Non so se oltre alle pubblicazioni del gruppo Benedetti (Repubblica e l’Espresso) ci siano tanti altri luoghi dove si cerchi di discutere dell’evoluzione di questa forza politica, dalle sue origini al suo quasi nulla attuale.
Anche stamattina ritrovo un articolo di Nadia Urbinati che fa seguito ai tanti interventi di Ignazi, Murgia, Cacciari e molti altri. Quello che mi sorprende è l’appiattimento storico su avvenimenti recenti per cercare di spiegare cosa sia successo e quali possano essere le strade per venirne fuori. Uno dei temi portanti sembra essere il ruolo chiave delle prossime elezioni europee, con proposte che rasentano l’incredulità, sia per la serietà dei proponenti, primi fra i quali Cacciari e Scalfari, sia per l’opposizione ontologica tra le parole “sinistra” e “Macron”.
Ma lasciamo perdere per un momento questa poco utile ricerca dentro i limiti di una attualità che non si capisce se non si allunga il collo verso i decenni che l’hanno preceduta. Proprio in queste settimane mi è capito di rileggere un libro molto interessante sulla storia di Giovanni Falcone e il vuoto istituzionale, politico, mediatico che gli venne creato attorno per isolarlo e creare le condizioni per la sua eliminazione fisica. Che la Democrazia Cristiana fosse legata a filo doppio con la mafia era cosa che pensavamo in tanti fin da piccoli, ma Falcone riuscì a dimostrarlo nelle aule dei tribunali. Che la mafia fosse un’entità che agiva in modo organico e sistemico fu lui a pensarlo e a dimostrarlo, contro le opinioni di molti intellettuali siciliani e non. Che la DC locale e nazionale non volesse del bene a Falcone era chiaro, ma uguale era la situazione con il PCI, con intellettuali come Trombadori e Macaluso a criticarlo in maniera incomprensibile, fianco negli “eroi” della primavera siciliana come Leoluca Orlando. Non parlo poi dei giornalisti, sia quelli a libro paga della mafia oppure delle forze governative siciliane, ma anche di “penne” sacre come Sandro Viola della Repubblica.
Oltre a questo libro mi è capitato in mano il rapporto di minoranza sulla Commissione Parlamentare sullaP2, scritto dall’onorevole radicale Massimo Teodori. Testo che dovrebbe essere obbligatorio nelle scuole superiori, molto di più di quello all’acqua di rose preparato e votato alla maggioranza (pentapartito + PCI). Il testo è interessante perché spiega come non solo i partiti dei governo avessero contatti con la mente strategica della P2, Licio Gelli, ma che anche il PCI avesse molti scheletri nell’armadio da nascondere su questo rapporto che iniziò addirittura prima della fine della guerra, quando Gelli era un noto attivista della RSI.
Mano a mano che si va avanti con queste letture ritornano in mente tutte le rabbie di quegli anni ed anche si capisce a comprendere meglio il distacco fra la logica di quel potere, democristiano, al quale ambiva anche il PCI, e la vita vera della gente normale. Finché il patto lavoro e benessere contro delega totale ai piani alti di fare quello che gli garbava ha funzionato, lo scollamento non si è avvertito molto. Al massimo aumentavano i voti del PCI, che altro non era che una chiesa diversa negli slogan ma fondamentalmente sempre più articolata al modo di governare in voga: aiutare gli amici, nessuna trasparenza, un conservatismo di fondo e un interesse quasi nullo per il tema dei diritti femminili e un silenzio assordante nella lotta alle mafie, interrotto solo da quei militanti e leader che ancora credevano nei miti fondanti del Partito, per cui ci rimisero la pelle, senza che questo facesse cambiare la politica vera, non quella delle chiacchiere, dei lire nazionali.
Con lo sconquasso degli anni 90, e la provata incapacità di queste forze politiche di capire e gestire il nuovo mondo che appariva dopo la caduta del muro di Berlino e lo scioglimento dell’Unione Sovietica, la supplenza lasciata alla magistratura ha segnato il passaggio dal primo al secondo tempo. Un secondo tempo dove si è incrinato il patto di fondo, perché di lavoro e benessere cominciava ad essercene meno, mentre la sfiducia accumulata negli anni nei confronti delle forze di governo cominciava a cercare altre strade, velleitarie, ma comunque segnali che qualcosa di profondo si era rotto.
Lo scioglimento del PCI e della DC dentro quella strana cosa che oggi è diventata il PD, si è fatto nell’assenza totale di comprensione di cosa fosse successo e di come la percezione della gente normale fosse oramai lontana anni luce da quella dei quella che G. Stella chiamò la “Casta”.
Non essendoci quasi più nulla da proporre, nel senso che le grandi priorità del paese non erano state rilevate prima e lo erano ancor meno da questa nuova forza politica: lotta alle mafie, all’evasione fiscale, al degrado del territorio, nonché tentare di capire cosa produceva la nostra azione occidentale (non solo italiana ovviamente) nelle realtà del sud, provocando i primi mega flussi di immigrati che si pensò potessero essere risolti con un buon film e nulla più. L’economia andava a rotoli e forse non molti ricordano l’intervento del governo Amato che si prese i soldi direttamente nei nostri conti correnti per cercare di ridurre il mega deficit nazionale.
Si cercò allora la supplenza dell’Unione Europea, inventandosi una sfida che facesse dimenticare tutto il resto. Riuscimmo ad ancorarci all’euro, pensando che quella fosse la soluzione. Fin dall’inizio mancava l’altra metà del programma e cioè una unificazione politica che compensasse le asimmetrie di potere evidenti nell’economia. Questa mancanza fece sì che pian piano quello che era diventata una “conquista” di cui tutti eravamo fieri, la moneta unica, è diventata parte del problema, dato che dietro di lei si nasconde un meccanismo e una ideologia neoliberale che sta trascinando i paesi del sud Europa verso il fallimento, mentre quelli legati alla Germania accumulano soldi a palate.
Che il banco dovesse saltare per aria era solo questione di tempo, e probabilmente questo non è ancora finito. I temi lunghi delle evoluzioni di società (tradotti in processi politici) hanno fatto sì che la rabbia accumulata da oltre un trentennio cominciasse a venir fuori. Che poi i 5S e la Lega riescano ad incanalarla è un altro discorso: già c’aveva provato l’ex-Cavaliere e gli è andata male, questi qui sembrano ancora più rozzi e impreparati, sopratutto nell’ala 5S.
Abbiamo davanti anni di incertezze, economiche, politiche, finanziarie e tutto quello che viene dietro, tipo le emergenze ambientali e l’aumento prevedibile delle migrazioni. La riflessione dovrebbe portare su questa ampiezza di campo, e non focalizzarsi su queste elezioni che potranno solo certificare un avanzamento di queste forze fuori dal campo tradizionale, probabilmente però non abbastanza per cambiare la sostanza di un’Europa che al giorno d’oggi è più un problema che una risorsa. Basta leggere quello che lo stesso Espresso scrive dell’eredità che ci lascia l’ubriacone lussemburghese Junker, uno che avrebbe dovuto andare in prigione e non certo a dirigere la Commissione.
Il dibattito in corso mi sembra tremendamente povero, ma nel che è peggio è che probabilmente è anche quanto di meglio questa “sinistra”, oramai transitata verso un Centro che forse non esiste più (in questo momento storico), sia capace di mettere in gioco.
Prepariamoci al peggio.
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