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mercoledì 29 agosto 2018

Dimissioni di Nicholas Hulot, ministro dell’ecologia di Macron



Persino in India ne hanno parlato. Le dimissioni del ministro più popolare, il trofeo maggiore che Macron aveva potuto esporre al momento di presentare il suo governo, creano uno scompiglio la cui onda lunga si prolungherà per mesi, probabilmente fino alle prossime elezioni europee, scardinando alla base la strategia di Macron.

Hulot, che in Francia era stato soprannominato “l’uomo che sussurrava ai presidenti” (dato che ben tre presidenti prima di Macron avevano cercato di portarlo al governo, Chirac, Sarkozy e Hollande), aveva sorpreso tutti accettando la proposta di Macron di diventare il suo ministro di stato per l’ecologia e la transizione energetica. La popolarità di Hulot, trasversale ai fronti politici, assicurava a Macron una benevolenza di fondo da parte di settori della sinistrata ecologista. Un capitale molto importante per il presidente del cambiamento. Non che Hulot fosse realmente un angelo, capiamoci bene: il suo programma televisivo Ushuaia gli aveva assicurato una notorietà incredibile, nonché un bel po’ di soldi per le sue società. Un ecologista un po’ particolare, con 7 macchine in garage come ha dovuto scrivere nella sua dichiarazione pubblica al momento di entrare in funzione. Per questa mancanza di linearità probabilmente i verdi francesi lo avevano già castigato una volta, quando si era presentato alle primarie ecologiste per la scelta del candidato alla presidenza, perdendole.

Restava comunque, per il francese medio, una persona molto popolare e in molti, credo, pensavano che se c’era uno capace di far avanzare la causa ecologista, questo era lui, data la forza che gli dava questa sua popolarità, che nessun altro ministro di Macron ha mai avuto.

In molti lo aspettavano al varco, soprattutto dopo il ruolo che aveva svolto, per il presidente Hollande, come inviato speciale alla Conferenza mondiale sul Clima delle Nazioni Unite (Cop 21) e dove rivestì un ruolo particolarmente importante nel “cucire” le divergenze tra i diversi paesi, al fine di raggiungere un punto di intesa sfociato nella firma dell’Accordo di Parigi. Molti osservatori pensavano che Macron, arrivato alla politica portato da Hollande, avrebbe messo il tema del cambio climatico e della realizzazione dell’Accordo Parigi molto in alto nella sua agenda, in modo da dargli una visibilità mondiale che è quanto di più ambisce il burattino della finanza. Adesso almeno è chiaro che anche quel patto, negoziato al ribasso, con obiettivi minimi e insufficienti, non sarà mai tenuto. Il tema ambientale e del cambio climatico, come oramai abbiamo capito ascoltando i tweet di Trump, non interessa (quasi) più nessuno.

In questi 15 mesi di presenza al governo, Hulot aveva già minacciato varie volte di andarsene, ma all’ultimo momento Macron riusciva sempre a trovare le parole giuste per tenerlo. Lo “coccolava”, come ripetono stamattina gli editorialisti, per poi pugnalarlo ogni volta dietro la schiena al momento degli arbitraggi del budget e delle scelte politiche. Si dice che la goccia finale sia arrivata l’altra sera quando, a una riunione all’Eliseo per tranciare sul tema della caccia (e della biodiversità connessa), sia arrivato anche un noto lobbista dei cacciatori che ha partecipato alla riunione senza esserne invitato e senza che il primo ministro trovasse nulla da ridire. Le conclusioni, alla fine, sono state ancora una volta a favore dei cacciatori e molti pensano, come lui stesso l’ha detto alla radio ieri mattina, che l’ingerenza di questo mondo di lobbisti non era più tollerabile per lui, uomo solo al governo, senza nessuno che lo appoggiasse, sia dentro il governo sia fuori nelle piazze.

Ed ecco quindi che, dopo tanti rospi, alla fine ha buttato la spugna. Da ieri pomeriggio i portavoce governamentali e i vari ministri interpellati, si ingegnano a dire che ha fatto un gran lavoro, che la sua autocritica è esagerata, ma che comunque la politica ecologista del governo va avanti con lui o senza di lui. Essendo stati colti di sorpresa, è chiaro che hanno difficoltà a trovare una strategia di risposta coerente. L’uscita di Hulot arriva in un brutto momento, sia per quanto riguarda l’agenda di riforme di Macron, sia perché mette in chiaro, da parte del numero 3 della gerarchia governamentale (questa era la posizione in classifica di Hulot) che sul tema ambientale non si è fatto granchè. Ma soprattutto, la frase chiara e netta di Hulot contro il modello economico attuale, causa principale dello regolamento climatico, lascia pochi margini di interpretazione. 

In queste settimane Macron si gioca il rientro dopo l’estate, un’estate turbolenta che a causa dell’affare Benalla gli ha imposto di fermare la discussione sulla riforma costituzionale. Macron si gioca molto: l’economia cresce meno del previsto e gli annunci del primo ministro di tagli alle pensioni non sono fatti per accontentare la Francia profonda e in più gli casca addosso questa tegola enorme. 

