Un’economista progressista conosciuta scrive oggi su uno dei grandi quotidiani, la sua opinione su come cambierà il capitalismo grazie al Covid-19. Alcune idee sono condivisibili, ma secondo me commette lo stesso errore di tanti altri economisti (progressisti o no) parte del pensiero mainstream: continuare a parlare di una futura crescita.
L’errore è di taglia, e per questo condivido alcune idee che ho in testa da qualche tempo.
La crescita economica continua ad essere misurata dalla variazione del Prodotto Interno Lordo, il PIL, il quale misurail valore aggregato, a prezzi di mercato, di tutti i beni e i servizi finali (cioè destinati al consumo) prodotti sul territorio di un Paese in un dato periodo di tempo. Cerco su Wiki e trovo anche cosa NON misura:
Il PIL tiene conto solamente delle transazioni in denaro, e trascura tutte quelle a titolo gratuito: restano quindi escluse le prestazioni nell'ambito familiare, quelle attuate dal volontariato (si pensi al valore economico del non-profit) ecc.; non vengono inglobate nemmeno le attività sommerse e i proventi derivanti da attività illecite e non vengono separati i costi dai benefici delle attività produttive, non tiene in nessun conto il loro l’impatto sociale ed ambientale delle attività produttive, ossia le loro esternalità negative. Il PIL non riesce a fornire informazioni sulla distribuzione del reddito all’interno di una nazione né a quantificare lo stock di ricchezza accumulata. Un altro grande limite del PIL risiede nel “costo” che la collettività sostiene – in termini di impatto ambientale – per produrlo, poiché “l’uomo in un anno consuma più di quanto la terra può riprodurre”.
Il PIL è misura della quantità dei beni e servizi prodotti, ma non della loro qualità: il denaro speso in prodotti nocivi per il benessere (come alcol e gioco d’azzardo) è valutato sullo stesso piano del denaro speso per la cultura o l’istruzione. “Il PIL non distingue tra spese che aumentano il benessere umano e 'defensive expenditures' che proteggono dai problemi derivanti dal benessere tradizionalmente inteso come il risanamento ambientale dai disastri industriali, il trattamento delle patologie sociali (dipendenza da fumo, obesità, etc.) e la spesa militare per proteggere gli interessi nazionali da minacce percepite o reali”.
Il PIL, come del resto tutti gli altri indicatori, non è strumento neutro ma è espressione del paradigma teorico da cui ha origine.
In parole semplici se la mia fabbrichetta produce X di un certo prodotto, inquinando della quantità Y i fiumi dove sversa i resti di produzione, il nostro PIL aumenta. Se il mio governo spenda miliardi per comprare gli F35 e toglie la stessa somma all’educazione o alla sanità, il risultato sarà equivalente per il PIL.
Di esempi così se avremmo a migliaia, ed è per questo che, ricordandoci che di Terre ne abbiamo solo una, è lapalissiano per qualsiasi cittadino/a che non si possa continuare a “crescere”.
Da anni gira questa frase di Kenneth Boulding : in un mondo di risorse finite, gli unici a credere nella crescita infinita o sono pazzi oppure sono economisti!
Dobbiamo quindi sperare che l’uscita dal Covid-19 ci porti a lavorare a indicatori dove si distinguano (in positivo) le attività che rispettano e si occupano di rimettere in equilibrio l’ambiente, locale, nazionale, mondiale, e quelle che invece lo danneggiano. In quel modo se arrivassimo a un obiettivo Zero, significherebbe che il nostro impatto sulle risorse naturali, clima e quant’altro, non sarà stato negativo. E allora verranno premiati quei paesi che, al contrario di adesso, combatteranno le pratiche negative. Lo stesso si potrebbe fare per indicatori che, misurando la disuguaglianza (li abbiamo già!), premiassero quei paesi dove la stessa venisse ridotta. E così di seguito.
Non si tratterebbe di utilizzare l’indice di benessere come in Buthan, ma qualcosa di radicalmente diverso da adesso. Il primo problema ovviamente lo abbiamo nei nostri intellettuali che continuano a pensare in termini di crescita e a deprecare chi parla di decrescita. Dopo di loro, veniamo anche noi, che nel nostro piccolo troviamo più facile accomodarci con l’idea di accumulare sempre di più e di infischiarcene dell’ambiente dove viviamo.
Approfittiamo di questa pausa impostaci dal virus per pensare meglio e diversamente al mondo che vogliamo costruire dopo. Non il mondo che ci aspetta, perché quello rischia di essere lo stesso mondo problematico di prima, ma un mondo più solidale come lo stiamo mostrando ogni giorno di più.
Nessun commento:
Posta un commento