres, mais aussi que la boisson préférée de la jeunesse iranienne est le Parsi Cola ! L enquête policière permet de revenir sur la période sanglante qui a marqué l instauration de la République islamique. Narek éclaircira ainsi les circonstances de la mort de sa propre mère, au lendemain de la révolution de 1979. Enfin, en filigrane, sont évoquées les raisons de la victoire de l'actuel président iranien Mahmoud Ahmadinejad.
A me é piaciuto molto... a mia moglie meno.. ma consiglierei la lettura per capire un po' l'Iran dal di dentro...
venerdì 12 agosto 2016
2016 L35: Fëdor Dostoevskij - Memorie dal sottosuolo
A quarant'anni Fedor Dostoevskij è uscito da poco da una serie di vicende drammatiche (la militanza socialista, la condanna a morte commutata all'ultimo momento, la deportazione siberiana) e, pur praticando un'intensa attività giornalistica, sta ancora cercando la sua strada. "Memorie dal sottosuolo" (1864) è il libro che annuncia i capolavori della maturità. Con i suoi tratti autobiografici, il protagonista delle memorie è un uomo timido, senza risorse e protezioni, che la brutalità della vita sociale respinge nel sottosuolo, e a cui non resta che cercare uno sfogo provvisorio tormentando chi sta ancora più in basso di lui: Liza, misera prostituta alle prime armi, incontrata in una sera di neve bagnata.
Di non facile lettura... non dico sarà tra i prescelti, ma tutti dicono fosse una lettura necessaria per capire meglio l'autore...
I dubbi di chi la cooperazione allo sviluppo la fa dal basso
RBA è uno dei
tanti acronimi che girano dalle mie parti. Per molti indica le tre agenzie ONU
più importanti basate a Roma, FAO, PAM e IFAD, raggruppate nel Rome Based
Agencies, mentre per altri il RBA ricorda l’approccio basato sui diritti (Rights
Based Approach).
Nei miei primi anni
di lavoro su questo tema della cooperazione allo sviluppo, non se ne parlava proprio della questione dei
diritti come parte fondamentale del processo di sviluppo. Nella migliore delle
ipotesi si faceva riferimento alla sfera della politica (politiche di riforma
agraria per esempio, per quanto riguardava l’eterna questione dell’accesso alla
terra da parte dei contadini), oppure proprio non ci si pensava (ricordo
ancora, e lo cito spesso ai miei giovani consulenti, quella volta in cui feci
un commento a un mio professore – rigorosamente di sinistra – che parlando dei
piccoli agricoltori africani non ricordava mai l’imprtanza dell’apporto
femminile, come se non esistessero –diritto al riconoscimento negato?- e la sua
risposta lo qualificò a vita per me: rivolgendosi al pubblico del seminario
disse: Paolo parla di donne perchè è italiano, e gli italiani sapete come sono...).
Ricordo questo episodio in particolare per dire che eravamo ben lugi anche dal
riconoscere la base della convivenza umana, l’alterità di genere e il diritto
di essere riconosciuti in questa diversità e costruire da quello un’agenda di
sviluppo.
Parlare di
diritti dei contadini, diritti sulle risorse genetiche, diritto al cibo etc. Proprio
non ci si pensava. Pian piano, grazie a sforzi di tante persone, abbiamo capito
meglio che non si trattava di aggiungere una “nuova” dimensione alle già tante dimensioni
dello sviluppo, ma che si trattava proprio della base fondante, senza la quale
non può esserci nulla di duraturo.
Progressi ne sono
stati fatti, formali ed anche sostanziali, sia a livelo di paesi che a livello
internazionale. Restiamo comunque ancora lontani da una comprensione
generalizzata di quanto fondamentale sia la questione dei diritti.
In anni recenti,
abbiamo provato ad entrare anche in tematiche più tecniche legate all’agricoltura,
cercando di portare questa ventata “diversa”, in un mondo di colleghi
ottusamente chiusi nelle loro certezze di risposte tecniche ai principali
problemi di cui soffre il sud del mondo. Avevamo la sensazione che dietro di
noi soffiasse il vento della storia (ed eccoci ancora qui a farci delle
illusioni a 56 anni suonati), che i paesi del mondo “sviluppato” avessero
capito che l’agenda dello sviluppo doveva passare per la casella diritti,
individuali e collettivi, soprattutto per quanto riguardava le questioni elementari
dell’accesso alla terra, all’acqua, alle foreste, all’educazione e salute...
giusto per citarne alcuni.
