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domenica 11 luglio 2010

Partorire

Non è vero che partoriscano solo le donne. E che ci sia un limite biologico. Partorire un nuovo essere, una nuova vita, ecco questo può succedere anche quando sei maschio e cinquantenne. Il travaglio è lungo, elefantiaco, e non sai ancora cosa verrà fuori da te, ma oramai il processo è partito e tanto vale raccontarlo.

Entrato un po’ casualmente a lavorare in questa organizzazione, con gli anni mi sono fatto le spalle, in quanto a esperienza, di terreno, di osservazioni e riflessioni. Ma sempre con un fondo di ingenuità, di credere che anche i colleghi che frequentavo tutti i giorni e addirittura alcuni dei capi fossero realmente interessati a promuovere i valori che stanno alla base della nostra organizzazione.

Poi pian piano cominci a renderti conto che così non è, e che soprattutto quelli che sembrano più vicini a te, politicamente, ideologicamente, sono quelli da cui diffidare maggiormente. Inizi così a scoprire cosa sia quella cosa che adesso ha anche una sua definizione ben precisa, il mobbyng. Se non vi è mai capitato di sentirlo sulla vostra pelle ve lo racconto io.

L’inizio non è mai cos’ improvviso. Si parla col capo simpatico, che come te è uno di sinistra, addirittura è stato ministro della riforma agraria, e quindi non fai molta resistenza ad aprirti con lui. Gli racconti come vivi tu l’organizzazione dal didentro, le difficoltà di portare avanti progetti, la necessità di alleanze anche con quei settori che meno piacciono ai tuoi capi, movimenti sociali etc. Tutto sembra andar bene finchè pian piano vedi che le strade divergono, che quella falsa vicinanza serviva solo a carpire i tuoi sentimenti più concreti e le tue idee, così da catalogarti ben bene. Vedi che il capo si allontana sempre più e verso quegli attori che, fino a poche settimane prima, eravate in due a criticare. Tu resti col cerino in mano e le tue proposte di lavorare con i movimenti sociali, lui se ne va verso quelli che hanno il potere e non vogliono cederlo. Cominci a capire che quello che gli interessa realmente è la sua parcella di potere, arrivare su in alto, magari diventare il prossimo Gran capo. Solo che ha sbagliato strada e le amicizie che frequenta, professionalmente, sono quelle che hanno contribuito maggiormente a creare questa povertà mondiale per cui se vuoi star con loro, essere invitato da loro, fare le pubblicazioni chic, devi rinunciare ai tuoi sogni. Se poi ti ritrovi sotto di te uno che invece ti ricorda tutti i giorni quei compromessi, quelle idee, quella voglia di fare, allora diventa un obbligo cercare di buttarlo fuori ed eliminarlo. Ci prova una prima volta e poi una seconda, e per due volte un ministro del paese dove stiamo preparando la proposta di politica, viene a Roma a dirgli in faccia, a lui e superiori, che così non va bene, che se si sono rivolti a noi è proprio per quelle idee che difendiamo, e non certo per stare dalla parte dei potenti. Non contento ci riprova, al momento del concorso per entrare, e clamorosamente viene smentito dai suoi stessi simili. Da quel giorno, sputtanato pubblicamente, giura di farmi fuori. Promosso ad altre funzioni più importanti, incarica un uomo di fiducia, uno di quelli che la riforma agraria l’ha vista, ma dall’altra parte, cioè di quelli che sono stati espropriati, di far terra bruciata attorno a me. Per anni quello si impegna, con gusto, anche senza conoscermi, e solo il giorno che viene promosso a Roma, incontrandoci per la prima volta, mi conferma che l’ordine gli era stato dato dal capo precedente.

Pensi la cosa finisca lì, ma in realtà hai passato la sottile linea rossa e sei entrato nella lista nera per cui, partito un capo, ne arriva un altro a continuare, con altra classe, lo stesso gioco del fare terra bruciata. In una organizzazione gerarchica come la nostra, tutto quello che fai deve essere approvato da sopra, e sopra c’ è sempre un altro capo, e prima o poi ricaschi nei perimetri da non superare. Un capetto ti fa un primo perimetro che tu, con la forza degli anni e del lavoro fatto, riesci spesso a oltrepassare, ma dopo ne trovi un altro, e poi un altro.

Arriviamo così alla situazione attuale: dopo aver provato che con i movimenti sociali si può lavorare, ed anche sui problemi politicamente più spinosi, e che quindi scegliere sempre i più potenti non è l’unica strada possibile, ti rendi conto che attorno a te non c’è più nessuno. A parole tutti parlano di partecipazione, di appoggiare i contadini più poveri, ma appena si tratta di toccare i fili elettrici del potere, spariscono tutti, e sei solo ad affrontare i tuoi capi, sia quelli che da sempre giocavano in un altro campionato, sia quelli che durante una breve primavera hanno mostrato di essere con te sulla stessa linea. Ma poi il richiamo della foresta arriva anche per loro ed il potere resta la sola bussola possibile.

