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giovedì 26 dicembre 2013

Effetti inaspettati dell’acaparramento delle terre in Africa



Gli anni 60 si sono caratterizzati, in Africa, per l’apparizione di una miriade di nuovi Stati indipendenti. La geografia emergente era alquanto precaria, frutto com’era di decisioni prese dalle potenze coloniali oltre un secolo prima. Ma in quel momento non importava, troppo forte l’euforia per la trovata libertà. Una prima generazione di leader nazionali provò a dare un senso progressista e universalista a questa novità storica, mentre in altri casi i nuovi capi erano stati scelti dalle stesse potenze coloniali per cui l’indipendenza nasceva con il guinzaglio corto. Globalmente parlando, si era ancora nell’era in cui il ruolo centrale dello Stato nel dirigere l’economia e la società era considerato come un’ovvietà.

Bastarono pochi anni perché la situazione cambiasse completamente. L’emergenza delle grandi organizzazioni finanziarie internazionali, Banca e Fondo, dalla fine degli anni 70 in poi, come gendarmi della nuova ortodossia neoliberale si manifestò in maniera violenta a metà degli anni 80 in Africa. Le nuove istituzioni avevano poco più di ventanni, un nulla rispetto ai tempi biblici che c’avevano messo le istituzioni democratiche ad emergere nei nostri paesi del nord. Naturalmente affette dai problemi che erano all’origine di quei paesi: poca istruzione concessa ai nativi, per cui trovavi funzionari incapaci, sottoposti ad una casta politica che aveva rapidamente rimpiazzato con le buone o le cattive quei leader troppo indipendenti di spirito (Ben Bella in Algeria, Sankara nel Burkina) per sostituirli con obbedienti servitori del dio mercato, a cambio di cui gli si lasciava una libertà di fare man bassa delle casse nazionali.

Gli anni 80 sono quelli dell’imposizione degli aggiustamenti strutturali alla gran maggioranza dei paesi africani. Il popolo dovette eseguire e seguire, dato che i loro governi avevano accettato (potevano fare diversamente?) queste imposizioni. Ne uscì fuori un’Africa più impresentabile di prima agli occhi di un Occidente che restava il king maker delle regole di bonton della società sviluppata. Nacque così l’urgenza di “democratizzare” l’Africa, con l’imposizione ai governi pro occidentali e corrotti di sottoporsi a un esercizio purificatore, ma da loro controllato, chiamato “elezioni democratiche”. Passò anche questo senza che cambiasse alcunchè, e si andò avanti con la depredazione lenta e silenziosa delle risorse naturali locali e con le promesse per un futuro migliore che venivano elargite a piene mani sia dai governi nazionali che dai controllori del nord.

Le cose peggioravano con calma, ad un ritmo che anche le popolazioni del nord del mondo riuscivano a digerire. Quando arrivavano delle crisi “umanitarie” maggiori, bastava lasciar fare ai cantanti che si dannavano a organizzare concerti e raccolte fondi, e dopo un po’ la febbre passava e si tornava al business as usual.

In questi ultimi anni, prima con la crisi finanziaria e poi con l’accelerazione del movimento del grabbing da parte di operatori stranieri, è diventato sempre più palese quello che si sapeva fin dall’inizio e cioè che gli Stati africani attuali rappresentano sempre meno delle realtà storiche quanto invece delle costruzioni imposte. 

Finchè si viveva nella finzione di voler credere che fossero gli stati nazionali a decidere delle loro politiche, tuttti stavano calmi. Mano a mano che l’incapacità di questi stessi Stati è diventata palese, e che le popolazioni hanno cominciato a percepire non solo la fragilità ma soprattutto l’artificialità di queste istituzioni, i conflitti si sono accelerati. La crisi finanziaria ha avuto un ruolo minore in questo scenario, perché ha toccato tutti, nord e sud. Diverso il caso degli accaparramenti di terre e risorse naturali che sta accelerando in questi ultimi mesi. Lì è evidente che nessun governo riesce a controllare alcunchè e che in molti casi sono loro stessi, al massimo livello, ad essere parte in causa in questi grabbing. A quel punto, il resto della (scarsa) fiducia riposta nelle istituzioni “democratiche” se ne sta andando. Riprende forma la regola consuetudinaria, la tribù e i clan. Aggiungiamoci poi i problemi creati dalle religioni che, da sempre, considerano l’Africa terra di missione, cioè di conquista. Ognuno per sé diventa quindi la regola di base. Il costo delle armi si riduce, così che i vecchi conflitti tribali diventano immediatamente dei conflitti armati e molto sanguinari.

La cartina che ho messo recentemente sul blog (la mia africa), ricorda solo una parte dei conflitti in corso attualmente. Stati in dissoluzione, come la Libia, altri che si vuol ricostruire con ben poche speranze, come la Somalia, altri in fase di implosione come la Nigeria, il Camerun e la repubblica Centrafricana, sono alcuni dei segnali del futuro che si prepara: la conflittualità è destinata ad aumentare, parallelamente con la perdita di fiducia dei cittadini in quelle istituzioni mai completamente nate e ridotte ai minimi termini dalla Banca e dal Fondo, troppo interessate agli equilibri macroeconomici per rendersi conto delle conseguenze delle loro azioni. Aver ridotto a poco le istituzioni statali in paesi di scarsa presa geografica è stato il segnale di partenza della corsa verso la dissoluzione degli equilibri firmati a Vienna nel 1815. Ancora oggi non si capisce la necessità di (ri)costruire lo Stato e le istituzioni per cercare di gestire situazioni altrimenti intenibili. Ci si preoccupa della finanza e della macroeconomia. Domani se non si cambia subito, sarà troppo tardi. E guardando alle ricette imposte dalla Troika ai nostri paesi europei, che ricalcano il modello degli anni 80 in Africa, non c’è di che star allegri. Buon anno.

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