Eravamo diventati
bravini nello spiegare ai colleghi quanto fosse drammaticamente attuale questa
questione, spingendoli a riflettere anche nelle loro aree di lavoro. Il più
difficile era ovviamente il lavoro nei paesi, laddove la questione dei diritti
diventa una questione di potere allo stato puro, con pochissima disponibilità
da parte di chi il potere ce l’ha a voler condividerne anche solo una briciola
con chi ne è escluso. Ma con calma e pazienza qualcosa siamo riusciti a portare
a casa, vedi la legge sulla terra in Mozambico oppure il programma per l’agricultura
familiare in Brasile, esempi di lavori dove possiamo dire di averci messo più
di una firma in calce.
Ma nel portare
avanti il lavoro sul terreno e le discussioni con i colleghi non ti esime dal
guardarti attorno, respirare l’aria e cercare di capire dove va il mondo. Ed
allora cominci a renderti conto della forbice che si sta allargando tra le
dichiarazioni formali sull’importanza degli RBA e l’interesse reale che a
questi vengono portati. La sensazione che quella stagione stia finendo ti
avvolge pian piano, a cominciare dal tuo stesso luogo di lavoro, dove misuri in
prima persona questa distanza crescente. Lo vedi ancor meglio quando entri nel
mondo delle emergenze, dove si arriva alla questione centrale, nel mezzo dei
tanti conflitti in atto, sul cosa fare: limitarsi ai soliti palliativi, tende per
gli sfollati, assistenza sanitaria e un poì di cibo per l’immediatezza, oppure
cominciare a mettere sul tavolo le questioni più strutturali? Capisci dal
silenzio che comincia ad avvolgerti, dal non rispondere ai tuoi messaggi, dal
girare la testa dall’altra parte perchè ci sono cose più urgenti da fare...
capisci quindi che il vento sta cambiando... e non porterà il “sol dell’avvenire”.
Torni a casa,
ascolti le notizie, e capisci che anche i famosi paesi sviluppati di cui sopra,
stanno abbandonando questa battaglia, in cambio di pseudo certezze elettorali.
L’abbandonano a casa loro, chiudendo le frontiere, chiudendo gli occhi di
fronte a quello che sta succedendo in Turchia, proponendo di ridurre gli spazi
dei diritti dei lavoratori ogni giorno che passa... insomma, si annuncia un
autunno fosco.
giovedì 11 agosto 2016
Petite poésie de Christiane
(photo de l'année 2008)
Le marronnier malade
avec ses branches
nues et sèches
montre un avenir
qu’il n’aura plus !
Christiane Roux, 10 Août 2016
lunedì 8 agosto 2016
La storica incapacitá della “sinistra” di guardarsi dentro e riformarsi
Quanti di noi di fronte a prese di posizione come quelle
che elencherò in successione avrebbero pensato che chi scrive doveva essere un
destrorso, mentre in realtà sono le sole posizioni che un progressista può ripetere oggi
-
Grazie al cielo l’ANC (Partito sudafricano di
Nelson Mandela) ha perso le elezioni
-
Finalmente i ladri del Partito dei Lavoratori
brasiliani (quello di Lula) cominciano ad andare in galera (Joao Vaccari, ex tesoriere del Partito dei Lavoratori
(PT) brasiliano, al momento al governo, è stato condannato a 15 anni e 4 mesi
di carcere http://www.ristretti.org/Le-Notizie-di-Ristretti/brasile-oltre-15-anni-di-carcere-allex-tesoriere-del-partito-dei-lavoratori;
José Dirceu, ex capo di gabinetto della presidenza Lula, condannato a a 23 anni
e tre mesi di prigione http://www.ilvelino.it/it/article/2016/05/19/brasile-petrobras-lex-braccio-destro-di-lula-dirceu-condannato-a-23-an/ecabf608-b6a7-4e02-8b4a-69bc60ec3613/;
Il
Presidente del Partito, Jose Genoino, è stato condannato a 6
anni e 11 mesi di carcere http://www.italnews.info/2012/11/13/brasile-condannato-lex-aiutante-di-lula/)