Il tutto in attesa della prossima, che sarà la dimissione della ministra della Cultura, Françoise Nissen, la capa di Acte-Sud, altro “trofeo” di alto valore simbolico preso da Macron al mondo progressista. Solo che la Nissen dovrà abbandonare a causa di un inchiesta della magistratura (ricordiamo che in Francia la magistratura è sottomessa al controllo politico) su affaracci legati all’ampliamento della sede parigina della sua casa editrice. Insomma, nulla di altisonante come Hulot, ma solo bassamente una storia di permessi e di soldi. 


Dedico questo a tutti quelli che hanno votato Macron, il burattino della finanza che piace tanto a Scalfari e a altri personaggi incredibili del mondo politico italiano, come quel senatore di Rignano.

lunedì 27 agosto 2018

Vaticano contro Vaticano: giorni difficili per papa Francesco



La lunga lettera con cui Mons. Viganò squaderna una serie di fatti e fattacci interni, difficilmente potrà essere risolta con la frase: “decidete voi!” che il Papa ha pronunciato quando gliene hanno chiesto notizie.

Che dietro ci sia il rancore dell’ex nunzio, può anche essere, che si senta l’odore tipico degli imbrogli di palazzo questo è sicuramente vero, data la tempistica di questa denuncia, che arriva con anni di ritardo e proprio nel mezzo dello scandalo americano.

Sta di fatto che ci sono alcuni punti da chiarire, come ben ricorda l’articolista della Stampa: http://www.lastampa.it/2018/08/26/vaticaninsider/lex-nunzio-negli-usa-vigan-il-papa-si-deve-dimettere-GD4OIe79fAWf1bRoqENZDM/pagina.html

Il problema con la lettera di Viganò è che trasuda di un’ideologia conservatrice e contro gli omosessuali che fa pensare più di un articolista che si tratti della dichiarazione di guerra contro tutto quel settore del mondo cattolico uscito dal Concilio Vaticano secondo. 

Che ci siano settori tradizionalisti interni che Vogliano la pelle di Papa Francesco è poco ma sicuro,    adesso almeno la guerra è dichiarata pubblicamente e il Papa dovrà difendersi in qualche modo. 

E qui sta il punto: se avesse scelto meglio certi suoi “collaboratori”, come l’arcivescovo di Osorno in Cile, fortemente sospettato di aver coperto moltissimi casi di pedofilia della chiesa cilena, prima difeso a spada tratta da Bergoglio (che l’aveva nominato) e poi costretto a chiederne le dimissioni di fronte all’ondata di protesta popolare nel paese, ecco se scelte di questo tipo non fossero state fatte, e se invece di tante belle parole fosse passato agli atti fin da subito, allora sarebbe più facile difendersi. Ma il punto è che da quando è stato eletto, a parte il caso Mc Carrick, non risulta che nulla di concreto sia stato fatto dal Papa su questi temi. Concreto vuol dire qualcosa di diverso e di più di mandare lettere e appelli vari. Voler farci credere che il potere del Papa sia così ridotto da non poter comandare nulla, sembra una linea di difesa molto debole. Papa Wojtyla comandava, eccome, e nessuno si sarebbe sognato di disobbedire ai suoi ordini. Quindi, mi vien da pensare che ordini non ce ne siano stati.

Basti pensare allo scandalo americano: se non fosse  stata l’inchiesta del procuratore Shapiro, nulla sarebbe trapelato. Tornando un momento sul Cile, dove Papa Francesco non aveva visto nulla (“portatemi le prove” fu la sua difesa al momento di lasciare il paese), forse adesso le prove gliele porteranno quelli della magistratura che sta indagando su 158 religiosi, vescovi, sacerdoti e diaconi in prima fila.https://www.ilmessaggero.it/primopiano/vaticano/papa_francesco_cile_abusi_pedofilia_magistratura_indagini_cardinali_vescovi_barros-3874873.html

Se non fosse la Chiesa Cattolica, ma una semplice setta, le galere sarebbero già piene di questi tristi figuri. Ma siccome la Chiesa va sempre difesa, eccoci qua a fare la faccia sorpresa per queste serie interminabili di scandali. Pensare che qualcuno che ha fatto tutta la sua “carriera” all’interno di questa organizzazione, fino ad arrivare al vertice, possa non aver mai sentito dire o conosciuto qualcuno di questi personaggi, sinceramente è difficile da credere.

Avessimo un governo minimamente rivoluzionario, la cosa più ovvia sarebbe di rimettere mano al Concordato!


domenica 26 agosto 2018

2018 L42: Isabel Allende - Il mio paese inventato



Feltrinelli, Universale Economica, 2004

Dopo tanta vita e tanti abbandoni, tanti libri scritti e tanta nostalgia, in questo libro Isabel Allende racconta il suo Cile, immaginato e sognato nella distanza. Il racconto disegna, sul filo di una memoria che aggira i fatti troppo intimi, un paesaggio interiore dove aleggiano gli spiriti dei defunti e dove i ricordi si sovrappongono senza un ordine cronologico. L'autrice fa rivivere le dimore ora scomparse, i paesaggi cancellati dall'edificazione urbana e le persone che hanno segnato la sua vita fino a quando è fuggita alla repressione della dittatura e si è stabilita prima in Venezuela e poi negli Stati Uniti.

