In questo post ci riferiamo, per brevità e chiarezza, a quanto esposto da Leopoldina Fortunati nel suo saggio L’Arcano della riproduzione -Casalinghe, prostitute, operai e capitale, pubblicato nel 1981 (Marsilio, Venezia, 1981). Come l’autrice ricorda, il libro nasce dalle lotte femministe dei primi anni 70, sulla scorta di quanto aveva scritto Mariarosa Dalla Costa nel suo Potere e sovversione sociale (Marsilio, Venezia, 1972; Ombre Corte, Verona, 2021).
Il punto di partenza all’epoca era la chiara posizione della sinistra che continuava a considerare il lavoro domestico come improduttivo, una delle attività marginali all’interno del modo di produzione capitalista: discutere di questi temi era, secondo loro, un perdere tempo ed energia rispetto alla imminente rivoluzione operaia.
Le posizioni della sinistra, se non hanno portato a nessuna rivoluzione, hanno indirizzato le poche iniziative istituzionali verso l’alleviare il lavoro domestico, fornendo servizi sociali tipo asili, doposcuola, case di riposo per anziani, servizi di vario tipo per i disabili, senza voler comprendere il significato del lavoro domestico all’interno del sistema capitalista e senza definirne la portata socio-economica.
È triste dover constatare, come lo ricorda ancora Fortunati, che a distanza di decenni, sul riconoscimento del lavoro domestico non si è ottenuto nessuna conquista significativa sul piano formale. Anche la campagna Wages for Housework promossa all’epoca, pur essendo stata piena di idee elettrizzanti, è rimasta ai margini del movimento femminista per l'ultimo mezzo secolo.
La situazione attuale al giorno d’oggi è molto preoccupante, con una forte tendenza al ritorno verso un dominio ancor più forte del maschio nella sfera domestica. Un’inchiesta realizzata da Consolab nel 2019 in cinque paesi europei conferma la forte sproporzione tra la carica di lavoro femminile e quella maschile nella sfera domestica. Ben il 75% delle intervistate dichiara “fare di più” del loro congiunto, con l’Italia a guidare la classifica con l’88% dichiarando fare di più del loro congiunto (https://www.ifop.com/publication/nettoyer-balayer-astiquer-la-persistance-des-inegalites-de-genre-en-matiere-de-partage-des-taches-menageres/).
Siccome al peggio sembra non esserci limite, dall’America trumpiana viene avanti un forte movimento regressivo portato dalle Mogli Tradizionali (TradWives) (https://it.linkedin.com/pulse/lo-tsunami-trad-wives-e-la-cecità-della-sinistra-italiana-paolo-flfcf).
In reazione a questo, e per riprendere le fila del percorso proposto da Dalla Costa ed altre sulla sfera domestica, abbiamo creato un gruppo aperto di lavoro, composto da donne e uomini provenienti da orizzonti diversi, il tutto con l’accompagnamento del gruppo Ecofem di cui faccio parte.
La nostra proposta parte dal considerare come elemento centrale, particolarmente nelle nostre società del Nord, il tempo e la sua ripartizione. Anche le Nazioni Unite hanno iniziato ad interessarsi al concetto di “time poverty”, (CFS of the UN, October 2023. Voluntary Guidelines on Gender Equality and Women’s and Girls’ Empowerment in the Context of Food Security and Nutrition) e noi approfondiamo questa chiave di lettura. Il tempo domestico è quella quantità necessaria per realizzare una serie di compiti che una coppia considera importanti per tenere a galla il rapporto (matrimonio, convivenza o altro).
Il tempo di ogni persona ha un valore che va al di là del prezzo (salario) che il mercato potrebbe indicare. Il tempo è una quantità limitata per tutte le persone, e la sua ripartizione nell’arco della giornata è frutto di negoziazioni che sono parzialmente dipendenti dalla nostra volontà specifica ma anche da costrizioni esterne nonché da altre variabili strutturali come il livello di reddito, di educazione etc.. In questo ambito, il trade-off fra le varie utilizzazioni del tempo dipende, ovviamente, anche dalle asimmetrie di potere fra le persone. La valorizzazione sociale che viene data ai vari possibili usi del tempo è frutto di una costruzione sociale dominata largamente dal maschio, cosa per cui le attività più “importanti” socialmente, quelle di prima scelta, sono affidate ai maschi, mentre le secondarie restano nell’ambito femminile.
Considerando il tempo e la sua ripartizione come elemento centrale in una teoria dell’uguaglianza, significa uscire dal mondo dell’economia e iniziare a viaggiare verso lidi diversi, ancora da definire.
Nel nostro quadro concettuale, non esiste interscambiabilità di tempo con denaro. Anche se certe attività domestiche possono essere esternalizzate (e quindi monetarizzate il che rimanda al livello di stipendio disponibile), come la pulizia di casa, la cura degli anziani …, ne resteranno sempre alcune che devono essere realizzate dalla coppia o da una delle due persone.
Che questa non sia la strada da percorrere è abbastanza evidente quando si consideri che il lavoro di colf, badante, aiutante domestica, stiratrice, sono professioni in larghissima parte esercitate solo da donne (spesso sottopagate).
Ecco quindi chiarito l’ambito della nostra proposta: la centralità del tempo e il suo valore. Tempo che non si può comprare ma tempo che va equamente condiviso. Due domande sorgono quindi spontanee: tempo per fare cosa e cosa si intende per “equamente”.