-
Speriamo che in Venezuela il presidente sia
abbastanza ‘maduro” da cadere e lasciar tornare la democrazia nel paese http://www.ilfattoquotidiano.it/2016/05/22/venezuela-al-collasso-supermercati-vuoti-niente-farmaci-e-black-out-maduro-ci-fanno-la-guerra-come-con-allende/2747169/
-
Argentina, per fortuna che “Cristina” e il modello
K se ne sono andati http://www.limesonline.com/largentina-rivede-i-fantasmi-della-crisi-del-2001/57644
-
In Nicaragua non riusciranno più a liberarsi del
presidente sandinista Ortega http://www.huffingtonpost.it/daniele-mastrogiacomo/ortega-si-proclama-presidente-a-vita-anche-il-nicaragua-cede-al-potere-personale_b_4693360.html
Mi fermo qui, perchè la lista sarebbe lunga, soprattutto
con gli epigoni europei di quello che fu un movimento storicamente imporante
per promuovere i diritti delle classi povere e trasformatisi, col tempo, in
meri occupanti di potere, sempre alla ricerca di benefici personali e per gli “inner
circles”.
Que reste-t-il de nos amours cantava anni fa Charles Trenet
(https://www.youtube.com/watch?v=T_uvgm2_hRk); noi potremmo dire lo
stesso oggi. Ci credevamo, eravamo anche arrivati a festeggiare la vittoria di
Mitterand in Francia nel 1981, felici che eavamo assieme al nostro “pote” Renaud
(anarco-mitterandiste...). Poi pian piano abbiamo cominciato a svegliarci e
adesso guardiamo con sgomento chi sta ancora lí a credere in partiti che non
sono mai riusciti a portare avanti un esercizio minimo di verifica interna.
Qualcuno ricorda ancora quanto scriveva poco tempo fa Fabrizio Barca,
incaricato di una verifica dello stato del P{D a Roma? Ha definito il PD «non solo cattivo, ma pericoloso e
dannoso» e che «lavora per gli eletti anziché per i cittadini» (http://www.lettera43.it/politica/pd-roma-barca-partito-cattivo-e-pericoloso_43675163186.htm).
A voi sembra che qualcosa sia cambiato? Diceva Agatha Christie: “Un indizio è un indizio, due indizi sono una
coincidenza, ma tre indizi fanno una prova”.
Siamo messi
male. Ma noi che ci diciamo ancora di sinistra ripetiamo alto e forte che non
difendiamo quei partiti e quei movimenti che si sono trasformati in centri di
potere e di collusione, bande di corrotti e peggio. Bisogna ricostruire un
senso della cittadinanza mondiale a partire da un’agenda di valori condivisi,
ripulire la scena da personaggi che starebbero meglio nelle patrie galere che
altrove. Ma la pulizia, necessaria, non sarà sufficiente. Non basta dire Lula
in galera o Renzi vattene a casa, bisogna pensare a come ricostruire e cosa
fare, con chi e su quali basi.
I tentativi di
Sanders in America dimostrano che esiste ancora una fetta importante della
popolazione disposta a mobilizzarsi, andare al di là del proprio particolare,
di uscire per andare verso gli altri. Sarà un cammino lungo, irto di
difficoltà, ma voglio sperare che possiamo ancora farcela. Lasciare il mondo in
mano ai finanzieri e ai bombaroli, non è esattamente il mio sogno. Bisogna
quindi cominciare con chiarire le posizioni e dire chiaro e forte che non
possiamo più perdere tempo e energia a sostenere quei personaggi di cui sopra
che vent’anni fa ci fecero sognare. Che se ne vadano al diavolo. Chiedere loro
di lasciare il palconscenico è ovviamente troppo dato che nessuno di loro vuol
abbandinare la fetta di potere, grande o piccola, che è riuscito a conquistare.
Per cui vanno accompagnati alla porta, e l’esercizio spetta, in primis, ai
propri sostenitori, a chi ingenuamente sogna ancora che questa gente possa sul
serio aiutare i più poveri.
