Quando ero piccolo, dato che avevo fratelli più grandi e di “sinistra”, mi capitava spesso di sentir parlare di popoli in lotta di cui non sapevo quasi nulla e della necessità di mostrarsi interessati e a favore di queste lotte di liberazione e dei poveri del Sud del mondo. Non credo essere stato l’unico bambino che rimase colpito dalla guerra del Biafra di cui la maestra ci parlò nella classe di quinta elementare che frequentavo a Vicenza. Chissà dov’era questo Biafra, e chissà chi era questo U Tant di cui sentivo parlare per la prima volta.
Più grande, ho cominciato a comprare libri su queste lotte lontane, tipo quella del Vietnam, o leggere Stella Rossa sulla Cina e insomma anch’io mi sentivo parte di quella sinistra che solidarizzava con i poveri del terzo mondo. Avevo delle difficoltà a capire come mai, a casa nostra, ci fossero così tanti gruppi e gruppetti che si dicevano tutti di sinistra, ma che mostravano un astio tremendo uno nei confronti dell’altro: Lotta Continua, Potere Operaio, Lotta Comunista e tanti altri ancora più piccoli.
Da grande sono andato a lavorare sui temi della povertà, agricola, e in tanti paesi dei vari Sud del mondo. Quindi è naturale per me pensare “oltre i confini …” come ricordava il nome del nostro gruppetto vicentino dei primi anni ottanta. Ancora adesso, quando mi capita di partecipare a discussioni con persone della mia età o più grandi, sulla questione delle guerre e di quella in Ucraina in particolare, discussioni che dovrebbero servirci a darci delle indicazioni su cosa potremmo fare per aiutare non solo a capire ma anche a formare le nuove generazioni, alla luce di un rapporto non più di dominazione dell’uomo sulla natura, scopro con stupore quanto quel famoso impegno “internazionalista” sia rimasto in fondo ai cassetti della credenza.
Capisco, e condivido, l’interesse per quello che sta succedendo in Ucraina. Personalmente sono ultra favorevole all’invio di armi per aiutare la resistenza ucraina e cercare di arrivare, come diceva Erri de Luca ieri sera, a una situazione di stallo, tale per cui anche il dittatore russo sia obbligato a tornare a sedersi a un tavolo negoziale. Sono a favore delle sanzioni, ma non credo basteranno. Lui capisce solo il linguaggio della forza, per cui se vogliamo farci capire e discutere di un futuro di pace, mi pare che il passaggio dalla resistenza armata sia fondamentale.
Ma non è questo il problema principale. Come ho provato a ricordare agli amici e amiche, pochi giorni fa il direttore generale dell’OMS, Tedros Ghebreyesus, pur condannando la guerra di invasione russa in Ucraina e annunciando le ulteriori misure dell’Oms per assistere i profughi e la sanità ucraina, ha ricordato che esiste una frustrazione di molti nei Paesi in via di sviluppo per il fatto che le guerre in atto in altre parti del mondo, non ricevano la stessa attenzione a livello internazionale: ci sono profughi di serie A e altri di serie B ha detto in sostanza.
Le votazioni all’ONU confermano che il mondo nord-occidentale si sta restringendo e che sempre più paesi dichiarano un malessere di fondo per il fatto che gli altri conflitti sembrano non interessare nessuno. La prova del nove riguarda lo Yemen, con una guerra che in questi sette anni ha fatto un po’ meno di 400 mila vittime.
La maggior parte di questi conflitti ha lo stesso sottofondo, cioè l’appropriazione delle risorse naturali di vario tipo che sono disponibili nelle terre “altrui”. Che si tratti di terra, acqua, risorse minerarie o metalli rari, alla fine della storia troviamo sempre una popolazione i cui diritti vengono calpestati (cosa non nuova in generale), maltrattata, uccisa e, per chi salva la pelle, costretta a fuggire entrando nella crescente categoria dei Displaced Peoples.