Dato che il Cile è un paese che io e Christiane amiamo moltissimo, non sorprenderà se trovo questo libro molto ma molto bello. Sicuramente sarà nella Top.


sabato 25 agosto 2018

2018 L41: Marc Dugain - L'emprise


Gallimard, 2014

Un favori à l'élection présidentielle, le président d'un groupe militaro-industriel, un directeur du renseignement intérieur, un syndicaliste disparu après le meurtre de sa famille, une photographe chinoise en vogue... Qu'est-ce qui peut les relier ? Lorraine, agent des services secrets, est chargée de faire le lien. De Paris, en passant par la Bretagne et l'Irlande, pourra-t-elle y parvenir ? Rien n'est moins certain. Neuf ans après La malédiction d'Edgar, Marc Dugain nous offre une plongée romanesque sans concession au cœur du système français où se mêlent politiques, industriels et espions.

Un po' la stessa storia di Manotti e DOA, sempre presidenziali e il nucleare. Ma molto interessante, mi vien voglia di comprare e leggere il resto della trilogia. Potrebbe finire nella Top.

martedì 21 agosto 2018

2018 L40: Mo Yan - L'uomo che allevava i gatti




Einaudi, 1997

Figli di contadini, orfani, piccole creature senza famiglia: i bambini di Mo Yan sono al tempo stesso creature in carne e ossa e piccoli fantasmi che visitano le case degli adulti e le vaste campagne della Cina rurale. Anche se spesso sono schiacciati dalla violenza degli adulti e dalla brutalità delle regole sociali, e sembrano sempre sul punto di soccombere, conservano una loro leggerezza magica, una capacità di aprirsi dei varchi, delle linee di fuga, magari nel sogno e nella fantasia. La forza espressiva di questi racconti, che uniscono il realismo e la crudezza visionaria di "Sorgo rosso", sta nella loro capacità di dare rilievo drammatico allo scontro tra le due anime dell'uomo, quella misteriosa e incantata e quella miserabile e canagliesca.

Libro difficile da leggere. Tanti racconti sulla Cina rurale dimenticata. Ho dovuto mettermi d'impegno due volte per arrivare in fondo, forse perché non amo i racconti brevi, come questo libro  mi ha confermato.

2018L39: Dominique Manotti - DOA - L'honorable société


À la veille de l’élection présidentielle, des cambrioleurs dérobent l’ordinateur de Benoît Soubise, responsable de la sécurité au Commissariat de l’énergie atomique. Les choses tournent mal, Soubise est tué. Mais une webcam a filmé toute la scène... Le commandant Pâris de la Brigade criminelle se lance sur la piste d’un groupuscule 'écoterroriste', tandis qu’en haut lieu on le presse – un peu trop – de conclure son enquête. 'Quand deux excellents écrivains unissent leur talent pour nous proposer une histoire haletante et critique envers l’État. Un roman inclassable, où l’action le dispute à l’aventure, servi par des personnages plus vrais que nature.

L'avevo già letto anni fa ma mi è capitato in mano dopo aver seguito un'intervista della scrittrice Manotti, che mi piaciuta molto. Il libro è sempre bello, come la prima volta, ma siccome l'avevo già messo nella Top, questo giro salta. 

Macron, baisse ton pantalon



Extrait du discours devant le Parlement européen du 17 avril 2018:

“Notre partenaire américain, avec qui nous partageons tant, fait face aujourd'hui à la tentation du désengagement et du rejet du multilatéralisme, de l’enjeu climatique ou des questions commerciales. Ce modèle, j’en suis convaincu, est puissant comme aucun autre et fragile tout autant car sa force à chaque instant dépend de notre engagement et de notre exigence. Chaque jour, nous devons le défendre ensemble. Alors pour être à la hauteur de cet engagement, la première condition c’est la vérité et la responsabilité.”

L’envol lyrique du Président Macron a plu beaucoup à ses soutiens français et d’ailleurs, ceux qui voie en lui le seul espoir pour l’Europe de demain.

Malheureusement il y ensuite le Macron français, celui qui rentre chez-lui à la maison et force lui est de constater son impuissance sur tous les fronts principaux. La France, et derrière elle l’Europe, ne compte rien face aux diktats américains. Trump donne l’ordre et tous les autres (européens) obéissent, dernier en date le géant pétrolier Total, le “fleuron” de l’industrie française, celui qui ne paye presque rien en impôts en France mais que tout Président française s’obstine à montrer du doit comme l’exemple de la réussite  transalpine.

Trump a établi le 6 août une première série de sanctions contre Téhéran, suivie d'une deuxième en novembre qui ciblera le secteur pétrolier. Au delà de l’illégalité de cette démarche, contraire aux règles de l’organisation mondiale du commerce, comme l’a indiqué le Président chinois, la question est celle de l’indépendance de l’Union Européenne dans ce genre d’affaire. 