Un caro amico
cileno mi diceva anni fa: prima odbbiamo fare pulizia in casa nostra, e solo
dopo potremo presentarci con la testa alta. Ecco, credo proprio avesse ragione.
Cominciamo col ripulire a casa nostra quindi....
mercoledì 3 agosto 2016
Il riscaldamento globale spiegato ai leghisti (e non solo …)
L’anno scorso si
è realizzata la COP21 (Convenzione delle Parti... quali parti dite voi? La parte,
la parte come direbbe Totó...) a Parigi e, fra rulli e suon di tamburi, si é
firmato un pezzo di carta. Cosa ci sia scritto sopra non é chiaro a tutti (a parte
il neo eletto presidente delle Filippine, per cui quell’accordo é “una cosa
stupida, non voglio rispettarla ... Quella non era la mia firma” http://www.greenreport.it/news/clima/cambiamenti-climatici-le-filippine-non-onoreranno-laccordo-parigi/)
ma insomma ci sarebbero degli impegni, molto timidi a giudicare da alcuni
osservatori (http://www.ilfattoquotidiano.it/2015/12/18/cop21-per-esperti-intesa-non-funzionera-obiettivi-timidi-accordo-non-vincolante-nessuna-sanzione-per-chi-non-lo-rispetta/2307496/).
Dato che per molta
gente, leghista o meno, questa storia del riscaldamento globale (erroneamente,
ma machiavellicamente, cgiamato cambio climatico) non é del tutto chiara,
cercheró in poche parole di spiegare il perchè dovremmo preoccuparcene, in
questi tempi di “invasioni” di immigranti, di “terroristi” e tutto il resto.
Grazie al
riscaldamento globale la desertificazione nel Sahel (e altrove) avanza. Chiaro
che ci sono anche altre cause, tra cui l’incapacità dei governi di farne fronte,
ma restiamo su una delle variabili indiscutibili. Questo sta spingendo, già da
parecchi anni, i vari gruppi di pastori dei vari paesi di questa fascia a
scendere verso sud alla ricerca di nuovi pascoli. Dall’altro lato abbiamo un
aumento delle terre coltivate, sia grazie alla ricerca agricola che mette a
disposizione varietá più resistenti al secco, ma anche pewrchè una popolazione
in aumento ha bisogno di più cibo. Quindi gli agricoltori del sud cercano di
espandere le loro terre coltivate, in particolare là dove ci si avvicina a
fonti d’acqua.
Inevitabilmente
questo provoca conflitti, che prima di essere etnici o religiosi, sono
essenzialmente legati alle risorse naturali e provocati dal famoso
riscaldamento, contro il quale anche un accordo timido come quello di Parigi
viene considerato “una cosa stupida”.
Come già detto
nei giorni scorsi, nella sola Nigeria in questi anni recenti i morti si sono
contati a migliaia. Adesso nella zona del Lago Ciad contiamo oltre due milioni
di sfollati. A loro non resta che camminare.
Tanti moriranno
in cammino, alcuni proveranno a tornare a casa, ma senza un’azione che vada
alle radici del problema, questo si ripeterà ancora e ancora, in modo sempre
più violento.
Aggiungiamoci le
proiezioni demografiche che faranno diventare la Nigeria il terzo paese al
mondo per popolazione complessiva (circa 400 milioni nel 2050 https://populationpyramid.net/it/nigeria/2050/
e quasi 750 milioni nel 2100.
Cammina cammina
poi li ritroviamo a Lampedusa, ma anche su su a Gemonio sotto casa del Trota e
famiglia.
Per cui,
continuiamo a far finta di nulla, tanto che ce frega a noi del cambio
climatico? Niente, solo qualche milione (o decine di) immigrati in più, un po’
di violenza supplementare, un mondo sempre più instabile, ... l’importante é
che ci sia la salute ...
martedì 2 agosto 2016
Ricette semplici da non dimenticare: Pesto
Ingredienti: 50 gr di basilico (alcuni sostengono che il basilico genovese sia unico.. ma quest'anno abbiamo avuto un ottimo basilico nostrano per cui ci siamo lanciati).
