Penso questo post finchè guido tornando verso casa dopo una
settimana di ferie in Francia. Poche canzoni sono così facilmente riconoscibili
come quella del titolo, basta fare un paio di accordi e cantare da dan, dan
dan, da dan dan dan… e tutti in coro .. “torno a casa siamo in tanti sul treno…”
della mitica Equipe 84.
Forse solo il La Mi Re Mi di Battisti e la sua canzone
del sole… chissà…
Torno a casa e ripenso a quanto ascoltato e letto in questi
giorni di cieli plumbei, fresco da credersi a fine autunno, pioggia che rende
il paesaggio di un verde intenso, irreale per ferragosto. Il vantaggio semplice
di andarsene all’estero è che ci si può estraniare dalle estenuanti discussioni
sulle riforme italiane, cosa che all’estero non sembra interessare nessuno. Si
può alzare lo sguardo, od abbassarlo se vogliamo, per sentire altre storie,
altri problemi e cercare di fare il punto.
Jacques Attali è un personaggio pubblico molto conosciuto in
Francia, soprattutto per essere stato l’uomop dell’ombra (anche se non tanto)
di Mitterand. Produttore di idee e riflessioni, con una carriera all’altezza
delle sue (grandi) ambizioni che lo ha portato a dirigere la banca europea
degli investimenti, e poi a rimanere sempre attento ai giochi di potere,
nazionali ed internazionali. Può non piacere, perché il suo “moi, Je…” è troppo
presente nel suo modo di parlare e di essere. Fatto la tara, val sempre la pena
di ascoltarlo. Le sue parole hanno fatto eco con quelle che in questi giorni
abbiamo sentito sempre di più, alla radio, alla televisione e sui giornali. Il
tema: la prossima, forse inevitabile guerra.
Attali sembra abbastanza convinto che ci stiamo dirigendo
velocemente verso questo scenario. Nel mio piccolo anch’io da tempo la penso
così. Che poi anche vari altri giornalisti sentiti per radio, nel tragitto
Francia-Italia, discutessero dello stesso scenario, mi ha fatto pensare. Ciliegina
sulla torta: le dichiarazioni del superiore del Domenicani sulla “guerra giusta”
da condurre contro gli islamisti. Lo slalom del Papa per evitare di usare la
parola “militari, forze armate” nel suo accorato appello alla necessità di
fermare questa barbarie faceva tenerezza, ma anche riflettere assai, dati i
problemi etici che ci stanno venendo incontro.
La Patria dei diritti dell’uomo si ritrova per l’ennesima
volta a discutere di guerre da portare in nome dei superiori valori
occidentali. Sembra di sentir parlare George Dublaiù Bush ai tempi di Saddam.
Il bello delle guerre passate, se di bello si può parlare, era la relativa
facilità di comprensione degli schieramenti: chi stava di qua e chi di là (a
parte ovviamente l’Italia che aveva la tendenza a cambiare squadra una volta la
partita iniziata, forte del motto: l’importante non è partecipare, ma stare coi
vincitori). Ogni campo si presentava come il campo del bene, dello sviluppo e
del futuro. Poi si mandava la carne da cannone a farsi macellare e uno dei due
campi vinceva. La Francia è riuscita meglio di noi a sedersi al tavolo dei
vincitori e guadagnare anche un seggiolino al Consiglio di Sicurezza dell’Onu
grazie alla partecipazione allo sbarco di liberazione, della Francia
ovviamente. Lo sbarco mai tanto celebrato come quest’anno, si riferiva allo
sbarco dell’agosto 44 nel sud del paese, realizzato per fare scopa con quello
di Normandia. Truppe francesi, circa trecentomila, hanno partecipato, spesso
perdendo la vita, a quello sbarco che venne monetizzato molto bene. Val la pena
ricordare come l’80% (ottanta per cento) di quelle truppe da sbarco fossero
africani inseriti nell’esercito francese grazie a bastonate e carote (la
promessa di un riconoscimento alla fine del conflitto) che non vennero mai
mantenute. Faceva pena vedere quei capi di Stato africani a fianco del
Presidente francese sulla portaerei ad ascoltare l’ennesimo discorso sui
valorosi combattenti.. e nessuno di loro che osasse alzare la voce per dire che
senza gli africani oggi sulla Croisette ci sarebbero si i tedeschi, ma non come
turisti… come padroni.
La Francia discute sulle troppe riduzioni di budget a cui è
stato sottoposto l’esercito. Proprio adesso che ce n’è ancor più bisogno.