Per te che non lo hai mai cercato, per cui non sei ricattabile, non possono usare i sistemi classici, promuovere per rimuovere. Qualcosa devono inventarsi. Se intanto tu provi ad andare avanti su quei temi sensibili dell’accesso alla terra, anche senza proporre rivoluzioni, ma semplicemente che sia possibile usare il potere della nazioni unite per mettere sul tavolo la discussione sulle questioni di potere, chi ce l’ha e chi non ce l’ha, allora diventi realmente un rompiballe. Se poi ti metti anche a lavorare sui diritti territoriali delle popolazioni indigene, allora: Tombola. Non importa che tu lo faccia come risposta a domande ufficiali rivolte da istanze delle nazioni unite, quello che importa è che si tratta di temi politicamente sensibili. Ed è a questo punto che capisci che quella stessa organizzazione che tu credevi fosse stata creata per lottare contro la fame e la povertà contadina, in realtà ha la coda di paglia, ha grosse difficoltà a proporre temi sensibili, quelli del potere. E questo succede perché la logica del potere, cercarlo, averlo a tutti i costi, è la logica dominante come in qualsiasi altra impresa. E sappiamo tutti che se vuoi potere devi ingraziarti chi il potere ce l’ha già e quindi evitare i temi sensibili che possono creare frizioni.

Per cui son qui al caldo, a scrivere queste riflessioni, sapendomi oramai solo davanti a gente silenziosa, che cerca nel bene e nel male di fare il suo compito, ma senza chiedersi il perché delle cose e soprattutto senza osare alzare la voce verso i piani alti.

L’altra sera guardavo un film di Robert de Niro, C’era una volta nel Bronx; la storia di un autista di autobus e del figlio, immigrati italiani, che vivono nel quartiere dominato da un gruppo di guappi italiani. Il figlio (di De Niro) cresce con l’attrazione della vita luccicante che i mafiosi gli fanno sognare, soldi, potere, rispetto (o paura?), mentre il padre, povero autista senza un soldo in tasca, integerrimo, non vuol sporcarsi le mani con quella gente ma vede il figlio, a cui non può offrire i posti più belli allo stadio, ne alle riunioni di box, che pian piano si stacca da lui per avvicinarsi ai mafiosi, pur sapendo chi siano e cosa rappresentino. Il film è tutto in questo eterna necessità di scegliere cosa siamo e soprattutto cosa vogliamo essere. Stare dalla parte del potere, anche se sei l’ultimo scalino della scala gerarchica, ance se a te magari non arriverà mai nulla in tasca, farlo per convenienza, per paura, per comodità, oppure scegliere di stare dall’altra parte, valori, principi e stare con la schiena dritta.

Molti dei miei colleghi fingono di credere che basti non porsi queste domande, e quindi il problema sparisce. Forse non hanno mai conosciuto quel direttore che anni fa spiegava: una non risposta E’ una risposta!. Il non voler scegliere è già una scelta, è la scelta del codardo, di chi preferisce stare dalla parte del potere per paura di essere buttato fuori. E’ la scelta di chi non ha idee da difendere e preferisce farsi spiegare dagli altri cosa deve pensare e dire.

Poi sopra ci sono quelli che scelgono. Scelgono di stare dall’altra parte, da chi il potere ce l’ha e non lo molla.

Stanno provando a farmi fuori in queste settimane, in un modo che non è quello di Saviano, capiamoci bene. Farmi fuori vuol dire chiudere gli spazi dove sia possibile democraticamente far valere le proprie ragioni, difendere gli interessi dei contadini senza terra e delle popolazioni indigene, nonché delle donne senza terra. Una goccia al giorno, dosi omeopatiche che non fanno male. Magari tu non dormi la notte, ma quello è lo scopo ricercato, cuocerti a fuoco lento, con il silenzio assenso di chi fa finta di non capire ed è sempre pronto a girare la testa da un’altra parte.

Da questo, da tutto questo, ne esco uscendo come uomo nuovo, sto partorendo un altro Paolo, meno ingenuo, che ribatterà punto su punto e che si batterà fino in fondo, anche nell’assenza di un pur minimo segno di appoggio da parte dei miei colleghi.

Sei anni fa un collega e fratello di fede moriva così, di colpo, e della sua memoria, dei suoi sforzi di allargare gli spazi di dialogo fra governi dei paesi dell’Est e organizzazioni contadine, non è rimasto più nulla. Su di lui è stato steso un velo di silenzio, per far dimenticare più in fretta. Ma il valore dell’esempio è quello che conta e che resta. La lotta per questi principi non finirà con noi, bisogna riuscire ad aprire spazi anche per le nuove generazioni in modo da essere ancor di più a lottare. Il senso di questa lotta non sta tanto nel tuo percorso individuale, ma nei valori che si stanno difendendo. Rompere il muro di gomma non sarà facile ma come ci hanno insegnato De Castro, Dumont e molti altri, bisogna credere che ogni giorno ci fa avanzare, per il solo fatto di essere ancora lì a combattere.




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