Un po'di sale grosso, 100 gr. di parmiggiano (anche qui, alcuni preferiscono il pecorino...), un cucchiaio abbondante di pinoli (variante provata: nocciole del nostro giardino)... poi uno spicchio d'aglio (occhio, togliere il germe) e finalmente, olio d'oliva buono, circa un 100 gr... (ma alla fine si fa a occhio)
In un mortaio pestare il basilico con il sale grosso finché diventa una poltiglia.
Tagliare l'aglio a pezzetti fini e aggiungerlo al composto, continuando a pestare. Stessa storia per i pinoli.
A questo punto aggiungere il parmiggiano, mescolarlo in modo da farne una pasta omogenea e quindi aggiungere l'olio fino ad una consistenza come quella che si vede nella seconda foto.
Noi preferiamo sterilizzare il tutto: quindi vasetti piccoli di vetro, monoporzione, e vai con la bollitura, 40 minuti...
PS. Mia moglie una volta aveva provato a congelarlo, senza sterilizzarlo. Al gusto aveva peró un che di amaro... per cui preferiamo l'altra strada....
2016 L34: Antoine Chainas - Pur
Gallimard 2016
« Cet endroit donne tout son sens à notre combat, Patrick. Les gens de l extérieur pensent que nous nous barricadons par peur d autrui, par étroitesse d esprit. Mais nous ne sommes pas hermétiques, bien au contraire.
Et ceux qui nous taxent de racisme ont tort aussi. Personne n' est plus ouvert sur le monde que nous. Qui voyez-vous ici ? Des Suisses, des Norvégiens, des Suédois, des Américains, des Anglais...
. Des banquiers internationaux, des gestionnaires de capital multinational, des artistes qui voyagent partout sur le globe, des ingénieurs membres d équipes polyglottes.
Expliquez-moi qui d' autre pourrait être mieux au fait de l état de notre époque ? Dites-moi de quelle expérience peuvent se prévaloir ceux de dehors ? Quel sort funeste les attend dans ce chaos égalitaire, ce monstrueux fourre-tout qu ils ont eux-mêmes engendré ?
Ce domaine que vous voyez est peut-être un des derniers où les valeurs, les règlements ont force de loi. Ce ne sont pas les races ni les religions qui nous préoccupent, mais la misère.
Voilà ce que nous voudrions éradiquer. On pourrait considérer qu en un sens, nous sommes les ultimes philanthropes. »
Leggere questo libro subito dopo Globalia fa un certo effetto perché anche qui siamo proiettati in una societá futura, non molto lontana, dove i ricchi e gli "eletti" si separano dal popolino per vivere per conto loro ed impegnandosi attivamente per evitare contatti con quelli di sotto. Qualcosa del genere già esiste, anche da noi in Italia, con i cosidetti condomini orizzontali, specie di comunità dove si accede solo a prezzi d'oro, confinate in zone chiuse al pubblico dove rigono regole interne, protette da sicurezza privata... ecco il libro fa un pasos ulteriore... con uno spruzzetto di thriller che ci mette un bel po' prima di emergere completamente. Insomma un libro da estate...
« Cet endroit donne tout son sens à notre combat, Patrick. Les gens de l extérieur pensent que nous nous barricadons par peur d autrui, par étroitesse d esprit. Mais nous ne sommes pas hermétiques, bien au contraire.
Et ceux qui nous taxent de racisme ont tort aussi. Personne n' est plus ouvert sur le monde que nous. Qui voyez-vous ici ? Des Suisses, des Norvégiens, des Suédois, des Américains, des Anglais...
. Des banquiers internationaux, des gestionnaires de capital multinational, des artistes qui voyagent partout sur le globe, des ingénieurs membres d équipes polyglottes.
Expliquez-moi qui d' autre pourrait être mieux au fait de l état de notre époque ? Dites-moi de quelle expérience peuvent se prévaloir ceux de dehors ? Quel sort funeste les attend dans ce chaos égalitaire, ce monstrueux fourre-tout qu ils ont eux-mêmes engendré ?
Ce domaine que vous voyez est peut-être un des derniers où les valeurs, les règlements ont force de loi. Ce ne sont pas les races ni les religions qui nous préoccupent, mais la misère.