Per definire il “cosa” fare, possiamo riallacciarci alle riflessioni proposte dall’INSEE, che identifica tre perimetri di attività (compiti), necessari a un equilibrio nella vita di coppia: da quelle più fondamentali (che identificano un perimetro ristretto, come, ad esempio ….), spostandoci poi verso attività importanti ma non così tanto come le prime, (caratterizzando un perimetro intermedio …) ed infine un perimetro più largo dove si concentrano attività più ludiche. Coppie diverse, per reddito, cultura, luogo di abitazione etc., avranno delle attività parzialmente diverse, cosa per cui non è possibile determinare a priori una lista esaustiva di tutte le attività rilevanti. Questo comporta un altro aspetto metodologico (la co-costruzione della lista comune) sul quale torneremo più avanti.
Per quanto esaustiva sia poi la lista delle cose da fare, va ricordata la necessità di includere anche la componente di mental load, cioè tutto quanto riguarda la pianificazione, il monitoraggio etc…
Finalmente, relativamente alla seconda domanda, cosa si intenda per equa ripartizione, riteniamo che il punto di equilibrio tra le due persone interessate, vada ricercato, negoziato e concordato tra di loro. In altre parole, “equa ripartizione” non significa un obbligo di arrivare al 50% per ogni stakeholder, ma andare verso una ripartizione che le persone interessate considerino come equa dal loro punto di vista. Ovviamente in questo campo entrano in gioco le asimmetrie culturali e di potere, l’educazione ricevuta fin da piccoli/e, che possono portare a distorcere il livello di equità.
Ecco perché l’approccio da noi proposto considera come elemento strutturante la partecipazione tanto degli uomini che delle donne. Questo perché, essendo il tempo (quotidiano, settimanale, mensile) a disposizione una quantità finita, il cammino verso una equa ripartizione significa, quasi inevitabilmente, che per poter guadagnare tempo libero a propria disposizione, bisogna che qualcun altro metta maggiormente del suo tempo per la realizzazione di parte dei compiti sopra indicati.
Il nostro quadro concettuale si basa sull’approccio negoziale, inteso come un processo attraverso il quale le due parti cercano di raggiungere un’intesa che si traduca in una soluzione appagante dei bisogni individuali sulla base di una volontà di scambio. Il terreno della negoziazione, nel nostro caso è una situazione di contrasto, di posizioni differenti, dove ognuno si attiva per tutelare i propri interessi ma secondo un’ottica di mutuo vantaggio. Risorsa fondamentale della negoziazione, infatti, è la capacità degli attori coinvolti di cogliere e intuire non solo i benefici personali ma anche quelli della controparte.
Negoziare la ripartizione del tempo necessario alla realizzazione di una serie di compiti la cui esaustività dovrà essere mutualmente accettata dalle due parti. Il punto di partenza però deve considerare la storica asimmetria di potere a tutto vantaggio del maschio e deve mettere in essere delle attività volte a livellare il terreno di gioco (levelling the playground).
Questo perché non sarebbe sufficiente proporre una semplice negoziazione tra maschio e femmina di una coppia alla ricerca di una equa ripartizione, accettando come un dato di fatto immutabile il retaggio storico e culturale che impone alla donna una serie di compiti: il risultato finale rischierà di essere la perpetuazione dello stesso dominio attualmente in essere.
Dialogo-Negoziazione-Concertazione, con una attenzione specifica a livellare il terreno di gioco, così che attori/attrici giochino un fair game.
Da queste premesse emergono vari punti strutturanti la proposta, che ricordiamo brevemente:
1. Centralità del tempo e non fungibilità col denaro
2. Necessità di lavorare simultaneamente con uomini e donne
3. Cose da fare (e da pianificare/monitorare): perimetri che si allargano in funzione della importanza (da centrale a periferica) dell’attività: dialogo tra le parti per concordare la lista definitiva
4. Obiettivo dell’equa ripartizione: negoziazione e concertazione tra le parti che va accompagnata da
5. Attenzione particolare alle asimmetrie di potere (evidenti o nascoste)
In termini concreti, noi proponiamo di misurare queste asimmetrie nella sfera domestica attraverso un Indice di Parità Domestica (IPAD) che serva come strumento di advocacy per accompagnare il percorso di quelle istituzioni, sindacati, movimenti o altro, che abbiano mostrato una base di interesse per le tematiche legate all’uguaglianza di genere, ma che non si siano messe ad approfondire il tema dentro le loro organizzazioni. Un primo test è stato realizzato con un partito progressista italiano, permettendo di mettersi d’accordo sul punto di partenza. Da lì inizierà un percorso di sensibilizzazione, formazione ed educazione interno per poter mostrare come questi squilibri si possano ridurre.
Voler lavorare con maschi e femmine è un aspetto su cui insistiamo parecchio, e questo per due ragioni. Da un lato, se si tratta di riequilibrare il tempo dedicato ai compiti domestici, è ovvio che per poter aumentare il tempo disponibile per le donne bisogna convincere i maschi a metterne di più da parte loro, per cui tutto l’approccio negoziale che consideri le asimmetrie di potere esistenti prende tutto il suo senso. Dobbiamo lavorare assieme, precisando che il pubblico a cui ci dirigiamo non è qualsiasi movimento, partito o altro, ma chi sia di suo già interessato a queste tematiche. Il secondo argomento è legato alla necessità di costruire alleanze politiche per portare avanti una proposta che voglia ambire a diventare parte delle politiche pubbliche di un paese avanzato.
Il gruppo di lavoro è aperto, per cui chi fosse interessata/o può contattarmi.