Dieci anni fa non
eravamo molto più giovani. Alcuni sì, iniziavano allora il loro lungo percorso
professionale, ma molti di noi eravamo giá passati per illusioni precedenti.
Per questo impostammo la Conferenza sulla Riforma Agraria in un tono
propositivo, verso possibili cammini di sviluppo riformisti, non rivoluzionari,
per evitare un confronto troppo duro dati i rapporti di forza esistenti.
La terra ci ha
dato e continua a darci la base essenziale per quello che mangiamo e beviamo
ogni giorno. La terra serve come riserva per immagazzinare acqua, non solo per
produrre cibo. La terra é un enorme serbatoio anche di gas, per cui da lì
veniamo e lì finiremo. Da sempre é stata oggetto di interessi, di conquiste, di
desiderio di escludere gli altri, chiunque essi fossero. Attorno al tema terra
ci giochiamo il futuro dell’umanità, oggi più che mai. Sulle terre costruiamo
città, che poi vengono distrutte da i bombardamenti, creiamo riserve della
biodiversità, piantiamo foreste per produrre cellulosa, sradicando quella
stessa biodiversità che dovrebbe essere al cuore delle nostre preoccupazioni.
Ma soprattutto la
terra è potere. Da sempre il Signore, sia medievale che moderno, esprime il suo
potere col controlo territoriale, che include tutti quelli che da quella terra
ci dipendono. La terra vale più della gente. La gente è merce, la terra è
sostanza. Per questo ogni volta che si è provato a toccare il tema, ci si è
scottati.
Riprovare a
parlarne, dieci anni fa, ci ha portato allo stesso sconforto attuale. Riuscimmo
ad aprire le porte ai movimenti sociali: per la prima volta vennero associati
fin dall’inizio, con diritto non solo d parola, ma di vedere le loro posizioni
espresse in documenti ufficiali da discutere nella Conferenza. Trattammo tutti
su un piede di parità, compresi certi istituti finanziari di rilevanza mondiale
che si sono abituati a dettar legge e comandar loro. Fu sufficiente questo per
far sì che non venissero, colpiti dalla nostra arroganza di non riconoscere la
loro ovvia superiortià.
I soldi erano
pochi, osteggiati da molti paesi e da molti colleghi che non volevano si
parlasse di quei temi. Furono giorni importanti perchè dimostrarono che era
possibile trovare un terreno comune sul quale costruire dei processi inclusivi.
Percorsi lunghi, dove i trabocchetti sarebbero stati all’ordine del giorno,
come fu in seguito.
Partimmo a mani
paerte, senza sapere se saremmo riusciti ad arrivare alla fine in modo
positivo. Tanti erano quelli che speravano in un fracasso, ma persero loro.
Andammo con poche certezze, ma con tanta volotnà di dialogo, ripetendo come non
fosismo noi a portar soluzioni, ma che assieme avremmo potuto fare della
strada, cercare (almeno provare) a spostare equilibri politici (asimmetrici)
consolidati.
Ricordo ministri
africani (a dire il vero Ministre... donne), aprire la porta per far sì che il
forum parallelo dei movimenti sociali potesse venire a confrontarsi con la
conferenza ufficiale, testimoniando in maniera plateale l’essenza stessa del
dialogo.
Si parlò dei
diritti delle donne, dei popoli indigeni, posizioni diverse, contrastanti,
soprattutto fra governi e movimenti sociali, ma questo era ovvio, meno forse il
fatto che si riuscisse a trovare, a volte, non sempre, dei terreni d’intesa.
Tanta energia e
tantissimo stress. Mia moglie quasi non mi riconosceva da come tornai a casa.
Dieci anni presi in 4 giorni. Ma giorni intensi, ripagati da quanto i movimenti
contadini vennero a dirci qualche settimana dopo a casa nostra: che c’era stato
un prima e un dopo nei nostri rapporti. Secondo loro la conferenza era stata un
successo grandioso, dimostrando che si poteva fare alleanze strategiche su questo
tema. Insomma, dieci e lode. Il massimo, ma anche l’inizio della fine. Certi
paesi (del nord, ovviamente) si preoccuparono sul serio che l’esempio
costituito da quella conferenza potesse far venire strane idee. Il boicot
inizió subito, e il risultato ecoclo qua.
Dieci anni dopo
il grabbing continua più di prima, di terre, sabbia, aria, risorse genetiche e
quant’altro. I diritti delle donne alla terra sono di la da venire ancora in
troppi paesi, per non parlare di popoli indigeni o della popolazioni pastorili.
Oggi sono andato
a festeggiare da solo. Un quartino di vino per non dimenticare.
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