Voilà ce que nous voudrions éradiquer. On pourrait considérer qu en un sens, nous sommes les ultimes philanthropes. »
Leggere questo libro subito dopo Globalia fa un certo effetto perché anche qui siamo proiettati in una societá futura, non molto lontana, dove i ricchi e gli "eletti" si separano dal popolino per vivere per conto loro ed impegnandosi attivamente per evitare contatti con quelli di sotto. Qualcosa del genere già esiste, anche da noi in Italia, con i cosidetti condomini orizzontali, specie di comunità dove si accede solo a prezzi d'oro, confinate in zone chiuse al pubblico dove rigono regole interne, protette da sicurezza privata... ecco il libro fa un pasos ulteriore... con uno spruzzetto di thriller che ci mette un bel po' prima di emergere completamente. Insomma un libro da estate...
lunedì 1 agosto 2016
Un articolo interessante: riscaldamento globale, conflitti pastori-contadini, banditismo e crisi di leggitimità dello Stato
Ho letto e
condivido con piacere questo articolo di Jibrin Ibrahim dal titolo Banditismo
rurale: dalla crisi del nomadismo alla crisi dello Stato (http://opinion.premiumtimesng.com/2016/04/04/172091/).
Il caso che viene
discusso è quello della Nigeria del Nord, dove ci stiamo preparando a iniziare
le nostre operazioni, ma l’articolista fa giustamente capire come il problema
riguardi tutta la regione del centro e ovest dell’Africa.
La tesi sostenuta
è che il banditismo in Africa occidentale sia esploso sulla base di una crisi
di lungo periodo dovuta al riscaldamento globale. A mano a mano che il clima
diventa più secco, aumentano le migrazioni verso sud dei pastori della cintura
saheliana alla ricerca di acqua e pascoli per le proprie mandrie. Ovviamente
questo aumenta le presisoni in zone già abitate e su risorse usate da altre
popolazioni locali, contadini di diverse origini etniche e, magari, anche
religiose. Questo è quanto sta succedendo in particolare nelle regioni a Nord
della Nigeria, che poco a poco si sta svuotando degli animali. L’autore
sostiene che sia i pastori che i contadini stanno perdendo i loro animali che
vengono portati via da queste bande di razziatori alle quali si vanno sommando
ogni giorno di più dei giovani senza futuro che vedono in queste attività l’unica
possibilità di sopravvivenza.
Con l’aumento
dell’abigeato, aumentano i conflitti, gli scontri, i morti e, globalmente, l’insicurezza
della regione intera. A livello più grande, assistiamo impotenti da vari anni a
un massiccio flusso di IDPs, (rifugiati interni al paese) che scappano dalle
loro aree di origine per questi fenomeni. Il rischio di crisi alimentarie è
oramai conclamato, per questo le nazioni unite da qualche settimana hanno
acceso i riflettori su questa parte del mondo, attraverso quella che viene
chiamata la “crisi del Lago Ciad” (poveretto, lui non c’entra per nulla). L’effetto
sottolineato dall’articolista, Professore di Sceinze Politiche, secondo lui
parecchio sottovalutato per il momento, riguarda il fatto che queste esazioni
stanno generando un senso di rivalsa e vendetta sulla base del solito detto che
“sangue chiama sangue”. Si sta andando oramai aldilà di una “semplice” crisi
del pastoralismo, verso una pi1u generale crisi dello stato-nazione, in questo
caso della Nigeria. Più sforzi vanno fatti, studi sono necessari per capire le
ragioni profonde di quanto sta succedendo, la complessità della crisi attuale,
così come è necessario fare un serio lavoro sulla comunicazione che porti oltre
il sensazionalismo e l’emozionalismo, per andare alla radice dei problemi
politici di fondo. Emblematicamente, il Prof. Ibrahim sottolinea che “troppe comunità oggigiorno stanno pensando
e/o pianificando la ‘soluzione finale’ invece di parlarsi, negoziare e cercare
dei mediatori credibili” (too many communities today are thinking about and
planning the ‘final solution’ rather talking, negotiating and seeking credible
mediators. More efforts
should be made to ensure that lines of communication and dialogue are sustained
between and among all the different parties…’).
Esattamente le
stesse parole (dialogo, negoziazione e facilitazione) che sto cercando di
proporre ai miei colleghi della zona, per guidare il nostro intervento nell’area.
Speriamo bene.
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