Prendo a prestito parte di un articolo pubblicato sul blog di Diego Fusaro (https://www.filosofico.net/irigaray.htm) e citazioni da un capitolo del libro Ensayos criticos de derechos humanos. Tesis, imperativos y derivas di Alan Arias Marin (https://archivos.juridicas.unam.mx/www/bjv/libros/10/4993/5.pdf).
Fra pochi giorni sarà il compleanno di Luce Irigaray (Belgio, 1930), una delle maggiori esponenti del movimento femminista francese contemporaneo. Da un certo punto di vista rappresenta l’indicatore del mio interesse per la tematica femminista e di genere. Questo perché, quando mi laureai, nel lontano marzo 1985, ricevetti in regalo da un’amica e compagna del gruppo Oltre i confini senza frontiere di cui facevamo parte, il libro Passioni elementari di Luce Irigaray. All’epoca ero ben lontano da conoscere e capire la tematica, ma credo sia stato un segno premonitore, di un interesse che in questi anni recenti è diventato centrale nelle mie riflessioni. Rileggendo oggi materiali di Irigaray, mi ritrovo ogni giorno di più nelle sue riflessioni sul concetto del femminismo della differenza.
Luce Irigaray ha fatto parte dell’École Freudienne de Paris aperta da Jacques Lacan. Vicina al movimento delle donne, anche se non direttamente coinvolta in esso, Irigaray si sofferma sul legame senza parole delle donne tra loro e con la madre. Da simili riflessioni nasce la sua tesi di dottorato, Speculum. L’altra donna, del 1974, che costituisce una vera e propria critica radicale della concezione psicoanalitica della donna. Questa pubblicazione le costò l'espulsione dall'associazione psicoanalitica di Lacan.
La Irigaray sottolinea, innanzitutto, come il pensiero occidentale si sia cristallizzato sul modello platonico di un soggetto unico (Dio, l'Assoluto, l'Io), le cui immagini depotenziate sono invece i singoli soggetti concreti. In questo modo, l’Occidente riposa per Irigaray su una totale dimenticanza della donna. L'attenzione del pensiero contemporaneo per l'individualità concreta non ha però intaccato il modello di riferimento della nostra cultura, che resta il maschio adulto.
Nella prima parte, Irigaray critica le teorie sulla sessualità femminile degli psicoanalisti Sigmund Freud e Jacques Lacan, basate sul "fallocentrismo". Per loro, le donne non hanno un'identità propria ma sono un riflesso incompleto degli uomini. Irigaray propone di costruire la femminilità sulla base di una teoria basata sulla differenza sessuale, con valori femminili.
La seconda parte del libro passa in rassegna la tradizione filosofica occidentale, da Platone a Marx. Irigaray si dissocia dalla lotta per l'uguaglianza e, a sua volta, difende la ricerca di una "soggettività femminile autonoma", poiché nella storia, nella psicologia e, soprattutto, nel linguaggio, "il femminile" è stato definito sulla base del maschile, motivo per cui è necessario un suo proprio riconoscimento.
Un'altra critica è quella che la Irigaray muove a Simone De Beauvoir, compagna di Sartre ed esponente del cosiddetto “femminismo dell'uguaglianza”; qui la filosofa belga sottolinea l'errore di chi, come donna, volesse ottenere parità di condizioni e diritti cercando una uguaglianza con il modello maschile di riferimento della cultura occidentale. In questo modo, infatti, si finisce implicitamente per ammettere la validità del modello, che non viene contestato, ma che anzi si cerca di imitare e di raggiungere. Ma la critica a Simone De Beauvoir è solo uno spunto per affermare la intrinseca diversità della natura femminile: la differenza sessuale. Irigaray afferma a più riprese che ciò di cui bisogna prendere atto è il limite interno alla natura stessa dettato dal genere a cui apparteniamo. Vi è una forma di negativo non solo fra l'essere umano e la natura, ma nella natura stessa, che è Due: uomo e donna.
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