RBA è uno dei
tanti acronimi che girano dalle mie parti. Per molti indica le tre agenzie ONU
più importanti basate a Roma, FAO, PAM e IFAD, raggruppate nel Rome Based
Agencies, mentre per altri il RBA ricorda l’approccio basato sui diritti (Rights
Based Approach).
Nei miei primi anni
di lavoro su questo tema della cooperazione allo sviluppo, non se ne parlava proprio della questione dei
diritti come parte fondamentale del processo di sviluppo. Nella migliore delle
ipotesi si faceva riferimento alla sfera della politica (politiche di riforma
agraria per esempio, per quanto riguardava l’eterna questione dell’accesso alla
terra da parte dei contadini), oppure proprio non ci si pensava (ricordo
ancora, e lo cito spesso ai miei giovani consulenti, quella volta in cui feci
un commento a un mio professore – rigorosamente di sinistra – che parlando dei
piccoli agricoltori africani non ricordava mai l’imprtanza dell’apporto
femminile, come se non esistessero –diritto al riconoscimento negato?- e la sua
risposta lo qualificò a vita per me: rivolgendosi al pubblico del seminario
disse: Paolo parla di donne perchè è italiano, e gli italiani sapete come sono...).
Ricordo questo episodio in particolare per dire che eravamo ben lugi anche dal
riconoscere la base della convivenza umana, l’alterità di genere e il diritto
di essere riconosciuti in questa diversità e costruire da quello un’agenda di
sviluppo.
Parlare di
diritti dei contadini, diritti sulle risorse genetiche, diritto al cibo etc. Proprio
non ci si pensava. Pian piano, grazie a sforzi di tante persone, abbiamo capito
meglio che non si trattava di aggiungere una “nuova” dimensione alle già tante dimensioni
dello sviluppo, ma che si trattava proprio della base fondante, senza la quale
non può esserci nulla di duraturo.
Progressi ne sono
stati fatti, formali ed anche sostanziali, sia a livelo di paesi che a livello
internazionale. Restiamo comunque ancora lontani da una comprensione
generalizzata di quanto fondamentale sia la questione dei diritti.
In anni recenti,
abbiamo provato ad entrare anche in tematiche più tecniche legate all’agricoltura,
cercando di portare questa ventata “diversa”, in un mondo di colleghi
ottusamente chiusi nelle loro certezze di risposte tecniche ai principali
problemi di cui soffre il sud del mondo. Avevamo la sensazione che dietro di
noi soffiasse il vento della storia (ed eccoci ancora qui a farci delle
illusioni a 56 anni suonati), che i paesi del mondo “sviluppato” avessero
capito che l’agenda dello sviluppo doveva passare per la casella diritti,
individuali e collettivi, soprattutto per quanto riguardava le questioni elementari
dell’accesso alla terra, all’acqua, alle foreste, all’educazione e salute...
giusto per citarne alcuni.
Eravamo diventati
bravini nello spiegare ai colleghi quanto fosse drammaticamente attuale questa
questione, spingendoli a riflettere anche nelle loro aree di lavoro. Il più
difficile era ovviamente il lavoro nei paesi, laddove la questione dei diritti
diventa una questione di potere allo stato puro, con pochissima disponibilità
da parte di chi il potere ce l’ha a voler condividerne anche solo una briciola
con chi ne è escluso. Ma con calma e pazienza qualcosa siamo riusciti a portare
a casa, vedi la legge sulla terra in Mozambico oppure il programma per l’agricultura
familiare in Brasile, esempi di lavori dove possiamo dire di averci messo più
di una firma in calce.
Ma nel portare
avanti il lavoro sul terreno e le discussioni con i colleghi non ti esime dal
guardarti attorno, respirare l’aria e cercare di capire dove va il mondo. Ed
allora cominci a renderti conto della forbice che si sta allargando tra le
dichiarazioni formali sull’importanza degli RBA e l’interesse reale che a
questi vengono portati. La sensazione che quella stagione stia finendo ti
avvolge pian piano, a cominciare dal tuo stesso luogo di lavoro, dove misuri in
prima persona questa distanza crescente. Lo vedi ancor meglio quando entri nel
mondo delle emergenze, dove si arriva alla questione centrale, nel mezzo dei
tanti conflitti in atto, sul cosa fare: limitarsi ai soliti palliativi, tende per
gli sfollati, assistenza sanitaria e un poì di cibo per l’immediatezza, oppure
cominciare a mettere sul tavolo le questioni più strutturali? Capisci dal
silenzio che comincia ad avvolgerti, dal non rispondere ai tuoi messaggi, dal
girare la testa dall’altra parte perchè ci sono cose più urgenti da fare...
capisci quindi che il vento sta cambiando... e non porterà il “sol dell’avvenire”.
Torni a casa,
ascolti le notizie, e capisci che anche i famosi paesi sviluppati di cui sopra,
stanno abbandonando questa battaglia, in cambio di pseudo certezze elettorali.
L’abbandonano a casa loro, chiudendo le frontiere, chiudendo gli occhi di
fronte a quello che sta succedendo in Turchia, proponendo di ridurre gli spazi
dei diritti dei lavoratori ogni giorno che passa... insomma, si annuncia un
autunno fosco.
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