Un articoletto recente, apparso sul Venerdì della Repubblica (gennaio 2023, n. 1818), porta ulteriori elementi interessanti alla questione. “Ciao maschio…” viene da dire, pensando alla triste sorte del cromosoma Y, quello presente soltanto nei maschi, che alla 12° settimana di gravidanza attiva il suo gene SRY, il quale a sua volta accende il “collega” SOX9 nel cromosoma 11, la cui azione trasforma infine le ovaie dell’embrione in testicoli. Triste sorte perché il cromosoma Y, tipico dei mammiferi, in origine era il gemello del cromosoma X, che contiene 900 geni e di cui le donne conservano due copie, ma con l’andare del tempo ha perso pezzi, restando con soli 55 geni, che spariranno del tutto, si calcola, entro 11 milioni di anni. Allora, in teoria, nasceranno soltanto mammiferi femmina, e le specie si estingueranno, o si riprodurranno per partenogenesi, ottenendo embrioni da soli ovociti, come del resto fanno già alcuni rettili”.
Guardare l’albero per non vedere la foresta
Forse dovremmo modificare questo detto con un più appropriato: guardare le tecniche per non vedere le persone. L’idea che pian piano sto sviluppando è che tutto quel profluvio di riflessioni, ricerche, dibattiti promossi dagli intellettuali dell’operaismo (corrente di pensiero e di ricerca marxista, sviluppatasi in Italia agli inizi degli anni sessanta – Wikipedia dixit), con la centralità della classe operaia come motore dello sviluppo economico, abbia creato molti danni alla causa dell’uguaglianza di genere. L’operaismo vedeva nella classe operaia (declinata sempre al maschile) come l’agente principale di un processo rivoluzionario.
Nei fatti, questa corrente di pensiero si portava dietro una visione molto parziale – e ideologica – della storia, centrata sul capitalismo come fonte di tutti i guai. Erano (e sono) incapaci di vedere come il dominio maschile sulle donne fosse ben precedente allo sviluppo capitalistico; precedente ma non innato, nel senso che, contrariamente a quanto si è voluto credere, non è sempre stato così. L’uomo ha da sempre una paura ancestrale riguardo al suo potere, legato al fatto che la riproduzione è legata alla donna. È lei che da luce, e l’uomo può solo contribuire ma non controllare. Quanto scritto sul Venerdì farebbe pensare che questa paura dell’uomo sia innata.
Per il semplice fatto che da molti secoli l’uomo aveva preso il potere sulle donne, quando gli “operaisti” si son svegliati, non hanno pensato nemmeno per un momento di prendere una dimensione storica che andasse al di là del capitalismo e che partisse dalla questione del patriarcato.
Il risultato, come spesso viene ancora ripetuto da intellettuali dei movimenti contadini, è che la questione di genere è considerata come una contraddizione secondaria del capitalismo, per cui non serve perdere tempo su queste cose ma concentrare la lotta contro il capitalismo.
Io sto arrivando a pensare che sia esattamente il contrario: il capitalismo nasce e si sviluppa come lo conosciamo, proprio perché si fonda sul patriarcato. Una specie di contraddizione secondaria di quest’ultimo. Non serve, pertanto, concentrarsi sulla lotta anticapitalista, che tanto abbiamo visto piace a tutti, destra e sinistra nella sua maggioranza. Se vogliamo cambiare il mondo, bisogna concentrarsi sulla lotta al patriarcato. Questo non vuol dire lasciar perdere le questioni delle disuguaglianze o del cambio climatico o della finanza, ma semplicemente che dobbiamo fare come ci insegnavano alla nostra scuola dei geometri: prima si pensa alle fondazioni della casa e poi piano piano si arriva al tetto.
Nel nostro caso, la fondazione dell’edificio umano, se lo vogliamo più ugualitario, parte dalle asimmetrie di potere e, torno a ripeterlo, dalla questione “domestica” come veniva proposta oltre 50 anni fa dalle specialiste come Mariarosa, Selma, Laura…, così poco considerate dai capoccioni dell’epoca.
Sfortunatamente vediamo che ancora oggi, anche nel mondo detto progressista, si fa fatica a capire quale sia l’ordine delle priorità. Da qualche anno si è scoperta l’agroecologia, e se provate a fare una ricerca sul web con le parole femminismo e agricoltura, saltano fuori moltissimi esempi di persone, uomini e donne di “sinistra”, che presentano l’agroecologia come una risposta femminista al dominio maschile.
Se però andate a leggere con attenzione quegli articoli, alla fine della fiera ci si limita a parlare di tecniche agricole più rispettose dell’ambiente e, a volte, di gruppi di donne che si sono messe assieme per portare avanti dei progetti agroecologici. Questo non costituisce un’alternativa. È solo una tecnica agricola, certamente migliore dei disastri ambientali dell’agricoltura “moderna”, ma che, al fondo, non dice nulla sui rapporti uomo-donna non solo nel campo ma, soprattutto, all’interno del nucleo sociale di base: la famiglia. Un’agroecologia che non ponga al centro un cambio radicale di rapporti nella sfera domestica, a me francamente non mi dice nulla di particolarmente progressista.
Quindi dobbiamo separare questa passione per l’agroecologia da quella, più fondamentale, della questione patriarcale.
Qualche giorno fa ho condiviso una griglia iniziale di compiti domestici e una serie di colonne per capire chi le esegua: l’idea è di usare uno strumento di questo tipo in quei movimenti che si credono all’avanguardia della riflessione agricolo-ambientale e di genere, perché analizzino all’interno dei loro partecipanti e membri, quali sono i rapporti di forza reali in seno al nucleo domestico.
Voglio sognare che un giorno queste associazioni, Leghe di vario tipo, Partiti e magari anche grandi movimenti contadini, inizieranno a mettere ordine in casa propria, spingendo cioè i loro simpatizzanti a cambiare registro a casa loro, non tanto per dare un “salario” al lavoro domestico, ma per capire che devono prendersi la loro metà di responsabilità, così da liberare tempo per le donne per poter fare quello che loro vogliono. Immaginate una Via Campesina, che rivendica di rappresentare 200 milioni di contadini (quindi una metà di donne), che riesca a far cambiare modo di fare (certificato dalle compagne – mogli) ai membri maschili, così da chiuderla una volta per tutte con la violenza di genere (ben conosciuta negli asentamentos della riforma agraria in Brasile) e con la possibilità di presentarsi al mondo come un vero movimento democratico. Dare più spazio alle donne, attraverso una condivisione dei compiti della sfera domestica, permetterebbe anche di arrivare a discutere di nuovi modi d’azione, grazie a un pensiero differente che potrebbe farsi strada anche nelle dirigenze di questi movimenti.
Non crediate che stia dicendo che le donne sono migliori. Semplicemente sono diverse e noi dobbiamo imparare primo ad accettare le loro diversità, secondo a costruire assieme nelle diversità, rispettando anche queste portatrici di altre idee e visioni.
Da oggi inizia il lavoro che, fra un paio d’anni o forse prima, ci porterà a un nuovo capitolo di questa riflessione, iniziata con Quando Eva bussa alla porta.
Un abbraccio a tutte/i le/i possibili interessate a contribuire.
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