Da metà degli anni 80 in avanti, una serie di movimenti
sociali e ONG del sud del mondo hanno riportato all’attenzione generale del
mondo la questione agraria, cioè la pessima distribuzione delle terre fra pochi
che ne controllano un’enormità e moltissimi che ne controllano poca o non ne
hanno affatto.
Questo obbligò nuovi governi democratici, in Brasile come
nelle Filippine, a riaprire l’eterno dossier della riforma agraria. Seguendo
questi esempi iniziali, e grazie a un’organizzazione di secondo livello che
aveva portato i movimenti sociali latinoamericani a riunirsi in una coalizione
mondiale, La Via Campesina, altri paesi riconobbero l’esistenza di problemi
simili anche da loro, da cui la necessità di intervenire. L’arrivo alla
democrazia da parte del Sud Africa, uscito da secoli di tenebre, portò anche lì
in primo piano la questione agraria e così fu altrove.
I movimenti sociali non sono governo, per cui il loro
compito era quello di fare pressione e stimolare i governi ad agire. Quasi
trent’anni dopo i risultati sono stati pochi ed insoddisfacenti. Aaltre forze
sono intervenute per redirezionare la pressione sulle questioni legate alla
terra verso nuove strade, una volta di più controllate dal nord del mondo. Fu così
che la centralità del mercato come ottimizzatore della distribuzione della
terra venne teorizzata e perseguita da parte degli esperti del nord,
accompagnati dalle istituzioni finanziarie più potenti dei governi stessi. Ogni
qualvolta emergeva il problema a livello nazionale, grazie alle lotte dei
movimenti e forze locali, arrivavano i pompieri a spegnere l’incendio grazie al
pacchetto “Riforme agrarie attraverso il mercato”. Non si ricorda una sola di
queste esperienze che abbia funzionato; credo sia permesso, a distanza di anni,
interrogarsi sul senso profondo di quelle proposte, se realmente, e
ingenuamente, pensavano di favorire una distribuzione più equitativa della
terra attraverso un meccanismo da sempre manipolato e controllato dalle stesse
grandi forze che poi controllano anche le risorse naturali, o se si era
trattato di un disegno volto a spegnere sul nascere gli ardori di chi voleva
cambiare qualcosa partendo dal basso.
Uscita di scena (per l’ennesima volta) la parola riforma
agraria, si pensava che la questione agraria fosse stata risolta. La strategia
dello struzzo però non funzionò. Da cent’anni la questione agraria (1905,
Kautsky) rovina le notti di molti benpensanti del nord. Prima fu la rivoluzione
e riforma agraria avvenute in Russia ed in Messico, con la paura del contagio
bolscevico. Poi fu il periodo di Cuba, che riportò alla luce la vecchia
dottrina Monroe per cui l’aver osato sfidare lo zio Sam a pochi kilometri da
casa era un errore da non commettere due volte (e per questo i cubani pagano
ancora oggi). Quando furono i movimenti sociali a riportarla in auge, gli
oppositori storici confusero il soggetto con l’oggetto. Cercarono di
controllare il soggetto (Movimenti dei senza terra), ma non l’oggetto, la diseguale
spartizione della terra.
Risultato, il tema terra è tornato prepotentemente alla
ribalta, per le stesse cause di sempre: una ripartizione ineguale, forte
concentrazione nelle mani di pochi e instituzioni così deboli (grazie alla
distruzione sistematica imposta dai programmi di aggiustamento strutturale) che
non avevano più nessuna capacità di controllare cosa succedeva a casa loro.
Le pressioni di questi ultimi anni, procedenti da una
miriade di fonti diverse, dagli indigeni, ai sempiterni senzaterra, pescatori
artigianali, comunità forestali etc. etc. ha consigliato un ulteriore cambio di
strategia. Noi avevamo provato a proporre, nella nostra ingenuità, un approccio
basato sul dialogo ed il confronto, con una gradualità nelle azioni supportate
da una moral e technical suasion che le agenzie delle nazioni unite potrebbero
esercitare. Ma questo significava democratizzare il dibattito, riconoscere un
diritto alle forze sociali di far parte dell’arena di dialogo e negoziazione e,
al contrario, ricacciare i grossi conglomerati finanziari nel loro angolo.