La voglia di appropriarsi delle risorse degli altri è vecchia come il mondo, e nel tempo ha imparato a mascherarsi dietro parvenze “moderne”, tipo promuovere lo sviluppo, locale e internazionale, così che il furto diventi un “partenariato” liberamente scelto. Questo per quanto riguarda la faccia pubblica, dove anche parecchie nostre imprese partecipano allegramente. Al piano di sotto, abbiamo quegli attori che hanno fretta di appropriarsi, per cui l’uso della violenza indiscriminata è il loro pane quotidiano. Tra questi abbiamo anche governi dei paesi sviluppati, come è il caso della Russia con i suoi mercenari Wagner, oppure l’industria bellica americana che foraggia le guerre di “indipendenza” (penso al Sudan del Sud) al solo scopo di metter le mani sulle risorse locali. Ma potrei ricordare anche le nostre politiche europee “verdi”, che portano a coltivare colture per agro-carburanti al Sud, togliendo la terra alle comunità locali al solo scopo di rendere più verde la benzina che circola nelle nostre vetture, oppure la nostra Politica Agricola Comune che ha molto contribuito allo smantellamento delle agricolture contadine africane come ho potuto constatare di persona nell’altopiano dell’Angola centrale nei primi anni 2000. A questa lista, che non ha colore politico, aggiungerei, per chi avesse meno memoria, anche i mega programmi tipo il Pro-Savana, promosso dal Brasile di Lula nel Mozambico al solo scopo di produrre soia per i mercati asiatici, dichiarando che si trattava di un programma di sicurezza alimentare mentre nello stesso tempo i diritti legali delle comunità locali non venivano rispettati.
In mezzo a tutto questo abbiamo il crescente numero di conflitti tra contadini e pastori, dove la questione climatica (e demografica, vedi Nigeria) giocano un ruolo importante e sui quali, spesso, si è stesa una patina religiosa islamista per aggiungere benzina sul fuoco.
Insomma, il nostro mondo vive in mezzo a conflitti da sempre, solo noi europei ci siamo inventati la storiella che dalla fine della seconda guerra abbiamo avuto un periodo di pace ininterrotto di 60-70 o più anni. La nostra bolla era già scoppiata al momento della guerra nella ex-Jugoslavia, sulla quale portiamo pesanti responsabilità noi europei occidentali. Ma non è stata sufficiente. Forse adesso con l’invasione russa, che se non viene fermata sarà solo la prima di una lunga serie, ci sveglieremo anche noi e cominceremo a riflettere.
Il punto però, a mio giudizio, non può essere limitato all’Ucraina, anche per il solo fatto che la Bosnia si sta preparando ad esplodere grazie alla minoranza serba che sta sobillando una nuova guerra (che certo Putin non si priverà di appoggiare). Quindi, se vogliamo essere ciechi, pensiamo alla guerra in Ucraina e basta, ma secondo me dovremmo fare uno sforzo per capire quali siano le dinamiche mondiali in corso, altrimenti il nostro desiderio di contribuire a fare qualcosa di concreto per chi ci sta intorno e per le nuove generazioni, resterà un pio desiderio e basta.
La corsa di questi giorni ad aiutare i profughi ucraini è molto lodevole, molto meno lo è l’abbandono dei profughi “altri”, che non passano le frontiere. Resta che, se vogliamo fare qualcosa di diverso dalla carità cristiana, dovremmo cercare di capire quali siano le cause concrete (qualcosa che vada al di là del “sistema capitalista e finanziario” da abbattere) e vedere cosa possiamo fare noi, per influenzare politiche, legislazioni, iniziative che vadano a toccare i gangli del sistema. Siccome come Italia noi siamo parte del problema, attraverso le nostre ditte che si accaparrano le risorse del Sud (tipo ENI), attraverso il nostro appoggio governamentale a una PAC che ha contribuito a distruggere le agricolture contadine del Sud, attraverso la mancanza di iniziative reali a livello delle nazioni unite e via discorrendo, dovremmo rimboccarci le maniche, studiare e prepararci a fare qualcosa che serva in questo scenario.
Non parlo nemmeno di quello che resta la base di questo mondo attuale, un patriarcato dove gli uomini, superiori non solo alla natura ma a tutto il resto, regolano le loro dispute a colpi di cannone. La lotta per cambiare i rapporti di potere tra uomini e donne, nella sfera privata più ancora che nella pubblica, resta la chiave di volta. Ma mi rendo conto che questi sono temi che alla parte maschile delle sinistre italiane non interessa molto. Peccato.
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