Total vient de déclarer qu’il s’en va d’Iran, malgré le “contrat du siècle” qu’il avait signé avec le gouvernement, une affaire de milliards d’euro (http://www.lepoint.fr/monde/sanctions-americaines-le-geant-petrolier-total-s-est-officiellement-desengage-d-iran-20-08-2018-2244588_24.php). Et cela quelques jours après que Bruxelles adopte un mécanisme juridique pour protéger les entreprises européennes qui continueront à commercer avec l'Iran, opposant une fin de non-recevoir aux demandes des États-Unis 


Morale de l’histoire: Macron baisse son pantalon, comme il était facile de pressentir, et la Commission confirme une fois de plus qu’elle ne compte rien.   

lunedì 20 agosto 2018

Haiti: un esempio dell’inutilità degli interventi di emergenza mal concepiti



Gennaio 2010, un terremoto provoca oltre 200mila morti nella disastrata mezza isola di Haiti. Il circo dell’umanitario parte in tromba: agenzie ONU, cooperazioni bilaterali (americani, francesi, canadesi, brasiliani…), ONG a non finire, insomma tutti vogliono “far qualcosa”.

Sono passati oltre 7 anni e mezzo e, come ricordava la FAO pochi mesi fa:FAO/Haïti: Le pays est au bord « d’une insécurité alimentaire grave » 
un modo semplice per dire che sono ancora nella stessa merda in cui si trovavano prima del terremoto.

Eppure non sono stati lesinati sforzi, anche la coppia Clinton ha voluto metterci la faccia, così come i capoccioni della FAO, dal capo dell’ufficio regionale per l’America latina a tanti altri capi e capetti della Sede romana.

Nei giorni immediatamente seguenti il sisma, dopo aver ascoltato l’intervista su France-Inter di un responsabile di Architetti Senza Frontiere in partenza per Port Au Prince nella quale ricordava il problema che stava alla base dei casini haitiani, provai a dirlo, scriverlo e raccontarlo ai miei colleghi FAO: Haiti ha il sistema fondiario più insicuro del mondo. L’ultimo catasto è stato fatto nel 1700, parecchi anni prima dell’indipendenza del paese e da allora lo stato della amministrazione fondiaria non ha fatto altro che peggiorare.

L’Architetto di cui parlavo prima diceva una cosa semplice semplice: la ricostruzione, nella capitale, sarà molto problematica perché nessuno ha uno straccio di titolo di proprietà. Di fatto, nemmeno il suolo sul quale si ergeva il Palazzo presidenziale è sicuramente di proprietà statale. Di conseguenza, ricostruire qualcosa in quel casino sarebbe stato molto difficile e fonte sicura di conflitti futuri.

Non che si trattasse di una gran novità. Parecchi esperti, nazionali e internazionali, avevano già puntato problema fondiario come un fattore di blocco per lo sviluppo del paese. In un paese ancora essenzialmente agricolo, non era possibile fare nessun investimento nel settore perché non si sapeva mai chi ne avrebbe beneficiato. La FAO, tanto per citarne una, nei decenni di attività nel paese aveva deciso di concentrare i propri sforzi sul tema forestale, per combattere la desertificazione del paese. Un collega del settore mi disse una volta che, con tutti gli alberelli che la FAO ha pagato perché siano piantati, si poteva fare un’autostrada da Port Au Prince fino a Roma. Facendo un giro del paese non se ne trovava uno che fosse rimasto. 

La ragione era molto semplice: finché si trattava di esser pagati per occuparsi delle pianticelle messe a dimora nel vivaio, tutto funzionava. Poi quando le piante erano date, gratis, ai contadini perché le mettessero a dimora a casa loro e se ne occupassero, loro prendevano le piante, e magari anche le piantavano da qualche parte, ma siccome la terra non era di loro proprietà non vedevano il loro interesse di occuparsi di qualcosa che un giorno qualcuno sarebbe venuto a reclamare come suo.

Data l’eccezionalità della situazione post-terremoto, proposi allora che la FAO si facesse avanti con na proposta rivoluzionaria: rimettere mano al tema fondiario approfittando del gran battage umanitario che avrebbe permesso di toccare anche interessi consolidati delle vecchie famiglie proprietarie terriere e, con uno sforzo congiunto, sotto l’egida delle nazioni unite, si poteva metter mano tanto alla legislazione come alle istituzioni fondiarie e partire con un approccio, simile a quanto stavamo facendo da anni in Africa, dove si mescolavano tecnologie e scienze sociali. 

Era quello il momento del possibile. Anche perché, se non si fosse fatto qualcosa subito su quel tema, la ricostruzione sarebbe stata quasi impossibile. Riuscii, con molte difficoltà, a realizzare un paio di missioni a Haiti e a parlare della mia proposta sia ai colleghi FAO locali sia a specialisti nazionali, come Mme Oriol, considerata “la” specialista del tema terra, nonché altri colleghi di banche di sviluppo come la BIRD. 

In realtà non riuscii mai ad avere un appoggio serio e convinto da parte dei miei colleghi e dai miei capi. La FAO aveva una paura blu di toccare il tema terra negli interventi di emergenza e il servizio tecnico dedito al tema terra, gestito da un inglese che frenava qualsiasi iniziativa di terreno, non fece nulla per aiutare. Non parlo nemmeno dell’ufficio regionale per l’America latina che sparì velocemente dalla mappa degli attori coinvolti dato che ad Haiti si parla francese e non c’era nessuno in quell’ufficio che lo parlasse correntemente.

