Persino in India ne hanno parlato. Le dimissioni del ministro più popolare, il trofeo maggiore che Macron aveva potuto esporre al momento di presentare il suo governo, creano uno scompiglio la cui onda lunga si prolungherà per mesi, probabilmente fino alle prossime elezioni europee, scardinando alla base la strategia di Macron.
Hulot, che in Francia era stato soprannominato “l’uomo che sussurrava ai presidenti” (dato che ben tre presidenti prima di Macron avevano cercato di portarlo al governo, Chirac, Sarkozy e Hollande), aveva sorpreso tutti accettando la proposta di Macron di diventare il suo ministro di stato per l’ecologia e la transizione energetica. La popolarità di Hulot, trasversale ai fronti politici, assicurava a Macron una benevolenza di fondo da parte di settori della sinistrata ecologista. Un capitale molto importante per il presidente del cambiamento. Non che Hulot fosse realmente un angelo, capiamoci bene: il suo programma televisivo Ushuaia gli aveva assicurato una notorietà incredibile, nonché un bel po’ di soldi per le sue società. Un ecologista un po’ particolare, con 7 macchine in garage come ha dovuto scrivere nella sua dichiarazione pubblica al momento di entrare in funzione. Per questa mancanza di linearità probabilmente i verdi francesi lo avevano già castigato una volta, quando si era presentato alle primarie ecologiste per la scelta del candidato alla presidenza, perdendole.
Restava comunque, per il francese medio, una persona molto popolare e in molti, credo, pensavano che se c’era uno capace di far avanzare la causa ecologista, questo era lui, data la forza che gli dava questa sua popolarità, che nessun altro ministro di Macron ha mai avuto.
In molti lo aspettavano al varco, soprattutto dopo il ruolo che aveva svolto, per il presidente Hollande, come inviato speciale alla Conferenza mondiale sul Clima delle Nazioni Unite (Cop 21) e dove rivestì un ruolo particolarmente importante nel “cucire” le divergenze tra i diversi paesi, al fine di raggiungere un punto di intesa sfociato nella firma dell’Accordo di Parigi. Molti osservatori pensavano che Macron, arrivato alla politica portato da Hollande, avrebbe messo il tema del cambio climatico e della realizzazione dell’Accordo Parigi molto in alto nella sua agenda, in modo da dargli una visibilità mondiale che è quanto di più ambisce il burattino della finanza. Adesso almeno è chiaro che anche quel patto, negoziato al ribasso, con obiettivi minimi e insufficienti, non sarà mai tenuto. Il tema ambientale e del cambio climatico, come oramai abbiamo capito ascoltando i tweet di Trump, non interessa (quasi) più nessuno.
In questi 15 mesi di presenza al governo, Hulot aveva già minacciato varie volte di andarsene, ma all’ultimo momento Macron riusciva sempre a trovare le parole giuste per tenerlo. Lo “coccolava”, come ripetono stamattina gli editorialisti, per poi pugnalarlo ogni volta dietro la schiena al momento degli arbitraggi del budget e delle scelte politiche. Si dice che la goccia finale sia arrivata l’altra sera quando, a una riunione all’Eliseo per tranciare sul tema della caccia (e della biodiversità connessa), sia arrivato anche un noto lobbista dei cacciatori che ha partecipato alla riunione senza esserne invitato e senza che il primo ministro trovasse nulla da ridire. Le conclusioni, alla fine, sono state ancora una volta a favore dei cacciatori e molti pensano, come lui stesso l’ha detto alla radio ieri mattina, che l’ingerenza di questo mondo di lobbisti non era più tollerabile per lui, uomo solo al governo, senza nessuno che lo appoggiasse, sia dentro il governo sia fuori nelle piazze.
Ed ecco quindi che, dopo tanti rospi, alla fine ha buttato la spugna. Da ieri pomeriggio i portavoce governamentali e i vari ministri interpellati, si ingegnano a dire che ha fatto un gran lavoro, che la sua autocritica è esagerata, ma che comunque la politica ecologista del governo va avanti con lui o senza di lui. Essendo stati colti di sorpresa, è chiaro che hanno difficoltà a trovare una strategia di risposta coerente. L’uscita di Hulot arriva in un brutto momento, sia per quanto riguarda l’agenda di riforme di Macron, sia perché mette in chiaro, da parte del numero 3 della gerarchia governamentale (questa era la posizione in classifica di Hulot) che sul tema ambientale non si è fatto granchè. Ma soprattutto, la frase chiara e netta di Hulot contro il modello economico attuale, causa principale dello regolamento climatico, lascia pochi margini di interpretazione.
In queste settimane Macron si gioca il rientro dopo l’estate, un’estate turbolenta che a causa dell’affare Benalla gli ha imposto di fermare la discussione sulla riforma costituzionale. Macron si gioca molto: l’economia cresce meno del previsto e gli annunci del primo ministro di tagli alle pensioni non sono fatti per accontentare la Francia profonda e in più gli casca addosso questa tegola enorme.
Il tutto in attesa della prossima, che sarà la dimissione della ministra della Cultura, Françoise Nissen, la capa di Acte-Sud, altro “trofeo” di alto valore simbolico preso da Macron al mondo progressista. Solo che la Nissen dovrà abbandonare a causa di un inchiesta della magistratura (ricordiamo che in Francia la magistratura è sottomessa al controllo politico) su affaracci legati all’ampliamento della sede parigina della sua casa editrice. Insomma, nulla di altisonante come Hulot, ma solo bassamente una storia di permessi e di soldi.
Dedico questo a tutti quelli che hanno votato Macron, il burattino della finanza che piace tanto a Scalfari e a altri personaggi incredibili del mondo politico italiano, come quel senatore di Rignano.