Siamo stati degli ingenui, lo ammetto, ed abbiamo sottostimato le capacità di
reazione. Risultato, dal cappello magico è uscita una nuova strategia: basta
mercato della terra ma “buona governanza”. Un concetto così vago da poter esser
stirato da tutte le parti, l’importante poi che chi conducesse la danza
conoscesse i passi da compiere.
Che esista un problema di “governanza” nel mondo, è
indubitabile. Ancor di più quando si parla di risorse naturali, terra, acqua
etc. Penso alla Gran Bretagna e al sostanziale fallimento della riforma
fondiaria nelle Highlands della Scozia, penso a come sono trattati i Lapponi
nelle loro terre nel nord dell’Europa, oppure più vicino a noi la questione
dell’acqua in Italia o le terre occupate dalla mafia e difficilmente rimesse in
produzione da piccoli gruppi locali. Penso all’eterna questione dei diritti
delle popolazioni indigene (o prime nazioni) in Canada, Australia, Stati Uniti.
Non posso non ricordare lo spoliamento delle popolazioni Rom delle loro terre
in Ungheria, insomma l’elenco sarebbe infinito, anche qui nel Nord del mondo.
Ma, paradossalmente, malgrado la nostra civiltà sia superiore a quelle del sud
come ci hanno detto per anni certi nostri politici, malgrado il fatto che l’Africa
non sia ancora entrata nella storia (dixit l’ex Presidente della Repubblica
Francese Sarkozy), sono i movimenti del sud del mondo che hanno riportato
questi temi all’attenzione di tutti. Delle due l’una: o i nostri movimenti, la
nostra società civile, non si è accorta di cosa scottava sotto i loro piedi,
oppure bisogna ammettere che quelli del sud ci vedono meglio e più lontano di
noi.
Il risultato è che quei movimenti che lottano a casa loro
per democratizzare questo bene, per far cambiare politiche e leggi, per
spingere i governi ad azioni a favore dei più svantaggiati, di fatto sono stati
marginalizzati ancora una volta e il centro dell’attenzione è stato recuperato
dalle stesse forze del nord, governi e istituzioni finanziarie, che non avevano
voluto risolvere i problemi precedentemente (e questo per essere gentili…).
Siamo entrati nella fase di implementare le azioni tendenti
a una buona governanza: immaginate che queste tocchino in misura uguale i paesi
citati prima (Gran Bretagna, Norvegia, Svezia, Stati Uniti, Italia, Ungheria
etc.) e quelli del sud del mondo? Ovviamente no. E nessuno trova nulla da
ridire. Tutto è diretto al sud, quello stesso sud le cui istituzioni, dopo lo
tsunami degli aggiustamenti strutturali degli anni precedenti, non si sono più
rimesse inpiedi. Ed è a loro che si imputa la cattiva governanza. Dalle mie
parti si dice: cornuto e mazziato. Scommettiano che, partiti come siamo, non
andremo molto lontano in termini di risultati? Eppure basterebbe che quelle
istituzioni finanziarie che hanno imposto quei programmi che hanno strangolato
i settori chiave dell’educazione, della salute e dell’agricoltura andassero
prima a Canossa e poi mettessero sul tavolo soldi veri e appoggi politici per
rimettere in sesto quelle istituzioni che potrebbero così controllare la nuova
ondata di cosiddetti “investimenti” che stanno arrivando dal nord, prendendo
controllo in una maniera o nell’altra delle risorse rimaste a disposizione nel
sud. Peccato che queste stesse istituzioni le troviamo, invece che a Canossa,
dalla parte di quegli “investitori” che hanno lanciato la nuova Land Rush.
Soldi per rafforzare le barriere non ce ne sono, ma per accellerare il flusso
proveniente dal nord quelli non mancano. La diga non potrà tenere ancora molto.
Ricordatevi che i prezzi delle armi da fuoco stanno scendendo sempre più, per
cui si fa presto a muoversi su un terreno scivoloso dal quale tornare indietro
vittoriosi sarà molto ma molto difficile, come gli Stati Uniti hanno imparato
dall’ Iraq, Afganistan, ed i francesi stanno imparando con le loro avventure
centroafricane.
Buon week-end
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