Quelli della Banca interamericana (BIRD) non fecero nulla per tirare dentro la FAO (l’unica agenzia ad avere il mandato da parte delle nazioni unite per le questioni fondiarie nelle zone agricole), e preferirono andare avanti da soli, pensando che potevano farcela. Riuscirono così ad avere anche fondi dalla cooperazione francese e americana e fecero partire un progetto pilota di catasto comunale. Rispetto a quello che proponevo io, che avrebbe obbligato a uno sforzo di coordinamento e di iniziativa politica di altro spessore, la risposta della BIRD (e di chi li finanziò) fu la tipica conferma della montagna che partorisce il topolino. A loro serviva in termini di immagine, farsi belli con un gran intervento che non toccava il nocciolo del problema. Il loro sogno era di dimostrare che il loro approccio funzionava nei casi pilota e poi passare a fare un catasto nazionale. Tipico sogno di chi, pur vivendo sul posto, si è dimenticato di ascoltare e capire le forze e gli attori locali.

Siamo a fine agosto 2018 e stamattina ho dato una scorsa su internet per vedere come vanno le cose ad Haiti; ho trovato un articolo apparso su Le Nouvel Obs, che mi pare riassuma in poche parole come siano andate le cose:

“Toutes les initiatives engagées après le séisme destructeur pour élaborer un cadastre national ont été abandonnées. Seules quelques communes rurales en possède un, financé par la Banque inter-américaine de développement.
A la tête du comité interministériel d'aménagement du territoire (CIAT), Mme Oriol estime que ces registres en province ne résolvent rien: "Il y a conflit quand la terre prend de la valeur et c'est exactement le cas sur Port-au-Prince car nous avons une explosion urbaine dans la région métropolitaine".
Cette pression foncière sans régulation a, selon certains responsables, joué un rôle dans l'échec de nombreux projets de reconstruction post-séisme et constitue le premier obstacle au développement économique du pays.

Arrivederci al prossimo terremoto. Nel frattempo, il popolo haitiano ha trovato una sua soluzione: non essendoci possibilità di sopravvivenza locale, ha aggiunto una nuova meta alle loro migrazioni storiche. Prima erano gli Stati Uniti e il Canada, ma da qualche anno anche il Cile è diventata una destinazione ricercata, dato che non c’era bisogno di visto d’entrata. L’anno scorso oltre 100 mila haitiani sono arrivai nel paese. Così adesso in quel paesino lontano dal mondo sono costretti a cominciare a porsi anche loro il problema dell’immigrazione, di quelli che “rubano” il lavoro ai locali, etc. etc….


Vale sempre lo stesso principio: non risolvere un problema laddove si origina, comporta solo che il problema, in una forma o un’altra, si muove e si ripresenterà da qualche altra parte.

domenica 19 agosto 2018

L’Europa che non vogliamo più



Domani la Grecia “esce” dal commissariamento della Troika dopo otto anni di terapia di lacrime e sangue.  In realtà è un’uscita simbolica, dato che il post-salvataggio obbliga il paese a rispettare dei limiti altissimi, impossibili da tenere: un avanzo primario del 3,5% fino al 2022 e del 2,2% fino al 2060. Il debito resta ancora la mina vagante, dato che non è stato tagliato, con il rischio (la certezza secondo il fondo monetario) di vederlo esplodere nel 2032 quando Atene dovrà riprendere a pagare gli interessi oggi congelati.

La domanda retorica è: questa terapia era quella dura ma necessaria per “salvare” la Grecia? 

La risposta è negativa. Come ha dovuto ammettere a denti stretti, la non casualmente francese presidente del fondo monetario internazionale, “Noi e la UE abbiamo sottostimato l’effetto recessivo di alcune delle misure imposte al paese”. Tradotto in volgare: il paziente è stato costretto a prendere una medicina durissima che ne ha aggravato le condizioni di salute. Anche alla Banca Centrale Europea sono stati costretti ad ammettere che “il programma è stato troppo duro. Non avevamo tenuto in conto il crollo della speranza e delle aspettative”.

Dal 2010 fino ad oggi, solo quattro paesi, Libia, Venezuela, Yemen e Guinea Equatoriale, sono cresciuti meno di Atene!

Ma come mai tutto questo è successo? Semplice, da un lato i governi greci, fino al 2009, avevano truccato i conti per continuare a ricevere prestiti e tirare avanti la baracca. Una volta scoperto il trucco, i vecchi partiti sono stati spazzati via, e nuove forze politiche sono arrivate al potere cercando di salvare il salvabile. Il salvataggio era possibile, e a costi infimi rispetto alla situazione attuale. Il problema era un altro: il grosso del debito greco era debito privato, di banche tedesche, francesi essenzialmente, che detenevano qualcosa come 90 miliardi che rischiavano di diventare carta straccia.  Si poteva ristrutturare subito il debito, come hanno ammesso quelli del fondo monetario; unico problema le banche francesi e tedesche avrebbero perso tutto. E i due soci forti dell’unione europea (Merkel e Sarkozy) hanno obbligato l’Europa a prendere tempo, avviando l’era dell’austerity. L’operazione è servita per liberare le loro banche da quei debiti oramai inesigibili e passarli allo stato greco. La ristrutturazione è iniziata solo nel 2012, quando le banche tedesche e francesi non avevano più in tasca un solo titolo. Con questa operazione, costata finora 273 miliardi, l’essenziale dei soldi è entrato e uscito subito dalla Grecia per andare a rimborsare interessi e rate alla UE, BCE e FMI.

