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venerdì 12 agosto 2016

I dubbi di chi la cooperazione allo sviluppo la fa dal basso


RBA è uno dei tanti acronimi che girano dalle mie parti. Per molti indica le tre agenzie ONU più importanti basate a Roma, FAO, PAM e IFAD, raggruppate nel Rome Based Agencies, mentre per altri il RBA ricorda l’approccio basato sui diritti (Rights Based Approach).

Nei miei primi anni di lavoro su questo tema della cooperazione allo sviluppo,  non se ne parlava proprio della questione dei diritti come parte fondamentale del processo di sviluppo. Nella migliore delle ipotesi si faceva riferimento alla sfera della politica (politiche di riforma agraria per esempio, per quanto riguardava l’eterna questione dell’accesso alla terra da parte dei contadini), oppure proprio non ci si pensava (ricordo ancora, e lo cito spesso ai miei giovani consulenti, quella volta in cui feci un commento a un mio professore – rigorosamente di sinistra – che parlando dei piccoli agricoltori africani non ricordava mai l’imprtanza dell’apporto femminile, come se non esistessero –diritto al riconoscimento negato?- e la sua risposta lo qualificò a vita per me: rivolgendosi al pubblico del seminario disse: Paolo parla di donne perchè è italiano, e gli italiani sapete come sono...). Ricordo questo episodio in particolare per dire che eravamo ben lugi anche dal riconoscere la base della convivenza umana, l’alterità di genere e il diritto di essere riconosciuti in questa diversità e costruire da quello un’agenda di sviluppo.

Parlare di diritti dei contadini, diritti sulle risorse genetiche, diritto al cibo etc. Proprio non ci si pensava. Pian piano, grazie a sforzi di tante persone, abbiamo capito meglio che non si trattava di aggiungere una “nuova” dimensione alle già tante dimensioni dello sviluppo, ma che si trattava proprio della base fondante, senza la quale non può esserci nulla di duraturo.
Progressi ne sono stati fatti, formali ed anche sostanziali, sia a livelo di paesi che a livello internazionale. Restiamo comunque ancora lontani da una comprensione generalizzata di quanto fondamentale sia la questione dei diritti.

In anni recenti, abbiamo provato ad entrare anche in tematiche più tecniche legate all’agricoltura, cercando di portare questa ventata “diversa”, in un mondo di colleghi ottusamente chiusi nelle loro certezze di risposte tecniche ai principali problemi di cui soffre il sud del mondo. Avevamo la sensazione che dietro di noi soffiasse il vento della storia (ed eccoci ancora qui a farci delle illusioni a 56 anni suonati), che i paesi del mondo “sviluppato” avessero capito che l’agenda dello sviluppo doveva passare per la casella diritti, individuali e collettivi, soprattutto per quanto riguardava le questioni elementari dell’accesso alla terra, all’acqua, alle foreste, all’educazione e salute... giusto per citarne alcuni.

Eravamo diventati bravini nello spiegare ai colleghi quanto fosse drammaticamente attuale questa questione, spingendoli a riflettere anche nelle loro aree di lavoro. Il più difficile era ovviamente il lavoro nei paesi, laddove la questione dei diritti diventa una questione di potere allo stato puro, con pochissima disponibilità da parte di chi il potere ce l’ha a voler condividerne anche solo una briciola con chi ne è escluso. Ma con calma e pazienza qualcosa siamo riusciti a portare a casa, vedi la legge sulla terra in Mozambico oppure il programma per l’agricultura familiare in Brasile, esempi di lavori dove possiamo dire di averci messo più di una firma in calce.

Ma nel portare avanti il lavoro sul terreno e le discussioni con i colleghi non ti esime dal guardarti attorno, respirare l’aria e cercare di capire dove va il mondo. Ed allora cominci a renderti conto della forbice che si sta allargando tra le dichiarazioni formali sull’importanza degli RBA e l’interesse reale che a questi vengono portati. La sensazione che quella stagione stia finendo ti avvolge pian piano, a cominciare dal tuo stesso luogo di lavoro, dove misuri in prima persona questa distanza crescente. Lo vedi ancor meglio quando entri nel mondo delle emergenze, dove si arriva alla questione centrale, nel mezzo dei tanti conflitti in atto, sul cosa fare: limitarsi ai soliti palliativi, tende per gli sfollati, assistenza sanitaria e un poì di cibo per l’immediatezza, oppure cominciare a mettere sul tavolo le questioni più strutturali? Capisci dal silenzio che comincia ad avvolgerti, dal non rispondere ai tuoi messaggi, dal girare la testa dall’altra parte perchè ci sono cose più urgenti da fare... capisci quindi che il vento sta cambiando... e non porterà il “sol dell’avvenire”.


Torni a casa, ascolti le notizie, e capisci che anche i famosi paesi sviluppati di cui sopra, stanno abbandonando questa battaglia, in cambio di pseudo certezze elettorali. L’abbandonano a casa loro, chiudendo le frontiere, chiudendo gli occhi di fronte a quello che sta succedendo in Turchia, proponendo di ridurre gli spazi dei diritti dei lavoratori ogni giorno che passa... insomma, si annuncia un autunno fosco.

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