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lunedì 1 agosto 2016

Un articolo interessante: riscaldamento globale, conflitti pastori-contadini, banditismo e crisi di leggitimità dello Stato


Ho letto e condivido con piacere questo articolo di Jibrin Ibrahim dal titolo Banditismo rurale: dalla crisi del nomadismo alla crisi dello Stato (http://opinion.premiumtimesng.com/2016/04/04/172091/).
Il caso che viene discusso è quello della Nigeria del Nord, dove ci stiamo preparando a iniziare le nostre operazioni, ma l’articolista fa giustamente capire come il problema riguardi tutta la regione del centro e ovest dell’Africa.

La tesi sostenuta è che il banditismo in Africa occidentale sia esploso sulla base di una crisi di lungo periodo dovuta al riscaldamento globale. A mano a mano che il clima diventa più secco, aumentano le migrazioni verso sud dei pastori della cintura saheliana alla ricerca di acqua e pascoli per le proprie mandrie. Ovviamente questo aumenta le presisoni in zone già abitate e su risorse usate da altre popolazioni locali, contadini di diverse origini etniche e, magari, anche religiose. Questo è quanto sta succedendo in particolare nelle regioni a Nord della Nigeria, che poco a poco si sta svuotando degli animali. L’autore sostiene che sia i pastori che i contadini stanno perdendo i loro animali che vengono portati via da queste bande di razziatori alle quali si vanno sommando ogni giorno di più dei giovani senza futuro che vedono in queste attività l’unica possibilità di sopravvivenza.

Con l’aumento dell’abigeato, aumentano i conflitti, gli scontri, i morti e, globalmente, l’insicurezza della regione intera. A livello più grande, assistiamo impotenti da vari anni a un massiccio flusso di IDPs, (rifugiati interni al paese) che scappano dalle loro aree di origine per questi fenomeni. Il rischio di crisi alimentarie è oramai conclamato, per questo le nazioni unite da qualche settimana hanno acceso i riflettori su questa parte del mondo, attraverso quella che viene chiamata la “crisi del Lago Ciad” (poveretto, lui non c’entra per nulla). L’effetto sottolineato dall’articolista, Professore di Sceinze Politiche, secondo lui parecchio sottovalutato per il momento, riguarda il fatto che queste esazioni stanno generando un senso di rivalsa e vendetta sulla base del solito detto che “sangue chiama sangue”. Si sta andando oramai aldilà di una “semplice” crisi del pastoralismo, verso una pi1u generale crisi dello stato-nazione, in questo caso della Nigeria. Più sforzi vanno fatti, studi sono necessari per capire le ragioni profonde di quanto sta succedendo, la complessità della crisi attuale, così come è necessario fare un serio lavoro sulla comunicazione che porti oltre il sensazionalismo e l’emozionalismo, per andare alla radice dei problemi politici di fondo. Emblematicamente, il Prof. Ibrahim sottolinea che  “troppe comunità oggigiorno stanno pensando e/o pianificando la ‘soluzione finale’ invece di parlarsi, negoziare e cercare dei mediatori credibili” (too many communities today are thinking about and planning the ‘final solution’ rather talking, negotiating and seeking credible mediators. More efforts should be made to ensure that lines of communication and dialogue are sustained between and among all the different parties…’).


Esattamente le stesse parole (dialogo, negoziazione e facilitazione) che sto cercando di proporre ai miei colleghi della zona, per guidare il nostro intervento nell’area. Speriamo bene.

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