Bisogna mantenere la pace in tutta l’Africa francofona che sta esplodendo,
bisogna poi pensare a far qualcosa in Libia dove, grazie ai bombardamenti di
Sarkozy, seguiti dal nulla di visione strategica, si è riusciti a creare un
casino, a mio avviso inestricabile, come l’attuale. Penso che la Libia finirà
per spaccarsi almeno in due. La crisi dello Stato nazione arriva, lentamente
all’inizio, così come fu lento il processo di decolonizzazione, per poi
accellerare di colpo. Di candidati alla separazione ne abbiamo parecchi, alcuni
in Africa ma molti di più, e più pericolosi, nel medio oriente. Stiamo
riuscendo a perdere la Turchia come alleato in una zona incasinata, spingendola
su posizioni sempre più conservatrici e basate su scelte religiose contrarie
alla parità uomo donna. Ma siamo contenti di questo, perché se avessimo agito
in maniera diversa, facilitando l’avvicinamento della Turchia alla EU, oggi
avremmo la guerra ai nostri confini e questo è insopportabile, soprattutto
quando non si ha la minor di idea di cosa fare. Almeno finchè le guerre sono
lontane stiamo tranquilli. Lontane? Ho detto lontane? Ma l’Ucraina è lontana? E
il nostro interesse strategico, per quanto riguarda lo sviluppo di un mercato
integrato, per l’accesso alle risorse naturali etc.., ci dice che dobbiamo fare
la guerra o la pace con la Russia? Siamo sicuri che spingerla verso Est, nelle
mani della Cina sia realmente quello che conviene ai nostri interessi? Io penso
di no, e penso che facendo così alzeremo il livello dello scontro senza avere
una strategia né le forze per partecipare sul serio alla negoziazione.
Ieri ascoltavo Rai3, la radio, ed anche lì la persona che
interveniva, di cui non ricordo il nome e me ne scuso, ricordava come i futuri
conflitti avranno sempre di più una componente legata alle popolazioni locali,
le loro richieste e le risorse naturali. Esatto.
Ma allora che razza di guerra sarà? Chi starà da una parte e
che dall’altra?
Credo dobbiamo toglierci dalla testa i modelli del passato.
Sarà un conflitto a molti livelli, con alleanze a geometria variabile, gli
stessi che si faranno la “guerra” da una parte, saranno “alleati” su un altro
teatro. Lo scenario sarà misto, dato che la comunicazione anzi, diciamolo, la
propaganda, avrà un peso fondamentale per far credere agli uni e agli altri di
essere dalla parte giusta. Siccome le nostre vite ci sono care, ovviamente più
care di quelle della gente del sud, noi non vorremo fare la guerra fisica.
Tecnologia e carne da cannone presa là dove si trova, fra i poveri e i reietti
del mondo, cioè le periferie e i ghetti americani, poi quegli europei e per il
resto abbiamo una riserva disponibile nel sud del mondo. In molti saranno d’accordo
anche senza dirlo su una guerra che elimini grandi quantità di persone: siamo
già in tanti adesso, e non riusciamo a stare assieme, cosa faremo con gli altri
due miliardi in arrivo? Ma queste cose non bisogna dirlo, perché l’importante è
che muoiano gli altri, non noi. Quindi ci batteremo per “aiutare” i paesi del
sud a risolvere i problemi a casa loro, cioè che si facciano la guerra sul
posto e non vengano a portarla a casa nostra. Vedete il caso Ebola: l’unica
cosa che interessa sono le misure sanitarie negli aeroporti, per controllare
che qualche potenziale ammalato non riesca a passare i filtri ed arrivare da
noi. Lo stato deplorevole delle strutture sanitarie del sud nopn interessa
nessuno. Avete sentito gli alti responsabili delle Nazioni Unite, OMS e
compagnia ricordare questa banalità? Cioè dire alto e forte che senza una
ricostruzione seria e strutturale dei servizi sanitari pubblici nei paesi del
sud, la questione Ebola potrà forse essere controllata oggi, ma rispunterà
domani con un altro nome… Nessuno lo dice, tutti zitti, nel consenso ipocrita
di non dire le verità che fanno male ai comandanti del vapore. Dire queste cose
vorrebbe dire che bisogna rimettere in questione il modello economico, centrato
sul mercato… e ritornare a una centralità del servizio pubblico… Nemmeno il
Papa lo dice, occhio… anche lui gira al largo dai temi che farebbero male ai
piani alti… E allora avanti col mercato… a quanto è quotata la vita umana a
Londra, New York o Shangai?
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