Lo scandalo è noto da tempo, ma ancora oggi c’è gente che sproloquia parlando bene della Merkel. Sarkozy è stato tolto di mezzo dai francesi, e forse un giorno sarà finalmente trascinato in tribunale per uno dei tanti scandali nei quali si è trovato in mezzo. Ma la Merkel è ancora lì. Ricordiamocelo.

Il problema è che quando quei due hanno “convinto” l’UE a non ristrutturare subito il debito a causa delle loro banche private, hanno potuto farlo perché sono i soci grossi, quelli la cui massa economico-finanziaria è molte volte più grande degli altri membri della UE.

Sono gli stessi paesi che, per primi, non hanno rispettato le regole di Maastricht sul debito che la UE si era data, ma nessuno ha osato né potuto fare nulla.

Eccolo lì il problema: un’unione europea costruita su asimmetrie di potere così grosse non potrà mai funzionare. Aveva un senso politico all’inizio perché c’era un sogno di una unione politica, che non è mai avvenuta. Siamo rimasti sul terreno economico e finanziario e lì le regole non sono uguali per tutti. 

Come si ostinano a ripetere giornali pro-europei come La Repubblica, nel mondo attuale la massa dei contendenti è tutto: da un lato l’America, dall’altro la Cina e, in mezzo, la UE, troppo piccola per competer con gli altri. Lo stesso problema che abbiamo dentro la UE. Finché quei due lì, Germania e Francia, resteranno nell’UE, non ci saranno mai condizioni basiche per un approccio democratico. 

Il futuro della UE passa dall’uscita della Germania e della Francia. Saremo più piccoli, ma saremo più omogenei!


giovedì 16 agosto 2018

I miei documentari: Paraguay ... l'eterno problema della lotta per la terra


Mi sono portato Massimiliano e Carolina in Paraguay quando stavo dando assistenza al Presidente della Repubblica dell'epoca sul tema della riforma agraria e della agricoltura contadina. In spagnolo.

I miei documentari: Anteprima de L'esercito dei Poveri

E' una lunga storia, nata da una sfida che lanciai ammaestro, chiedendo lui di immedesimarsi di più nelle storie di povertà che incontravo nel mio lavoro. Martoriati lanciò l'idea dell'Esercito dei Poveri.... una cinquantina di pezzi sono stati fatti e venduti, ma speriamo sempre di riuscire a trovare altri mecenati per farne una quantità molto maggiore e por fare un evento pubblico in qualche piazza d'Italia

I miei documentari: Cariatidi, di Mauro Martoriati

in realtà questo lavoro è stato fatto essenzialmente da Massimiliano, in omaggio al nostro artista preferito,Mauro Martoriati

I miei documentari: I pescatori

Oramai ne sono rimasti pochissimi, ma la pesca è sempre stata un'attività importante per molte famiglie di Anguillara, soprattutto quelle del rione la Valle. Qui lasciamo che ci raccontino le loro storie ...

I miei documentari: Quando gli albanesi eravamo noi

Prendendo a presti il titolo di un fortunato libro del vicentino Gian Antonio Stella, in questo documentario incontriamo alcuni degli immigrati / immigrate che vivevano ad Anguillara, ai quali / alle quali abbiamo chiesto alcune cose semplici, per capire da dove venivano, cosa si erano lasciati dietro (cosa gli mancava di più) e come vedevano il futuro.

Il senso del documentario era mandare un messaggio alle autorità municipali, in un momento di buona convivenza fra gli uni e gli altri, mentre si cominciava a sentir montare l'ondata razzista attuale ...

Imiei documentari: 8 donne per l'otto marzo

Nei precedenti documentari erano quasi sempre gli uomini a raccontare la storia. Decisi così di far parlare delle donne, per raccontare i momenti chiave della vita di un tempo, contrastandoli con il racconto di quegli stessi momenti nel mio Veneto, pressapoco nello stesso periodo (inizio secolo XX). Questo per ricordare le radici contadine comuni.

I miei documentari: Anguillara, il senso del crescere

seguito ideale di Anguillara Terra di Dio o degli uomini?, questo secondo documentario copre il periodo dal dopoguerra fino ai primi anni 2000.


I miei documentari: il primo su Anguillara


I miei documentari: Un viaggio verso gli altri

Sempre con Massimiliano


I mei documentari: Il buon pastore

L'ultimo lavoro fatto con Massimiliano.


