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venerdì 23 maggio 2014

Considerazioni del venerdì



Da metà degli anni 80 in avanti, una serie di movimenti sociali e ONG del sud del mondo hanno riportato all’attenzione generale del mondo la questione agraria, cioè la pessima distribuzione delle terre fra pochi che ne controllano un’enormità e moltissimi che ne controllano poca o non ne hanno affatto.

Questo obbligò nuovi governi democratici, in Brasile come nelle Filippine, a riaprire l’eterno dossier della riforma agraria. Seguendo questi esempi iniziali, e grazie a un’organizzazione di secondo livello che aveva portato i movimenti sociali latinoamericani a riunirsi in una coalizione mondiale, La Via Campesina, altri paesi riconobbero l’esistenza di problemi simili anche da loro, da cui la necessità di intervenire. L’arrivo alla democrazia da parte del Sud Africa, uscito da secoli di tenebre, portò anche lì in primo piano la questione agraria e così fu altrove.

I movimenti sociali non sono governo, per cui il loro compito era quello di fare pressione e stimolare i governi ad agire. Quasi trent’anni dopo i risultati sono stati pochi ed insoddisfacenti. Aaltre forze sono intervenute per redirezionare la pressione sulle questioni legate alla terra verso nuove strade, una volta di più controllate dal nord del mondo. Fu così che la centralità del mercato come ottimizzatore della distribuzione della terra venne teorizzata e perseguita da parte degli esperti del nord, accompagnati dalle istituzioni finanziarie più potenti dei governi stessi. Ogni qualvolta emergeva il problema a livello nazionale, grazie alle lotte dei movimenti e forze locali, arrivavano i pompieri a spegnere l’incendio grazie al pacchetto “Riforme agrarie attraverso il mercato”. Non si ricorda una sola di queste esperienze che abbia funzionato; credo sia permesso, a distanza di anni, interrogarsi sul senso profondo di quelle proposte, se realmente, e ingenuamente, pensavano di favorire una distribuzione più equitativa della terra attraverso un meccanismo da sempre manipolato e controllato dalle stesse grandi forze che poi controllano anche le risorse naturali, o se si era trattato di un disegno volto a spegnere sul nascere gli ardori di chi voleva cambiare qualcosa partendo dal basso.

Uscita di scena (per l’ennesima volta) la parola riforma agraria, si pensava che la questione agraria fosse stata risolta. La strategia dello struzzo però non funzionò. Da cent’anni la questione agraria (1905, Kautsky) rovina le notti di molti benpensanti del nord. Prima fu la rivoluzione e riforma agraria avvenute in Russia ed in Messico, con la paura del contagio bolscevico. Poi fu il periodo di Cuba, che riportò alla luce la vecchia dottrina Monroe per cui l’aver osato sfidare lo zio Sam a pochi kilometri da casa era un errore da non commettere due volte (e per questo i cubani pagano ancora oggi). Quando furono i movimenti sociali a riportarla in auge, gli oppositori storici confusero il soggetto con l’oggetto. Cercarono di controllare il soggetto (Movimenti dei senza terra), ma non l’oggetto, la diseguale spartizione della terra.

Risultato, il tema terra è tornato prepotentemente alla ribalta, per le stesse cause di sempre: una ripartizione ineguale, forte concentrazione nelle mani di pochi e instituzioni così deboli (grazie alla distruzione sistematica imposta dai programmi di aggiustamento strutturale) che non avevano più nessuna capacità di controllare cosa succedeva a casa loro.

Le pressioni di questi ultimi anni, procedenti da una miriade di fonti diverse, dagli indigeni, ai sempiterni senzaterra, pescatori artigianali, comunità forestali etc. etc. ha consigliato un ulteriore cambio di strategia. Noi avevamo provato a proporre, nella nostra ingenuità, un approccio basato sul dialogo ed il confronto, con una gradualità nelle azioni supportate da una moral e technical suasion che le agenzie delle nazioni unite potrebbero esercitare. Ma questo significava democratizzare il dibattito, riconoscere un diritto alle forze sociali di far parte dell’arena di dialogo e negoziazione e, al contrario, ricacciare i grossi conglomerati finanziari nel loro angolo. Siamo stati degli ingenui, lo ammetto, ed abbiamo sottostimato le capacità di reazione. Risultato, dal cappello magico è uscita una nuova strategia: basta mercato della terra ma “buona governanza”. Un concetto così vago da poter esser stirato da tutte le parti, l’importante poi che chi conducesse la danza conoscesse i passi da compiere.

