Finimmo l'università e ci buttammo sul lavoro, ognuno cercando la sua strada. Gli anni ottanta sono quelli della gran fame in Etiopia, che resero famoso Bob Geldof e i suoi concerti per l'Africa. Ma più vicino a noi, in Francia, un conosciuto e provocatore attore franco italiano, Coluche, lancia l'dea dei Ristoranti del Cuore (Resto du Coeur), aperti per i periodi invernali, con i resti dei prodotti non consumati dai supermercati, ditte e ristoranti. Voleva essere una provocazione, dopo 4 anni di governo socialista che pretendeva cambiare il mondo e alla fine si era arreso come tanti altri prima di lui. L'anno successivo Coluche moriva in un incidente di moto ed oggi, 25 anni dopo, i Resto du Coeur sono ancora la, indispensabili per migliaia di famiglie ed invididui, per tirare avanti durante i lunghi mesi d'inverno. Segnale inequivocabile: così come la Fame nel mondo non si è ridotta, anzi, oramai la fame si è installata anxche nei nostri paesi del nord.
L'evidenza è la per dirci che non riusciamo a risolvere nessuno dei problemi maggiori del mondo, ne al Sud e ancor meno al Nord. 25 anni fa non pensavamo molto all'ambiente, oggi chi può permettersi di non ricordarselo? Magari non sappiamo cosa fare, ma la rarità dell'acqua, il disboscamento, la cattiva qualità dell'aria che respiriamo sono davanti a noi ogni giorno.
Per alcuni erano gli anni della crescita economica, il liberalismo galoppante col suo corollario (meno conosciuto) di crisi nei paesi del sud: in america latina quegli anni sono rimasti nell'immaginario collettivo come la Decada Perdida, il decennio perso. Per noi, per la nostra generazione erano ancora anni quando implicitamente pensavamo che un lavoro l'avremmo trovato e che il nostro futuro sarebbe stato meglio di quello della generazione precedente.
Cosa abbiamo e cosa siamo oggi, cinquantenni più consapevoli del fatto che di mondo ne abbiamo uno e non possiamo più far finta che quello che succede agli altri non riguardi anche noi?
Abbiamo tutti un lavoro, una casa e dei figli che crescono con gli stessi dubbi nostri e sicuramente meno certezze. Pian piano arriviamo alla consapevolezza che la fuori non si tratta di un altro mondo, ma dello stesso mondo nostro e che, secondo il principio dei vasi comunicanti, se noi stiamo meglio allora altri verranno o cercheranno di venire da noi. Così come quando all'epoca dei nostri bisnonni si stava male da noi e quindi partivano in america, in australia a cercar fortuna, adesso il cammino si è invertito e gli altri vengono qua.
Qualcuno di noi si è dato da fare non solo per la sua famiglia ma anche per la sua comunità, parrocchia, villaggio, piccolo o grande che sia, sempre con quel sentimento che non siamo soli e dobbiamo preoccuparci anche degli altri. Una speranza che le gocce dei nostri sforzi potessero essere d'esempio per i nostri figli ma anche per chi ci stava attorno. Solidarietà con i popoli vicini e lontani, dal Nicaragua all'Etiopia, dalla Polonia di Solidarnosc alla Germania che si riuniva dopo tanti decenni da separati in casa.
Siamo arrivati ai 50 e, fatalmente, facciamo quattro conti: un bilancio nostro, individuale e collettivo che io provo a mettere sul blog per stimolare anche i miei coetanei a trovar la forza di pensar criticamente e condividerlo con gli altri.
Che mondo stiamo lasciando ai nostri figli? Quante volte mi sono sentito chiedere questo alla fine delle conferenze nelle varie università dove sono passato. Mano a mano che accumulavo conoscenze, viaggi, dati e sensazioni sono arrivato alla fredda constatazione che se noi ancora sognavamo un mondo migliore e che la nostra genberazione era ancora nell'inerzia della crescita delle generazioni del boom, dopo di noi il dubbio si è installato. A dire il vero segnali ne sono arrivati anche per noi: trovarsi fuori dal mercato del lavoro a quasi cinquant'anni, cosa impensabile prima, adesso invece una variabile da accettare. Ma peggio va per i giovani; lavoro se ne trova sempre meno, le macchine sostituiscono gli uomini e donne e, come dicevo in altre occasioni, terra e acqua cominciano a diventare fattori limitanti con i quali dover fare i conti.