I miei documentari (per non dimenticare): Around Martignano

Il più breve.
Girato sotto e sopra il lago di Bracciano (zona Borricella) e poi su verso Martignano.

mercoledì 15 agosto 2018

Crollo di Genova



E’ come risvegliarsi dopo una sbronza memorabile. Adesso però bisognerebbe (il condizionale è d’obbligo nel Belpaese) riflettere sul serio sul nostro passato e sul nostro futuro.

Per me, nato negli anni del boom, l’Italia è come una squadra di bassa classifica che, per ragioni incredibili riesce a vincere il campionato e si trova a giocare la Champions con i migliori campioni. Noi abbiamo vinto il campionato a fine anni 50, e da lì abbiamo iniziato a disputare non una ma varie Champions, tanto da arrivare a credere che anche noi fossimo come il Real Madrid. Abbiamo allevato generazioni successive con questo mito, della potenza italiana, di essere uno dei paesi la cui economia è importante nel mondo e, seguendo la frase celebre di Mike Bongiorno, abbiamo pensato di andare Sempre più in alto!

Risvegliarsi da questo sogno non piace a nessuno. Tutti vorremmo credere che lo “sviluppo” continuerà e che porterà frutti sempre migliori per le prossime generazioni. Il distacco dalla realtà si fa ogni giorno più grande e questo renderà ancora più traumatico il risveglio.

Noi non siamo il Real Madrid. Abbiamo avuto un periodo fortunato, venuto dopo una tragedia immane, ricordiamocelo e, passata la festa, il dio del benessere ha cominciato ad andare altrove, lasciando dietro di sé quella realtà che tanti scrittori, da Piovene a Pasolini a Levi, avevano raccontato. Stiamo riscoprendo che dietro la patina del benessere passato c’era un pressappochismo, un fare truffaldino, mezzo mafioso, dove sparivano i soldi ma tutti erano felici.

Adesso non ci sono più i soldi (per la gente, perché per salvare le banche pericolanti per gli affari fatti in Turchia state certi che li troveranno), e ci ritroviamo, ogni giorno che passa, con le pezze al culo. Genova è solo l’ultimo disastro in ordine di tempo, pochi giorni dopo Bologna, ma anche pochi mesi dopo gli altri crolli (ricordate il viadotto della Palermo Agrigento crollato 4 giorni dopo l’inaugurazione?). Insomma, le grandi opere le abbiamo fatte male, troppe volte. Ma così come non abbiamo rispettato le regole basiche per costruire, abbiamo malmenato il territorio in lungo e in largo. In altre parole, abbiamo agito fregandocene di tutto e di tutti, pensando che quel che contava era il tutto e subito, poi per chi verrà dopo si vedrà.

Qualcuno ha anche continuato a pensare che la cuccagna potesse continuare, e il caso della TAV è emblematico: un’opera nata vecchissima, utilissima per rubare soldi a palate, con costi al chilometro che nemmeno la Ndrangheta oserebbe far pagare. 

Bologna prima e Genova adesso potrebbero farci svegliare e ricordarci che siamo stati fortunati a mettere via un po’ di benessere passato ma che davanti a noi lo “sviluppo” sta portando solo i frutti marci, perché quelli buoni sono andati verso altri mercati. Riaprire gli occhi e accettare di volare basso, di concentrare quel po’ di risorse che esistono (e tutte quelle che vanno recuperate dalle mafie e dai banditi in doppiopetto) per rimettere a posto i danni che noi, ripeto noi, non gli immigrati, abbiamo causato al nostro territorio. Potremmo così lasciare in eredità un’Italia meno altezzosa e più terra terra, un’Italia dove sia ancora possibile vivere in condizioni più umane, ridando fiato alle comunità locali e lasciando perdere la Champions. 

Spes ultima dea


martedì 14 agosto 2018

Boda Charlotte - Loic: Bolsita Mapuche (con esposa)



Esta bolsita, ofrecida a los convidados de la boda, es muy importante tanto para Charlotte como para nosotros. 



La señora Juana, Mapuche de la Araucanía chilena, aprovechando de un programa del Instituto de Desarrollo Agropecuario (INDAP), impulsado por el ex Director y viejo amigo Octavio, ha podido desarrollar un negocio que le permite, a partir de la lana de sus ovejas, teñidos con colores preparados por ella y tejidos con sus viejas maquinas, preparar productos artesanos que vende a los turistas que pasean por la región de Los Lagos.





Nosotros las conocimos el verano pasado y nos gustò mucho lo que ella hacía. Una mujer indigena, empresaria y con una cadena corta y casera, el mejor presente posible: un recuerdo de Chile y de los lindos años pasados allá; producto artesanal y fomentando el desarrollo de mujeres indigenas, que mas podíamos esperar?

Questa borsa, offerta agli invitati al matrimonio, è molto importante sia per Charlotte che per noi.

La signora Juana, Mapuche dell'Araucanía cilena, approfittando di un programma dell'Istituto di sviluppo agricolo (INDAP), promosso dall'ex direttore e vecchio amico Octavio, ha potuto sviluppare un business che le permette, dalla lana delle sue pecore, tinta con colori preparati da lei e tessuta con le sue vecchie macchine, preparare prodotti fatti a mano che vende ai turisti che visitano la regione di Los Lagos.