Che esista un problema di “governanza” nel mondo, è indubitabile. Ancor di più quando si parla di risorse naturali, terra, acqua etc. Penso alla Gran Bretagna e al sostanziale fallimento della riforma fondiaria nelle Highlands della Scozia, penso a come sono trattati i Lapponi nelle loro terre nel nord dell’Europa, oppure più vicino a noi la questione dell’acqua in Italia o le terre occupate dalla mafia e difficilmente rimesse in produzione da piccoli gruppi locali. Penso all’eterna questione dei diritti delle popolazioni indigene (o prime nazioni) in Canada, Australia, Stati Uniti. Non posso non ricordare lo spoliamento delle popolazioni Rom delle loro terre in Ungheria, insomma l’elenco sarebbe infinito, anche qui nel Nord del mondo. Ma, paradossalmente, malgrado la nostra civiltà sia superiore a quelle del sud come ci hanno detto per anni certi nostri politici, malgrado il fatto che l’Africa non sia ancora entrata nella storia (dixit l’ex Presidente della Repubblica Francese Sarkozy), sono i movimenti del sud del mondo che hanno riportato questi temi all’attenzione di tutti. Delle due l’una: o i nostri movimenti, la nostra società civile, non si è accorta di cosa scottava sotto i loro piedi, oppure bisogna ammettere che quelli del sud ci vedono meglio e più lontano di noi.

Il risultato è che quei movimenti che lottano a casa loro per democratizzare questo bene, per far cambiare politiche e leggi, per spingere i governi ad azioni a favore dei più svantaggiati, di fatto sono stati marginalizzati ancora una volta e il centro dell’attenzione è stato recuperato dalle stesse forze del nord, governi e istituzioni finanziarie, che non avevano voluto risolvere i problemi precedentemente (e questo per essere gentili…).

Siamo entrati nella fase di implementare le azioni tendenti a una buona governanza: immaginate che queste tocchino in misura uguale i paesi citati prima (Gran Bretagna, Norvegia, Svezia, Stati Uniti, Italia, Ungheria etc.) e quelli del sud del mondo? Ovviamente no. E nessuno trova nulla da ridire. Tutto è diretto al sud, quello stesso sud le cui istituzioni, dopo lo tsunami degli aggiustamenti strutturali degli anni precedenti, non si sono più rimesse inpiedi. Ed è a loro che si imputa la cattiva governanza. Dalle mie parti si dice: cornuto e mazziato. Scommettiano che, partiti come siamo, non andremo molto lontano in termini di risultati? Eppure basterebbe che quelle istituzioni finanziarie che hanno imposto quei programmi che hanno strangolato i settori chiave dell’educazione, della salute e dell’agricoltura andassero prima a Canossa e poi mettessero sul tavolo soldi veri e appoggi politici per rimettere in sesto quelle istituzioni che potrebbero così controllare la nuova ondata di cosiddetti “investimenti” che stanno arrivando dal nord, prendendo controllo in una maniera o nell’altra delle risorse rimaste a disposizione nel sud. Peccato che queste stesse istituzioni le troviamo, invece che a Canossa, dalla parte di quegli “investitori” che hanno lanciato la nuova Land Rush. Soldi per rafforzare le barriere non ce ne sono, ma per accellerare il flusso proveniente dal nord quelli non mancano. La diga non potrà tenere ancora molto. Ricordatevi che i prezzi delle armi da fuoco stanno scendendo sempre più, per cui si fa presto a muoversi su un terreno scivoloso dal quale tornare indietro vittoriosi sarà molto ma molto difficile, come gli Stati Uniti hanno imparato dall’ Iraq, Afganistan, ed i francesi stanno imparando con le loro avventure centroafricane.

Buon week-end

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