Ho letto e
condivido con piacere questo articolo di Jibrin Ibrahim dal titolo Banditismo
rurale: dalla crisi del nomadismo alla crisi dello Stato (http://opinion.premiumtimesng.com/2016/04/04/172091/).
Il caso che viene
discusso è quello della Nigeria del Nord, dove ci stiamo preparando a iniziare
le nostre operazioni, ma l’articolista fa giustamente capire come il problema
riguardi tutta la regione del centro e ovest dell’Africa.
La tesi sostenuta
è che il banditismo in Africa occidentale sia esploso sulla base di una crisi
di lungo periodo dovuta al riscaldamento globale. A mano a mano che il clima
diventa più secco, aumentano le migrazioni verso sud dei pastori della cintura
saheliana alla ricerca di acqua e pascoli per le proprie mandrie. Ovviamente
questo aumenta le presisoni in zone già abitate e su risorse usate da altre
popolazioni locali, contadini di diverse origini etniche e, magari, anche
religiose. Questo è quanto sta succedendo in particolare nelle regioni a Nord
della Nigeria, che poco a poco si sta svuotando degli animali. L’autore
sostiene che sia i pastori che i contadini stanno perdendo i loro animali che
vengono portati via da queste bande di razziatori alle quali si vanno sommando
ogni giorno di più dei giovani senza futuro che vedono in queste attività l’unica
possibilità di sopravvivenza.
Con l’aumento
dell’abigeato, aumentano i conflitti, gli scontri, i morti e, globalmente, l’insicurezza
della regione intera. A livello più grande, assistiamo impotenti da vari anni a
un massiccio flusso di IDPs, (rifugiati interni al paese) che scappano dalle
loro aree di origine per questi fenomeni. Il rischio di crisi alimentarie è
oramai conclamato, per questo le nazioni unite da qualche settimana hanno
acceso i riflettori su questa parte del mondo, attraverso quella che viene
chiamata la “crisi del Lago Ciad” (poveretto, lui non c’entra per nulla). L’effetto
sottolineato dall’articolista, Professore di Sceinze Politiche, secondo lui
parecchio sottovalutato per il momento, riguarda il fatto che queste esazioni
stanno generando un senso di rivalsa e vendetta sulla base del solito detto che
“sangue chiama sangue”. Si sta andando oramai aldilà di una “semplice” crisi
del pastoralismo, verso una pi1u generale crisi dello stato-nazione, in questo
caso della Nigeria. Più sforzi vanno fatti, studi sono necessari per capire le
ragioni profonde di quanto sta succedendo, la complessità della crisi attuale,
così come è necessario fare un serio lavoro sulla comunicazione che porti oltre
il sensazionalismo e l’emozionalismo, per andare alla radice dei problemi
politici di fondo. Emblematicamente, il Prof. Ibrahim sottolinea che “troppe comunità oggigiorno stanno pensando
e/o pianificando la ‘soluzione finale’ invece di parlarsi, negoziare e cercare
dei mediatori credibili” (too many communities today are thinking about and
planning the ‘final solution’ rather talking, negotiating and seeking credible
mediators. More efforts
should be made to ensure that lines of communication and dialogue are sustained
between and among all the different parties…’).
Esattamente le
stesse parole (dialogo, negoziazione e facilitazione) che sto cercando di
proporre ai miei colleghi della zona, per guidare il nostro intervento nell’area.
Speriamo bene.
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