L’abbiamo incontrata la scorsa estate e ci è piaciuto quello che ha fatto. Una donna indigena, impresaria e con una catena corta e casalinga, il miglior regalo possibile: un ricordo del Cile e dei bei anni trascorsi lì; prodotto artigianale e promozione dello sviluppo delle donne indigene, cos'altro potevamo sperare?



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Ce petit sac, offert aux invités du mariage, est très important pour Charlotte et pour nous.

Mme Juana, Mapuche de l'Araucanía chilienne, profitant d'un programme de l'Institut de développement agricole (INDAP), promu par l'ancien directeur et vieil ami Octavio, a pu développer une entreprise qui lui permet, à partir de la laine de ses moutons, teinte avec des couleurs préparées par elle et tissée avec ses vieilles machines, de préparer des produits artisanaux qu'elle vend aux touristes qui traversent la région de Los Lagos.


Nous l’avons rencontrée l'été dernier et nous avons aimé ce qu'elle a fait. Une femme indigène, femme d'affaires et avec une chaîne courte et artisanale, le meilleur cadeau possible: un souvenir du Chili et les belles années passées là-bas; produit artisanal et promouvoir le développement des femmes autochtones, que pouvions-nous demander de plus ?

lunedì 13 agosto 2018

26 Juillet 2018: mariage Charlotte - Loic. Quelques mots de Christiane

Avant tout je voulais remercier mon papa Fernand et ma maman Carmela qui seront pour toujours là avec leur famille.

Je ne l’ai pas vue venir. Elle était petite, et elle est devenue grande.  

Elle m’a surprise et une autre femme est là. 

Ce n’est pas une comete, c’est une étoile. 

Un petit soleil, une jolie lueur dans un bleu profond.

Un falot qui guidera une troupe, une autre smala.

Je vous souhaite à toi Loic et à toi Charlotte, tout le bonheur du monde

Mon petit soleil, je t’aime.

domenica 12 agosto 2018

2018 L38: Antonio Fusco - Le indagini del commissario Casabona



Giunti 2017

Schivo, ma con una forte carica umana, reso cinico da troppi anni di mestiere alle spalle, il commissario Tommaso Casabona dirige la squadra mobile della cittadina toscana di Valdenza con il piglio e la fermezza di chi sa di essere dalla parte giusta: quella della legge. Una convinzione che lo guida anche quando la caccia al colpevole minaccia il fragile equilibrio della sua famiglia: una moglie insoddisfatta con cui non riesce più a parlare; un figlio che si è perso nella droga; una figlia determinata a diventare criminologa, con suo sommo disappunto. E in mezzo a tutto questo, tre indagini serrate, tre assassini da braccare, tre misteri da risolvere: una donna senza volto ritrovata uccisa in una casa che non è la sua; un uomo freddato da una revolverata vicino a un antico borgo sommerso dalle acque di un lago; una donna carbonizzata sotto un vecchio ponte ai margini del bosco. "Chiediti perché e troverai il movente, e se troverai il movente sarai vicino all'assassino": seguendo questa regola come un mantra, Casabona dovrà affondare le mani nel ventre molle della provincia italiana, dove l'unica cosa che conta è l'apparenza, ma dove niente è come appare.

Buona lettura per questa estate torrida, soprattutto il terzo episodio

lunedì 6 agosto 2018

2018 L37: Juliette Benzoni - Le vol du Sancy




Plon, 2016

Accusé d'avoir volé le Sancy, célèbre diamant des joyaux de la Couronne de France, Aldo Morosini va vivre la plus dangereuse aventure de sa vie...Parce qu'elle l'a tiré d'un mauvais pas, sans même s'en rendre compte, Morosini, ravi, a promis à l'insupportable Ava Astor qu'il lui trouverait un diamant " dut-il le voler à la Tour de Londres " ! Il plaisantait naturellement, mais c'était sans compter qu'Ava est aussi sotte que méchante... Peu de temps après, il voit débarquer Ava à Venise : elle vient lui réclamer le célèbre Sancy qui vient d'être volé chez Lord Astor. Comme, naturellement, il ne l'a pas, elle l'accuse de vouloir le garder pour lui et le dénonce... Plus incroyable encore, Lord Astor prétend avoir reçu cette même nuit Aldo, qu'il n'a jamais vu, et qu'il lui a volé le Sancy... Incapable d'accepter pareille situation, et le scandale grandissant, Aldo flanqué d'Adalbert part pour Londres pour rétablir la vérité. Ils vont y vivre l'aventure la plus dangereuse de leur vie...

Non credevo esistessero scrittori/scrittrici da classe alta. Qui si gira fra marchesi, sue eccellenze, contesse e i più poveracci hanno solo una scatola di diamanti e un paio di castelli. Fra le righe, la classe imperiale aristocratica inglese che viene dipinta mostra molto bene il sentimento di superiorità che caratterizza gli inglesi (quelli di sopra) e il loro disprezzo per tutto quello che sta sotto. Si consiglia di evitare, oppure leggerne uno per capire che razza di letteratura esista in giro (oltralpe)!