Ma anche per chi volesse non vedere questo scenario, basta guardarsi attorno, anche con questa informazione manipolata che abbiamo in gran parte de i nostri paesi: prendiamo un periodo recente, gli ultimi 2, 3 o addirittura 5 anni. La domanda che pongo è: quante guerre sono terminate, finite davvero, in questo periodo? Anche una televisione sotto controllo stretto sarebbe contenta, a Natale, di poter dire che le cose vann o meglio, che questa guerra o quest'altra è finita, che i palestinesi ed ebrei hanno fatto la pace o che nel Darfur si rispettano i diritti umani. Ci èpiacerebbe sentire che la guerra civile in Colombia è finita adesso che i vecchi leaders delle FARC sono stati ammazzati. Saremmo tutti contenti se nel Kossovo la gente si sentisse in pace con se stessa e con i vicini. Non parlo nemmeno dei paesi arabi o dell?ran e men che meno nell'Afganistan. Del Pakistan, dopo la serie di attentati di questi giorni, fra cui quello ai collleghi delle nazioni unite con 41 morti, non mi pare il caso di parlare. Quanti ci piacerebbe sentire che nel delta del Niger governo e guerriglia locale hanno fatto la pace. Lo stesso ci piacerebbe sentire dei ribellki dell'isola di Mindanao nelle Filippine. E cosa dire della Somalia e delle sue bande di pirati? Insomma se vi viene in mente un solo conflitto che sia terminato negli ultimi 5 anni per favore scrivetemelo, io non riesco a ricordarne uno.
Questo, al netto di quel che pensiamo della nostra stampa e televisione, italiana, europea e mondiale, è quanto abbiamo davanti. Cercano di distrarci, mettendo in scena mille programmi uno piùinsulso dell'altro, riempendoci di reportages sulle cucine del mondo, sugli incidenti e disastri naturali, canzonette e concorsi di bellezza.. ma tutto ciò non può nascondere che fuori dalla porta, in quello stesso mondo dove abitiamo noi e i nostri figli, si spara e si muorfe più di prima. Le armi costano meno e quindi qualsiasi piccola disputa adesso diventa subito un conflitto armato. Non siamo più sicuri da nessuna parte e sarà ancora peggio per chi verrà dopo di noi.
POossiamo dire, alla differenza dei fratelli più grandi, che noi non avevamo il sogno di fare la rivoluzione e di cambiare il mondo. Questo è vero, ma non toglie che, anche se non ci piace sentircelo dire, abbiamo delle responsabilità verso gli altri perchè l'uomo è un animale sociale, che vive e muore dentro una rete di rapporti sociali. Quindi nasconderci dietro il nostro maggior realismo rispetto ai fratelloni o sorellone non è sufficiente, non ci assolve e non ci darà la pace a noi e la forza a chi verrà dopo di noi.
UIl bilancio è triste: non solo le guerre sono la, e magari i conflitti aumentano, ma anche oramai abbiamo capito che non basta cacciare via gli stranieri per non vedere i problemi. Le crisi, le guerre a casa loro portano inevitabilmente a mettersi in marcia e anche se molti muoino per strada, una volta che sei partito vai avanti e quindi verrano ed entreranno. Non vedere i problemi in casa d'altri, chiudere porte e finestre non risolve nulla: i problermi vengono a noi lo stesso, con la faccia dell'africano, del cinese, del brasiliano e dell'ucraino.
Quindi la vera domanda è sempre la stessa: possiamo far finta di nulla o dobbiamo cominciare a pensare cosa possiamo fare? Per noi, per le nostre famiglie e poi, secondo le volontà di ognuno, anche per gli altri.
Secondo me, fare un bilancio è una cosa seria e ognuno lo farà con se stesso innanzitutto. Guardarsi dentro senza remore e resistenze, tanto il peggior specchio che possiamo avere è quello che ci rimanda la nostra verità che scopriamo ed accettiamo poco a poco. A partire dal momento che ci rendiamo conto dell'unicità del mondi e dei suoi problemi, il tarlo di cosa fare è entrato in noi. Qualcuno riesce ad evitarlo, e continuerà ad accumulare cose per se e per i familiari. Ma sappiamo che questa fuga individuale non è proponibile come solujzione di società, bisogna pensare assieme e, siccome abbiamo idee diverse, torn iamo sempre a quella che sta diventando la mia ossessione professionale: accettare la diversità, reimparare a parlarci, dialogare, negoziare e mettersi d'accordo sul cher fare.
Questo è il mio bilancio dei primi 50anni: ritornare all' ABC del vivere in società, rispettare di più gli altri, rendersi all'evidenza che la soluzione dei miei (miei individuali, famigliari, societali) problemi passa per la soluzione dei tuoi (individuali, familiari, di società). Più tolleranza, più comprensione e maggior forza per andare verso gli altri. Solo assieme riusciremo a venirne fuori, a trovare soluzioni per un mondo che sta andando a rotoli. Il cammino più difficile, perchè siamo tutti convinti di sapere le cose e di aver ragione e che la nostra storia individuale sia la prova che NOI abbiamo ragione e non gli altri. Invertire le priorità, imparare ad ascoltare, cambiare attitudine verso se stgessi e gli altri.. molta energia sarà necessaria, ma francamente non vedo altre soluzioni. Vorrei tanto fra 5 o 10 anni poter fare un bilancio di guerre finite, di maggior comprensione e di un ritorno di felicità negli sguardi dei giovani d'oggi. Io ci provo, e vi aspeto per far un pezzo di strada assieme. Che il 2011 sia l'inizio del cammino.
giovedì 30 dicembre 2010
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io sono con te paolo, anche se sei interista! grazie, un abbraccio lawrence
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